Il governo italiano ha giustificato la propria decisione nel caso Almasri sottolineando le presunte irregolarità del mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI). Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che la richiesta della CPI non rispettava i protocolli giuridici italiani e presentava diverse anomalie sia formali che sostanziali.
Criticità formali
Tra le criticità identificate, una delle più rilevanti riguardava l’assenza di una traduzione ufficiale in italiano del mandato, un requisito fondamentale per la sua esecutività nel sistema giuridico nazionale. Inoltre, il mandato non era stato trasmesso direttamente al Ministero della Giustizia, come previsto dalle procedure di cooperazione internazionale, ma alla Questura di Torino, che aveva proceduto all’arresto senza un’autorizzazione ministeriale preventiva. Nordio ha anche evidenziato discrepanze nelle date dei crimini contestati ad Almasri e nelle prove a sostegno delle accuse, sollevando dubbi sulla solidità dell’intero provvedimento. Secondo il ministro, la Corte dell’Aia avrebbe commesso un grave errore procedurale inviando il mandato a un’autorità locale invece che al governo, violando così le norme italiane che impongono la verifica e l’approvazione del provvedimento da parte del Ministero della Giustizia prima di poterlo eseguire. La Corte d’Appello di Roma ha basato la sua decisione di scarcerare Almasri proprio su queste irregolarità. La normativa italiana prevede che, prima di procedere all’arresto di una persona su mandato internazionale, il Ministero della Giustizia debba esaminare e approvare il provvedimento. In questo caso, però, l’arresto è avvenuto senza che Nordio fosse informato in tempo utile. Secondo un’inchiesta de Il Sole 24 Ore, gli uffici ministeriali avevano predisposto una bozza di convalida per sanare l’errore procedurale, ma il ministro ha scelto di non firmarla, ritenendo che il mandato fosse irregolare e inapplicabile. Questa decisione ha portato alla scarcerazione immediata di Almasri e al suo rimpatrio in Libia. La scelta del governo italiano ha suscitato forti polemiche politiche e giuridiche, con la Procura di Roma che ha aperto un’indagine nei confronti di Nordio per presunta omissione di atti d’ufficio. Gli inquirenti stanno valutando se il governo abbia deliberatamente ostacolato l’azione della CPI. Le opposizioni hanno chiesto una mozione di sfiducia nei confronti del ministro, accusando l’esecutivo di aver mancato ai propri obblighi internazionali e di aver favorito il rimpatrio di un presunto criminale di guerra. Secondo i partiti d’opposizione, gli errori formali nel mandato non erano sufficienti a giustificare la mancata esecuzione dell’arresto, e la decisione del governo italiano avrebbe compromesso la credibilità dell’Italia nella cooperazione con la giustizia internazionale. Il caso Almasri potrebbe avere ripercussioni durature nei rapporti tra Italia e CPI. La Corte dell’Aia ha espresso irritazione per il comportamento del governo italiano e ha annunciato di voler valutare eventuali azioni legali per contestare la decisione. Un esperto di diritto internazionale intervistato da Repubblica ha sottolineato che, se altri Paesi dovessero seguire l’esempio dell’Italia, la CPI rischierebbe di perdere la propria autorità, creando un precedente pericoloso per la giustizia internazionale. Tuttavia, alcuni giuristi italiani sostengono che il governo abbia agito nel rispetto della Costituzione e del principio di legalità, difendendo la sovranità giuridica nazionale da un’ingerenza indebita da parte di organismi internazionali.
Ogni provvedimento deve rispettare la legge italiana
L’intera vicenda si inserisce in una più ampia strategia del governo Meloni, orientata alla tutela della sovranità giuridica dell’Italia. Nordio ha ribadito con fermezza che non esiste un obbligo giuridico per l’Italia di eseguire un mandato che presenta evidenti errori formali e procedurali. La posizione dell’esecutivo è chiara: ogni provvedimento deve rispettare le procedure previste dalla legge italiana, senza eccezioni. La questione, tuttavia, resta aperta. Se la CPI dovesse insistere nel contestare la decisione italiana, il governo potrebbe trovarsi in una posizione scomoda nei futuri casi di cooperazione internazionale, con conseguenze potenzialmente rilevanti nei rapporti tra l’Italia e le istituzioni giuridiche globali.
Nina Celli, 14 febbraio 2025