La morte cerebrale
La cosiddetta “morte cerebrale” costituisce il cardine su cui si basa l’espianto-trapiantologia. Un primo problema, sollevato da chi non vede di buon occhio la trapiantologia, è quello per cui, nel momento dell’espianto, e nella maggior parte dei casi, il cuore del donatore è ancora battente e il sangue circolante, nonostante la respirazione venga indotta artificialmente. In pratica, i pazienti a livello fisiologico (non cerebrale) sono moribondi ma vivi: “hanno il cuore e la circolazione perfettamente funzionante, una efficiente funzione respiratoria seppur supportata da apparecchiature, normali funzioni renali, epatiche nonché digerenti, e che possono addirittura portare a termine delle gravidanze”. Quindi, il problema non è quello della donazione d’organi di per sé; il problema è la diagnosi di morte, qualora il cuore batta ancora. A comprovare la mancanza di validità scientifica del principio di “morte cerebrale” concorre il fatto che essa non può essere riscontrata con segni definitivi (ad esempio la decomposizione degli organi); inoltre, le procedure per diagnosticarla non sono univoche ma differiscono da Paese a Paese, anche all’interno dell’Unione europea (Alfredo De Matteo, Morte cerebrale: comprovata tesi scientifica o mera ipotesi?, “Corrispondenza Romana”, 6 giugno 2018). Siamo quindi di fronte a un paradosso: una persona potrebbe essere definita morta in uno Stato ma viva in un altro. “Occorre tener presente che la definizione di morte cerebrale costituisce un pericolo reale per tutti, indipendentemente dal consenso personale alla donazione degli organi. Infatti, la procedura attualmente in vigore nel nostro paese prescrive in ogni caso l’accertamento obbligatorio della morte cerebrale, nei casi in cui la condizione clinica del paziente possa evolvere in tal senso. In altri termini, al termine del periodo di osservazione previsto dalla legge colui che viene dichiarato cerebralmente morto viene comunque privato di tutti i sostegni che lo mantengono in vita” (ibidem). Prima dell’applicazione del principio di “morte cerebrale”, per constatare lo stato di morte, erano necessari segni inequivocabili, come arresto cardiaco, stato di rigidità, alterazioni degenerative. L’osservazione doveva durare almeno quarantotto ore (oggi sei), ma in questo modo nessun organo poteva essere prelevato ai fini del trapianto. Da ciò è nata “l’esigenza di dare una definizione di morte che permettesse l’espianto: detto in termini giuridici, visto che non è consentita l’uccisione di una persona, nemmeno per finalità terapeutiche, allora la si definisce morta, anche se il cuore funziona, il sangue circola, le donne in gravidanza la portano a termine e via dicendo […]per morte ora si intende non più la morte della persona ma la morte del cervello, o più precisamente di una sua particolare struttura il Tronco Cerebrale” (Giulio Murero, Donazione organi e morte cerebrale – 2 (contro), “provitaefamiglia.it”, 3 aprile 2016). Anche a livello di funzionalità cerebrali ci sono diversi dubbi.
“Con l’introduzione del concetto di morte cerebrale […] alle categorie classiche di vita e di morte è stata arbitrariamente aggiunta una terza categoria che potremmo definire delle persone vive ma morte”. Come si legge nel comunicato stampa J'accuse contro la morte cerebrale a cuore battente, redatto dalla Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente: “È noto che le funzioni del cervello conosciute costituiscono solo il 10%, quindi la legge 578/93 che all'art.1 dichiara: ‘La morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo’ è scientificamente assurda perché non si può dichiarare ‘cessata’ una funzione che non si conosce” (Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente, J'accuse contro la morte cerebrale a cuore battente, “antipredazione.org”, 19 settembre 2006).
Non per tutti i neurologi, infatti, la “morte cerebrale” è incontrovertibile. Ad esempio, per due medici della Harvard Medical School di Boston, Robert D. Truog e James C. Fakler, non è possibile l’accertamento della cessazione di tutte le funzioni cerebrali. Il dottor David Wainwright Evans, specialista in cardiologia al centro trapianti del Papworth Hospital di Cambridge, aveva denunciato “interventi di trapiantologia in cui si era rivelato palese che il cuore veniva espiantato a persone ancora vive e in alcuni casi anche in grado di vivere senza respiratore artificiale, emettere gorgoglii, boccheggiare in pieno intervento chirurgico di espianto” (È giusto donare gli organi?, “gruppomacro.com” consultato il 18 luglio 2022).
Secondo Paul Byrne, neonatologo e professore di Pediatria presso la Facoltà di Medicina dell'Università dell'Ohio, la definizione di “morte cerebrale” si fonda su una bugia: “un’imitazione della morte, non è morte reale”. Inoltre, “Se concepiamo le persone morte, e quindi non più degne di cure, quando il loro cervello non dà segnali di attività, si arriva a pensare che la persona con attività cerebrali minime abbia minore dignità”. Afferma ancora il Byrne: “[…] sono stati adottati tanti criteri diversi di ‘morte cerebrale’. Nessuno di questi però è fondato su evidenze: quando qualcuno viene dichiarato cerebralmente morto e poi si risveglia certi diranno che non sono stati rispettati i criteri esatti o che ci sono stati errori diagnostici. Ma quello che sappiamo è che questi pazienti si sono risvegliati perché i parenti si sono opposti ad una definizione che giudica morto chi ha il cuore che batte” (Benedetta Frigerio, “Visitai Alfie: il problema è la ‘morte cerebrale’”, “La Bussola Quotidiana”, 3 giugno 2018).
Roberto Fantini, insegnante di Filosofia e Storia, educatore ai diritti umani per Amnesty International, afferma che credere alla “morte cerebrale” è un atto di fede, dato che viene dichiarato morto un organismo in cui il cuore batte e il sangue circola, ma con il cervello che non emette segnali, stando alla misurazione delle macchine: “Chi mi assicura che io sono il mio cervello? Non sono forse anche il mio cuore, il mio fegato, i miei occhi, la mia lingua, i miei organi genitali, ecc.? […] Chi mi assicura che la mancata registrazione tecnologica di attività cerebrale implichi la morte totale della coscienza? Chi mi garantisce che non esista più alcuna forma in me di vita mentale, emotiva, sensoriale? […] Chi mi può dimostrare che esistano apparecchiature tecnologiche capaci di rilevare tutte le onde che vengono emesse dal nostro apparato cerebrale? Capaci, cioè, di registrare correttamente e perfettamente tutte le manifestazioni vitali del mio cervello? Come poter escludere che possano esistere altre forme di attività cerebrale attualmente non percepite dalle macchine di cui ci serviamo […]?” […] La morte cerebrale non può essere ritenuta una verità scientifica. È soltanto una convenzione dogmaticamente assunta, una credenza superstiziosa impostaci da uno scientismo arrogante e tirannico, o, a voler essere generosi, una mera teoria filosofica di matrice materialistica” (Roberto Fantini, Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi, Efesto, Roma, 2015, pp. 16-20).
Nina Celli, 30 maggio 2023
Autori citati:
Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a C
Truog Robert D.
- Harvard Medical School di Boston
Fakler James C.
- Harvard Medical School di Boston
Wainwright Evans David
- specialista in cardiologia presso il Papworth Hospital di Cambridge
Byrne Paul
- neonatologo e professore di Pediatria presso la Facoltà di Medicina dell'Università dell'Ohio
Fantini Roberto
- insegnante di Filosofia e Storia, educatore ai diritti umani per Amnesty International