L’istituzione monarchica è vantaggiosa per i sudditi

La monarchia garantisce maggiore stabilità

Per quasi due secoli si è imposta una ideologia repubblicana che rappresentava la Repubblica come una forma di governo virtuosa, garanzia di democrazia, e le monarchie come regimi aristocratici e conservatori, se non addirittura reazionari.
Nel 1900 questa ideologia ha contribuito al crollo di molte monarchie, come in Austria, Portogallo, Turchia e Russia. Sono invece sopravvissute le monarchie che hanno evitato i conflitti o sono uscite da una guerra tra le fila dei vincitori o hanno adottato comportamenti coraggiosi in momenti difficili (Cfr. Sergio Romano, Le monarchie in Europa perché sono ancora utili, “corriere.it”, 25 luglio 2010).
L’istituto monarchico rappresenta in molti casi un simbolo di unità nazionale e di continuità istituzionale. La sua stabilità è associata all’incontrovertibilità del principio di base della monarchia: la rappresentanza senza elezione. Proprio il fatto che non ricoprano una carica elettiva renderebbe i monarchi inclini a mantenere l’imparzialità, qualità che consentirebbe loro di evitare di essere coinvolti in polemiche e di guidare il paese nella maniera più salda possibile (Perché esistono ancora le monarchie?, “Il Post”, 14 settembre 2022). Dunque, gran parte dei vantaggi di questa istituzione politica risiederebbero nella stabilità e unità nazionale, fattori che in un paese repubblicano possono venir meno proprio per la struttura politica ispirata al pluralismo.

È tuttavia innegabile che la Repubblica abbia il merito di eliminare il privilegio dell’ereditarietà, con cariche elettive che vanno conquistate da persone meritevoli. Tuttavia, la situazione appare più complessa, come spiega Domenico Fisichella, ex ministro dei Beni Culturali del primo governo Berlusconi, nel suo Elogio della monarchia : “[…] Per la democrazia repubblicana l’assolutismo è nelle sue stesse premesse dottrinali e persino antropologiche, non riconoscendo la democrazia repubblicana altro titolo potestativo salvo il numero, la conta dei voti. La vocazione monistica è dunque, in principio, più forte e più coerente nella democrazia repubblicana che nella monarchia” (Domenico Fisichella, Elogio alla monarchia, Vallecchi, Firenze, 1999). Domenico Fisichella dà un’interpretazione innovativa del concetto di elettività nelle repubbliche democratiche moderne, seppur viziata da una preferenza del tutto soggettiva per l’istituto monarchico. Il fatto che le reali volontà del popolo vengano spesso manipolate e dominate dalla maggioranza temporanea fa pensare che i cittadini delle repubbliche democratiche siano sempre sottoposti alla superiorità elettorale. In questo contesto, la figura del presidente della Repubblica (sia nel caso in cui sia eletto dal popolo, sia nel caso in cui sia eletto dal Parlamento) viene presentato, da chi si oppone al concetto di “tirannia della maggioranza”, come baluardo di imparzialità e garante del rispetto della Costituzione. Ma il presidente adempie a questi compiti svolgendo davvero un ruolo super partes? Due docenti di Scienze Politiche dell’Università Oxford, Petra Schleiter ed Edward Morgan Jones hanno tentato di dare una risposta a questa domanda, supportando la tesi con l’analisi di alcune statistiche (Petra Schleiter, Edward Morgan Jones, Presidential influence on parliamentary election timing and the electoral fate of prime ministers, “The Journal of Legislative Studies”, 2018, pp. 211-226). Secondo i dati, nelle repubbliche in cui il presidente è scelto direttamente dagli elettori il 49% dei nuovi governi si instaura attraverso i cosiddetti rimpasti e ribaltoni, trovando spesso maggioranze alternative disposte a sostenere il nuovo esecutivo (senza passare da nuove elezioni). Nel caso dei presidenti eletti dal Parlamento, questa percentuale scende al 37%; ma nelle monarchie costituzionali la cifra crolla letteralmente al 17%, mentre cresce moltissimo la percentuale di governi che arrivano a naturale scadenza del loro mandato (55%, contro il 37-42% degli ordinamenti repubblicani) e anche la percentuale di elezioni anticipate (28%, contro il 21-14%).
Il risultato è paradossale in quanto mostra che la monarchia, a differenza delle repubbliche, garantirebbe maggiore stabilità e democraticità.

Philip Blonde, teologo anglicano e pensatore politico inglese, scrive che “la monarchia sostiene il processo democratico mescolando alla democrazia un potere diverso” (Philip Blonde, Red Tory: How the Left and the Right Have Broken Britain and how We Can Fix it, Faber & Faber, Londra, 2010) per una ragione apparentemente contradditoria: il fatto che i monarchi non siano eletti tramite elezioni trattiene gli stessi dall’immischiarsi nella politica e questo significa che, se un governo dovesse mai ricevere sfiducia da parte dei parlamentari, il monarca si mostrerebbe più propenso a indire nuove elezioni piuttosto che procedere con la formazione di un nuovo governo senza sciogliere le camere (come è più probabile che proceda il presidente di una Repubblica).

Quanto esposto fino ad ora sulla maggiore democraticità assicurata dall’istituzione monarchica rispetto alla “tirannia della maggioranza” imposta nelle repubbliche non estingue un quesito tutt’ora aperto e cioè se sia giusto che la carica di Capo di Stato sia rivestita da un personaggio che può fregiarsi solo di appartenere a una casata nobiliare. Per Domenico Fisichella è proprio questo aspetto che depone a favore della monarchia, perché “risolve in maniera automatica e pacifica il problema, cruciale in ogni sistema politico, della successione al più alto livello statuale. Incarna, con la sua continuità, la collaborazione delle generazioni” (Domenico Fisichella. Elogio della Monarchia, cit.). In Gran Bretagna, ad esempio, la regina Elisabetta II ha governato per ben 70 anni e ha attraversato governi conservatori (come il governo di Churchill e Thatcher) e progressisti (come quello di Tony Blair) ma è sempre rimasta un baluardo di continuità sfruttando il suo “soft power” per guidare il popolo. La “collaborazione delle generazioni”, per Fisichella, non è per forza sinonimo di incompetenza; infatti, oppone una forte critica al processo elettorale delle democrazie perché anche questo presenta elementi di casualità e illogicità che pesano sulle scelte fatte dagli elettori, tanto che, al confronto, “il principio ereditario è un capolavoro di coerenza razionale”. 

La Monarchia è più conveniente della Repubblica

Altro aspetto degno d’interesse è quello economico. A suffragio dell’idea che le monarchie non debbano essere per forza considerate dei relitti della storia, è stato condotto uno studio parallelo sul PIL degli Stati con la monarchia costituzionale e su quello degli Stati repubblicani. Risulta che le monarchie costituzionali hanno un prodotto interno lordo medio di circa 30.000 dollari e un’aspettativa di vita di 75 anni; mentre le repubbliche si fermano a soli 12.000 dollari e a un’aspettativa di 68 anni. Inoltre, a favore di un regime monarchico opera anche la migliore gestione delle risorse monetarie. Il “Washington Post”, ad esempio, riporta che negli Stati Uniti il prezzo delle elezioni dal 1998 a oggi è stato di un totale di 38 milioni di dollari (Cost of Election, “opensecrets.org”, consultato il 22 novembre 2022), fondi che in una monarchia verrebbero destinati ad altri programmi o servizi. I monarchici, per questi motivi, ritengono che la monarchia costituzionale possa rafforzare la democrazia, semplificare le varie difficoltà del processo elettorale e offrire un simbolo in grado di unire la nazione. Come sostiene Francesco Vicario, caposervizio del settimanale “Gente” e conoscitore delle case reali, “Le esperienze repubblicane hanno mostrato che sull’isola non ci sono i presupposti per un cambio di sistema […]. A differenza delle monarchie di Spagna e Belgio” (Antonio Piemontese, Cosa accadrà alla monarchia inglese dopo la morte della regina Elisabetta, “Wired”, 12 settembre 2022).

Annalisa Cioffi, 12 gennaio 2023

La monarchia e il rischio del dispotismo

Le monarchie in Europa e i loro concetti sottostanti, come il diritto divino dei re, furono spesso criticati durante l'Illuminismo, che aprì la strada alla Rivoluzione francese e all’abolizione della monarchia in Francia. Alexis de Tocqueville, noto analista del crollo dell’Ancient Regime, ha fornito uno spunto di riflessione interessante: “quando la nobiltà detiene non soltanto dei privilegi, ma dei poteri, quand’essa governa e amministra, i suoi diritti specifici possono essere ad un tempo maggiori e meno evidenti. […] Via, via che la nobiltà desiste da tali compiti, il peso dei suoi privilegi sembra farsi maggiore, anzi essi finiscono coll’apparire ingiustificati e incomprensibili”(Alexis de Tocqueville, L’antico Regime e la Rivoluzione, Michel Lévy frères, Parigi, 1856).
Contro questa forma di governo si pronunciarono anche Jean- Jacques Rousseau, che considerava la monarchia un’istituzione contro natura, e Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, meglio noto come Montesquieu, nel suo scritto più importante, De l'esprit des lois (Charles-Louis de Secondat, De l'esprit des lois, Barillot, & fils, Ginevra, 1749), sosteneva che per limitare lo strapotere del sovrano occorreva introdurre la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che il monarca o il senato promulghino leggi tiranniche. Nella maggior parte dei regni d’Europa il governo è moderato, perché il principe, che detiene i primi due poteri, lascia ai suoi sudditi l’esercizio del terzo. Presso i Turchi, ad esempio, questi tre poteri erano riuniti nella persona del Sultano e vi regnava un terribile dispotismo.

Le monarchie moderne hanno un ruolo simbolico

La monarchia, dal punto di vista simbolico, rappresenta una gerarchia ben strutturata. Appare però evidente che il più grande successo della monarchia britannica è aver radicato, al livello più alto dello Stato, una cultura della lealtà e deferenza all’autorità. Questa cultura pervade la società britannica e gli elementi che accompagnano la monarchia rappresentano la parte più reazionaria della cultura britannica. Se ci si limita ad analizzare le funzioni della monarchia britannica nel 2022, emerge che i reali non hanno un potere politico, ma il ruolo che svolgono è puramente simbolico. A tal proposito, Christopher Hitchens, socialista convinto e scrittore politico, propone, nell’opuscolo The Monarchy: (Christopher Hitchens, The Monarchy: A Critique of Britain’s Favorite Fetish, Chatto & Windus, Londra, 1990) una critica moderna al sistema monarchico, demolendo le principali argomentazioni a difesa delle monarchie nel mondo contemporaneo. Secondo Hitchens, il fatto di considerare il ruolo dei reali solamente simbolico è una definizione abbastanza superficiale poiché: “non include la consuetudine, le forme tribali, il rituale e le commemorazioni”. Per comprendere a fondo il messaggio, si può tentare un parallelismo con le controversie che hanno portato alla rimozione delle statue confederate. Per Hitchens è osceno imporre a tutti i discendenti degli schiavi di confrontarsi ogni giorno con le statue enormi di generali che hanno sostenuto attivamente con il loro operato il sistema schiavistico. Allo stesso modo, nelle monarchie bisogna chiedersi cosa simboleggiano i membri della royal family e se sia un simbolo che rappresenta l’inclusione sociale e l’integrazione culturale.

Laura Clancy, docente di Sociologia presso la Lancaster University e studiosa delle élite monarchiche, nel suo celebre libro Running the family firm (Laura Clancy, Running the family firm: How the monarchy manages its image and our money, Manchester University Press, 2021) analizza la dicotomia insita alla monarchia: l’apparenza dell’istituzione monarchica che vede la regina e i membri della famiglia reale dediti a una vita di servizio è la vera essenza di un’istituzione che incarna i peggiori eccessi di clientelismo feudale e capitalismo , “una facciata attraverso la quale i meccanismi di disuguaglianza sono mascherati e naturalizzati”. Dal punto di vista economico la monarchia inglese è stata spesso posta sotto accusa per il tenore di vita e le spese sontuose. Il “Guardian” ricordava che negli anni ’70 la regina aveva bloccato la legge in base alla quale avrebbe dovuto rivelare al pubblico l’entità della sua ricchezza. Ad oggi sappiamo che la Corona per i suoi servizi ha percepito nell’anno 2021-2022 una “sovvenzione sovrana annuale” di 86,3 milioni di sterline, ma l’ingente quantità di denaro non ha impedito l’accesso al fondo per le famiglie povere per riuscire ad affrontare le spese per riscaldare Buckingham Palace (the sovereign grant and sovereign grant reserve, financial summary, “royal.uk”, 31 marzo 2022).

Nel Regno Unito, il movimento repubblicano, che conta oltre 30.000 sostenitori, avrebbe voluto che alla morte della regina fosse indetto un Referendum sul futuro della monarchia. L’intenzione era quella di indire il Referendum dopo la morte della regina e prima dell’incoronazione del nuovo re, che sarebbe avvenuta circa sei mesi dopo. Tuttavia, secondo la legislazione inglese, è severamente vietato fare una campagna contro l’istituzione monarchica. Infatti, nel 1848 venne varata una legge, la Treason Felony Act, che prevede per i dissidenti numerose sanzioni, tra cui il carcere a vita. Ad oggi questa legge non ha mai trovato una reale applicazione, dovendosi conciliare con lo Human Right Act che tutela e garantisce le libertà personali, tra cui quella di opinione ed espressione. Il consenso del popolo inglese da vent’anni a questa parte si aggira sempre intorno al 70% ma sarebbe interessante comprendere se il favore sia legato alla figura della regina Elisabetta II più che all’istituzione monarchica stricto sensu. Probabilmente la stabilità della monarchia potrebbe essere intaccata dopo la morte della sovrana, soprattutto in riferimento agli Stati facenti parte del Commonwealth. È tutto da vedere se verranno mantenuti i legami tra le ex colonie e il Regno Unito. L’organizzazione, voluta da Elisabetta II per gestire una decolonizzazione mai completamente superata, conta 56 nazioni aderenti, delle quali 15 riconoscono il monarca inglese come Capo dello Stato. In seguito alla morte della regina sono aumentate le tendenze centrifughe. Ad esempio, nel giorno della proclamazione del nuovo re, il premier di Antigua, Gaston Browne, ha preannunciato un Referendum entro tre anni per decidere se diventare Repubblica e uscire dal Commonwealth (Antigua e Barbuda. Entro tre anni un referendum per decidere se diventare una repubblica, “notiziegeopolitiche.net”, 13 settembre 2022). Le polemiche sono esplose anche in altre nazioni legate alla monarchia britannica, tra cui il Canada, la Nuova Zelanda e l’Australia. “Reuters” evidenzia come la decisione delle Barbados di destituire la regina dalla carica di capo di Stato nel 2021 è stata vista come una spinta per la causa repubblicana (Kate Chappell, Brian Ellsworth, Commonwealth nations face hurdles to follow Barbados' republican path, “reuters.com”, 1˚ dicembre 2021). Altri regni come Giamaica e Belize hanno dichiarato di volerne seguire l'esempio. È emblematico il fatto che in occasione di un recente viaggio in Belize, William e Kate abbiano dovuto cancellare la visita a un villaggio a causa delle proteste (William and Kate cancel Belize village trip due to protests, "theguardian.com, 19 marzo 2022). In Giamaica, il premier Andrew Holness aspira all’indipendenza e il Quebec, provincia del Canada, nonostante nel 2021 vi sia stata approvata una legge che assicura continuità dell’esecutivo, potrebbe mostrare un ritorno dei movimenti separatisti in seguito alla morte della sovrana. Alcuni problemi potrebbero nascere in Australia, anche in considerazione della notevole distanza dalla Gran Bretagna (Pierfranco Pellizzetti, considerazioni repubblicane in morte di the queen, “micromega.net”, 10 settembre 2022). Proprio per questi aspetti si evidenzia come Elisabetta II sia stata una figura di continuità nei cambiamenti profondi del Dopoguerra e dei decenni successivi. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che i maggiori difensori dell’istituzione monarchica sono nella classe politica. Grazie alla particolare evoluzione democratica della Gran Bretagna, il primo ministro ha progressivamente acquisito quasi tutte le prerogative monarchiche e ha poteri regali – come la designazione dell’arcivescovo di Canterbury – che nelle democrazie dell’Europa continentale sono stati soppressi o limitati, e a cui dovrebbe probabilmente rinunciare se la Gran Bretagna diventasse una Repubblica.

Annalisa Cioffi, 12 gennaio 2022