Trump è concentrato sugli interessi nazionali e non su conflitti. Così porrà fine a molte guerre

"America First"!

Trump ha costantemente ribadito che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sui propri interessi piuttosto che impegnarsi in conflitti internazionali che non riguardano direttamente la sicurezza o il benessere della nazione. Questo approccio, secondo lui, ridurrebbe l'influenza degli Stati Uniti in guerre non necessarie. Nel 2023, Trump ha affermato che, se rieletto, avrebbe lavorato per ridurre il coinvolgimento militare degli Stati. L'approccio "America First" di Trump ruota intorno a una visione che privilegia l'economia interna rispetto agli investimenti miliari all'estero. Trump ha sempre sostenuto che gli Stati Uniti spendono troppo per mantenere una presenza militare globale e ha promesso di ridurre tali spese per investire nel rafforzamento delle infrastrutture e dei servizi sociali nel paese. Secondo il suo punto di vista, un'America più forte economicamente sarebbe anche più capace di difendersi senza dover dipendere da interventi militari all'estero.
Durante un comizio tenuto al Madison Square Garden di New York, a meno di una settimana dalle elezioni del 2024, Donald Trump ha dichiarato: "Metterò fine alla guerra in Ucraina. Metterò fine al caos in Medio Oriente ed eviterò la Terza guerra mondiale" (La vittoria di Trump e la crisi in Medio Oriente: quali i possibili scenari, “rainews”, 6 novembre 2024). Affermazioni che riflettono la sua posizione critica verso le "guerre infinite" che – dal suo punto di vista – hanno danneggiato l'economia americana. Trump ha promesso di riportare a casa le truppe statunitensi da regioni come il Medio Oriente, sottolineando la necessità di un approccio più cauto nei confronti dei conflitti internazionali. Questa retorica si allinea con la sua politica "America First", che mette al primo posto gli interessi nazionali rispetto agli impegni militari all'estero. Durante il suo primo mandato, Trump ha cercato di ridurre la presenza militare statunitense in vari teatri internazionali, e queste dichiarazioni suggeriscono l'intenzione di continuare sulla stessa linea.
 

Sicurezza e crescita grazie a un approccio più isolazionista

Donald Trump ha costantemente promosso una politica estera più isolazionista, sostenendo che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi sui propri interessi nazionali. Ha criticato gli impegni militari che non servono direttamente alla sicurezza o agli interessi economici degli Stati Uniti e ha promosso il ritiro della presenza militare americana all'estero. La sua posizione si inserisce in un movimento più ampio all'interno della politica americana che chiede una riduzione degli impegni globali e un ripensamento delle alleanze internazionali.
L'articolo Isolationism 2.0: Donald Trump and the Future of the Liberal Order, scritto da Gideon Rose per “The National Interest”, esplora come Donald Trump abbia ridefinito la politica estera degli Stati Uniti durante la sua presidenza e cosa potrebbe accadere in un secondo mandato. La visione di Trump, spesso descritta come un "isolazionismo transazionale", si basa sull'idea di concentrare gli sforzi degli Stati Uniti sui propri interessi nazionali, riducendo drasticamente il coinvolgimento in conflitti esterni e il ruolo di "poliziotto del mondo".
Trump ha messo al centro della sua strategia il principio di "America First", sostenendo che gli Stati Uniti non dovrebbero spendere risorse in guerre che non portano benefici diretti alla sicurezza o all'economia interna. Come afferma anche Elbridge Colby, repubblicano specializzato in affari esteri: “Non vogliamo essere il poliziotto del mondo” (Piotr Smolar, Elbridge Colby, former US deputy secretary of defense: 'We don't want to be the world's policeman', “lemonde.fr”, 18 luglio 2024). Questa visione è orientata a ridurre il coinvolgimento in conflitti come la guerra in Afghanistan e a mettere in discussione il supporto militare fornito a paesi come l'Ucraina.

Meno USA nella NATO

Durante il suo primo mandato, Trump ha anche espresso forti dubbi sull'efficacia delle alleanze internazionali tradizionali, come la NATO, che riteneva troppo sbilanciate a sfavore degli Stati Uniti. Piuttosto che investire in coalizioni multilaterali, ha promosso un approccio più "transazionale", basato su accordi bilaterali vantaggiosi per l'America e su un ridimensionamento delle responsabilità globali. Questo approccio rifletteva una logica semplice: proteggere gli Stati Uniti prima di tutto, senza preoccuparsi di sostenere un ordine internazionale liberale che, a suo parere, aveva penalizzato gli interessi americani.
L'approccio di Trump non è solo una risposta alle sfide economiche e militari degli Stati Uniti, ma rappresenta una svolta storica nella politica estera americana, con implicazioni significative per il futuro dell'ordine mondiale (Gideon Rose, Isolationism 2.0: Donald Trump and the Future of the Liberal Order, “The National Interest”, 5 marzo 2024).

L’economia interna dipende anche dalla politica estera

“America first” non è solo una visione economica, con un impatto diretto sulla gestione delle infrastrutture, preferendo progetti a beneficio esclusivo degli Stati Uniti, ma implica anche la volontà di ridurre l'influenza degli Stati Uniti in conflitti internazionali, promuovendo un approccio isolazionista. Cambiando così la dinamica internazionale. Il risultato elettorale riflette una crescente opposizione tra gli americani verso un’ampia dipendenza dall’uso della forza militare per raggiungere obiettivi di politica estera.
Secondo Dan Caldwell e Reid Smith, autori dell’articolo Trump Must Not Betray “America First” “questa inclinazione ha radici nei disastri delle politiche post-11 settembre. Gli elettori, affaticati da guerre costose e poco produttive, hanno espresso preferenze per candidati favorevoli a un approccio più realistico e moderato negli affari esteri” (Dan Caldwell, Reid Smith, Trump Must Not Betray “America First”, “foreignaffairs.com”, 13 novembre 2024).
Non deve sorprendere la scarsa propensione a confermare una leadership attraverso le guerre, dato che – come si legge sul sito “The organization for world peace”: “L'intervento degli Stati Uniti nei conflitti armati e nelle guerre ha storicamente causato più problemi che soluzioni per gli aiuti umanitari e la sicurezza (ad esempio, la guerra e il caotico ritiro delle truppe militari statunitensi dall'Afghanistan). Anche l'ira politica per l'invio di truppe militari americane all'estero è complessa, per non parlare del bilancio della difesa per l'anno fiscale 2025 che, secondo il Dipartimento della Difesa, ha un prezzo elevato di 849,8 miliardi di dollari” (Hannah Langenfeld, Come una seconda presidenza Trump potrebbe rimodellare la politica estera e avere un impatto sulla sicurezza globale, “theowp-org”, 10 novembre 2024).

Una svolta realista per Trump?

Il ritorno di Trump avviene in un momento critico, a circa un anno dall’attacco del 7 ottobre 2023 di Hamas contro Israele. Le guerre israeliane a Gaza e in Libano sono ancora in corso, e sono state appoggiate dagli USA senza obiettivi politici chiari o raggiungibili, come sottolineato dall’Institute for Responsible Statecraft. Secondo l'articolo, l’amministrazione Biden ha adottato un approccio "reattivo", fornendo armi e supporto diplomatico a Israele senza però dettare una strategia precisa. Questo ha permesso a Tel Aviv di condurre operazioni militari a proprio piacimento, ma ha anche alimentato il rischio di una più ampia escalation regionale. "La scelta di Washington di porsi al centro di questo disordine, appoggiando indefessamente Tel Aviv fin dall'inizio della crisi, potrebbe essere stato uno dei fattori costati ai Dem la presidenza e mettono sul tavolo di Trump dilemmi non facili da sciogliere." "Amos Hochstein, consigliere speciale del presidente Biden, ha dichiarato che la situazione è 'fuori controllo', mentre sullo sfondo c'è il rischio di una guerra aperta tra Israele, Iran, con Teheran appoggiata da Russia e Cina" (Paolo Mossetti, Trump, cosa c'è da aspettarsi sul Medio Oriente, “Wired”, 9 novembre 2024). “Per risolvere questa situazione – scrive Jonathan Hoffman, analista di politica estera presso il Cato Institute – Trump dovrebbe incentrare la politica statunitense in Medio Oriente su due obiettivi principali: la separazione e la de-prioritizzazione” (Trump now faces 'out of control' conflict in the Middle East, “responsiblestatecraft.org”, 7 novembre 2024).
Questo approccio lo porterebbe a distanziarsi dal sostegno incondizionato che gli Stati Uniti hanno storicamente garantito a Israele, soprattutto sotto l’amministrazione Netanyahu per privilegiare una strategia di contenimento, interrompendo il sostegno militare e diplomatico diretto. Se Trump dovesse giudicare che il supporto a Israele rappresenta un costo eccessivo in termini di interessi nazionali e stabilità, potrebbe scegliere di ridimensionare l'impegno americano nella regione. Ciò sarebbe in significativa discontinuità rispetto alla linea attuale, e aprirebbe la strada a un maggiore pragmatismo nella politica estera americana (Paolo Mossetti, Trump, cosa c'è da aspettarsi sul Medio Oriente, “Wired”, 9 novembre 2024).

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca avviene in un contesto geopolitico frammentato, segnato dal passaggio da un ordine unipolare a uno multipolare. Questa trasformazione è accompagnata dalla crescente assertività di Cina e Russia, che sfidano il tradizionale dominio statunitense.
Durante il suo primo mandato, Trump ha promosso il principio dell’"America First", riducendo il coinvolgimento degli Stati Uniti nei conflitti esterni. Tuttavia, il suo secondo mandato si preannuncia ancora più strategico, con un focus su una razionalizzazione delle risorse per contrastare le sfide geopolitiche più pressanti. Con un maggiore focus sugli interessi nazionali, "La nuova Amministrazione intende riprendere il perseguimento di una maggiore razionalizzazione delle risorse, adattando il suo approccio alle sfide emergenti". Trump sembra intenzionato a delegare maggiore responsabilità agli alleati, specialmente in Europa, mentre si concentra sul contenimento della Cina. "Washington avrebbe progressivamente cercato di dismettere l’atteggiamento marcatamente 'mondialista' dei due decenni precedenti in favore di una condotta più razionale"; "Con Trump, gli USA potrebbero focalizzarsi maggiormente sul contenimento delle ambizioni globali della Cina, sfruttando il quadro instabile delle relazioni internazionali" (Fabrizio Scarinci, USA: il ritorno di Donald Trump nel contesto dell’adattamento della strategia di Washington al mondo multipolare, “reportdifesa.it”, 2 dicembre 2024).

Una Politica Estera Realista

Secondo l’analisi del sito “Report difesa”, Trump adotta un approccio realistico, privilegiando risultati tangibili piuttosto che ideali astratti. Questa visione si allontana dalle tradizionali politiche interventiste, favorendo una selezione più accurata dei conflitti e degli impegni globali. Si tratta di un'interpretazione che vede gli Stati Uniti focalizzati sugli interessi nazionali, evitando il dispendio di risorse su scenari di scarso valore strategico "La sintesi è questa: gli Usa non possono più permettersi una politica dai molti, troppi fronti caldi aperti". Gli Stati Uniti, con una politica estera sovraccarica e numerosi fronti aperti, rischiano di perdere efficacia e coerenza strategica. Trump, definito "il realista", rappresenterebbe un cambio di rotta, scegliendo di concentrare l'azione internazionale su questioni di importanza cruciale per la sicurezza e l'economia americana (Stefano Mannoni, Donald Trump il realista: la nuova visione della politica estera americana secondo Foreign Affairs, “milanofinanda.it”, 9 luglio 2024). “Si può immaginare che le decisioni di Trump saranno condizionate soprattutto dalla volontà di liberare risorse per competere con la Cina, che appare la sua vera priorità in campo internazionale”, afferma Gianluca Pastori, associate research fellow in Relazioni Transatlantiche per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa presso l’Università Cattolica di Milano (Milena Castigli, Pastori (ISPI): “Politica estera e battaglie interne: Trump e Harris a confronto”, “interris.it”, 27 ottobre 2024).

Nina Celli, 22 dicembre 2024

Presenza Militare durante l'Amministrazione Trump

Nonostante Trump non abbia formalmente dichiarato nuove guerre durante la sua precedente presidenza, forze armate statunitensi sono rimaste attive in vari teatri operativi. Le truppe americane sono state impegnate in Siria, Yemen e Libia, nonostante promesse di ritirare i soldati (Simone Fontana, Donald Trump non è il primo presidente dal 1928 a non iniziare “una guerra nel suo mandato”, “facta.news”, 18 settembre 2020).

Il costo della retorica “America first”

L'approccio di Donald Trump, focalizzato sulla priorità degli interessi nazionali e sulla riduzione dell'impegno in conflitti esterni ha suscitato diverse critiche. Analisti e politici sostengono che tale strategia possa compromettere la leadership globale degli Stati Uniti e la stabilità internazionale. Sarebbe una sorta di erosione della leadership morale: l'abbandono di impegni internazionali e l'approccio transazionale alle relazioni estere possono erodere la percezione degli Stati Uniti come leader morale nel mondo, minando la loro capacità di promuovere valori democratici e diritti umani. Ne è un esempio la dichiarazione del viceministro degli Esteri taiwanese François Chihchung Wu in un'intervista al Congresso: "Se Trump [dovesse] abbandonare Taiwan, mi chiedo come potrebbe rendere l'America di nuovo grande perché perderebbe il sostegno, la credibilità degli Stati Uniti, nell'Asia-Pacifico" (Hannah Langenfeld, Come una seconda presidenza Trump potrebbe rimodellare la politica estera e avere un impatto sulla sicurezza globale, “theowp-org”, 10 novembre 2024).

L’isolazionismo dell’America first

L'articolo Isolationism 2.0: Donald Trump and the Future of the Liberal Order, scritto da Gideon Rose per “The National Interest”, esplora come Donald Trump abbia ridefinito la politica estera degli Stati Uniti durante la sua presidenza e ciò potrebbe intensificarsi nel secondo mandato. Trump, descritto come un leader più abile nel "distruggere che nel costruire", potrebbe accelerare il declino della "Pax Americana", il sistema di cooperazione globale guidato dagli Stati Uniti sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Senza una chiara alternativa, il rischio è che il mondo scivoli verso una crescente instabilità. Rose richiama una famosa citazione di Adam Smith per sottolineare l'entropia che potrebbe derivare da un simile approccio: "There is a great deal of ruin in a nation", suggerendo che lo stesso principio potrebbe applicarsi al fragile equilibrio dell'ordine internazionale. L’autore avverte che un isolamento eccessivo, senza una visione costruttiva per sostituire l'ordine liberale esistente, potrebbe portare non solo al declino del ruolo globale degli Stati Uniti, ma anche a una più ampia destabilizzazione geopolitica. La narrazione di Rose sottolinea come questa politica di ritiro potrebbe ridurre i conflitti in cui gli Stati Uniti sono direttamente coinvolti, ma al costo di minare le fondamenta della cooperazione internazionale e della stabilità globale (Gideon Rose, Isolationism 2.0: Donald Trump and the Future of the Liberal Order, “The National Interest”, 5 marzo 2024).

Maggiore tensione con Cina e Iran

Nella seconda presidenza di Donald Trump la politica estera degli Stati Uniti potrebbe subire modifiche significative, con un ritorno alle sue politiche unilaterali e "America First", che avevano caratterizzato il suo primo mandato. Questo approccio potrebbe comportare una riduzione del coinvolgimento degli Stati Uniti in conflitti internazionali e una crescente enfasi sugli interessi nazionali piuttosto che su alleanze tradizionali. Una delle aree in cui questa filosofia potrebbe avere un impatto particolarmente forte riguarda le relazioni con la Cina. Durante il suo primo mandato, Trump ha adottato una linea dura verso Pechino, con l'imposizione di sanzioni e l'introduzione di tariffe per contrastare il commercio scorretto e il furto di proprietà intellettuale. Nella seconda presidenza, Trump potrebbe intensificare queste misure, continuando a spingere per un “decoupling” [disaccoppiamento] economico tra le due potenze, come sottolineato nell'articolo Trump’s Return: Implications for the Indo-Pacific, a cura di Michael Beckley, Connor Fiddler, June Teufel Dreyer e altri, apparso sul sito del “Foreign Policy Research Institute” a novembre 2024.
Questa politica più aggressiva nei confronti della Cina potrebbe avere un impatto significativo sull'economia globale, destabilizzando i mercati e alimentando tensioni geopolitiche. La crescente rivalità tra le due potenze potrebbe anche avere ripercussioni sullo scenario internazionale, in particolare nelle regioni asiatiche e africane, dove la Cina ha aumentato la sua influenza economica e militare.

Un altro punto cruciale riguarda la politica di sicurezza internazionale. La seconda presidenza di Trump potrebbe portare a una continua tensione con il Medio Oriente, soprattutto a causa del suo approccio duro verso l'Iran e della sua decisione di ritirarsi dall'accordo nucleare (JCPOA). Come si legge in un articolo del “The Wall Street Journal”: " La campagna di ‘massima pressione’ di Trump nei confronti dell'Iran verrebbe probabilmente ripristinata, con un'ulteriore tensione delle relazioni con Teheran e un potenziale aumento del conflitto nella regione" (Warren P. Strobel, Benoit Faucon, Lara Seligman, Trump to Renew ‘Maximum Pressure’ Campaign Against Iran, “The Wall Street Journal”, 8 novembre 2024).

La NATO sarà più debole

Le relazioni con gli alleati della NATO potrebbero essere messe sotto ulteriore pressione. Trump ha criticato ripetutamente i membri dell'alleanza per non aver contribuito abbastanza alla difesa comune e per non aver rispettato gli impegni finanziari. Trump probabilmente intensificherà queste richieste: "In un’intervista concessa a Kristen Welker per il programma Meet the Press di NBC News, il presidente ha ribadito la sua posizione critica sulla partecipazione finanziaria degli Stati membri dell’Alleanza Atlantica: ‘Devono pagare i loro conti. Se non ci trattano in modo equo, assolutamente prenderò in considerazione l’uscita degli Stati Uniti dalla NATO’" (Trump scuote la NATO: “Gli USA potrebbero uscire se gli alleati non pagano il giusto”, “osservatoreitalia.eu”, 9 dicembre 2024). Questo potrebbe minare ulteriormente la coesione della NATO e mettere in discussione il ruolo degli Stati Uniti come principale garante della sicurezza in Europa.

La politica climatica

Un altro aspetto cruciale riguarda la politica climatica. Trump, durante la precedente presidenza, ha ritirato gli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi sul clima, segnando una netta rottura con l'approccio multilateralista in corso. Una seconda presidenza di Trump potrebbe proseguire lungo questa strada, con effetti negativi sulla diplomazia ambientale globale. Il secondo mandato di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe rappresentare una significativa battuta d’arresto per la lotta globale contro il cambiamento climatico. James Temple, redattore senior per l'energia alla “MIT Technology Review”, osserva che la vittoria di Trump rischia di compromettere i progressi ottenuti durante l’amministrazione Biden, smantellando politiche fondamentali come l'Inflation Reduction Act e il Bipartisan Infrastructure Law, entrambe progettate per favorire la transizione verso un'economia a basse emissioni. Secondo un’analisi di Carbon Brief, la sua amministrazione potrebbe incrementare le emissioni di gas serra di 4 miliardi di tonnellate entro il 2030, aggravando fenomeni come ondate di calore, incendi boschivi, inondazioni e carestie, e causando danni globali stimati in 900 miliardi di dollari. “Durante la lunga campagna presidenziale, Trump o i suoi sostenitori si sono impegnati a incrementare la produzione di petrolio e gas, a eliminare il sostegno federale ai veicoli elettrici, a porre fine alle norme sull'inquinamento per le centrali elettriche e a rimuovere ancora una volta gli Stati Uniti dall'accordo di Parigi sul clima. Ognuno di questi obiettivi è in diretta opposizione ai tagli rapidi e profondi delle emissioni ora necessari per evitare che il pianeta superi soglie di temperatura sempre più alte” (James Temple, Trump’s win is a tragic loss for climate progress, “MIT Technology Review”, 6 novembre 2024).

Erosione della leadership morale

L'abbandono di impegni internazionali e l'approccio transazionale alle relazioni estere hanno eroso la percezione degli Stati Uniti come leader morale nel mondo, minando la loro capacità di promuovere valori democratici e diritti umani. H. M. Sabbir Hossain, nell’articolo pubblicato su “International Policy Digest”, esplora l’impatto della presidenza di Donald Trump sulla strategia globale degli Stati Uniti. Evidenzia come il suo approccio abbia alterato le fondamenta di quella che era una tradizione consolidata di leadership americana basata sulla cooperazione internazionale, l’influenza economica e il dominio militare. Per decenni la strategia americana si è basata su tre pilastri: multilateralismo, leadership economica e potere militare. Questi elementi hanno creato una rete di alleanze e istituzioni globali, come la NATO e le Nazioni Unite, che hanno permesso agli Stati Uniti di ampliare la propria influenza. Le politiche economiche, fondate sul libero scambio, hanno consolidato la posizione del paese come motore della prosperità globale. Trump ha scosso questi equilibri, sostituendo la tradizionale cooperazione con una dottrina nazionalista e transazionale sotto il motto “America First”. Hossain conclude il suo articolo con previsioni pessimistiche: “Con Donald Trump che giurerà per un secondo mandato all'inizio dell'anno prossimo, ci si aspettano ulteriori disordini e un governo a colpi di tweet. Il mondo deve aspettarsi quattro anni difficili” (H. M. Sabbir Hossain, Reckoning with Disruption: American Grand Strategy in the Age of Trump, “International Policy Digest” il 22 novembre 2024).

Nina Celli, 22 dicembre 2024