L’Italia non fa abbastanza per integrare i rom
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Sicurezza e legalità, integrazione e mass media: si gioca su queste componenti l’esperienza italiana del fenomeno rom, questione percepita come pregnante nel dibattito nazionale ma di cui manca una percezione condivisa. E se da un lato sono gli stessi numeri a rendere particolarmente ardua una classificazione della presenza dei rom in Italia, al contempo è il dibattito pubblico a suscitare le maggiori perplessità, essendo costantemente sospeso tra accuse di buonismo, episodi di cronaca nera e facili stereotipi. I rom, sebbene presenti in Italia da secoli, sono tornati prepotentemente sotto i riflettori a seguito dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea. A partire dal 2007 si è innescato un complesso meccanismo caratterizzato da confusione terminologica, scarso controllo dei numeri, istanze di integrazione e costanti riferimenti ai temi della sicurezza e della legalità. Tutto questo, con il sistema politico e i mass media incapaci di veicolare un messaggio coerente e propositivo. In un’ottica di respiro comunitario ed europeo, in cui la dimensione umana si sovrappone a quella sociopolitica e istituzionale, sembrano significative le parole di Andrzej Stasiuk (Io ballo con gli zingari, “L’Espresso”, 28 dicembre 2007, trad. it. a cura di Laura Quercioli Mincer), scrittore, giornalista e critico letterario polacco: “La vera sfida europea è la continuità degli zingari in quella forma che essi stessi sceglieranno. È qui che il nostro essere europei giunge a compimento”.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Sicurezza, legalità, integrazione sono i termini che animano il dibattito intorno ai rom. L’incertezza dei numeri rende ardua una classificazione della presenza dei rom in Italia, ma le maggiori perplessità sono suscitate dal dibattito pubblico e dal lavoro dei mass media, costantemente sospesi tra accuse di buonismo, episodi di cronaca nera e facili stereotipi.
Luoghi comuni e stereotipi riguardo ai rom trovano nei mass media una straordinaria cassa di risonanza. Quotidiani e telegiornali, blog e informazione online, hanno una elevata capacità di penetrazione nella coscienza comune e, come dimostrato da una serie di studi, rappresentano i principali veicoli della cultura del sospetto e dell’esclusione, che vede proprio nei rom un facile bersaglio.
È doveroso per i mass media denunciare all’opinione pubblica segmenti della società mal controllati dalle istituzioni. Al di là del buonismo, i mezzi d’informazione devono esercitare in piena libertà il diritto/dovere di cronaca, anche quando si tratta di comunità rom, spesso lontana da una percezione condivisa di legalità e restia ad accettare regole e costumi tipici della cittadinanza italiana.
Sul sito della Commissione Europea si legge: “le istituzioni europee e tutti i Paesi dell’UE hanno la responsabilità comune di migliorare la vita dei cittadini Rom”. Per l’Ufficio Antidiscriminazioni Razziali, si deve “assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita […]”.
In Italia è problematico articolare programmi per favorire l’integrazione dei rom nel tessuto locale. Le indagini evidenziano da un lato la difficoltà da parte degli apparati statali di creare efficaci piani per l'integrazione, dall'altro la volontà dei rom di mantenere intatte le proprie peculiarità, anche quando queste sono in contrasto con i caratteri socioculturali del paese ospitante.
Il rapporto critico tra rom e legalità, evidenziato da numerosi studi, resta oggetto di un dibattito controverso. La bassa percentuale di rom inseriti in contesti lavorativi e scolastici è a volte frutto di diffidenza verso l'organizzazione statale e di un sentimento di non appartenenza provato dai rom.
Ad alzare un muro invisibile tra rom e contesti come la scuola e il lavoro, sono soprattutto le pratiche discriminatorie del paese di accoglienza. Come afferma Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa: quando le pratiche di integrazione funzionano, quello stesso muro che separa i rom dalla comunità circostante e da una piena condizione di legalità si sgretola.
I dati sulla criminalità e sull’abbassamento della sicurezza percepita sono connessi al crescente numero di rom provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est. Sia nella società civile che nel mondo politico molti invitano a porre un freno a questo flusso di immigrazione incontrollata. Tra le posizioni più critiche, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini.
E' diffusa l’idea per cui i rom sarebbero propensi ad azioni criminali. Mass media e politici li dipingono come ladri, rapitori di bambini, sfruttatori, allergici al lavoro e alla legge. Numerosi gli studi, però, provano che questa è una visione nata da stereotipi e pregiudizi. Laura Boldrini risulta tra i maggiori interpreti di una visione improntata all’accoglienza.
I mass media hanno un ruolo decisivo nel diffondere stereotipi e pregiudizi sui rom e alimentare il razzismo
“Sono sporchi, parassiti, rubano nelle case, rapiscono i bambini, mandano i figli a chiedere l’elemosina, non lavorano e lo Stato aiuta loro piuttosto che gli italiani”, sono solo una serie dei luoghi comuni riguardo ai rom che trova nei mass media una straordinaria cassa di risonanza. Quotidiani e telegiornali, ma anche blog e informazione online, dispongono di una elevata capacità di penetrazione nella coscienza comune e proprio per questo, come dimostrato da una serie di studi, rappresentano i principali veicoli della cultura del sospetto e dell’esclusione, che vede proprio nei rom un facile bersaglio. Ad utilizzare parole che etichettano ed escludono sono giornalisti, intellettuali, uomini politici, che proprio grazie a questi messaggi accentuano le distanze e ostacolano il processo di integrazione. Ne è convinto Carlo Stasolla, presidente dell’Osservatorio 21 Luglio, per il quale “stereotipi e pregiudizi [intorno ai rom vengono volutamente] alimentati da esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato” (Gabriele Carchella, Razzismo, un caso al giorno di cattiva informazione e odio contro rom e sinti, “Il Fatto Quotidiano”, 27 settembre 2013).
A fronte di numeri e statistiche che descrivono un legame evidente tra presenza rom e illegalità, è legittimo e doveroso per i mass media denunciare all’opinione pubblica segmenti della società mal controllati dalle istituzioni. Al di là di prospettive votate al buonismo o, peggio, a intercettare certa parte dell’elettorato, i mezzi di informazione sono chiamati ad esercitare in piena libertà il diritto/dovere di cronaca, anche quando si tratta di comunità come quella dei rom, spesso lontana da una percezione condivisa di legalità e restia ad accettare regole e costumi tipici della cittadinanza italiana. Quando i fatti sono circostanziati e recanti testimonianze autorevoli, gli organi di informazione, come tra l’altro sancito dall’articolo 21 della Costituzione (Cfr. La Costituzione, Parte I, Diritti e doveri dei cittadini, Articolo 21, “senato.it”) e dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (Cfr. Dichiarazione Universale dei Diritti umani, art. 19, “ohchr.org”), sono tenuti ad informare i cittadini “nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al loro lavoro [...] compiendo ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici” (Carta dei doveri del giornalista, Documento CNOG – FNSI 8 luglio 1993, “odg.it”, 20 febbraio 2009).
È necessario e verosimile puntare ad una piena integrazione dei rom nella società italiana
È necessario e verosimile articolare programmi tali da favorire l’integrazione dei rom nel tessuto locale sia per le comunità stanziali, presenti in Italia da secoli, sia per i gruppi di immigrati provenienti dall’Europa dell’Est. Tutto ciò è ribadito dall’Unione Europea che invita a sfruttare in questo senso le risorse a disposizione. Così sul sito della Commissione Europea: “le istituzioni europee e tutti i Paesi dell’UE hanno la responsabilità comune di migliorare la vita dei cittadini Rom” (L'UE e i rom, “ec.europa.eu”, 27 novembre 2014).
Per l’Ufficio Antidiscriminazioni Razziali della presidenza del Consiglio dei Ministri, l’obiettivo è quello di “assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita, renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l’esercizio e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione Italiana e dalle Convenzioni internazionali” (Strategia nazionale d’inclusione di rom, sinti e camminanti,“ec.europa.eu”, 28 febbraio 2012, p. 23).
Rispetto ad immigrati di altre nazionalità, l’esperienza italiana con la popolazione rom mostra la difficoltà di mettere in atto politiche di integrazione realmente efficaci. Sia quando si parla di comunità stanziali, presenti in Italia da secoli, sia per quanto concerne immigrati provenienti in larga parte dall’Europa dell’Est, risulta problematico articolare programmi mirati per favorire l’integrazione dei rom nel tessuto locale. Le indagini evidenziano da un lato la difficoltà da parte degli apparati statali di creare efficaci piani per l'integrazione, dall'altro la volontà, da parte dei rom, di mantenere intatte le proprie peculiarità, anche quando queste sono in contrasto con i caratteri socioculturali del paese ospitante. E se in Francia è addirittura il primo ministro socialista Manuel Valls ad alzare bandiera bianca: “Integrare i Rom in Francia non è possibile. Non ci sono soluzioni alternative allo smantellamento dei campi nomadi e al rinvio dei Rom alla frontiera” (Fuori i Rom: è bufera sul ministro francese, “Il Sole 24 Ore”, 25 settembre 2013), anche in Italia si registrano crescenti perplessità circa la possibilità di giungere ad una soluzione del problema
I rom vivono al di sopra della legge: rifiutano scuola, lavoro e tasse
Discutere di legalità e adeguamento al sistema giuridico è decisamente complesso quando sono chiamati in causa cittadini residenti in Italia da secoli, relegati ai margini della società e indotti a un rapporto conflittuale con l’autorità. Oltre alla vasta comunità di rom e sinti presenti da anni sul territorio italiano, a fare le spese di un sistema fondato sull’esclusione sociale troviamo oggi anche i nomadi giunti dai paesi dell’Est, riuniti dall’opinione pubblica sotto l’etichetta comune di zingari e tacciati a priori di una presunta “allergia” alla legalità. Al contrario, ad alzare un muro invisibile tra rom e contesti come la scuola e il lavoro, sono soprattutto le pratiche discriminatorie perpetrate nel paese di accoglienza. Come affermato da Thomas Hammarberg, già commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, quando le pratiche di integrazione funzionano, quello stesso muro che separa i rom dalla comunità circostante e da una piena condizione di legalità si sgretola.
Se il sistema dei diritti e dei doveri dei cittadini trova una prospettiva condivisa dall’opinione pubblica, quando si parla di settori cardine quali lavoro, scuola, fisco, sanità e alloggi, la questione risulta complessa nel momento in cui gli stessi temi sono accostati alla comunità rom presente nel nostro paese. Il rapporto critico tra rom e legalità, evidenziato da numerosi studi, resta oggetto di un dibattito controverso. La bassa percentuale di rom inseriti in contesti lavorativi e scolastici è a volte frutto di diffidenza verso l'organizzazione statale e di un sentimento di non appartenenza. In quest'ottica, a seguito dello sgombero di un campo abusivo alla periferia di Roma, il sindaco di centrosinistra Ignazio Marino preciserà di sentirsi: “garantista con i Rom […] se rispettano la legge, altrimenti non possiamo garantire i diritti perché questa è una città che deve in ogni luogo tornare alla legalità” (Viola Giannoli, Prati Fiscali, sgomberato insediamento abusivo, “La Repubblica”, 9 luglio 2014).
C’è un collegamento diretto tra la percezione di insicurezza dei cittadini e la presenza sempre più consistente dei rom nelle città italiane
E' largamente diffusa nell’opinione pubblica l’idea secondo cui i rom sarebbero propensi ad azioni delittuose e comportamenti criminali. Mass media ed interventi politici spregiudicati li dipingono come criminali, ladri, rapitori di bambini, sfruttatori del lavoro minorile e in generale come nomadi senza speranza, allergici al lavoro e alla legge. Al contrario, sono numerosi gli studi e le inchieste che provano come questa visione sia sostanzialmente frutto di stereotipi e pregiudizi. Tante le voci che si sollevano contro tali credenze, puntando il dito contro ghettizzazione, ignoranza e politiche di gestione controproducenti. Laura Boldrini, presidente della Camera dei Deputati, risulta tra i maggiori interpreti di una visione improntata all’accoglienza e al superamento dei pregiudizi, non risparmiando al contempo critiche pesanti alle istituzioni: “Chi ha una responsabilità pubblica deve fare ragionamenti di sostenibilità sociale [...] far passare il messaggio che la maggior parte di loro ruba è come dire che tutti gli italiani sono mafiosi” (Andrea Malaguiti, Boldrini: la politica latita e pagano i più fragili, gli immigrati e le periferie, “La Stampa”, 15 novembre 2014).
I dati sulla criminalità e sull’abbassamento della sicurezza percepita nelle città italiane sono impietosi e disegnano un intreccio diretto con il crescente numero di rom provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est. Oltre ai gruppi presenti in Italia da secoli, sono le nuove ondate provenienti in gran parte dalla Romania ad allarmare l’opinione pubblica. Rinchiusi in baraccopoli dove prospera la delinquenza e l’illegalità, migliaia di disperati si ritrovano a vivere a poca distanza da quartieri un tempo tranquilli nelle periferie delle città italiane, rendendosi spesso protagonisti di gravi casi di cronaca nera. Sia nella società civile che nel mondo politico non mancano voci autorevoli che invitano a porre un freno alla deriva criminale di questo flusso di immigrazione incontrollata. Tra le posizioni più critiche, si segnala quella del segretario federale della Lega Nord, Matteo Salvini, che denuncia: “[I cittadini] non ne possono più dei furti dei Rom [contro i quali] lo Stato non fa nulla, lasciando i cittadini in balia di questa gente” (Paolo Grumelli, Salvini fa il pieno in Abruzzo, mille persone a Montesilvano per il leader della Lega, “ViverePescara.it”, 7 febbraio 2015).