L’efficacia terapeutica dei rimedi omeopatici è supportata da studi scientifici

L’efficacia terapeutica dell’omeopatia.

“Sono state effettuate negli ultimi 20 anni alcune meta-analisi prodotte allo scopo di valutare l’enorme mole di Letteratura esistente nel campo della Omeopatia-Omotossicologia. Si sono occupati della problematica omeopatica anche Enti, Istituti ed Organizzazioni di grande prestigio ed importanza internazionale. Tutte hanno concluso che l’Omeopatia ha efficacia terapeutica”. Questa la tesi sostenuta in una pubblicazione di GUNA Editore, sezione editoriale della GUNA, la principale azienda italiana nel settore della distribuzione e produzione di farmaci omeopatici (Low Dose Medicine. Omeopatia-Omotossicologia – Le prove scientifiche, p. 77).
A supporto di quanto asserito si citano alcune pubblicazioni, tra cui quella di Paolo Bellavite e Peter Fisher (Homeopathy: Where is the bias? Letter to the Editor, “European Journal of Internal Medicine”, 2014, 25 (5), p. 66). Secondo gli autori “è spiacevole che i contributi al dibattito [sull’omeopatia] siano talvolta espressi in termini dispregiativi piuttosto che nello spirito del giudizio scientifico e della valutazione dei risultati sperimentali. [...] L’ipotesi che gli effetti dell’Omeopatia siano dovuti all’effetto placebo non è supportata dalla maggior parte delle systematic reviews e dalle meta-analisi di studi clinici. Che le sostanze ad elevato livello di diluizione, come avviene nell’omeopatia, possano avere effetti che differiscono dal controllo, basato su acqua pura, è stato anche dimostrato da studi rigorosi effettuati in laboratorio. [...] Uno studio farmacoepidemiologico recentemente condotto in Francia su larga scala sostiene che l’integrazione dell’omeopatia nelle abitudini delle famiglie riduce la prescrizione di farmaci potenzialmente pericolosi, con effetti simili, rispetto alla pratica convenzionale”.

Nella pubblicazione della GUNA (cfr. sopra), si fa anche riferimento a un lavoro di J. Kleijnen e altri (Clinical Trials in Homeopathy, “British Medical Journal”, 1991, 302, pp. 316-323), sottolineando come gli autori, dopo aver “valutato 105 ricerche cliniche in omeopatia sulla base di alcuni criteri di valutazione usati anche in medicina clinico-sperimentale allopatica, [...] ne hanno selezionate 22 giudicate di buona qualità. [...] Di queste 22, 15 hanno evidenziato efficacia terapeutica del medicinale omeopatico contro pazienti non trattati o trattati con placebo. Globalmente, i lavori selezionati da Kleijnen et al. hanno fornito risultato positivo 81 volte su 105 (75%)”. Per gli autori: “il numero di evidenze pro-omeopatia anche derivanti dai migliori studi ci hanno sorpreso. Basandoci su questi dati, accetteremmo tranquillamente l’efficacia dell’Omeopatia se solo si potesse spiegarne il meccanismo d’azione. Le evidenze esposte nella nostra review sarebbero probabilmente sufficienti per accettare l’Omeopatia come terapia di routine per alcune malattie”.
Un altro documento citato nel “dossier” di GUNA è il rapporto firmato dall’Homeopathic Medicine Research Group. Advisory Group 1, un gruppo di esperti clinici, farmacologi universitari ed alcuni ricercatori in campo omeopatico della Commissione istituita dalla Comunità Europea (Overview of data from homeopathic medicine trials, 1997). Qui “gli esperti hanno raccolto 377 lavori clinici, ne hanno selezionati 220 e recensiti 184. Sui migliori lavori è stata effettuata una ricerca accurata, durata molti mesi, al fine di valutarne la validità scientifica”, giungendo alla conclusione che “‘il numero dei risultati significativi non può essere imputato al caso’” e che “‘l’ipotesi che l’omeopatia non abbia alcun effetto può essere rifiutata con certezza’”. Infatti, “‘in almeno uno dei lavori considerati i pazienti trattati con rimedio omeopatico hanno avuto dei benefici rispetto ai pazienti di controllo che hanno ricevuto il placebo’”.
Ancora nel “dossier” si cita una pubblicazione di Linde K. et Al, Università di Monaco di Baviera, (Are the clinical effects of homeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials, “The Lancet”, 1997, 350, pp. 834-843) che riporta i risultati di una meta-analisi su 135 studi clinici basati sul confronto tra farmaci omeopatici e placebo concludendo: “‘I risultati di questa meta-analisi non sono compatibili con l’ipotesi che gli effetti clinici dell’omeopatia siano completamente dovuti all’effetto placebo’”. Un altro articolo a cui il “dossier” di GUNA fa riferimento è quello di Cucherat M. e altri (Evidence of clinical efficacy of homeopathy. A meta-analysis of clinical trials. HMRAG – Homeopathic Medicines Research Advisory Group, “European Journal of Clinical Pharmacology”, 2000, 56, pp. 27-33) dove “su 24 studi relativi a sperimentazioni cliniche controllate e randomizzate” gli autori “hanno concluso che ‘sono state provate evidenze che la terapia omeopatica è più efficace del placebo’”.

Ad importante conclusione della analisi delle pubblicazioni citate, gli autori del “dossier” di GUNA aggiungono: “questo tesoro di sperimentazioni e studi anche di grande rilevanza istituzionale [...] per lo più pubblicati su riviste non omeopatiche, non ha avuto la giusta rilevanza sia all’interno della comunità scientifica, sia a livello dei media a grande impatto”. E infine: “periodicamente si leggono e si sentono affermazioni affrettate, imprecise, scorrette e faziose secondo cui l’Omeopatia e l’Omotossicologia non possano essere considerate efficaci per mancanza di prove scientifiche. [...] La Medicina Low Dose omeopatica-omotossicologica si fonda su paradigmi diversi rispetto a quelli della Medicina tradizionale anche se un efficace overlapping terapeutico è possibile ed auspicabile (Medicina Integrata). La stessa concezione di salute, di ben-essere e di malattia è sostanzialmente diversa per i due approcci, anche se recentemente questi evidenziano una normale tendenza a confluire”. Dagli studi comparativi effettuati “emerge che generalmente l’effetto terapeutico del medicinale low dose omotossicologico non è dovuto all’effetto placebo e che è quanto meno sovrapponibile a quello del farmaco allopatico corrispondente di riferimento utilizzato per la stessa patologia. È stato confermato, inoltre, che, diversamente dal farmaco allopatico, il medicinale low dose omeopatico-omotossicologico molto raramente provoca effetti collaterali (altissimo profilo di sicurezza) e – comunque – di scarso rilievo”.
Sempre sul sito della GUNA, un articolo di Alessandro Perra, direttore scientifico dell’azienda (Un interessante studio che “sfata” l’effetto placebo dell’omeopatia , consultato il 16 aprile 2015) sottolinea che, mentre “da sempre la critica mossa all’Omeopatia è stata: se funziona, quando funziona, è solo per effetto placebo, il lavoro pubblicato di Nuhn T, Lüdtke R, Geraedts M (2010) Placebo effect sizes in homeopathic compared to conventional drugs – a systematic review of randomised controlled trials [Homeopathy, 99: 76–82], dimostra come l'effetto placebo esista ma esiste per qualunque terapia, sia essa allopatica o omeopatica. E questo è stato dimostrato ben prima dello studio di Nuhn. Ma quello che desideriamo ribadire, e con grande forza, è che l'omeopatia non è placebo”.

 

Il parere di Giovanni Borsalino

Nella Lettera del Professor Giovanni Borsalino in risposta ai Professori Bertelè e Garattini (13 ottobre 2010) del dottor Giovanni Borsalino, medico chirurgo e presidente di AIOT (Associazione Medica Italiana di Omotossicologia) pubblicata anche sul sito di GUNA, in risposta a un editoriale di Ricerca & Pratica firmato da Silvio Garattini e Vittorio Bertelè dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano (Placebo e omeopatia, “Ricerca & Pratica”, 26, 2010, pp. 179-182), si legge: “i professori Bertelè e Garattini affermano che placebo e farmaci omeopatici non hanno niente a che vedere tra di loro: hanno ragione. L'aveva già dimostrato la più prestigiosa rivista scientifica Internazionale ‘The Lancet’ con il lavoro ‘Is Homeopathy a placebo response? Controlled trial of homeopathic potency with pollen in hayfever as model’, Reilly D. T. et al., The Lancet Vol II No 8512 pages 881-885. In questo articolo si dimostra inequivocabilmente l'efficacia terapeutica delle diluizioni omeopatiche rispetto al placebo. [...] Sempre a proposito di medicinale omeopatico e placebo è di non trascurabile interesse il lavoro pubblicato sulla Rivista internazionale di riferimento in campo pediatrico, Pediatrics VoI. 93 No.5 pages 719-725 dal titolo ‘Treatment of acute childhood diarrhes with homeopathic Medicine. A randomized clinical trial in Nicaragua’. Si tratta proprio di uno studio clinico controllato, randomizzato in doppio cieco contro placebo. Anche in questo caso gli autori concludono; ‘…suggests that homeopatic treatment might be useful in acute childhood diarrhea…’ [‘…suggerisce che il trattamento omeopatico può essere utile nel trattamento della diarrea acuta infantile…’, TdR]”. La risposta di Borsalino alla critica secondo cui l’omeopatia avrebbe come unico risultato l’effetto placebo è la seguente: “Sarebbe facile rispondere con un’altra domanda: l’effetto placebo è così evidente anche sugli animali? Eppure l’Omeopatia viene usata, e con successo in Veterinaria”. E ancora cita l’articolo di Gariboldi S. e altri (Low dose oral administration of cytokines for treatment of allergic asthma, “Pulmonary Pharmacology and Therapeutics", 2009, 22, 6, pp. 497-510) “che ha dimostrato inequivocabilmente gli effetti biologici di bassi dosaggi omeopatici sul topo. Affermare che l'effetto placebo funzioni sui topi ci sembra davvero troppo azzardato. E se non bastasse, si hanno anche le evidenze dell'attività di diluizioni, preparate secondo la tecnica omeopatica, su cellule isolate. Oggi, grazie alle ricerche e alle sperimentazioni compiute soprattutto negli ultimi 10 anni, siamo in grado di spiegare i principi fondamentali dell'Omeopatia, [...] siamo consapevoli dei suoi limiti, [...] i farmaci omeopatici godono di sperimentazione (di laboratorio e clinica), è conosciuto il loro meccanismo d'azione, è possibile verificarne i risultati su grandi numeri di pazienti. [...] Quante volte si è abusato di inutili e ‘dannose’ terapie allopatiche quando le migliori soluzioni (documentate in letteratura) attengono all'intervento omeopatico? Per quanti protocolli terapeutici si è dimostrata quantomeno la non-inferiorità della cura omeopatica rispetto a quella convenzionale di riferimento, con in più l'assenza di effetti collaterali? La considerazione da fare è un'altra: non esiste una metodica terapeutica che sia sempre e comunque efficace, o quantomeno sempre più efficace delle altre”.

L’efficacia terapeutica dell’omeopatia non è dimostrata scientificamente

“Non vi è alcuna prova attendibile che l’omeopatia sia efficace”: è quanto risulta da uno studio, riportato da Helen Davidson (Homeopathy is bunk, study says, “The Guardian”, 8 aprile 2014), ad opera del team di ricerca dell’Australia National Health and Medical Research Council (NHMRC), NHMRC draft Information Paper: Evidence on the effectiveness of homeopathy for treating health conditions.
L’analisi effettuata dagli studiosi ha coinvolto numerosi studi sistematici e rapporti governativi sull’omeopatia applicata a 68 diverse patologie, da raffreddore, influenza, nausea e asma fino a HIV, colera e malaria, passando per artrite, disturbi del sonno, depressione e tossicodipendenze. La principale conclusione di tale studio è che l’omeopatia non si distingue per efficacia dal placebo (sostanza innocua o intervento privi di utilità terapeutica), dunque l’omeopatia non può in alcun modo avere influenza sul decorso delle malattie e dei disturbi presi in esame. Nel medesimo articolo su “The Guardian”, spiccano inoltre rilevanti commenti ad opera di luminari internazionali della medicina come il professor John Dwyer, immunologo e professore emerito di Medicina presso la University of New South Wales, secondo il quale non sarebbe eticamente corretto prescrivere un placebo come cura per disturbi e malattie perché ciò equivale ad ingannare i pazienti, dunque l’omeopatia dovrebbe essere bandita una volta per tutte. Secondo l’immunologo, inoltre, il peggiore danno deriverebbe dalla diffusione del concetto secondo il quale i vaccini omeopatici sarebbero equivalenti ai vaccini “ortodossi” e in più privi di effetti collaterali, negando ai fruitori di tali vaccini la possibilità di proteggere se stessi e i propri figli. Dwyer conclude aggiungendo che nessuno dei vaccini omeopatici esistenti, sia offerti in sostituzione dei vaccini tradizionali sia come protezione verso malattie per cui un vaccino non esiste (HIV, tubercolosi, malaria), possa avere alcuna efficacia.

Fa eco alla dichiarazione di Dwyer Richard Choong, presidente della Australian Medical Association (AMA, Western Australia), secondo cui nessuna evidenza è in grado di supportare l’omeopatia, che Choong definisce una “non-scienza” e “non basata su scienza”. Anche secondo Choong l’omeopatia costituisce un pericolo per la vita umana poiché coloro che si sottopongono a vaccinazione omeopatica “sono indotti a credere di essere protetti da malattie verso le quali invece essi non risultano affatto immunizzati” (TdR).
In una “review” degli autori P. Posadzki, A. Alotaibi ed E. Ernst (Adverse effects of homeopathy: a systematic review of published case reports and case series, “International Journal of Clinical Practice”, 2012, 66 (12), pp. 1178-1188), vengono analizzati casi di studio relativi a trattamenti omeopatici per pazienti affetti da ogni tipo di condizione clinica utilizzando 5 database fino al gennaio 2012. Essi rilevano che gli effetti avversi legati all’utilizzo dell’omeopatia sono di due tipi, indiretti e diretti. Gli effetti avversi indiretti derivano dall’abbandono delle terapie convenzionali in favore dell’omeopatia, quelli diretti da eccipienti e processi di produzione poco controllati. E concludono: “Le evidenze attuali dimostrano che l’omeopatia non è innocente come sembra. Essa talvolta può fare incorrere in importanti eventi avversi” (TdR).

In un articolo di Maurizio Pandolfi, ex docente di Oftalmologia all’Università di Lund (Svezia), e Giulia Carreras, dell’Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica (ISPO) di Firenze, intitolato The faulty statistics of complementary alternative medicine (CAM) (“European Journal of Internal Medicine”, 2014, 25, pp. 607-609), gli scienziati dimostrano l’inattendibilità dell’omeopatia e più in generale delle medicine complementari e alternative (CAM) su base statistica. La principale conclusione a cui giungono gli autori dell’articolo è la non-significatività statistica degli studi clinici a supporto delle medicine alternative (e dunque anche dell’omeopatia) e “poiché la significatività statistica come regola è un passaggio essenziale al fine di validare un atto medico, le medicine alternative non possono essere considerate basate su evidenza” (TdR). In particolare spiegano che “quando il razionale alla base di un atto clinico è sconnesso dai principi base della scienza, come nel caso delle medicine alternative, ogni risultato positivo ottenuto in studi clinici è più ragionevolmente ascrivibile ad ipotesi (generalmente l’effetto placebo) differenti dall’ipotesi su cui il medesimo studio clinico si basa, che generalmente corrisponde alla specifica efficacia del trattamento” (TdR). È dunque difficile ottenere “una significatività statistica in studi clinici per i quali la probabilità dell’ipotesi presa in esame è bassa” (TdR). Infatti “poiché la probabilità di un’ipotesi su cui si basa una ricerca è strettamente collegata alla sua plausibilità dal punto di vista scientifico, la statistica frequentista” (basata sul rapporto tra il numero dei successi e il numero degli esperimenti) “non può essere di supporto a studi che esplorano ambiti ampiamente disconnessi dalla scienza come gli studi alla base della CAM. Ogni dato statisticamente significativo ottenuto in tale campo dovrebbe essere trattato con molta cautela. Sarebbe meglio applicare come ipotesi quella dell’effetto placebo piuttosto che quella dell’efficacia del trattamento” (TdR).

Nel 2005 la rivista scientifica “The Lancet” ha pubblicato un editoriale (The End of Homoeopathy, “The Lancet”, 2005, 366, 9487, p. 690) in cui l’autore sottolinea: “è molto interessante il fatto che il dibattito sull’omeopatia continui nonostante 150 anni di risultati sfavorevoli e di come, quanto minore diventa l’evidenza in favore dell’omeopatia, tanto maggiore diventa la sua popolarità. Per troppo tempo ha resistito nei confronti dell’omeopatia una tendenza politicamente corretta al ‘lasciar fare’. Il Comitato Parlamentare di Scienza e Tecnologia del Regno Unito ha pubblicato nel 2000 una relazione in merito concludendo che ‘ogni terapia che si annuncia essere in grado di trattare condizioni specifiche dovrebbe dimostrare di essere efficace oltre l’effetto placebo’” (TdR). Proseguendo: “Il Governo Svizzero, dopo uno studio della durata di 5 anni ha adesso ritirato la copertura assicurativa per l’omeopatia e quattro altri trattamenti complementari ritenendoli non in linea con i criteri stabiliti relativamente a costi ed efficacia”.
L’editoriale si conclude con l’asserzione: “Sicuramente è terminato il tempo delle analisi selettive, delle relazioni di parte o degli investimenti in ricerca al fine di portare avanti il dibattito che contrappone omeopatia e medicina tradizionale (allopatica). Ora i medici devono essere chiari ed onesti con i loro pazienti riguardo alla mancanza di beneficio apportato dall’omeopatia ed onesti con se stessi riguardo ai difetti della medicina moderna nell’indirizzare i bisogni dei pazienti verso una cura personalizzata” (TdR).

Nel medesimo numero di “The Lancet” è pubblicata una “review” a cui lo stesso editoriale si ricollega, scritta da Aijing Shang e altri (Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy, “The Lancet”, 2005, 366 (9847), pp. 726-732). Nell’articolo vengono comparati, in uno studio sistematico, 110 studi omeopatici con altrettanti studi di medicina convenzionale al fine di valutarne la qualità, la veridicità e di verificarne la dipendenza o meno dal puro effetto placebo. Gli studi esaminati sono tutti “studi controllati con placebo”.
Shang e colleghi partono dal presupposto che una “distorsione” è la possibile spiegazione di risultati positivi ottenuti in studi clinici controllati con placebo sia omeopatici sia allopatici. La conclusione a cui Shang e collaboratori giungono è: “quando tali biases vengono presi in considerazione nell’analisi sistematica effettuata, risulta una scarsa evidenza relativamente all’efficacia specifica dei rimedi omeopatici ma una forte evidenza di efficacia specifica per i rimedi convenzionali. Tale risultato è compatibile con l’asserzione che gli effetti clinici dell’omeopatia sono effetti placebo” (TdR).
Sul fronte italiano, Silvio Garattini, farmacologo e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, in un’intervista pubblicata sul sito “Consumatori.e-coop” nell’aprile 2014 afferma: “L’omeopatia non contiene nulla ed è difficile sostenerne l’efficacia”.

Nella Guida illustrata all’omeopatia del medico chirurgo e divulgatore scientifico Salvo Di Grazia, pubblicata su Medbunker il 16 giugno 2012, l’autore sostiene: “prima di discutere sull’eventuale funzionamento dei rimedi omeopatici (che ad oggi non hanno mai mostrato di avere un effetto superiore al placebo), bisognerebbe dimostrare che la teoria omeopatica abbia anche una minima ragione di essere reale. Gli omeopati (ma anche la scienza) ci provano da due secoli, senza riuscirci, chi spiega i motivi di questo fallimento cerca di informare i pazienti ed i consumatori di cosa si sta parlando: solo così, forse, qualcuno aprirà gli occhi e smetterà di spendere soldi per comprare zucchero a peso d'oro. […] Gli omeopati credono che ‘il simile cura il simile’, una malattia che causa debolezza è curata da una sostanza che causa la stessa debolezza, ma questo succede solo quando la sostanza utilizzata è diluita ripetutamente. Non esiste nessuna prova […] che per curare un sintomo bisogna assumere qualcosa che provoca lo stesso sintomo, questa ipotesi, risalente al 1800, non è mai stata dimostrata, nemmeno dagli omeopati. Più è diluita la sostanza più questa diventa ‘attiva’. Qualche preparazione omeopatica può presentare alcune molecole, ma […] quelle ad alta diluizione […] non contengono alcuna traccia della sostanza iniziale. Ha senso? No. Non può averne, ma questo è quello su cui si basa l’omeopatia”.

Scettica sull’efficacia dell’omeopatia anche Daniela Cipolloni, giornalista scientifica che in un suo articolo (Semplificazione in arrivo per i prodotti omeopatici, ma cosa sono?, “wired.it”, 29 agosto 2012) scrive: “la maggioranza di chi acquista prodotti omeopatici non sa esattamente cosa sta comprando”. Il principio su cui si fonda l’omeopatia “assomiglia al principio dei vaccini. Infatti anche per stimolare la reazione del sistema immunitario si somministrano piccole dosi di antigene (in genere, una molecola proveniente dal virus stesso). Ma questo paragone non regge. Mentre nei vaccini c’è effettivamente la dose di principio attivo che esercita il suo effetto terapeutico, nei prodotti omeopatici no. […] In un prodotto omeopatico non c’è più traccia della sostanza d’origine. Questa infatti viene ripetutamente diluita in acqua, fino a scomparire. È un fatto matematico”. E ancora: “il suo eventuale funzionamento andrebbe contro tutti i principi della chimica, della fisica, della biologia”. L’omeopatia non ha efficacia “a parte l’effetto placebo (che vale per qualunque cosa supponiamo ci faccia stare meglio). Il motivo per cui la maggioranza della comunità scientifica respinge l’omeopatia non è ideologico. Il problema è che centinaia di studi e sperimentazioni cliniche non sono mai riuscite a dimostrare che funzioni. Nonostante alcuni studi positivi tanto strombazzati (la maggior parte dei quali di rilevanza minore e pubblicati, guarda un po’, su riviste di omeopatia), le revisioni sistematiche della letteratura scientifica bocciano questo approccio (una rassegna si può consultare qui). Persino il National Center for Complementary and Alternative Medicine statunitense, dopo aver riversato milioni di dollari nella ricerca sulle terapie dolci, è arrivato alla conclusione che ‘esistono scarse evidenze che l’omeopatia abbia una qualche efficacia per qualsivoglia condizione clinica’”. E infine: i prodotti omeopatici “non provocano effetti tossici per lo stesso motivo per cui non hanno effetti terapeutici. Tuttavia, indirettamente, anche un prodotto omeopatico può esser pericoloso, se assunto per una patologia seria al posto di un farmaco vero e proprio di comprovata efficacia”.

 

I pareri di Silvio Garattini e Vittorio Bertelè

Nel 2010 sulla rivista “Ricerca & Pratica”, è stato pubblicato un editoriale ad opera di Silvio Garattini e Vittorio Bertelè dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano (Placebo e omeopatia, “Ricerca & Pratica”, 2010, 26, pp. 179-182). Secondo gli autori “di tanto in tanto viene evocato un presunto effetto placebo dell’omeopatia, quasi a giustificarne l’uso altrimenti indifendibile. Placebo e prodotti omeopatici presentano aspetti del tutto differenti”. L’editoriale prosegue con la definizione e la descrizione dei concetti di placebo ed omeopatia.
Il placebo, in quanto “sostanza innocua o […] intervento non farmacologico privi di efficacia terapeutica […] è deliberatamente somministrato alla persona che acconsente ad assumerlo come alternativa a un trattamento attivo di cui si voglia sperimentare l’efficacia o la sicurezza. L’uso del placebo quindi è legittimo solo a scopo sperimentale e solo in presenza del consenso informato del paziente; e, secondo la Dichiarazione di Helsinki, solo se non vi siano trattamenti di provata efficacia per la situazione clinica soggetta a sperimentazione”.
D’altro canto l’omeopatia, basata sul “concetto […] secondo cui ‘i simili si curano con i simili’, […] presume di trattare i pazienti che hanno determinati sintomi con dosi infinitesime di una sostanza che a dosi maggiori provocherebbe gli stessi sintomi in soggetti sani. I prodotti omeopatici, infatti, sono il risultato di progressive diluizioni di una sostanza di origine minerale, vegetale, animale o di sintesi. […] I prodotti omeopatici finiscono per non contenere altro che il solvente, senza neppure una molecola della sostanza presente nella soluzione originale. Tant’è vero che si potrebbero cambiare tutte le etichette dei prodotti omeopatici esposti sugli scaffali di una farmacia e nessuno se ne accorgerebbe, dato che non è possibile misurare prodotti attivi che non sono presenti”. Come conclusione del confronto tra i due concetti, Garattini e Bertelè sottolineano che, mentre “nella sperimentazione l’inutilità terapeutica del placebo è dichiarata, […] il prodotto omeopatico è deliberatamente somministrato alla persona facendole credere che esso sia un trattamento utile o addirittura necessario. Contrariamente all’uso del placebo, quindi, l’impiego del prodotto omeopatico è contrario alla deontologia medica perché si regge sulla mistificazione di un effetto non dimostrato e sul tradimento intellettuale del paziente”. Il paragone tra placebo e omeopatia è dunque, secondo gli autori, incongruo in quanto, mentre il primo “non è utilizzabile come terapia” e il suo utilizzo “dichiaratamente non ha scopi terapeutici, l’uso del prodotto omeopatico si basa sull’inganno, dichiara scopi terapeutici che non sono provati da adeguate sperimentazioni cliniche e che la legge non consente di indicare. Oltre che non etica, la difesa di un falso ruolo dell’omeopatia […] rappresenta un rischio per la salute pubblica perché allontana i pazienti da trattamenti efficaci e disincentiva la ricerca e lo sviluppo di farmaci innovativi”.

Successivamente, gli stessi Garattini e Bertelè, sulla medesima rivista nel 2011 (Pro e contro l’omeopatia, “Ricerca & Pratica”, 2011, 27, pp. 35-39) rispondendo alle lettere del dottor Giovanni Borsalino e del dottor Alberto Laffranchi inviate come replica all’editoriale, aggiungono che “la legislazione europea obbliga le autorità regolatorie ad autorizzare al commercio questi prodotti [omeopatici, NdR] senza però imporre i requisiti e le valutazioni che rende invece obbligatori per tutti gli altri farmaci. E ciò nonostante conferisce ai prodotti omeopatici la dignità di ‘farmaci’, il che in rovinosa successione fa definire ‘atto medico’ la pratica dell’omeopatia”. E ancora: “quando si è cimentata” in studi clinici controllati, “l’omeopatia non ha mai dimostrato di produrre un beneficio e […] in assenza di prove di efficacia e sicurezza degli interventi omeopatici […] il continuare a praticarli – e incoraggiare altri a farlo – potrebbe esporre i pazienti a rischi senza benefici. […] Se l’omeopatia e la medicina alternativa vogliono dotarsi di credibilità e decoro scientifico devono sottostare alle regole e alle prove che comunemente si adottano per documentare efficacia e sicurezza degli altri interventi medici. In assenza di queste, perplessità e scetticismo sono non solo leciti ma necessari a tutela della salute dei pazienti”.

 

Il caso televisivo: Piero Angela

Nel marzo 2004, il giornalista, scrittore e conduttore televisivo Piero Angela fu assolto dal Tribunale di Catania dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa rivoltagli da due associazioni di omeopati che lo hanno citato in giudizio: l’Associazione Italiana dei Medici Omeopatici e la Federazione Italiana delle Associazioni dei Medici Omeopatici. Come riportato anche da Annapaola Medina sul portale “Dica 33” (Omeopatia: è lettera aperta, 22 marzo 2002), al conduttore veniva contestato un servizio presentato nella puntata di “Superquark” dell’11 luglio 2000. Nel servizio, scrive Medina, “venivano descritti tutti i perché di pesanti critiche dalla comunità scientifica nei confronti di una cura che è oggi praticata da milioni di persone. […] Subito, però, la comunità scientifica si è schierata a favore del conduttore, che ha ricevuto messaggi e lettere di sostegno da parte di ricercatori e studiosi”. Di alcuni di essi Medina riporta le dichiarazioni in favore di Piero Angela in occasione della diatriba giudiziaria, tra cui Rita Levi Montalcini: “‘Ritengo che l’omeopatia non sia una cura alternativa, ma una non-cura! Mi rallegro, pertanto, con la trasmissione di Piero Angela; il danno maggiore di questa cosiddetta terapia è quello di illudere i pazienti incoraggiandoli a ricorrere a una cura che non ha alcun fondamento scientifico’”. O Renato Dulbecco: “‘I prodotti omeopatici sono solo dei pasticci senza alcun valore’”. E ancora, la Società Italiana di Immunologia, attraverso il suo presidente, il professor Alberto Mantovani: “‘I rimedi omeopatici non hanno dimostrato alcuna attività sul sistema immunitario in condizioni controllate. Si tratta, quindi, di una pratica priva di fondamento scientifico, potenzialmente dannosa per i pazienti, in particolare quando si sostituisce a profilassi e terapie di provata efficacia. Plaudiamo quindi al servizio sull’omeopatia di Super Quark per la coraggiosa presa di posizione’”. Infine, gli Ospedali Riuniti di Bergamo: tutti i venti primari hanno firmato una lettera in cui si complimentano con la RAI “‘per la trasmissione Superquark che ha offerto un reportage ampio, documentato e finalmente non ambiguo sull’omeopatia, interpretando l’autentico spirito di servizio pubblico’”.