Con i social l'informazione è più libera e indipendente

Uno scambio di informazioni alla portata di tutti

Secondo il parere di numerosi esperti, i social media avrebbero diversi vantaggi. Nello specifico, secondo Roberta Jerace, redattrice per “La legge per tutti”, essi “consentono lo scambio di notizie, di idee e di contenuti, è possibile accedere ad altre fonti di informazione che prima erano in mano dei media convenzionali” (Roberta Jerace, Social network: pro e contro, “La Legge per Tutti”, 26 febbraio 2020).
I social media hanno indubbiamente cambiato il modo di comunicare, “si uniscono a una lunga lista di innovazioni che hanno accelerato il ritmo e ampliato la portata della comunicazione umana. Qualche decennio fa, parlare con amici e familiari all'estero o fuori dallo stato era un'impresa costosa e lenta. Le cartoline potevano impiegare settimane per arrivare. Le telefonate erano spesso considerate un lusso. Ma con i social media, miliardi di persone in tutto il mondo possono ora scambiarsi informazioni con poche barriere finanziarie o tecniche” [TdR] (Social Media: Revolutionizing Communication, “CFR Education Global Matters”, 31 gennaio 2023). 

Tutti possono essere informatori 

I social media amplierebbero i modi di comunicazione e consentirebbero così uno scambio più immediato di idee, di notizie e di contenuti, abbattendo le barriere tradizionali e favorendo la condivisione globale di conoscenze e culture. Secondo Viktoriya Sus, scrittrice accademica specializzata in economia e business, l’informazione, l’idea o l’opinione può essere scritta e condivisa da chiunque. In qualche modo i social media avrebbero influenzato il giornalismo. Dice la Sus: “Prima dei social media, eravamo bloccati da quelli che vengono chiamati ‘guardiani dei media’, persone come i direttori dei giornali, che potevano scegliere quali notizie le persone consumavano e quali no [...]. Al giorno d'oggi, letteralmente chiunque può pubblicare qualsiasi cosa online. Gli editori, i governi e i media non hanno l'ultima parola [...]” [TdR] (Viktoriya Sus, 27 Social Media Pros and Cons, “HelpfulProfessor.com”, 1° ottobre 2023). Lo scambio di notizie e informazioni sarebbe così favorito tra persone di qualsiasi età, provenienza geografica e ceto sociale garantendo una pluralità di opinioni; “utilizzando le piattaforme dei social media, le persone possono collaborare e condividere idee rapidamente in tutto il mondo [...]” (ibidem).

I social media come fonte di informazione 

Il consumo di notizie è diventato parte della vita di ognuno di noi e ciò avviene sempre di più attraverso i social media. Una raccolta dati del Pew Research Center, compilata dall'assistente di ricerca Christopher St. Aubin e dall'analista di ricerca Jacob Liedke, ci porta l’esempio dell’utilizzo dei social come fonte di informazione negli Stati Uniti: “Le fonti digitali sono diventate una parte importante della dieta di notizie degli americani, con i social media che svolgono un ruolo cruciale, in particolare per i giovani adulti. Nel complesso, poco più della metà degli adulti statunitensi (54%) afferma di ricevere almeno qualche volta notizie dai social media, in leggero aumento rispetto agli ultimi anni. Facebook e YouTube superano tutti gli altri siti di social media come luoghi in cui gli americani ricevono regolarmente notizie. Circa un terzo degli adulti statunitensi afferma di ricevere regolarmente notizie su ciascuno di questi due siti. Una percentuale minore di americani riceve regolarmente notizie su Instagram (20%), TikTok (17%) o X, precedentemente noto come Twitter (12%). E ancora meno persone ricevono notizie su diversi altri siti, tra cui Reddit (8%), Nextdoor (5%), Snapchat (5%), WhatsApp (5%), LinkedIn (4%), Truth Social (3%) e Rumble (2%)” [TdR] (Christopher St. Aubin, Jacob Liedke, Social Media and News Fact Sheet, “Pew Research Center”, 17 settembre 2024).

Le notizie postate sui social media assumono pari rilevanza a quelle diffuse dai telegiornali, stando all’analisi di Kirsten Eddy, ricercatrice senior presso il Pew Research Center, dove è specializzata in abitudini e atteggiamenti di informazione e notizie negli Stati Uniti e nel mondo. Secondo la raccolta dati, infatti, “i repubblicani sono ora quasi altrettanto propensi a fidarsi delle informazioni che provengono dai siti di social media quanto lo sono a fidarsi delle informazioni provenienti dalle organizzazioni di informazione nazionali” [TdR] (Kirsten Eddy, Republicans, young adults now nearly as likely to trust info from social media as from national news outlets, “Pew Research Center”, 16 ottobre 2024). 

La divulgazione durante la pandemia Covid-19

Daniel A. González-Padilla e Leonardo Tortolero Blanco, medici presso il Dipartimento di Urologia dell’Università clinica di Madrid, analizzano il ruolo positivo che i social media avrebbero avuto durante la pandemia Covid-19. I medici affermano che “mai prima nella storia umana è stato possibile comunicare così rapidamente durante una pandemia, le piattaforme dei social media sono state un elemento chiave per la diffusione delle informazioni [...]. L'uso responsabile di questi strumenti può aiutare a diffondere rapidamente nuove informazioni importanti, nuove scoperte scientifiche rilevanti, condividere protocolli diagnostici, di trattamento e di follow-up, nonché confrontare diversi approcci a livello globale, rimuovendo i confini geografici per la prima volta nella storia” [TdR] (Daniel A González-Padilla, Leonardo Tortolero-Blanco, Social media influence in the COVID-19 Pandemic, “National Library of Medicine”, 27 luglio 2020). 

I social media avrebbero permesso la diffusione di contenuti educativi sulle misure di prevenzione raccomandate, i sintomi più frequenti e i dati dei pazienti malati o deceduti. “Questo studio ci lascia con un'importante riflessione sulle occasioni mancate di diffusione di informazioni di qualità sulla prevenzione del contagio e sui sintomi frequenti di COVID-19 su piattaforme come YouTube, che vengono sempre più consultate come fonte di informazioni” (ibidem), commentano i medici. Inoltre, gli studi dimostrano che i social avrebbero “senza dubbio permesso una rapida diffusione della conoscenza a livello mondiale, oltre a tempi editoriali notevolmente ridotti, passati da mesi di elaborazione a giorni o settimane dalla ricezione” della letteratura scientifica riguardante la pandemia (ibidem).

Alissa Vervenna, 3 dicembre 2024

Brevità non vuol dire correttezza

Con l’avvento dei social media, la comunicazione e il modo di scrivere sarebbe peggiorato, partendo dall’uso improprio della scrittura, che oggi è diventata sempre più digitale. In un articolo del sito della University of the People, università privata senza scopo di lucro, scritto da alcuni suoi redattori, si legge che la scrittura è diventata più breve e riassuntiva e che “lo stile di comunicazione abbreviato [usato nella] messaggistica di testo negli anni 2000, è continuato nelle conversazioni online” [TdR] (How Social Media Affects Communication, “University of the People”, 8 luglio 2024). Se da un lato “queste scorciatoie fanno risparmiare tempo e spazio”, dall’altro, però, “si sono anche infiltrate nel linguaggio parlato, nella comunicazione via e-mail e persino nella scrittura accademica. Sebbene comoda, questa tendenza ha scatenato dibattiti sul suo impatto sull'alfabetizzazione e sulle competenze di scrittura formale” (ibidem).
La comunicazione diventa ancora più riassuntiva se pensiamo all’uso che si fa delle emoji “per illustrare un messaggio scritto [...], ma [ciò] interferisce anche con la nostra capacità di elaborare correttamente una risposta scritta. Finisce per essere troppo allettante rispondere con una piccola immagine [...] piuttosto che usare la mente per creare una risposta con parole da zero” (ibidem).

Chiunque può pubblicare: è davvero un bene?

I social media permettono lo scambio immediato di informazioni, ma queste possono essere trasmesse da qualunque tipo di fonte. Infatti, secondo un articolo pubblicato sul sito del Public Interest Research Group, “con il passaggio ai social media, [...] chiunque può essere un giornalista, i contenuti sono quasi infiniti e facilmente in grado di alimentare i feed dei social media con centinaia di di notizie ogni 24 ore” [TdR] (Anastasia Micich, How misinformation on social media has changed news, “U.S. PIRG Education Fund”, 14 agosto 2023). Le fonti, rispetto al periodo pre-social, non vengono più filtrate: “invece di sezioni di opinione o programmi dedicati per esperti, i feed dei social mescolano opinioni e fatti. E più una storia è stravagante, meglio è. Con la copertura mediatica veloce e sensazionalistica delle notizie e con il dibattito sulle opinioni portato all'estremo, ciò che vediamo online è sempre più disinformazione, ovvero contenuti che semplicemente travisano i fatti” (ibidem).

Un esempio di disinformazione perpetrato attraverso i social è rappresentato da TikTok, che “ha inaugurato una nuova era di disinformazione online, esponendo frequentemente la sua giovane base di utenti a informazioni errate. Uno studio del 2022 ha scoperto che quando gli utenti di TikTok cercavano le principali notizie, quasi il 20% dei video restituiti conteneva disinformazione, [...]”. Inoltre, “uno studio del 2023 dell'Università dell'Arizona ha scoperto che circa il 40% dei video medici su TikTok conteneva informazioni mediche errate” (ibidem).

Anche X (Twitter) è stato posto sotto la lente di ingrandimento degli studiosi, che hanno valutato la qualità dell’informazione diffusa dal social. Ciò è emerso da uno studio dell’Institute of Technology del Massachusetts fatto da Sinan Aral, professore alla MIT Sloan School of Management, Deb Roy, professore associato di arti e scienze dei media al MIT Media Lab e direttore del Media Lab's Laboratory for Social Machines (LSM) e Soroush Vosoughi, coautore del nuovo articolo e postdoc presso LSM la cui ricerca di dottorato ha contribuito a dare origine allo studio attuale. Quest’ultimo, in particolare, parlando delle fonti lette su questo social, afferma: “una buona parte di ciò che leggevo [...] erano voci; erano notizie false” [TdR] (Peter Dizikes, Study: On Twitter, false news travels faster than true stories, “MIT News Office”, 8 marzo 2018).

Per svolgere questo studio, X (Twitter) ha fornito supporto alla ricerca e ha concesso al team del MIT pieno accesso ai suoi archivi storici. Roy, inoltre, è stato il capo scienziato dei media di Twitter dal 2013 al 2017. Per condurre lo studio e determinare se le storie prese in esame fossero vere o false, “i ricercatori hanno monitorato circa 126.000 serie di notizie diffuse su Twitter, che sono state twittate complessivamente oltre 4,5 milioni di volte da circa 3 milioni di persone, tra il 2006 e il 2017. Per determinare se le storie fossero vere o false, il team ha utilizzato le valutazioni di sei organizzazioni di fact-checking [...] e ha scoperto che i loro giudizi coincidevano in oltre il 95% dei casi. Delle 126.000 [...], la politica ha costituito la categoria di notizie più grande, con circa 45.000, seguita da leggende metropolitane, economia, terrorismo, scienza, intrattenimento e disastri naturali. La diffusione di storie false è stata più pronunciata per le notizie politiche che per le notizie nelle altre categorie”. 

Questo ruolo dei social network di cassa di risonanza di notizie non fondate li rende particolarmente critici perché le notizie false hanno una maggiore e più rapida diffusione delle notizie vere o verosimili. Gli studiosi hanno scoperto che “le persone rispondono alle notizie false con più sorpresa e disgusto [...] mentre le storie vere hanno prodotto risposte più generalmente caratterizzate da tristezza, anticipazione e fiducia” (ibidem).

Dalla pandemia all’infodemia

Se da un lato è vero che i social media hanno contribuito a informare le persone su sintomi e conseguenze delle malattie, in particolare durante la pandemia Covid-19, dall’altro si sono diffusi sentimenti di paura e pregiudizio a causa della moltitudine di informazioni errate e false dal punto di vista scientifico. Per essere più precisi, si parla di “infodemia”, termine che indica “sovrabbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che si verifica durante un'epidemia”, come riporta Jane Galvão, professionista della politica sanitaria, secondo una definizione dell’OMS (Jane Galvão, COVID-19: the deadly threat of misinformation, “National Library of Medicine”, 5 ottobre 2020).

Dell’infodemia durante il Covid-19 ne parla la dott.ssa Margherita Carniello, giornalista e rappresentante dell'Ufficio stampa e comunicazione del Consiglio regionale del Veneto, descrivendola come incessante e portatrice di ansia e stress: “L’evento pandemico può essere considerato una sorta di stress-test per il mondo dell’informazione. [...] Secondo il rapporto Fondazione Censis 2021, per il 49,7% degli italiani la comunicazione dei media sull’epidemia è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva. Solo il 13,9% pensa che sia stata equilibrata” (Laura Nota, Margherita Carniello, Infodemia e pandemia - L’impatto dell’emergenza Covid-19 sul sistema dell’informazione in Italia - Effetti e trasformazioni in atto nei media tradizionali, nella comunicazione istituzionale e nei social media, “Università degli Studi di Padova”, a.a. 2020-2021).

Dello stesso parere sono Saifuddin Ahmed, professore e ricercatore presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, e Muhammad Ehab Rasul, studente di dottorato presso il Dipartimento di Comunicazione dell’Università della California, Davis. Secondo gli studiosi, “l'abbondanza di disinformazione sulle piattaforme dei social media ha sollevato preoccupazioni riguardo alla diffusione dell'infodemia” (Saifuddin Ahmed, Muhammad Ehab Rasul, Social Media News Use and COVID-19 Misinformation Engagement: Survey Study, “National Library of Medicine”, 20 settembre 2022). Essi hanno inoltre analizzato diversi sondaggi di Qualtrics riguardo l’uso delle notizie sul Covid-19 diffuse tramite social media e le intenzioni di condividerle. Si è scoperto che “coloro che utilizzavano frequentemente i social media per il consumo di notizie erano più propensi a credere alla disinformazione sul COVID-19 e a condividerla sui social media [...] perché la ritenevano accurata”. Ahmed e Rasul sono arrivati alla conclusione che il consumo di notizie durante la pandemia Covid-10 ha avuto “conseguenze disastrose per la condivisione di informazioni errate” e raccomandano ai diffusori di tali notizie, nonché ai politici, di “limitare la propagazione di informazioni errate sul COVID-19 e a salvaguardare i cittadini” (ibidem). 

Alissa Vervenna, 3 dicembre 2024