La crescente automazione dei processi produttivi non è solo una questione economica, ma ha profonde ripercussioni psicologiche e sociali sulla popolazione attiva. Il lavoro non rappresenta soltanto una fonte di reddito: per milioni di persone, è un elemento centrale dell’identità personale, un mezzo per ottenere riconoscimento sociale e stabilire relazioni interpersonali. La paura di essere sostituiti da una macchina non si traduce solo in preoccupazioni finanziarie, ma può provocare una perdita di autostima e senso di scopo, alimentando incertezza e disagio emotivo. Uno dei fenomeni sempre più diffusi tra i lavoratori colpiti dall’automazione è la cosiddetta "ansia tecnologica", una condizione caratterizzata da stress, preoccupazione e senso di inadeguatezza legati al timore di perdere il lavoro a causa dell’intelligenza artificiale e della robotica. Secondo uno studio della American Psychological Association (APA, 2023), il 55% dei dipendenti di aziende ad alto tasso di innovazione si sente minacciato dall’IA e dall’automazione, temendo che la propria posizione possa diventare obsoleta nel giro di pochi anni. Questa ansia non è irrazionale: molte persone si trovano a dover affrontare il rischio di perdere il proprio impiego senza avere le competenze necessarie per rientrare nel mercato del lavoro. Secondo un rapporto del World Economic Forum (2023), entro il 2030 il 40% dei lavoratori dovrà acquisire nuove competenze per mantenere la propria occupazione, ma non tutti avranno accesso ai programmi di aggiornamento necessari. Alcuni settori stanno già affrontando queste sfide in modo tangibile. I camionisti, per esempio, vedono l’avvento dei veicoli autonomi come una minaccia diretta alla loro sopravvivenza professionale. Secondo Goldman Sachs, l’automazione nel trasporto su strada potrebbe eliminare fino a 3 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti entro il 2035. La consapevolezza che un’intera carriera possa essere resa obsoleta da un algoritmo genera un forte senso di frustrazione e ansia, con impatti negativi sulla salute mentale. Un’analisi dell’Università della California, Berkeley, ha evidenziato che i lavoratori a rischio di disoccupazione tecnologica hanno il 50% in più di probabilità di soffrire di disturbi d’ansia e depressione rispetto a coloro che operano in settori meno esposti all’automazione. L’impatto psicologico dell’automazione non riguarda solo i settori tradizionali, ma anche i professionisti altamente qualificati. Nel settore legale, per esempio, l’IA sta riducendo la necessità di avvocati junior, automatizzando l’analisi dei contratti e delle sentenze. Secondo uno studio di PwC, l’intelligenza artificiale potrebbe ridurre del 30% il numero di avvocati impiegati nei grandi studi legali entro il 2040, con un impatto significativo sulla percezione di sicurezza lavorativa anche tra i professionisti con titoli accademici avanzati. La psicologia del lavoro evidenzia che le persone non si definiscono solo in base al proprio ruolo, ma anche in relazione all’impatto sociale della propria professione. L’idea di essere sostituiti da una macchina mina profondamente questo concetto, portando molti lavoratori a sentirsi inutili o svalutati. Studi sulla psicologia della motivazione, come quelli condotti dall’Università di Harvard, dimostrano che la paura di perdere il lavoro è una delle principali cause di stress cronico, con effetti diretti sulla produttività, sul benessere individuale e sulla qualità della vita. Le ripercussioni psicologiche dell’automazione si estendono anche al tessuto sociale. L’aumento della disoccupazione o della precarietà lavorativa può portare a una riduzione della fiducia nei governi e nelle istituzioni, con un incremento dei movimenti di protesta e un aumento del populismo. Secondo il Brookings Institution, le regioni più colpite dalla deindustrializzazione e dall’automazione negli Stati Uniti hanno registrato un incremento del 20% nel voto a favore di partiti populisti negli ultimi 15 anni, segnalando una connessione tra insicurezza lavorativa e instabilità politica. Per affrontare questi problemi, molte aziende stanno sviluppando strategie di transizione per i lavoratori, cercando di integrare l’IA senza eliminare completamente il contributo umano. IBM e Microsoft, per esempio, hanno lanciato programmi di reskilling per aiutare i dipendenti a sviluppare nuove competenze in data science, cybersecurity e intelligenza artificiale applicata, con l’obiettivo di ridurre l’impatto dell’automazione sulle persone. Tuttavia, secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), meno del 25% delle aziende globali ha attualmente una strategia chiara per la riqualificazione dei propri dipendenti, lasciando molte persone senza un percorso concreto per adattarsi al cambiamento. Anche i governi stanno cercando di intervenire. Paesi come la Danimarca e la Germania hanno investito miliardi di euro in programmi di formazione per i lavoratori a rischio di automazione, mentre l’Unione Europea ha recentemente approvato il Piano per le Competenze Digitali, con l’obiettivo di riqualificare almeno 20 milioni di cittadini entro il 2030. Nonostante questi sforzi, resta il problema di come gestire la transizione psicologica dei lavoratori. Non basta offrire corsi di formazione: è necessario accompagnare le persone nel cambiamento, garantendo supporto psicologico e strategie per il reinserimento lavorativo.
Sebbene l’automazione porti benefici economici e aumenti l’efficienza, il suo impatto sulla salute mentale e sul benessere sociale non può essere ignorato. L’ansia tecnologica e la paura della sostituzione stanno già influenzando milioni di lavoratori, con effetti a lungo termine su produttività, stabilità sociale e benessere individuale. Per affrontare questa sfida, è fondamentale un approccio integrato che combini formazione, politiche di sostegno e un nuovo modello di interazione tra uomo e macchina, capace di valorizzare le competenze umane anziché sostituirle completamente.
Nina Celli, 23 febbraio 2025