Il corpo di una sportiva transgender MtF presenta significativi vantaggi rispetto ai corpi femminili cisgender: le ricerche scientifiche

La nuova Policy del Comitato Olimpico Internazionale del 2021 ha determinato che per stabilire se una donna transgender possa accedere alle categorie femminili bisogna eseguire un controllo sul livello ormonale. Questa pratica viene spesso definita come discriminatoria e inadeguata a determinare chi può o non può competere per una categoria. Ma questi parametri a volte sono inefficaci, perché da uno studio condotto su 693 atleti è emerso che ci sono anche uomini con livelli di testosterone al di sotto della media e donne con livelli superiori. Ne sono un esempio i casi di donne con sindrome dell’ovaio policistico, un’alterazione endocrina che colpisce tra l’8% e il 10% delle donne (Alessandra Vescio, Non solo persone transgender: i limiti bioetici del binarismo nello sport, “Valigia Blu”, 27 agosto 2022).
I cosiddetti sex test, invece, rappresentano una pratica che “viola i diritti fondamentali alla privacy e alla dignità”.

Lo studio medico intitolato Effect of gender affirming hormones on athletic performance in transwomen and transmen: implications for sporting organisations and legislators, condotto da Timothy A. Roberts, Joshua Smalley e Dale Ahrendt ha provato che dopo due anni di trattamento ormonale dei soggetti atletici hanno riscontrato un appiattimento nelle differenze tra i due sessi. Tale esperimento proverebbe quindi che l’ingresso di atleti maschi divenuti femmine in categorie sportive femminili, dal punto di vista ormonale, non creerebbe alcuna disparità. “Abbiamo esaminato i risultati dei test di fitness e le cartelle cliniche di 29 uomini trans e 46 donne transessuali che hanno iniziato ad assumere ormoni per l’affermazione del genere mentre erano nell’aeronautica degli Stati Uniti. Abbiamo confrontato i risultati dei test di fitness pre e post-ormonali delle donne trans e degli uomini trans con le prestazioni medie di tutte le donne e gli uomini di età inferiore ai 30 anni nell’Air Force tra il 2004 e il 2014. Abbiamo anche misurato il tasso di cambiamenti ormonali associati al corpo, composizione e prestazione atletica. Il vantaggio atletico del 15-31% che le donne trans hanno mostrato sulle loro controparti femminili prima di iniziare la terapia ormonale è diminuito nel tempo con la somministrazione ormonale. Tuttavia, le donne trans avevano ancora una velocità media di corsa del 9% più veloce dopo il periodo di 1 anno di soppressione del testosterone raccomandato da World Athletics per l’inclusione negli eventi femminili”, si legge nella ricerca (Gianni Nencioni, Atleti transgender e sport al femminile, “Invictus Project”, 10 giugno 2021).

Le ricerche scientifiche pubblicate dalla lega internazionale di rugby, Summary Of Transgender Biology And Performance Research, dimostrano che la riduzione del testosterone, durante la fase di transizione male to female (da uomo a donna), rimuove solo un quinto circa del muscolo e quindi i vantaggi nella forza sono approssimativi.

Le riduzioni di potenza non sono note, la velocità di corsa è ridotta dal 5% al 10% e l'emoglobina viene ridotta quasi completamente. Le differenze biologiche tra il corpo maschile e il corpo femminile appaiono ridotte di poco. Il range delle riduzioni va dallo 0% al 9% dopo 12 mesi dall’abbassamento del livello di testosterone. Le differenze iniziali, nell’arco di queste variabili, vanno dal 20% al 60%. Per queste variabili, i vantaggi significativi nei maschi biologici rimangono dopo la riduzione del testosterone. Le ricerche della lega, tuttavia, dimostrano come ad oggi non esistano degli studi diretti sulle giocatrici donne trans. Le prove, infatti, provengono da studi sulle differenze biologiche e sugli effetti della riduzione del livello di testosterone.

Joanna Harper, ricercatrice e fisica medica, ma anche runner appassionata e in passato consulente del Comitato Olimpico Internazionale, nel 2016 ha pubblicato il primo studio sulla terapia ormonale condotto dal dottor Louis Gooren. Lo studio ha rilevato che un gruppo non elitario di otto corridori transgender, in una corsa di lunga distanza, non erano più competitivi in quanto uomini di nascita, poiché gli atleti transgender hanno dovuto affrontare una diminuzione della resistenza, della velocità, della forza e della capacità di trasportare ossigeno, dimostrando che non avevano un vantaggio in termini di prestazioni rispetto alle donne cisgender.

Fino al Consenso di Stoccolma del 2003, per consentire alle persone trans di partecipare alle attività sportive, non c’era nessuna letteratura scientifica che giustificasse l’inclusione delle donne transgender. Il consenso si basava infatti sulle informazioni date dal dottor Louis Gooren di Amsterdam, secondo le cui ricerche, dopo un anno di terapia di abbassamento del livello di testosterone, le donne trans prese come campione avevano un livello dell’ormone inferiore a quello delle donne cisgender e pari livello di emoglobina. Le differenze sulla massa muscolare sono state dimezzate e non sono state rilevate altre modifiche nel corso dei 3 anni successivi alla diminuzione dell’ormone. Anche se questo studio non era stato effettuato direttamente su delle atlete trans, gli studiosi della ricerca avevano concluso che non c’era motivazione che potesse impedire alle donne trans di competere nelle categorie femminili dopo una terapia ormonale appropriata. Se, stando al consenso di Stoccolma, le atlete trans che volevano partecipare alle competizioni sportive dovevano essere sottoposte a due anni di terapia ormonale, secondo le ricerche del gruppo del dott. Gooren era sufficiente un anno. A partire da quel momento sono state molte le donne trans a partecipare a competizioni sportive in categorie femminili e nessuna di queste ha avuto un particolare successo ad alti livelli tale da dimostrare una discrepanza di esecuzione tra un corpo trans e un corpo cis. “E si potrebbe sostenere che questa mancanza di successo nell’arco di dieci anni sarebbe una forte indicazione dell’equità nel consentire a donne transgender di competere contro le donne cisgender”, si legge sul Journal of Sporting Cultures and Identities a pagina 2 (Emilia Benton, The Fight for Transgender Athletes’ Right to Compete, Runner’s World, “Runner’s World”, 18 marzo 2021).

La difficoltà nella ricerca

Invece di una semplice accettazione, c'è stata invece una notevole quantità di controversie sulla presenza di donne transgender nell’atletica femminile. Tuttavia, l’unico studio pubblicato esistente relativo alle donne transgender nello sport è quello originale di Gooren e Bunk. La scienza a sostegno dell’inclusione dei transgender è molto scarsa. Ad oggi nessuno studio ha condotto qualsiasi tipo di test da sforzo per valutare le prestazioni atletiche e nessuna di queste ricerche ha provato l’esistenza effettiva di vantaggi o svantaggi delle donne trans sulle donne cis. Esistono due ostacoli principali all’avanzamento di qualsiasi ricerca che coinvolga atleti transgender. Il primo riguarda proprio la modalità di formulazione di una misurazione significativa delle prestazioni atletiche della persona, sia prima che dopo la diminuzione del testosterone. Il secondo ostacolo è invece la difficoltà nel trovare delle persone trans che vogliano partecipare a questa ricerca. Ci sono pochi atleti transgender, e per creare uno studio approfondito bisognerebbe prendere un campione per ogni sport.

Lo svolgimento della ricerca

Nello studio condotto da Gooren e Bunck sono stati raccolti i tempi di gara di otto corridori donne transgender nell’arco di sette anni, quindi a partire dal momento che precedeva la transizione fino alla transizione effettiva nel sesso eletto. In poche parole, vengono prima analizzati i tempi di corsa dei corridori con un corpo maschile e in seguito vengono comparati i dati precedenti con quelli scaturiti dalla prestazione effettuata con lo stesso chilometraggio percorso ma con vari anni di distanza e dopo alcuni anni di cure ormonali per la riduzione del testosterone. Sette degli otto soggetti hanno sperimentato una sostanziale riduzione della velocità di corsa mentre si trovavano in fase di transizione. Quindi, se nella fase antecedente impiegavano 18 minuti per percorrere 5 km, dopo la transizione impiegano 22 di minuti. Non si osserva quindi una permanenza delle capacità dal corpo maschile al corpo femminile.

Esistono alcuni metodi per confrontare i tempi di gara maschili e femminili. Il più semplice implica la ben nota approssimazione secondo cui gli uomini correranno, in media, il 10% più velocemente delle donne. Ci sono anche un paio di altri metodi di confronto, ma c'è solo un metodo che tiene conto anche dell’età. La correzione per l’età è importante perché la maggior parte dei corridori nello studio avevano più di 30 anni e avrebbero dovuto affrontare un calo prestazioni man mano che invecchiavano. Gli otto corridori hanno registrato tempi di gara molto più lenti nel genere femminile rispetto a quello maschile. Le differenze temporali erano, infatti, così grandi che le prestazioni classificate per età rimanevano praticamente costanti per il gruppo.

Ad esempio, nello studio si può notare come un corridore che aveva corso a 19 anni come uomo abbia poi ripreso a correre anni dopo come donna al compimento di 31 anni, registrando un tempo di corsa di 3 ore e 49 minuti a 19 anni e di 2 ore e 59 minuti a 31 anni dopo la terapia ormonale. Quindi, lo studio ha dimostrato come la sua performance sia stata velocizzata, soprattutto con la perdita di 10 kg di peso. Anche il fattore età spesso ha contribuito all’allungarsi dei tempi di corsa, come accaduto ad alcuni corridori che, se a 49 anni hanno impiegato 3 ore e 18 per percorrere una maratona, a 54 anni hanno impiegato 4 ore e 12 minuti, quasi un’ora in più.

La maggior parte degli scienziati ritiene che il testosterone sia il principale responsabile della differenza sui risultati atletici tra i sessi. Le donne trans che hanno intrapreso la terapia ormonale con l’abbassamento del livello di testosterone hanno potuto riscontrare che i livelli dell’ormone sono andati al di sotto di quelli che hanno in media le donne cisgender. Questo può provare anche che le donne trans perdono la loro forza, la loro velocità e ogni altra componente della loro prestazione atletica. Poiché questo studio esamina le capacità di resistenza degli atleti sia prima che dopo la riduzione del testosterone, è anche di notevole interesse esaminare i livelli di ematocrito o emoglobina nelle donne transgender. Un anno dopo l’abbassamento del testosterone, i livelli di emoglobina nei transgender sono scesi da 9,3 mmol/l a 8,0 mmol/l. Quest'ultimo numero è statisticamente identico al livello medio di emoglobina per le donne cisgender. La riduzione dei livelli di testosterone e di emoglobina delle donne transgender dopo la transizione suggerirebbe che le capacità di resistenza delle atlete transgender dovrebbero essere simili a quelli delle donne cisgender.

In conclusione, lo studio di Gooren e Bunck dimostra che i partecipanti esaminati hanno riscontrato dei punteggi di età molto simili sia nel genere femminile che in quello maschile, potendo così affermare che le donne transgender hanno corso una distanza dello stesso livello sia prima che dopo la transizione di genere mantenendo uno stesso livello. L'autore non fa nessuna pretesa sull’uguaglianza delle prestazioni, prima e dopo la transizione di genere, in qualsiasi altro sport. Pertanto, lo studio non può affermare inequivocabilmente che sia giusto consentire alle donne transgender di concorrere nelle categorie femminili, tuttavia la ricerca fa una dichiarazione potente tale da sostenere una posizione che si avvicina ad essere favorevole.

Dal 2019 Joanna Harper, presso l'Università di Loughborough nel Regno Unito, fa parte di un progetto che utilizza la scienza e la ricerca per supportare l'elaborazione di scelte politiche. L’ultima ricerca dell’università, pubblicata di recente sul “British Journal of Sports Medicine”, esamina come la proteina nei nostri globuli rossi, che aiuta il flusso di ossigeno nei nostri muscoli per l’attività aerobica, viene influenzata dalla terapia ormonale sostitutiva.

La ricerca ha rilevato che dopo 4 mesi di terapia ormonale, le donne trans hanno livelli di Hgb (emoglobina)/HCT (Ematocrito) equivalenti a quelli delle donne cisgender. Dopo 12 mesi di terapia ormonale si osservano diminuzioni significative delle misure di forza, massa muscolare magra e area muscolare. Gli effetti di una terapia di durata più lunga (36 mesi) determina ulteriori diminuzioni di queste misure, ma non sono chiari a causa della scarsità di dati. Ciononostante, i valori di forza, LBM e area muscolare nelle donne trans rimangono superiori a quelli delle donne cisgender, anche dopo 36 mesi di terapia ormonale (Joanna Harper, How does hormone transition in transgender women change body composition, muscle strength and haemoglobin? Systematic review with a focus on the implications for sport participation, “British Journal of Sports Medicine”, 2021, pp. 865-872). “Il livello di emoglobina nel sangue è importante per assorbire e utilizzare l’ossigeno nei muscoli. È forse il motivo più importante per cui gli uomini superano le donne nelle gare di resistenza, a causa del livello di emoglobina più elevato. È noto da tempo che i livelli di emoglobina sono strettamente legati ai livelli di testosterone. Quando le donne transgender abbassano i loro livelli di testosterone ai livelli femminili, cosa che accade quasi universalmente quando le donne trans sottoposte a transizione medica, le donne trans passano dai livelli maschili di emoglobina ai livelli femminili di emoglobina”, ha dichiarato Joanna Harper.

Sui vantaggi delle donne trans nello sport ha poi chiarito: “Le donne trans hanno degli svantaggi anche nello sport. I nostri corpi più grandi vengono alimentati da una ridotta massa muscolare e da una ridotta capacità aerobica e possono portare a svantaggi in termini di rapidità, recupero e una serie di altri fattori. La conclusione è che possiamo avere una competizione significativa tra donne trans e donne cisgender. Dal mio punto di vista, i dati sembrano favorevoli alla possibilità per le donne trans di competere negli sport femminili” (Karleigh Webb, New research paints a more complex picture of transgender sports advantage, “Out Sports”, 10 marzo 2021).

Anche il dottor James Barrett, direttore della Adult gender Identity clinic di Londra, che sta conducendo una ricerca per il Comitato Olimpico Internazionale, le atlete trans sarebbero soggette a degli svantaggi fisici: “Le donne trans potrebbero avere degli svantaggi causati dalla loro muscolatura più pesante. Non è affatto ovvio che debba esserci necessariamente un vantaggio” (Matteo Serra, Il difficile rapporto tra lo sport e le atlete trans, “Life Gate”, 11 maggio 2023).

Le critiche mosse alla ricerca di Emma Hilton e Tommy Lundberg

La ricerca condotta nel 2020 da Tommy Lundberg, fisiologo del Karolinska Institutet in Svezia e da Emma Hilton ha prodotto molte critiche soprattutto per quanto riguarda il metodo adoperato per lo studio. L’analisi, infatti, non si basa sulla contrapposizione tra atlete cisgender e atlete trans. I dati che dovrebbero rappresentare le donne transessuali sono in realtà estrapolate da campioni di uomini cisgender. Solo in seguito si fa uno studio sul calcolo degli effetti della terapia ormonale nelle performance atletiche. I ricercatori Blair Hamilton, Yannis Pitsiladis e Fergus Hamilton hanno dichiarato che la ricerca sembra un modo per “alimentare il presupposto latente che un campione di studio di uomini cisgender sia un sostituto appropriato per le donne transgender”. Inoltre, è stato scoperto che Emma Hilton è una delle fondatrici dell’organizzazione Sex Matters, la quale promuove una società binaria che non ammette transessuali o persone non binarie. Dunque, si tratta di una ricercatrice con ideali molto conservatori e, per gli studiosi che la criticano, la ricerca è influenzata dal suo pensiero. Anche se le federazioni sportive hanno menzionato lo studio dei due ricercatori, molti lo considerano criticabile (Ludovica Merletti, Il dibattito sul corpo di Lia Thomas, “L’Ultimo Uomo”, 30 gennaio 2024).

Elisabetta Di Cicco, 5 aprile 2024

Le persone che intendono cambiare genere di nascita si sottopongono sia a interventi chirurgici che a terapie ormonali. Gli ormoni determinano i processi che avvengono nel nostro organismo e influenzano molte cose, come la forza della massa muscolare, lo stato d’animo ecc. Tra le principali caratterizzazioni che danno gli ormoni c’è quella di stabilire il genere di appartenenza. Gli ormoni femminili sono completamente diversi da quelli maschili. È pertanto interessante analizzare cosa accade in un corpo durante una terapia ormonale per passare da un genere all’altro. Il testosterone è l’ormone che determina meglio la prestazione di un corpo maschile e influisce sulle ossa, i muscoli, sulla forza, sull’umore e anche sulla prestazione sportiva. I livelli medi di testosterone vanno da 300 a 1200 ng/dl per gli uomini dai 19 ai 39 anni e da 8 a 75 ng/dl per le donne della stessa fascia di età. In realtà non è il testosterone a garantire la sostanziale differenza tra uomo e donna, a farla è invece la presenza dei testicoli nell’uomo, con le cellule di Leydig, e delle ovaie nelle donne, con una produzione minore di questo ormone e la predominanza delle ghiandole surrenali (Gianni Nencioni, Atleti transgender e sport al femminile, “Invictus Project”, 10 giugno 2021).

La terapia ormonale di affermazione eseguita sulle donne transgender si chiama GAHT. Il GAHT per le donne transessuali consiste in un agente antiandrogeno, più l'introduzione di estrogeni esogeni, con l'obiettivo di alterare l'ambiente ormonale e, di conseguenza, la femminilizzazione del corpo. Gli studi su donne trans non atlete sottoposte a GAHT riportano cambiamenti nella massa corporea magra (LBM), nell'area della sezione trasversale muscolare (CSA), nella forza muscolare e nel livello di emoglobina (Hgb) e/o ematocrito (HCT). Questi parametri sono rilevanti per le prestazioni atletiche (Klaver M, de Blok CJM, Wiepjes CM, Changes in regional body fat, lean body mass and body shape in trans persons using cross-sex hormonal therapy: results from a multicenter prospective study, “European Journal of Endocrinology”, Volume 178, 2018, pp. 163–171).

Negli sport che richiedono velocità e potenza, la forza muscolare e la capacità di generare alti tassi di forza sono riconosciute come determinanti chiave nel successo atletico. Nei maschi cisgender, gli aumenti del testosterone dovuti alla pubertà promuovono la forza muscolare in associazione con un aumento del CSA muscolare e un aumento della massa muscolare magra. Nello studio condotto da Bruusgaard JC, Johansen IB, Egner IM (Myonuclei acquired by overload exercise precede hypertrophy and are not lost on detraining, 2010) è stato ipotizzato che il muscolo conservi una memoria a lungo termine che gli consente di eseguire compiti che ha intrapreso molte volte in precedenza e si ritiene che la ritenzione dei mionuclei svolga un ruolo importante in tale memoria muscolare. Il numero di mionuclei aumenta con l’allenamento e con l'uso di steroidi anabolizzanti. Tuttavia, il detraining non diminuisce il numero di mionuclei, ed è stato ipotizzato che anche la cessazione degli steroidi possa non portare a riduzioni del numero di mionuclei. Pertanto, è possibile che i vantaggi di forza ottenuti quando ci si allena in un ambiente ad alto contenuto di testosterone potrebbe non essere completamente invertito dalla soppressione del testosterone.

Lo studio del 2016 sulla massima capacità aerobica denominato “Gender differences in strength and muscle fiber characteristics” condotto da A. E. J. Miller, J. D. MacDougall, M. A. Tarnopolsky & D. G. Sale stabilisce che “il sesso è un fattore determinante per le migliori prestazioni atletiche, a causa di varie differenze morfologiche e fisiologiche. La differenza di genere nella capacità aerobica misurata dal VO2max rivela che il valore medio femminile è circa il 70-75% di quello maschile dopo la pubertà”. Lo studio conferma anche che la differenza di genere nella massima capacità aerobica era dovuta per il 31,91% all’indice della massa del corpo (ibidem).

Lo studio denominato Sex Differences in Thoracic Dimensions and Configuration François Bellemare di Alphonse Jeanneret e Jacques Couture ha rilevato inoltre che “il volume dei polmoni delle femmine adulte è in genere del 10- 12% inferiore rispetto a quello dei maschi che hanno la stessa altezza ed età, abbiamo studiato come questa differenza di volume è distribuita tra i compartimenti della gabbia toracica e dell’addome del diaframma. Le dimensioni della gabbia toracica interna, la posizione del diaframma rispetto alla colonna vertebrale e la lunghezza del diaframma sono state confrontate in 21 soggetti maschi e 19 femmine normali a tre diversi volumi polmonari utilizzando radiografie del torace antero-posteriore e laterale”. Secondo questa ricerca, le femmine avevano una minore dimensione radiale della gabbia toracica in relazione all’altezza rispetto ai maschi. Si rileva quindi che gli individui di sesso femminile a parità di BMI (altezza, peso, volume) hanno potenzialmente una conformazione del torace inferiore rispetto a quella di individui di sesso maschile. Pertanto, anche se due atleti di sesso biologico opposto gareggiano in una medesima categoria di peso, potrebbero sussistere delle differenze sulle prestazioni aerobiche (ibidem).

Il comunicato stampa diramato a fine 2020 dal World Rugby, la lega internazionale di Rugby, ha voluto fare il punto sulla questione della disparità fisica tra le atlete transgender e quelle cisgender. Nel testo si legge che “le nuove linee guida non raccomandano che le donne trans giochino al rugby di contatto femminile per motivi di sicurezza a livello internazionale del gioco dove dimensioni, forza, potenza e velocità sono cruciali sia per il rischio che per le prestazioni, ma non precludono flessibilità ai sindacati nazionali nell’applicazione delle loro linee guida a livello nazionale/comunitario del gioco”. Il dottore Araba Chintoh ha specificato nel comunicato che i sindacati potranno esercitare flessibilità caso per caso a livello comunitario del gioco, di cui sono responsabili. “Gli uomini trans possono partecipare al contact rugby maschile. Si è concluso che la sicurezza e l’equità non possono attualmente essere garantite per le donne che gareggiano contro donne trans nel rugby a contatto”.
Nel comunicato si legge anche che la World Rugby si sarebbe impegnata con un fondo finanziario destinato alla ricerca scientifica in fatto di transgender nello sport per un’informazione corretta sul rischio infortuni (World Rugby approves updated transgender participation guidelines, “World Rugby”, 9 ottobre 2020).

La lega internazionale di Rugby ha pubblicato anche suoi studi dal titolo “Summary Of Transgender Biology And Performance Research” che dimostrano la disparità fisica media tra atlete transessuali e atlete cisgender. Gli studi dimostrano che le differenze di prestazione tra le persone biologicamente di sesso maschile e le persone biologicamente di sesso femminile variano dal 10% al 160%. Queste differenze sono un risultato scientifico e provano che gli uomini hanno una maggiore massa muscolare e un più ampio diametro trasverso del muscolo, correlato alla capacità di forza isometrica ed eccentrica. Anche le leve sono più lunghe a causa della diversità dello scheletro. Il corpo maschile ha una massa magra minore, una maggiore rigidità dei tendini e una maggiore capacità cardiovascolare, dovuta dalle dimensioni più grandi del cuore e dei polmoni e dall’emoglobina.

Le recenti policy sportive richiedono che le atlete donne transgender abbiano un livello di testosterone al di sotto dei 10 nanogrammi per litro nel corso di 12 mesi per poter rientrare nelle categorie femminili durante le competizioni. Considerando che, come sostiene la studiosa Joanna Harper, “il 95% delle donne cisgender ha un livello testosterone nel sangue inferiore a due nanomoli per litro”, non esiste ancora alcuna prova su come ciò influisca sulle prestazioni sportive e sui risultati nella velocità, nel lancio, nel sollevamento pesi. Ci sono prove di cambiamenti fisiologici compresa massa, massa magra e forza misurata in prove di laboratorio. Gli studi dimostrano poi che la forza della testa e del collo, nei giocatori di rugby, ha un innalzamento che va dal 20% al 30% negli uomini.

Molte persone sostengono che le donne transgender abbiano un vantaggio ingiusto nella competizione femminile. Gli oppositori dichiarano che alcune caratteristiche fisiche come l’altezza o le dimensioni della mano non vengano modificate nel corso della terapia ormonale e quindi in sport come il tennis o il basket si manifesterebbero subito delle differenze tra un corpo femminile cisgender e uno trans. Con la riassegnazione del genere, infatti, ci sono alcune parti del corpo che restano uguali (Journal of Sporting Cultures and Identities, , Illinois, USA, 2015, p. 2).

Nello studio della ricercatrice e runner Joanna Harper (How does hormone transition in transgender women change body composition, muscle strength and haemoglobin? Systematic review with a focus on the implications for sport participation “British Journal of Sports Medicine”, 2021, pp. 865-872), oltre a provare che nelle donne trans la terapia ormonale riduce rapidamente l’emoglobina ai livelli osservati nelle donne cisgender, si stabilisce anche quanto segue: “La terapia ormonale riduce la forza, la massa muscolare e l’area muscolare, ma i valori rimangono superiori a quelli osservati nelle donne cisgender, anche dopo 36 mesi. Questi risultati suggeriscono che la forza potrebbe essere ben conservata nelle donne transessuali durante i primi 3 anni di terapia ormonale”.

Il mantenimento delle prestazioni maschili potrebbe essere riscontrata anche in base allo sport praticato. Ad esempio, Joanna Harper dichiara anche che “le donne trans perderanno forza con la transizione farmacologica ma non perderanno in elevazione. Quindi negli sport come il basket e la pallavolo quel vantaggio non viene mitigato” (Ludovica Merletti, Il dibattito sul corpo di Lia Thomas, “L’Ultimo Uomo”, 30 gennaio 2024).

Le prospettive sulla riduzione del testosterone e il vantaggio delle prestazioni: lo studio di Emma Hilton e Tommy Lundberg

Uno degli studi maggiormente menzionati da chi sostiene l’esclusione delle atlete trans dagli sport femminili è quello condotto nel 2020 da Tommy Lundberg, fisiologo del Karolinska Institutet in Svezia. In un’intervista fatta a ESPN (What does science say about the transgender athlete debate?, “Outside the Lines”), emittente televisiva statunitense sullo sport, Lundberg ha dichiarato che “non si può disfare lo sviluppo maschile avvenuto durante la pubertà, anche dopo una terapia mirata”. Lo studio è stato pubblicato insieme alla ricercatrice Emma Hilton e mette in contrapposizione i risultati delle atlete e atleti cisgender per verificare quale sia effettivamente il vantaggio della prestazione maschile da quella femminile. La ricerca è poi proseguita mostrando le modifiche in atto sul corpo di persone in fase di transizione con la terapia ormonale, in particolare con la riduzione del testosterone. “I dati mostrano che forza fisica, massa magra, dimensione dei muscoli sono interessati solo marginalmente, non abbastanza per compensare le differenze di partenza tra maschi e femmine. Ci sono importanti implicazioni per quanto riguarda performance e sicurezza negli sport”. Gli studiosi concludono l’intervista dicendo che, se le politiche delle federazioni “sono intese a preservare giustizia, inclusione e sicurezza delle atlete biologicamente femmine”, dovrebbero riconsiderare la partecipazione delle donne trans (ibidem).

Nella ricerca si legge che “i maschi godono di vantaggi in termini di prestazioni fisiche rispetto alle femmine nello sport agonistico. La suddivisione basata sul sesso in categorie sportive maschili e femminili non tiene conto delle persone transgender che sperimentano incongruenze tra il loro sesso biologico e la loro identità di genere vissuta”. Richiamandosi al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e alle nuove regole imposte sui requisiti di accesso alle categorie femminili per le atlete trans, lo studio ha determinato che “non è stato esaminato attentamente se questo regolamento elimini il vantaggio prestazionale maschile”. Nel corso della ricerca si esamina invece “come le differenze nelle caratteristiche biologiche tra maschi e femmine biologici influenzano le prestazioni sportive e si valuta se esistono prove a sostegno dell’ipotesi che la soppressione del testosterone nelle donne transgender rimuova il vantaggio prestazionale maschile e quindi offra una competizione leale e sicura”. I due ricercatori partono dall’assunto che “il divario prestazionale tra maschi e femmine diventa significativo durante la pubertà e spesso ammonta al 10–50% a seconda dello sport. Il divario prestazionale è più pronunciato nelle attività sportive che si basano sulla massa muscolare e sulla forza esplosiva, in particolare nella parte superiore del corpo”. Inoltre, gli studi che esaminano gli effetti della riduzione del testosterone sulla massa muscolare e sulla forza nelle donne transgender mostrano cambiamenti molto modesti. “La perdita di massa magra, dell’area muscolare e della forza ammonta tipicamente a circa il 5% dopo 12 mesi di trattamento. Pertanto, il vantaggio muscolare di cui godono le donne transgender viene ridotto solo in minima parte quando il testosterone viene abbassato di livello. Le organizzazioni sportive dovrebbero considerare queste evidenze nel rivalutare le attuali politiche riguardanti la partecipazione delle donne transgender nella categoria femminile dello sport”. La ricerca ha quindi dimostrato che le riduzioni osservate nella massa muscolare, nelle dimensioni e nella forza sono molto esigue rispetto alle differenze di base tra maschi e femmine. Ci sono importanti implicazioni sulle prestazioni negli sport in cui questi attributi sono significativi dal punto di vista competitivo. E questi dati rischiano di compromettere l’equità nello sport. Nonostante per questa ricerca non siano state fatte valutazioni su atlete transgender e sulle loro prestazioni è comunque importante riconoscere che i fattori biologici alla base delle prestazioni atletiche hanno un impatto inequivocabile. Lo studio, inoltre, dichiara che ogni sport richiede la propria prestazione e quindi diversi prerequisiti fisici. Condurre una ricerca tenendo in considerazione ogni casistica delle varie discipline è molto complesso. Nonostante i limiti, i due studiosi si oppongono alle linee guida universali per gli atleti transgender e appoggiano l’idea di lasciare che ogni singola federazione sportiva faccia la propria valutazione sulle condizioni di accesso delle donne trans nelle competizioni femminili (Emma N. Hilton & Tommy R. Lundberg, Transgender Women in the Female Category of Sport: Perspectives on Testosterone Suppression and Performance Advantage, “Sports Med”, pp. 199–2148, 8 dicembre 2020).

Elisabetta Di Cicco, 5 aprile 2024