Come specificato nell’argomento a favore dell’abolizione delle “porte girevoli”, il referendum vuole interrogare gli italiani in merito alla separazione delle funzioni di giudice e pubblico ministero. Una prima premessa fondamentale alle ragioni del “no” è che il passaggio di funzioni non è facile (Cfr. legge n. 111/2007): da un lato, non è possibile compiere questo passaggio all’interno dello stesso distretto, della stessa regione o del distretto della corte di appello atta a determinare la responsabilità penale dei magistrati del distretto in cui il magistrato presta servizio; dall’altro, per compiere il cambiamento di funzioni si chiede la partecipazione a un corso di qualificazione professionale e l’approvazione dell’idoneità da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Inoltre, è opportuno sottolineare che i dati che ci trasmette il Consiglio Superiore della Magistratura mostrano che il passaggio di funzione avviene in un numero esiguo di casi: i dati relativi al periodo tra gennaio 2011 e giugno 2016 indicano che rispetto ai magistrati in servizio in una delle due funzioni si è trasferito lo 0,83% dei magistrati requirenti e lo 0,21% dei magistrati giudicanti (Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? Una riforma da evitare, “Giustizia Insieme”, 28 luglio 2016).Per chi sostiene il “no” è importante sottolineare il motivo per cui queste due funzioni sono contigue: sia il p.m. sia il giudice hanno il compito di rappresentare lo Stato italiano con lo scopo di far emergere la verità processuale, al di là delle parti a processo (Giulia Merlo, Separazione delle carriere dei magistrati? Lo scontro dura da 20 anni, “editorialedomani.it”, 21 maggio 2021). Secondo chi sostiene la necessità di mantenere l’attuale possibilità dei magistrati di modificare le proprie funzioni è importante rilevare che la Costituzione, difendendo la parità tra le parti a processo e l’imparzialità del giudice, non impedisce né auspica a separare nettamente le due funzioni di magistrato. La Costituzione (art. 104 1° comma e art. 107 ultimo comma) prevede che il p.m. sia, come il giudice, totalmente indipendente e autonomo rispetto al potere esecutivo, e che abbia le stesse garanzie del giudice. Il rischio è che, separando le due funzioni, si possa creare un potere inedito (del magistrato requirente come separato da quello giudicante) che possa venire attratto dal potere esecutivo, perdendo la propria indipendenza. Infatti, spesso nei paesi in cui la carriera del p.m. è separata da quella da giudice avviene che il suo ruolo dipenda dal potere esecutivo (in merito si veda la disamina fatta da Armando Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati? Una riforma da evitare, cit.). Nello Rossi, direttore di “Questione Giustizia”, aggiunge che: “Appare incomprensibile il desiderio degli avvocati di avere di fronte non più il pubblico ministero tenuto ad agire come parte imparziale nelle indagini e primo garante dei diritti dell’imputato ma un accusatore ‘puro’ interessato, anche per ragioni di carriera, a vincere il processo” (Nello Rossi, Referendum sulla giustizia. E’ possibile parlarne nel “merito”?, “questionegiustizia.it”, 9 giugno 2021). Difensore e p.m. hanno, infatti, ruoli diversi e non pari tra loro, per quanto a processo e davanti a un giudice vengano considerati tali: il pubblico ministero ricerca la verità processuale, per questo ha il potere anche di far cadere le accuse e il dovere di fare “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini” (art. 358 del Codice di Procedura Penale), mentre l’avvocato della difesa ha come fine quello di assolvere il proprio imputato “a prescindere dal dato sostanziale della colpevolezza o innocenza” (Armando Spataro, Separazione delle carriere, un boomerang da evitare, “La Stampa”, 4 giugno 2021).Margherita Grassi, 4 giugno 2022
Autori citati:
Spataro Armando
- ex magistrato e giurista italiano, ex procuratore della Repubblica