In Italia, la mancanza di una regolamentazione adeguata danneggia l’industria omeopatica

Ritardo normativo in materia di omeopatia in Italia

Nell'articolo Omeopatia: il ritardo normativo dell’Italia mette a rischio l’intero settore produttivo (“primapress.it”, 29 aprile 2014) viene riportata la posizione di Fausto Panni, presidente di Omeoimprese, il quale difende la pari dignità dei farmaci omeopatici nei confronti dei farmaci tradizionali, e afferma: “‘I medicinali omeopatici e antroposofici in Italia stanno diventando una realtà. Consumatori e medici riconoscono, in maniera sempre maggiore, il ruolo che l’omeopatia e la medicina antroposofica giocano e possono giocare nella cura della salute’”. “Tre europei su quattro conoscono l’omeopatia. Più di 100 milioni (il 29%) scelgono farmaci omeopatici e antroposofici (HAMPs) per la loro assistenza sanitaria. L’intera Unione Europea conta 60.000 medici prescrittori di farmaci omeopatici, 11.400 ogni 100.000 abitanti. […] ‘Nonostante ciò, il nostro paese è ancora lontano dal compiere passi in avanti, soprattutto a livello legislativo, per soddisfare la domanda e garantire l’adeguamento alle direttive europee in materia. La mancanza di una legge specifica mina la libertà di scelta in tema di salute e nega l’uguaglianza ai cittadini che scelgono di curarsi con l’omeopatia e la medicina antroposofica’”.Anche ECHAMP (European Coalition for Homeopathic and Anthroposophic Medicinal Products), prosegue Red-Com, “associazione no profit che rappresenta l’industria dei medicinali omeopatici e antroposofici nell’UE […] lancia un allarme: il ritardo normativo dell’Italia potrebbe ripercuotersi sulle 30 aziende nostrane che operano nel settore (in Lombardia, Liguria, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Lazio, Campania e Sicilia)”.

“‘Nel 2016 alcuni farmaci se non registrati potrebbero sparire dal mercato, con gravi conseguenze per le imprese stesse’”, aggiunge Panni. Per cui, sottolinea Red-Com, ECHAMP mostra l’esigenza “di un confronto con le istituzioni per affrontare le problematiche della regolamentazione del settore in Italia e per portare all’attenzione le iniziative messe in atto da alcune Regioni virtuose grazie agli interventi di Roberto Caronno, membro esperto del Consiglio Superiore di Sanità (Lombardia), Elio Rossi, responsabile Ambulatorio di Omeopatia Azienda USL 2 Lucca-Rete Toscana Medicina Integrata e Fabrizio Santori, membro della Commissione Politiche Sociali e Salute della Regione Lazio”.

Sempre a proposito di regolamentazione dei medicinali omeopatici, in una nota riportata su “Job24” (ilsole24ore.com) del 29 novembre 2010, si dà notizia della nomina di Maria Paola Carosio a direttore Affari Regolatori di Boiron Italia: Boiron, “leader mondiale nella produzione di medicinali omeopatici”, nella persona di Maria Paola Carosio difende il suo punto di vista a favore della regolamentazione dei medicinali omeopatici “garantendo un’adeguata rappresentazione nelle sedi istituzionali delle attività dell’azienda farmaceutica”. La dott.ssa Carosio “si occuperà inoltre di contribuire all’evoluzione del processo di registrazione dei medicinali Boiron in Italia. […] I Laboratoires Boiron sono un’azienda familiare fondata nel 1932 per mano di due fratelli gemelli, Jean et Henri Boiron, entrambi laureati in scienze e in farmacia. I fratelli Boiron hanno dedicato tutta la loro vita a rinforzare le basi scientifiche dell’omeopatia e a dotarla di una regolamentazione solida nella maggior parte dei paesi del mondo”.

In un articolo ad opera di Cosimo Colasanto (Omeopatia sotto accusa. Medici inglesi: "Stregoneria". Parlano gli esperti italiani, “Salute 24” (“Sole 24 Ore”, online, 17 maggio 2010) in merito alla regolamentazione degli omeopatici, è riportata la posizione di Simonetta Bernardini, presidente della Società Italiana di Medicina Omeopatica (SIOMI). Bernardini è fermamente convinta che i farmaci omeopatici debbano essere regolamentati e integrati nel sistema sanitario nazionale, al pari dei farmaci allopatici. A supporto di tale tesi afferma che “‘ci sono migliaia di studi in tutto il mondo, pubblicati anche sul The Lancet, che confermano l’efficacia della medicina omeopatica’”. Si chiede, quindi: “‘Chi oppone pregiudizi e chiusure li ha letti o non li ha letti?’ E allora perché tanto accanimento? ‘La verità è che la medicina convenzionale è spesso inefficace nella cura delle malattie croniche e una parte del mondo accademico non ha intenzione di riconoscere il valore terapeutico alle medicine complementari, tra le quali l’omeopatia’”, conclude Bernardini. Si legge ancora nell’articolo di Colasanto: “Bernardini […] guiderà il primo Ospedale di Medicina Integrata di Pitigliano, in provincia di Grosseto, in cui medici di medicina interna lavoreranno fianco a fianco con omeopati, fitoterapisti e agopuntori. In Italia operano attualmente circa 20.000 medici esperti in medicina complementare e circa 10.000 sono omeopati, mentre non esiste una legge nazionale che disciplini il settore. Soltanto la Regione Toscana, con la legge n. 9 del 2007, ha integrato omeopatia, agopuntura e fitoterapia nel sistema sanitario regionale e nei LEA regionali (Livelli Essenziali di Assistenza) garantendo ai cittadini l’erogazione delle prestazioni presso 70 ambulatori regionali a fronte di un ticket di 18,60 euro”.

A differenza di Girolamo Sirchia, i ministri della Salute che a lui sono succeduti hanno avuto un atteggiamento più possibilista nei confronti dell’omeopatia. Come riportato da Daniele Romano sul sito della FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), nell’articolo Chiamiamole medicine non convenzionali... (consultato il 16 aprile 2015), “il ministro [della Salute] Storace 'ha dato indicazioni chiare, ammettendo i ritardi non solo italiani in materia'". Il ministro afferma: “‘Noi dobbiamo capire: non credo che in Italia, a livello ufficiale, si sia mai fatto uno studio proprio su indicazione del Ministero della Sanità, un'indagine accurata per accertare la validità o meno di queste terapie. Non ho preclusioni, ma ci vogliono evidenze scientifiche, di tutto questo si occuperà il Consiglio superiore di Sanità. Per inserire un farmaco nella fascia A, cioè quella gratuita, bisogna che venga provata la sua assoluta efficacia. […] Dare regole […] è fondamentale, proprio per evitare abusi, che i cittadini e ancor più le persone malate vengano illuse, truffate o abbandonino terapie di provata validità. Il Parlamento si sta già occupando di dare regole e norme al mondo della medicina non convenzionale, con una proposta di legge che attende di essere discussa. Lo chiedono gli stessi operatori di questo settore. Si potrebbero accelerare i tempi con una legge delega’”.

Il 20 maggio 2010 sul sito “www.aduc.it” (ITALIA – Ministro Fazio: l’omeopatia non è medicina, ma va regolamentata, “www.aduc.it”, 20 maggio 2010) viene riportato il parere del ministro della Salute (dal 2009 al 2011) Ferruccio Fazio, che afferma: “‘Capisco che la libertà è un bene prezioso ma ciò che differenzia l'omeopatia dalla medicina è che la prima, al contrario della seconda, non ci dà la certezza dei risultati. Anche se può essere consentita qualora non risulti dannosa. Io però, da medico, non credo all'omeopatia’”. Tuttavia, ha aggiunto il ministro, “‘in direzione di un allineamento delle direttive chieste dalla UE, e anche in funzione della libertà dei cittadini, stiamo pensando all'introduzione in un’apposita fascia del prontuario farmaceutico di questi prodotti omeopatici, che naturalmente non saranno rimborsati dallo Stato ma saranno regolamentati con un'apposita regolamentazione da parte dell’AIFA’”.

 

Farmaci omeopatici: le tariffe di registrazione

In un articolo pubblicato su “www.quotidianosanità.it” (Decreto Balduzzi. Omeopatia. Imprese: “Duro colpo. Ci costerà 30 mln di euro all’anno”, “www.quotidianosanità.it”, 10 settembre 2012) viene descritta la reazione di Omeoimprese al decreto emanato dal ministro della Salute Renato Balduzzi (in carica nel periodo 2011-2013), un decreto che definisce ancora oggi le tariffe di registrazione dei farmaci omeopatici (Decreto legge 13 settembre 2012, n.158). Qui il decreto viene definito come un “‘inspiegabile duro colpo all’omeopatia’”, poiché applica il diritto annuale di 1.000 euro fissato in precedenza con decreto ministeriale per i farmaci tradizionali, anche agli omeopatici. Duro colpo anche perché “‘il fatturato delle aziende omeopatiche in Italia non supera i 180 milioni di euro e i prodotti in vendita sono stimati in circa 30.000’”, cifre di gran lunga inferiori rispetto alle aziende che operano nel settore allopatico. Si evidenzia così una sproporzione di “‘30 milioni di euro di diritto annuale che le aziende dovranno versare a partire dalla registrazione dei medicinali omeopatici’”. Nel medesimo articolo, Fausto Panni, presidente di Omeoimprese, fa presente che “‘il diritto annuale così come concepito implicherà la chiusura di molte aziende italiane produttrici e distributrici di medicinali omeopatici. [...] Non ci vogliamo sottrarre al pagamento delle dovute tariffe, del resto finora abbiamo ottemperato a tutte le richieste di versamento da parte del Ministero e di AIFA anche se i nostri prodotti sono solo notificati […]. Chiediamo equità e importi compatibili con i volumi del mercato e con la crescita e lo sviluppo dell’omeopatia che una recente inchiesta Doxa ha confermato interessa più di un terzo della popolazione italiana’”.
In un articolo di Alberto Magnetti (Decreto ministeriale farmaci omeopatici. Ultimo atto: le nuove tariffe e la proroga, “La Stampa (online)”, 24 gennaio 2014) si riporta l’appello del presidente di Omeocom (Comitato Difesa Omeopatia) Marino Tomà al ministro della Salute Beatrice Lorenzin affinché si emani “‘al più presto il decreto ministeriale con le tariffe nuove, 800 euro per [i farmaci] unitari e 1.200 per i complessi; cifre concordate in un incontro al Ministero della Salute il 9 ottobre dello scorso anno’”. Tomà chiede anche al ministro di prorogare al più presto il rinnovo dei farmaci omeopatici che altrimenti potrebbero sparire dal mercato e aggiunge, sul problema delle tariffe: “‘l’Italia è il terzo mercato europeo, dopo Francia e Germania dove il fatturato è rispettivamente di 640 milioni e 600 milioni di euro. Nel nostro paese, nonostante la grave crisi economica, l’uso di rimedi omeopatici è cresciuto negli ultimi 5 anni del 4% e questo settore che occupa oltre 2.000 dipendenti, determina 30 milioni di euro di gettito nelle casse dello Stato, così pure 45 milioni per IVA, IRES ed IRAP. Ma la politica è assente, non vuole decidere’”.

 

In Toscana, il primo ospedale di “medicina integrata”

In Italia, la regione Toscana ha deciso di attuare una legge (legge regionale n. 9 del 19 febbraio 2007), che ha messo sullo stesso piano le due medicine, allopatica e omeopatica.
Grazie a tale legge nel giugno 2010 è nato a Pitigliano (GR) il primo ospedale in Italia di medicina “integrata”. Come riportato da Marco Gasparetti (Medicina complementare: in Toscana il primo ospedale "integrato", “Corriere della Sera (online)”, 22 marzo 2010), tale ospedale (Petruccioli) con “tre reparti (medicina generale, day surgery, pronto soccorso) e ambulatori, quindici medici” nasce come “il primo nosocomio europeo di ‘medicina integrata’”. L’idea è quella di curare i pazienti “alternando, secondo le esigenze, le cure tradizionali a quelle complementari”, come l’omeopatia. All’interno di tale ospedale i medici specializzati nelle medicine alternative possono lavorare “– spiega Simonetta Bernardini, pediatra e presidente della Società Italiana Omeopatia e Medicina Integrata, la responsabile del progetto – […] ‘in perfetta integrazione con gli altri colleghi’”. La cura del paziente può essere scelta tenendo in considerazione sia la medicina tradizionale che quella complementare, costituendo così, “una rivoluzione” in grado di “far superare anni di polemiche e incomprensioni tra la stessa categoria medica da sempre divisa su omeopatia, fitoterapia e agopuntura”. È facoltà del paziente “‘scegliere la cura preferita senza spendere una lira’ – spiega Fabio Roggiolani, presidente della Commissione Sanità della Regione Toscana”. Ad esempio, prosegue Roggiolani, nel caso di “‘una donna incinta con il bambino in posizione podalica’”, si può “‘decidere con il suo consenso, se provare a risolvere il problema utilizzando tecniche di agopuntura per far tornare il bambino nella posizione favorevole al parto, prima di arrivare al taglio cesareo’”. Ancora nell’articolo si legge che per la nascita di tale ospedale “sono stati stipulati accordi con le associazioni professionali. ‘Gli ordini dei medici, degli odontoiatri, dei farmacisti e dei veterinari’ – continua Roggiolani – ‘hanno istituito elenchi nei quali si certifica l’attività di quei professionisti che hanno i requisiti per esercitare la medicina complementare’”. Gasparetti infine sottolinea anche la funzione pedagogica dell’ospedale, con l’Università di Siena impegnata in “corsi di specializzazione dedicati ai medici” istituendo “su Internet la prima biblioteca italiana dedicata alle medicine complementari”.
Quattro anni dopo, in un articolo di Marta Buonadonna (Omeopatia: in Toscana è entrata in ospedale, “panorama.it”, 10 aprile 2014), la dottoressa Bernardini fa il punto della situazione dopo quattro anni di attività: “‘In tre anni abbiamo fornito oltre 13.000 prestazioni sanitarie negli ambulatori, mentre nei reparti abbiamo curato circa 500 pazienti’”. E ancora: “‘Ci occupiamo principalmente della popolazione locale, che ha preso benissimo da subito le medicine integrate. Le basti un dato: il 97,4% dei pazienti nei tre anni di sperimentazione ha accettato le cure integrate quando gli sono state proposte’”.
Per concludere: “‘Abbiamo fatto un esperimento per scopi di ricerca scientifica in un piccolo ospedale, che era il posto giusto per valutare l’utilità, la validità e le criticità di avviare un setting di medicina integrata in ospedale. Quello che abbiamo fatto è già stato oggetto di pubblicazione e posso dirle che, a differenza di altri, il nostro progetto non è fallito, ha funzionato’”.

 

Regolamentazione dell’omeopatia al di fuori dei confini italiani

In paesi come Francia, Germania, Inghilterra (le principali nazioni europee per il mercato degli omeopatici) l’utilizzo dei rimedi omeopatici è oggetto di regolamentazione ben definita: “i prodotti omeopatici hanno l’etichetta di prodotti medici per uso umano” (TdR) e sono quindi considerati medicinali a tutti gli effetti. Questo è quanto riporta il sito di ECH (European Committee for Homeopathy, consultato il 16 aprile 2015).
Una visione più generale del rapporto tra le nazioni europee e l’omeopatia è fornita dal dottor Gihan Rashed. Egli riporta sul sito “flochi-wellness.com” le posizioni in merito assunte da tali nazioni. Per esempio, in Francia, “il 40% della popolazione usa rimedi omeopatici” (TdR). L’omeopatia è insegnata in molte scuole di medicina ed “i medicinali omeopatici sono rimborsati dal servizio sanitario nazionale” (TdR). In Germania, “patria di Hahnemann, la popolazione supporta la medicina naturale” (TdR) e, a conferma di quanto l’omeopatia sia diffusa nella comunità nazionale, “l’85% del fatturato degli omeopatici è frutto di prescrizioni da parte di medici” e “il 98% delle farmacie vende prodotti omeopatici. Il governo tedesco ha deciso di implementare i curricula delle scuole mediche con insegnamenti sulle medicine naturali” (TdR). In Inghilterra, infine, “il più popolare corso di studi post-laurea concerne l’omeopatia e ci sono cinque ospedali omeopatici appartenenti al servizio sanitario nazionale. Alcuni di questi ospedali hanno liste di attesa di due anni per visite non di emergenza. […] Più del 50% dei medici prescrive rimedi omeopatici” (TdR).

 

No al rimborso dei farmaci omeopatici mediante fondi pubblici

Contro la regolamentazione dei farmaci omeopatici si schierano con forza i membri della Consulta delle Società Scientifiche per la Riduzione del Rischio Cardiovascolare (CSCV) che scrivono una nota sul loro sito (No alla regolamentazione degli omeopatici con fondi pubblici, “consulta-cscv.it”, 6 dicembre 2009), indirizzata al ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (al tempo il prof. Maurizio Sacconi) e al viceministro della Salute (al tempo il prof. Ferruccio Fazio). Qui essi dimostrano tutta la loro preoccupazione in merito alla registrazione e autorizzazione da parte dell’AIFA sulla direttiva europea per la vendita nelle farmacie dei farmaci omeopatici in quanto la procedura autorizzativa avrebbe previsto la sola documentazione della loro innocuità per il paziente. Costoro ribadiscono con fermezza che “risulta inconcepibile che prodotti di questo tipo, che secondo i principi della scienza e del metodo sperimentale sono da considerarsi a tutti gli effetti privi di efficacia terapeutica (il farmaco, per dirsi tale, deve necessariamente essere più efficace del placebo), possano essere messi in commercio con la legittimazione delle Autorità Regolatorie italiane. La valutazione a tappeto di 30.000 prodotti omeopatici ai fini dell’innocuità e la successiva registrazione da parte dell’AIFA, oltre a rappresentare uno spreco delle risorse pubbliche – centinaia di migliaia di ore di lavoro amministrativo gettate al vento con un impatto economico presumibilmente misurabile in milioni di euro – corre il rischio di essere percepita da una parte non trascurabile della popolazione come un’attestazione di efficacia, che ne legittimerà l’uso, con rischi significativi per la salute dei pazienti. Alcuni di loro, infatti, potranno essere indotti a sostituire o ritardare l’uso di farmaci efficaci, figli della medicina dell’evidenza scientifica, per il trattamento delle patologie in atto. La comunità medico-scientifica, rappresentata dalla CSCV esprime stupore e forte preoccupazione per questa situazione e chiede a questo Ministero di esplorare tutte le strade legali e diplomatiche, anche con ricorsi ed azioni mirate nelle opportune Sedi Comunitarie, per impedire che questo ‘fenomeno paranormale’ sotto il profilo regolatorio e scientifico possa coinvolgere il nostro Sistema Sanitario; Sistema Sanitario già gravato da ben più importanti problemi di sostenibilità e scarsità di risorse, necessarie per l’impiego dei farmaci più innovativi e, più in generale, per l’introduzione di nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche, con equità di accesso per tutti i cittadini italiani”. 

Un altro articolo, redatto da Daniela Cipolloni (L’omeopatia? Non funziona, “L’ Espresso (online)”, 11 ottobre 2011) riporta l’intervista del britannico Edzard Ernst, “primo professore al mondo di medicina alternativa, clinico specializzato in un ospedale omeopatico, figlio di dottore omeopata. Egli ha speso la carriera alla Peninsula Medical School di Exter (GB) a testare scientificamente tutto ciò che si pone al di là della medicina convenzionale, esattamente come si fa per tutti gli altri farmaci. Più di mille articoli dopo, il suo bilancio è impietoso: il 95% dei trattamenti è privo di fondamento”. All’esplicita domanda rivoltagli dall’intervistatrice “lo Stato dovrebbe pagare le cure alternative?”, il professor Ernst risponde: “‘Se non vogliamo coprirci di ridicolo, abbiamo bisogno dello stesso standard: usare solo ciò che ha dimostrato di fare più bene che male; fare ricerca sulle cure per cui il rapporto rischi-benefici non è ancora accertato’”.

Uno strenuo sostenitore del no alla regolamentazione degli omeopatici, in quanto non identificabili come dei veri e propri farmaci, è Girolamo Sirchia, ministro della Salute dal 2001 al 2005. Annapaola Medina riporta in un suo articolo (Omeopatia: è lettera aperta, “dica33.it”, 22 marzo 2002), le dichiarazioni del ministro in un’intervista a “La Stampa” di Torino. Egli afferma: “‘i prodotti omeopatici non vengono normalmente sottoposti a quei protocolli di validazione adottati per gli altri farmaci, come la sperimentazione ‘in doppio cieco’. Di fronte a questa mancanza di dati, pertanto, è naturale che ci siano legittimi dubbi sulla validità di questa cura e, quindi, non posso certo criticare chi non considera questi composti come veri e propri farmaci’”. Ma cosa significa sperimentazione “in doppio cieco”? Lo spiega bene Annapaola Medina nel medesimo articolo: “Innanzitutto, va sottolineato che stabilire chiare correlazioni di causa-effetto tra un farmaco e le risposte dell'organismo è oggettivamente molto difficile. Questo per svariati motivi, tra cui la naturale tendenza di alcune affezioni a regredire spontaneamente o ad avere periodi di remissione, nonché il rischio di suggestione da parte del paziente quando a conoscenza del tipo di esperimento a cui è sottoposto. Per risultati sempre più sicuri, quindi, si rendono necessari i cosiddetti ‘trial in doppio cieco’: espressione che in campo medico-biologico indica una procedura di sperimentazione e di studio in cui né medici, né pazienti sono a conoscenza di quale trattamento (o placebo) venga somministrato al soggetto in esame in un dato momento. In pratica, né il ricercatore, né i pazienti devono poter individuare il gruppo che assume la sostanza sotto studio, il gruppo sottoposto a placebo e il gruppo di controllo. Tutti gli studi effettuati sui prodotti omeopatici, compresi quelli più recenti, non sono realizzati in base all'iter richiesto per i farmaci tradizionali; spesso non prevedono neanche il gruppo placebo o di controllo. A confermarlo è anche la letteratura scientifica di maggior spessore, come il British Medical Journal (Kleijnen, J; Knipschild, P; Terriet, G. Clinical Trials of Homeopathy, British Medical Journal 1991; 302: 316-323) che ha pubblicato una rassegna di 107 studi clinici in campo omeopatico, concludendo che ‘per il momento le evidenze dei test sono positive, ma non sufficienti a trarre conclusioni definitive perché la maggior parte dei test sono di bassa qualità metodologica’. Altre incertezze sono apparse sul The Lancet (Linde K. et al. – Are the clinical effects of homeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials. Lancet 1997; 350: 834-843), che dopo attente analisi di studi omeopatici ha concluso che ‘i risultati ottenuti dalla meta-analisi degli studi non sono compatibili con l’ipotesi che gli effetti clinici dell’omeopatia siano dovuti completamente all’effetto placebo, ma vi è sufficiente evidenza che ognuno dei singoli trattamenti sia chiaramente efficace in una qualunque condizione clinica’. Per dare a un prodotto l’etichetta di ‘farmaco’, invece, è necessario che gli esperimenti siano omogenei, diretti all’efficacia di un determinato farmaco nel trattamento di una determinata patologia”.

Come documentato dal sopracitato articolo di Cosimo Colasanto Omeopatia sotto accusa. Medici inglesi: "Stregoneria". Parlano gli esperti italiani,), fuori dai confini nazionali c’è chi prende posizioni nette, sull’impiego di fondi pubblici per l’omeopatia. Ad esempio, “la British Medical Association […] durante la conferenza annuale dei giovani iscritti, ha approvato una mozione per chiedere che i rimedi omeopatici non siano a carico dei contribuenti e finanziati dal NHS, il National Health System, non essendoci prove scientifiche a favore della loro efficacia. Portavoce dell'iniziativa Tom Dolphin, che ha definito l’omeopatia niente di più che ‘stregoneria’ e ‘una vergogna’ l’esistenza di un ospedale a Londra, il National Hospital for Homeopathy, pagato con le tasse dei cittadini”. Sempre in tale articolo si riporta la posizione, meno estremista, di Claudio Cricelli, presidente della SIMG (Società Italiana di Medicina Generale). Egli non pensa che l’omeopatia sia stregoneria, ma non appoggia la visione di chi vorrebbe applicare la rimborsabilità anche ai farmaci alternativi: “‘La nostra posizione in proposito è chiara: l’Italia ha scelto di consentire l’esercizio della medicina non convenzionale purché da laureati in Medicina. Nulla da dire sul documento della FNOMCeO, la Federazione Nazionale, che nel 2002 ha riconosciuto l'omeopatia come ‘atto medico’. Dal punto di vista scientifico, invece’ continua Cricelli ‘l’omeopatia non possiede ancora caratteristiche che corrispondono a criteri e canoni convalidati. Quindi, in definitiva, mentre si chiede ai medici rigore nell’applicare i principi di appropriatezza’ conclude ‘non sarebbe accettabile che si intraprendesse la strada della rimborsabilità di queste pratiche’”.