Le proposizioni della scienza sono sempre passibili di verifica empirica o fattuale; essa ha reale valore conoscitivo, anzi è l'unica disciplina ad averlo

Il circolo di Vienna

A partire dal 1924, a Vienna, si costituisce un cenacolo intellettuale dedito a discussioni riguardanti la filosofia della scienza. Tale cenacolo, noto appunto come Circolo di Vienna, costituisce ben presto il nucleo fondante del movimento neopositivista, che si propone di liberare la filosofia dal peso delle questioni metafisiche a favore dell'affermazione della riflessione in merito alle discipline scientifiche, rivitalizzando la tradizione ottocentesca del positivismo, pur privata di alcuni suoi aspetti ritenuti eccessivamente ingenui.

Il fondatore del circolo è il fisico e filosofo tedesco Moritz Schlick (1882-1936), al quale si deve la messa a punto del cosiddetto “principio di verificazione”. Nel suo libro Tra realismo e neo-positivismo (Il Mulino, 1983), Schlick difende il valore conoscitivo delle teorie scientifiche e la loro capacità di rappresentare fedelmente la realtà. Una qualsiasi proposizione scientifica, infatti, è tale se può essere, almeno in linea di principio, sottoposta a verifica. Quando tale verifica può essere compiuta fattualmente, e ottiene esito positivo, la proposizione scientifica si rivela non solo sensata, ma anche esatta, e aderente quindi alla realtà oggettiva delle cose.

 

La costruzione logica del mondo

Pur con alcune differenziazioni, il realismo di Schlick è condiviso anche da un altro esponente del circolo, il filosofo e logico tedesco Rudolf Carnap (1891-1970), il quale nell'opera La costruzione logica del mondo (UTET, 1997), apparsa per la prima volta nel 1928, afferma che gli oggetti costitutivi della scienza sono logicamente costruiti a partire da alcuni elementi originari, oggettivamente esistenti, che non possono essere considerati a loro volta come semplici costruzioni logiche. Se il linguaggio offusca inevitabilmente l'oggettività del reale, costruendo l'elemento mediatore fra la realtà e la ragione, esso è però saldamente fondato su tale oggettività: gli elementi originari che garantiscono ciò non sono nient'altro che le esperienze vissute elementari.

In questo modo, nel suo libro, Carnap sostiene la possibilità di ricondurre gli oggetti psichici agli oggetti fisici, eliminando il dualismo fra materia e spirito. Ovvero, la sua teoria rende lecito sostituire lo studio degli oggetti fisici reali con lo studio delle relazioni fra questi, ricostruite attraverso l'utilizzo del linguaggio, sostenendo che i due piani sono equivalenti.

 

Il realismo del tardo Popper

Il filosofo austriaco Karl Popper (1902-1994), pur avendo criticato per larga parte della sua lunga carriera intellettuale le pretese dei neopositivisti, confutando la validità del principio di verificazione e sposando in molti casi posizioni affini a quelle convenzionaliste, giunge in età avanzata a rivalutare i principi realisti, in particolare nell'opera del 1972 Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico (Armando, 1975). Qui, egli afferma che la scienza, pur non potendo mai pervenire a una spiegazione ultima e definitiva dei fenomeni, ha per oggetto enunciati descrittivi, non solamente strumenti di previsione e di calcolo. Pur essendo un costrutto della nostra mente, le teorie scientifiche possono infrangersi o meno contro la realtà, possono sempre essere poste alla prova dei fatti, e quindi rivelarsi descrizioni vere o false. Anche se rigorosamente parlando il realismo non è né dimostrabile né confutabile, Popper afferma che a favore di esso vi sono molti argomenti che ne fanno la sola ipotesi credibile, contro il quale non è stata avanzata alcuna obiezione valida.

Ad esempio, egli spiega, le teorie convenzionaliste non sono in grado di argomentare come mai tutte le esperienze scientifiche descritte siano in qualche modo intersoggettive: se le teorie non sono nient'altro che costruzioni arbitrarie e soggettive, come mai, provvedendo a verificarle, tutti ne fanno esperienza, almeno nei caratteri principali, nello stesso modo? Inoltre, le forme più estreme di convenzionalismo rendono impossibile un confronto fra le proposizioni linguistiche atte a descrivere i fatti e i fatti stessi, risultando prive di criteri volti a valutare la consistenza delle teorie, giungendo alla pericolosa conclusione che ognuna di esse sia ugualmente valida soggettivamente, cosa che Popper dichiara essere falsa in maniera autoevidente.

 

La teoria dei tre mondi

In Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico (cit.), quindi, egli perviene alla formulazione della cosiddetta teoria dei tre mondi, per la quale il mondo della conoscenza scientifica può essere diviso in tre categorie: il “mondo 1” è quello delle cose (oggetti fisici e fatti naturali); il “mondo 2” è quello delle esperienze soggettive; il “mondo 3” è quello dei contenuti del nostro pensiero, ossia delle teorie scientifiche. Il “mondo 3” è sì influenzato dalla storia delle idee scientifiche, e quindi mutevole, ma ha carattere soggettivo, e come tale è non meno reale del “mondo 1”.

Popper spiega che è vero, come molti antirealisti hanno sostenuto, che spesso il dibattito scientifico si svolge interamente nel “mondo 3”: fattori storici, filosofici, culturali, spingono a modifiche radicali del pensiero scientifico che si traducono nella formulazione di nuove teorie, che solo successivamente vengono sottoposte a verifiche sperimentali (e quindi riportate al livello più elementare degli altri due mondi). Tuttavia, ciò non deve far dimenticare che il “mondo 3” non è una astratta costruzione frutto del capriccio dell'arbitrio umano, quanto la logica conseguenza degli altri due mondi. Esso esiste poiché saldamente fondato sulle esperienze oggettive, ed è la legittima continuazione, a livello del pensiero, di queste.

I fondamenti della conoscenza

Le prime critiche alle pretese realiste dei neopositivisti vengono avanzate da pensatori loro vicini, che si trovano a non condividere alcuni esiti della loro ricerca filosofica, in particolar modo per quanto riguarda il principio di verificazione.

È il caso, ad esempio, del filosofo tedesco Hans Reichenbach (1891-1953), il quale, profondamente influenzato dalle teorie della fisica moderna, in particolar modo dalla teoria della relatività, sostiene, nell'opera Relatività e conoscenza a priori (Laterza, 1984), che la ricerca dei fondamenti della conoscenza scientifica non ha per oggetto illusorie strutture perenni della conoscenza, esistenti a priori indipendentemente da ogni cosa, ma l'itinerario concreto della scienza nella sua evoluzione storica, evoluzione che modifica i parametri stessi delle modalità di conoscenza. Ad esempio, la relatività ha introdotto nuove nozioni fisiche e nuovi modi di guardare realtà prima considerate scontate e immutabili, come lo spazio, il tempo, la materia e la simultaneità, mostrando quanto sia grande il peso della convenzione nella formulazione completa di una qualsivoglia teoria scientifica.
Successivamente, in opere come Esperienza e predizione: un'analisi dei fondamenti e della struttura della conoscenza (Hans Reichenbach, Experience and Prediction: an analysis of the Foundations and the Structure of Knowledge, University of Notre Dame Press, 2006) afferma che, attenendosi a criteri strettamente empirici, l'induzione e la causalità possono essere definiti solo in base a fondamenti probabilistici. Nella verifica di un'ipotesi, solo un numero limitato di parametri può essere considerato, quelli che il ricercatore, soggettivamente, ritiene i più influenti e significativi: la scienza non è dunque luogo di certezze, ma di probabilità, per quanto grandi esse possano essere. Il principio di verificazione viene quindi riformulato su base probabilistica: esso ci fornisce dimostrazioni ragionevolmente probabili, ma non certe in maniera assoluta.

 

La posizione di Neurath

Un altro pensatore appartenente al Circolo di Vienna che si pone però in posizione critica nei confronti delle teorie realiste è il sociologo ed economista austriaco Otto Neurath (1882-1945), il quale nei suoi scritti (alcuni dei quali raccolti in Otto Neurath, Philosophical Papers 1913-1946, Springer, 1983) ha affermato che non esiste alcuna esperienza del tutto neutra e priva di teoria, cosicché non solo tutte le teorie scientifiche si trovano ad influire sullo sviluppo futuro della scienza, ma anche i valori dominanti della società in un dato momento storico hanno ripercussioni su quali aspetti della realtà vadano ad analizzare gli scienziati in quel periodo e in base a quale prospettiva li guardino.
Inoltre, le teorie scientifiche, per Neurath, servono sì a fornire previsioni sulla realtà, ma solamente su base congetturale, e non matematicamente certa. Esiste sempre la possibilità che nuovi esperimenti dimostrino la fallacia di una teoria: in questo caso, poi, quando un nuovo dato contraddice il sistema, si può modificare o lasciar cadere questo dato per mantenere intatta la teoria in mancanza di una teoria generale alternativa che spieghi i fatti, oppure modificare il sistema per far sì che accolga il nuovo dato. È evidente come questo modo di agire implichi un fattore arbitrario, delegato alla libera scelta del ricercatore, a riprova ancora maggiore della convenzionalità del sapere scientifico.

 

Popper e il fallibilismo

La concezione dell'impossibilità di ottenere teorie scientifiche assolutamente certe è ripresa da Karl Popper, il quale, prima della sua svolta realista in età avanzata, ha sempre sostenuto teorie di stampo convenzionalista, anche se moderato. In La logica della scoperta scientifica (Einaudi, 1970), infatti, egli afferma: “La base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di assoluto. La scienza non posa su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o data; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura (Karl Popper, La logica della scoperta scientifica, cit., pp. 107-108).
Popper sostituisce dunque al concetto di principio di verificazione quello di principio di falsificazione. Tale principio nega la possibilità di giungere ad una dimostrazione definitiva di una teoria in maniera “assoluta”. Caratteristica di una teoria scientifica, infatti, deve essere la sua possibilità di venire confutata attraverso esperimenti realizzabili. Altrimenti, essa non può riguardare il sapere scientifico, quanto piuttosto l'ambito della speculazione metafisica, nel quale può essere sostenuta ogni posizione senza timore di smentite. Ma per quanto una teoria scientifica possa in migliaia di occasioni venire provata dai fatti esiste sempre, almeno in linea teorica, un caso ennesimo che possa rivelarla falsa. Non è mai possibile sapere quando una teoria è assolutamente vera, ma è al contrario possibile sapere quando non lo è. Egli scrive: “Il fallibilismo è nient'altro che il non-sapere socratico. In pratica abbiamo: 1) Socrate: io so di non sapere nulla (e nessuno sa più di questo); 2) Kant: la teoria di Newton è scienza e può essere giustificata, e perciò sapere certo. (Dunque, Socrate vien contraddetto dal fatto dell'esistenza del sapere scientifico). 3) Einstein: il sapere scientifico riguardante la realtà è incerto. (Dunque il sapere scientifico non è sapere nel senso corrente della parola: né nel senso dell'uso linguistico generale, né nel senso dell'uso linguistico della filosofia, almeno fino alla Costruzione di Carnap inclusa.) Dunque, nonostante la grande conquista di Newton, il fallibilismo di Socrate continua a essere dalla parte della ragione” (Karl Popper, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Il Saggiatore, 1987, vol. 1, p. XXI).

 

I paradigmi di Kuhn

Per quanto riguarda poi la questione dell'arbitrarietà delle teorie scientifiche e dell'influenza su di esse di criteri extra-scientifici avanzata da Neurath, essa è ripresa dallo storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn (1922-1996), nel suo libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi, 1999), il quale radicalizza il pensiero del suo predecessore affermando che periodicamente, lungo il corso della storia, la ricerca scientifica entra in crisi per difetti interni del sistema, il quale viene rivoluzionato con l'adozione di nuovi paradigmi, nuovi quadri concettuali che sostituiscono i vecchi e che rispetto a questi sono talmente diversi da non poter essere confrontabili, come se all'improvviso gli scienziati guardassero la realtà con occhiali diversi scoprendo un mondo nuovo e fino ad allora inaccessibile. Ogni osservazione empirica assume dunque un significato diverso a seconda del contesto teorico in cui è immersa, e ogni teoria scientifica è determinata dal paradigma entro il quale si sviluppa, rivelandosi dunque tutt'altro che l'espressione di una verità assoluta e certa, quanto piuttosto espressione di uno scenario culturale storicamente determinato.

 

I programmi di ricerca

Questa idea di un'alternanza di paradigmi è condivisa dal filosofo ungherese Imre Lakatos (1922-1974) (egli però li chiama “programmi di ricerca”), il quale, nel libro La metodologia dei programmi di ricerca scientifici (Il Saggiatore, 2001), sostiene che tale alternanza sia dovuta al sorgere razionale di programmi di ricerca alternativi e più validi e non a una rivoluzione improvvisa e quasi irrazionale come accusa essere il pensiero di Kuhn.
Nel pensiero di Lakatos, ogni programma di ricerca possiede un nucleo, il cuore centrale e fondamentale della teoria, il quale è ritenuto inconfutabilmente vero, ma solamente in virtù di una decisione metodologica dei suoi sostenitori.

 

L'anarchismo metodologico

Il filosofo austriaco Karl Feyerabend (1924-1994) radicalizza le posizioni anti-realiste di questo gruppo di pensatori nel suo saggio dal provocatorio titolo Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (Feltrinelli, 2013). Il pensiero di Feyerabend consiste in una netta negazione dell'esistenza di un qualsivoglia metodo scientifico, come peraltro, egli afferma, dimostra buona parte della storia della scienza: un gran numero di rivoluzionarie scoperte scientifiche è dovuto nient'altro che al caso. È quindi inutile e dannoso incamerare i procedimenti scientifici in metodologie rigide e a compartimenti stagni, che uccidono la creatività e la libertà della ricerca, nel quale devono potersi confrontare le teorie più disparate secondo il criterio della loro efficacia, successo, capacità di persuasione, non esistendo teorie che descrivono la realtà oggettivamente meglio di altre.