Limiti alla libertà di espressione
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La libertà di espressione costituisce uno dei princìpi fondamentali degli ordinamenti democratici. Definibile anche come libera manifestazione del pensiero o libertà d’opinione, essa sancisce il diritto di ogni cittadino a esprimere liberamente le proprie convinzioni e idee, sia individualmente sia collettivamente. Il riconoscimento di tale diritto costituisce il fondamento di ampi ambiti del vivere civile, quali la politica, il credo religioso, l’espressione nell’arte e nelle scienze e trova la sua prima codificazione, nella storia moderna, con la costituzione americana del 1787. Fortemente limitata dai regimi totalitari e dalle dittature del Novecento, ancora oggi la libertà di espressione non è completamente riconosciuta nel mondo, spesso osteggiata per motivi politici, religiosi, culturali. Tuttavia, anche nelle democrazie in cui è pienamente riconosciuta, la libertà di espressione presenta dei limiti giuridici, generalmente indicati nelle costituzioni. Altri diritti e valori primari, quali il buon costume o morale pubblica, la dignità e la riservatezza della persona, l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, in forme e misure diverse, costituiscono generalmente dei limiti, di fronte ai quali anche un diritto basilare, come la libertà di espressione, può essere circoscritto. È opportuno accettare limiti alla libertà di espressione? Se sì, qual è la loro giusta misura?
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La libertà di espressione sancisce il diritto di ogni cittadino a esprimere le proprie convinzioni e idee. Ma anche nelle democrazie in cui è riconosciuta, la libertà di espressione presenta dei limiti giuridici, legati alla morale pubblica, alla dignità della persona, all’ordine pubblico e alla sicurezza. È opportuno limitare la libertà di espressione? Se sì, in che misura?
Nell’ambito dei limiti alla libertà di espressione, vi sono quelli posti a garanzia dell’ordine pubblico, della sicurezza, dell’autorità giudiziaria e a difesa di valori costituzionali. A fronte di chi sostiene che l’interesse dello Stato possa imporre dei limiti alla libertà di parola, di dissenso e di critica, c’è chi ritiene che le parole non possano mai essere processate.
La libertà di espressione, anche in democrazia, può avere dei limiti, come per i cosiddetti reati di opinione (propaganda e apologia sovversiva, vilipendio della Repubblica e delle istituzioni). Laddove la manifestazione di un’opinione risulta aggressiva dell’altrui sfera morale, ovvero non rispettosa dei parametri costituzionali previsti da un ordinamento, è giusto prevedere dei limiti.
Non vi è nessuna libertà o diritto che possa essere inteso come illimitato, senza considerare la possibile violazione di libertà e diritti altrui. Oggi i media sono spesso così privi di responsabilità morale che la libertà di stampa rischia di trasformarsi in uno strapotere superiore ai poteri classici dello Stato di diritto: esecutivo, legislativo e giudiziario.
La rivendicazione della libertà d’espressione è sacrosanta. Tutte le opinioni meritano rispetto e pensare a società moderne che si prefiggano di controllare tale libertà apre al rischio della “società della sorveglianza”. Bisogna avere consapevolezza del sottile confine che può esistere tra l’imposizione di limiti alla libertà di espressione e il concedere spazio a forme di vera e propria censura.
La libertà di espressione è sì un diritto, ma ha bisogno del limite della prudenza, in virtù della convivenza umana. A sostegno di un limite si è pronunciato, nel 2015, papa Francesco, riguardo alle vignette satiriche su Maometto e sull’Islam, che avrebbero causato l’attacco terroristico di Parigi, alla sede del giornale “Charlie Hebdo”.
Non si può limitare la libertà di espressione, nemmeno a rischio di ferire convinzioni religiose, morali e politiche altrui. Tale diritto dev’essere senza limitazioni, fatte salve le leggi a tutela della dignità della persona, altrimenti si rischierebbe di legittimare forme di censura. Nel mondo intellettuale si critica molto l’imposizione di tale limite, che svuoterebbe il diritto di significato.
Non si processano mai le parole
La libertà di espressione, anche negli ordinamenti democratici, può avere dei limiti, come i cosiddetti reati di opinione che comprendono i delitti contro la personalità dello Stato (propaganda e apologia sovversiva, vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali). Laddove la manifestazione di un’opinione risulta aggressiva dell’altrui sfera morale, ovvero non rispettosa dei parametri costituzionali previsti da un ordinamento, è giusto prevedere dei limiti.
Nell’ambito dei limiti che si possono prevedere alla libertà di espressione, vi sono quelli posti a garanzia dell’ordine pubblico, della sicurezza, dell’autorità giudiziaria e a difesa di valori costituzionali considerati intoccabili, come l’immagine dello Stato e delle sue massime istituzioni o la religione. A fronte di chi sostiene che, di fronte a tali valori, l’interesse supremo dello Stato, purché sia un ordinamento democratico, possa imporre dei limiti alla libertà di parola, di dissenso e di critica, c’è chi invece ritiene che le parole non possano mai essere processate, anche se lette o interpretate come controcorrente, pericolose, o addirittura sovversive.
Limitare la libertà di espressione non significa introdurre una censura oscurantista, ma assumersi responsabilità politiche, spesso a difesa dei più deboli
Non vi è nessuna libertà o diritto tra quelli riconosciuti dalle democrazie contemporanee che possa essere inteso come illimitato, senza considerare la possibile violazione di libertà e diritti altrui, altrettanto meritevoli di tutela. Ciò vale anche per la libertà di espressione che, se esercitata senza la consapevolezza dell’esistenza di limiti, rischia di trasformarsi in un arbitrio irresponsabile in grado di danneggiare i più deboli. Oggi i media sono spesso così privi di etica o responsabilità morale che la libertà di stampa, da originaria costola della libertà di espressione, rischia di trasformarsi in uno strapotere, addirittura superiore ai poteri classici dello Stato di diritto: quelli esecutivo, legislativo e giudiziario.
La rivendicazione della libertà di espressione è sacrosanta, anche se terribilmente impegnativa, come nei casi in cui occorra riconoscerla alle manifestazioni di opinioni estreme o fondamentaliste. Tutte le opinioni, anche quelle più sgradite, meritano rispetto, in onore alla frase attribuita a Voltaire e citata in più occasioni: “Non sono d’accordo con quel che dici, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di farlo”. Pensare a società moderne che si prefiggano di controllare questa libertà, apre al rischio della “società della sorveglianza”, come magistralmente raccontato in due libri chiave del Novecento, Il mondo nuovo di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. Anche la società della trasparenza totale è un rischio. Bisogna avere consapevolezza del sottile confine che può esistere, in un ordinamento democratico, tra l’imposizione di limiti alla libertà di espressione e il concedere spazio pericoloso a forme di vera e propria censura.
La libertà di espressione deve tenere conto della realtà umana e perciò deve essere prudente
La libertà di espressione è sì un diritto fondamentale dell’uomo sul quale tutti si è di principio d’accordo, che però ha bisogno del limite della prudenza, come virtù della convivenza umana. A sostegno dell’opinione che in determinate situazioni e di fronte a certe sensibilità anche un diritto fondamentale come la libertà di espressione possa in qualche modo essere limitato o autodisciplinato, si pronuncia nel 2015 papa Francesco, la massima autorità religiosa cattolica, riguardo alle vignette satiriche su Maometto e sull’Islam, che avrebbero causato l’attacco terroristico di Parigi alla sede del giornale “Charlie Hebdo”. L’opinione espressa dal papa è tra le più rappresentative e autorevoli tra chi accetta l’idea della necessità di autodisciplinare la propria libertà di espressione di fronte al pericolo di ferire sentimenti e sensibilità profonde altrui, che potrebbero suscitare reazioni sicuramente ingiuste, ma umane.
Non si possono porre limiti alla libertà di espressione, nemmeno di fronte al rischio di ferire le valide e profonde convinzioni religiose, morali e politiche altrui. Tale diritto dev’essere riconosciuto in modo integrale, senza limitazioni, fatte salve le leggi specifiche a tutela della dignità della persona, come i reati dell’ingiuria e della diffamazione, in genere contemplati dagli ordinamenti democratici. Se può considerarsi più o meno opportuno esternare certe convinzioni, in ambiti pubblici come quelli della rappresentanza politica e religiosa, dal punto di vista dell’espressione individuale, ammettere e codificare dei limiti alla libertà di espressione e di parola esporrebbe all’ancora più grave rischio di legittimare delle forme di censura alla piena libertà di espressione dell’individuo.
Soprattutto nel mondo intellettuale, rappresentato da scrittori, filosofi, giornalisti, vignettisti e artisti, l’idea che si possano porre dei limiti alla libertà di espressione, che siano di natura morale, religiosa, politica o giuridica, raramente viene accettata, temendo che l’imposizione di un qualsiasi limite svuoterebbe di significato tale diritto.