L’articolo 1 del Ddl Zan fornisce delle definizioni dei termini a cui si farà riferimento negli articoli successivi. Le definizioni di genere e, soprattutto, quella di identità di genere, hanno suscitato perplessità a destra così come a sinistra, in Parlamento tanto quanto nella società civile. In un’intervista rilasciata ad “Avvenire” il 7 luglio 2021, il deputato di Liberi e Uguali Stefano Fassina, che pure aveva dato voto favorevole al testo alla Camera, ammette di aver “riscontrato l’assoluta fondatezza dei rilievi critici” sollevati in diversi ambienti culturali. In sostanza, secondo Fassina, “La questione fondamentale è che l’articolo 1 contiene una visione antropologica. E una visione antropologica non può essere legge dello Stato” (Marco Iasevoli, Ddl Zan. Fassina: “Il gender va tolto dal testo”, “avvenire.it”, 7 luglio 2021).
Dello stesso avviso è la presidente di Arcilesbica Cristina Gramolini, secondo cui "Specificare che l'identità di genere è ‘l'identificazione percepita di sé’ anche se ‘non corrispondente al sesso’ significa aprire un varco all'autodefinizione legale di genere. Basta dichiararsi donna all'anagrafe per diventarlo. ed è abgliato […] Nuoce ai diritti delle donne, alle nostre poche quote, alle nostre poche pari opportunità, ai nostri sport subalterni che non possono essere ceduti al primo uomo che si alza un giorno e decide di dichiararsi femmina"(Giovanna Vitale, Ddl Zan, la presidente di Arcilesbica Gramolini: "Legge sbagliata sull'identità di genere, bisogna cambiare", “repubblica.it”, 9 luglio 2021).
Anche secondo il sociologo Pietro De Marco, le definizioni dell’art. 1 sono troppo ambigue ed arbitrarie per far sì che la legge raggiunga i suoi scopi di tutela, senza incorrere in una eccezione di costituzionalità (Pietro de Marco, Ddl Zan, i rischi. L'ambiguità toglie al testo la natura universalistica, “avvenire.it”, 10 luglio 2021).Angela Zanoni - 4 aprile 2022