Divorzio breve
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Se nell’Italia contemporanea il divorzio rappresenta un istituto giuridico di incontestabile rilevanza sociale e di diffusa applicazione pratica, nel corso del XX secolo la dissolubilità del vincolo matrimoniale ha costituito uno dei principali terreni di scontro politico e culturale. A prevalere furono i sostenitori delle tesi divorziste: la legge n. 898/1970, che introdusse per la prima volta il divorzio nell’ordinamento italiano, venne successivamente confermata con il referendum popolare del 1974.
Nell’esperienza applicativa, il maggior numero dei procedimenti di divorzio costituisce il “secondo tempo” di una sequenza giudiziaria che ha inizio con la separazione personale dei coniugi. La versione originaria della legge imponeva, in tale ipotesi, il decorso di un periodo di tempo non inferiore a cinque anni dalla separazione, poi ridotti a tre nel 1987. L’ulteriore accorciamento del “periodo finestra” ha recentemente acceso un vivace dibattito, che ha visto schierarsi, da un lato, i sostenitori della riforma, ritenuta necessaria per adeguare la norma ai mutamenti sociali e alle sempre più pressanti richieste dei cittadini, dall'altro coloro i quali hanno rigettato a gran voce la proposta affermando che l’abbreviazione dei termini, indebolendo il vincolo matrimoniale, priva di fondamento la famiglia e produce effetti sociali disastrosi.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La legge sul Divorzio breve ha riacceso un vivace dibattito intorno allo scioglimento del vincolo matrimoniale, in cui si contrappongono i sostenitori, che la ritengono necessaria per adeguare la norma ai mutamenti sociali, e coloro i quali affermano che l’abbreviazione dei termini indebolisce il vincolo matrimoniale e priva di fondamento la famiglia.
Introdurre il divorzio breve significa delegittimare il matrimonio, equiparandolo ad un contratto economico. I legami diventano più precari e i coniugi sempre meno responsabili. Si svuota di significato la dichiarazione dell’art. 29 della Costituzione che sul vincolo coniugale fonda la famiglia e la società. Il divorzio breve, pertanto, è una via che porta a disgregare la stessa società.
Il divorzio breve non mette a rischio il valore della famiglia, ma adatta la legislazione al modello socio-culturale oggi prevalente. È quando si rinchiude la famiglia in un modello tradizionale che non esiste più, che la si rende marginale e priva di fascino per i giovani. Le lungaggini per sciogliere il vincolo rappresenta un deterrente che rende il matrimonio poco appetibile per i giovani.
Le principali vittime del divorzio breve sono i figli minori, meno tutelati e più in balìa dell’irresponsabilità dei genitori. I bambini sono i veri soggetti deboli, perché soffrono di più senza avere il tempo di elaborare il lutto. Occorre, pertanto, una maggiore cautela nel caso in cui la coppia abbia figli minori, prevedendo un più lungo periodo e azioni di sostegno e di mediazione.
La riduzione dei tempi per il divorzio ha ripercussioni positive sui figli minori, poiché riduce i conflitti tra i genitori. I bambini traggono benefici dalla definizione della situazione familiare e non dal permanere dell’instabilità. Il rischio di una minor tutela per i minori non sussiste, poiché l’interesse degli stessi è tutelato dall’intervento del giudice, nell’ambito dell’affidamento.
Bisogna ridurre i tempi per il divorzio per adeguarsi agli altri Stati europei. L’arretratezza dell’Italia rispetto al resto d’Europa ha favorito il fenomeno del turismo divorzile: un flusso sempre crescente di coppie, al fine di ottenere il divorzio in tempi più brevi, si reca all’estero applicando la più favorevole normativa di altri Stati dell’Unione, rendendo il divorzio un “bene di lusso”.
In Italia, i divorzi sono circa la metà della media europea; una caratteristica virtuosa che merita di essere salvaguardata. Pertanto, le istanze di adeguamento della legislazione italiana agli ordinamenti degli altri paesi europei sono prive di fondamento e non devono essere accolte. Inoltre, con il divorzio breve si rinnega questa specificità italiana perché si asseconda la crisi della famiglia.
Abbreviare i tempi di attesa per il divorzio riduce la conflittualità tra i coniugi e all’interno della famiglia. Se il fallimento è irrevocabile, tempi lunghi aggiungono esasperazione a una situazione già difficile. Inoltre, solo il 2% delle coppie che si separa poi si riconcilia: nella maggioranza dei casi, chi si rivolge al tribunale ha già maturato una scelta irreversibile.
Per ridurre la conflittualità all’interno della famiglia non si devono abbreviare i tempi del divorzio, ma predisporre strumenti come i percorsi di mediazione familiare. Una società che semplifica il divorzio si arrende dinanzi alle difficoltà delle coppie. Tempi troppo brevi tra la separazione e il divorzio impediscono ai coniugi di riflettere su eventuali margini di superamento del conflitto.
Secondo i dati dell’Eurispes, l’84% degli italiani intervistati è favorevole al divorzio breve. Il 40% dei separati non arriva al divorzio, ma non perché stiano valutando una riconciliazione, ma perché attende di avere le risorse per avviare un costoso procedimento giudiziario. Il divorzio breve è un’opportunità per i coniugi, che potranno comunque scegliere di mantenere lo status di separati.
Non si può snaturare il matrimonio: il divorzio non è un diritto, ma una extrema ratio e, abbreviando i tempi del divorzio, si rischia di banalizzarne la funzione. Il divorzio breve aumenta il distacco tra i tempi legali e i tempi interiori, che sono più lunghi. Il 40% delle separazioni non si trasforma in divorzio o questo è chiesto dopo un periodo più lungo di quello previsto dalla legge.
La riduzione dei tempi del divorzio può avere disastrose ripercussioni sulla famiglia e sull’intera società
Il divorzio breve non mette a rischio il valore della famiglia, ma semplicemente adatta la legislazione al modello socio-culturale oggi prevalente, senza che da ciò scaturiscano irreparabili lacerazioni del tessuto sociale. Al contrario, è quando si rinchiude la famiglia in un modello tradizionale, che non esiste più nella società italiana, che la si rende marginale e priva di fascino per le nuove generazioni. Proprio le lungaggini e le difficoltà di sciogliere il vincolo, infatti, rappresentano un forte deterrente che rende il matrimonio poco appetibile agli occhi dei giovani.
Impedire alla coppia di sciogliere il vincolo in tempi brevi, inoltre, non è altro che una forma di paternalismo statale che vuole costringere la coppia ad attendere degli anni prima di poter divorziare, come se due persone adulte non possano essere capaci di decidere autonomamente e responsabilmente le sorti della loro unione.
Introdurre il divorzio breve significa delegittimare e banalizzare il matrimonio, equiparandolo ad un contratto avente ad oggetto relazioni meramente economiche. I legami diventano sempre più precari e i coniugi sempre meno responsabili, poiché non appena sorgerà un problema nella coppia, sarà più facile rimuoverne la prima causa piuttosto che affrontarlo.
Così facendo, però, si svuota di significato la solenne dichiarazione dell’articolo 29 della Costituzione che sul vincolo coniugale fonda la famiglia, attribuendo al matrimonio un fondamentale valore sociale ed un importante rilievo pubblico.
Anticipare i tempi per disfare la famiglia, pertanto, costituisce una via che porta a disgregare la stessa società che sulle famiglie si regge, con disastrosi effetti a breve e a lungo tempo. Da un lato, infatti, si incentiva la rottura dei matrimoni, aumentando esponenzialmente il numero dei divorzi; dall’altro, si provoca un vuoto nella cultura delle nuove generazioni, che perderanno il senso dell’impegno assunto attraverso il matrimonio. Con la conseguenza che, in ossequio alla teoria del piano inclinato, anche la società sarà più debole, fragile e frammentata.
L’introduzione del divorzio breve può arrecare gravi pregiudizi ai figli minori
La riduzione dei tempi per addivenire al divorzio ha ripercussioni positive sui figli minori, perché permette di ridurre la conflittualità tra i genitori, che necessariamente si riverbera sui figli. Inoltre, i bambini traggono benefici dalla definizione della situazione familiare, poiché la loro sofferenza è acuita dal permanere di un contesto di instabilità e false speranze.
In concreto, il pericolo di una minore tutela per i minori non sussiste, poiché l’interesse degli stessinel contesto della crisi coniugale è già ampiamente tutelato dall’intervento del giudice, previsto per regolare l’affidamento dei figli in caso di scioglimento della coppia, sia essa coniugata o di fatto. Spetta, piuttosto, ai genitori impegnarsi personalmente al fine di non scaricare la propria rabbia sulle spalle dei figli, facendo così un gesto di responsabilità per tutelarli e ridurne il più possibile la sofferenza.
Le principali vittime dell’abbreviazione dei termini per il divorzio sono i figli minori, sempre meno tutelati e sempre più in balìa dell’irresponsabilità dei genitori. I bambini sono i veri soggetti deboli perché, avendo meno capacità e risorse personali per affrontare la situazione, soffrono maggiormente senza avere il tempo di elaborare il lutto.
Occorre, pertanto, una maggiore cautela nel caso in cui la coppia abbia figli minori, prevedendo un più lungo periodo di separazione o, quantomeno, delle azioni di sostegno e di mediazione che accompagnino le coppie e le aiutino a rendere la separazione meno traumatica per i figli.
Il divorzio breve allinea l’Italia al resto d’Europa e riduce il fenomeno del turismo divorzile
È necessario ridurre i tempi per il divorzio per adeguarsi agli altri Stati a noi più vicini per tradizione e disciplina giuridica, considerato altresì che l’istituto della separazione quale condizione per il divorzio costituisce un’eccezione nell’area europea presente solo in Italia, in Irlanda del Nord e a Malta.
L’arretratezza dell’Italia rispetto al resto d’Europa ha favorito, inoltre, il fenomeno del turismo divorzile: difatti, un flusso sempre crescente di coppie, al fine di ottenere in tempi più brevi lo scioglimento del matrimonio, si reca all’estero applicando la più favorevole normativa di altri Stati dell’Unione Europea, come Spagna o Romania, creando così situazioni di forte disparità e rendendo il divorzio un “bene di lusso”.
In Italia, la percentuale dei divorzi è circa la metà della media europea. Si tratta di una caratteristica virtuosa che, lungi dall’essere classificata come sintomo di scarsa modernità rispetto al resto d’Europa, merita di essere tutelata e salvaguardata. Pertanto, le istanze di adeguamento della legislazione italiana agli ordinamenti degli altri paesi europei sono prive di fondamento e non devono essere accolte. Inoltre, con il divorzio breve si rinnega questa specificità italiana perché si asseconda, invece che arginarla, la crisi della famiglia.
L’abbreviazione dei tempi per il divorzio permette di ridurre la conflittualità tra i coniugi senza ostacolare la possibilità di un ripensamento
Grazie al divorzio breve, la cultura della famiglia prevale sulla cultura del contenzioso, perché abbreviare i tempi di attesa dalla separazione al divorzio consente di ridurre la conflittualità tra i coniugi e all’interno della famiglia. Se il fallimento è chiaro e irrevocabile, è ingiusto perdersi in lunghe battaglie giudiziarie che finiscono solo per aggiungere esasperazione ad una situazione già di per sé logorata, provocando ulteriori tensioni che si ripercuotono negativamente sul coniuge con minore autonomia finanziaria e costretto talvolta a subire ricatti, minacce e violenze.
Inoltre, non è un tempo più lungo a permettere a due persone che non vogliono più condividere la propria vita di restare insieme. La forzatura normativa, infatti, non ha agevolato i ripensamenti, poiché solo il 2% delle coppie che si separa poi si riconcilia: nella stragrande maggioranza dei casi, dunque, chi si rivolge al tribunale ha già maturato una scelta irreversibile, e la lunga pausa di riflessione tra separazione e divorzio imposta dalla legge appare del tutto inutile.
Per ridurre la conflittualità all’interno della famiglia non si devono abbreviare i tempi del divorzio, bensì predisporre strumenti ad hoc come, ad esempio, dei percorsi di mediazione familiare. Una società che semplifica il divorzio, anziché aiutare i coniugi a ritrovare l’unità, è una società che si arrende dinanzi alle difficoltà delle coppie e che le abbandona alle loro crisi e ai loro problemi.
Tempi troppo brevi tra la separazione e il divorzio, inoltre, impediscono ai coniugi di riflettere su eventuali margini di superamento del conflitto, escludendo così ogni possibilità di riconciliazione e ripercuotendosi sul coniuge più debole sotto il profilo economico e psicologico, che viene costretto a fare un accordo a delle condizioni che, se avesse avuto più tempo a disposizione per riflettere e per superare la fase di criticità psicologica, probabilmente non avrebbe accettato.
La legislazione italiana in materia di divorzio deve adeguarsi alle istanze dei cittadini e alla complessità della realtà
Secondo i dati raccolti dall’Eurispes in un sondaggio pubblicato nel 2014, (Divorzio breve: l’opinione degli italiani) l’84% degli italiani intervistati si dichiara favorevole a rendere più rapido il procedimento di divorzio, il quale complica enormemente la loro vita, con costi notevoli in termini economici e di tempo. Poiché l’Italia è uno Stato laico e il compito del Parlamento è proprio quello di intervenire allorquando si registri una sofferenza in un determinato settore del paese, non si può chiedere a tanti cittadini di attendere ancora a lungo per vedere riconosciuta la propria libertà di autodeterminazione, che comprende anche la scelta su modalità e tempistiche del divorzio, nonché il diritto di formalizzare le scelte di vita maturate nel frattempo.
Peraltro, se il 40% dei separati non arriva al divorzio, ciò non significa che gli stessi stiano meditando sulla rottura o valutando una riconciliazione, ma che attendono di avere le risorse economiche sufficienti per avviare un nuovo, costoso procedimento giudiziario. Il divorzio breve costituisce un’opportunità per i coniugi, che potranno comunque scegliere di non proseguire e di cristallizzare il loro status di separati.
I cittadini chiedono una riduzione dei tempi del divorzio, ma non si può restituire loro un istituto snaturato nel suo rilievo e nel suo valore: il divorzio non può essere inteso come un diritto, ma è un’extrema ratio. Abbreviarne i termini può apparire un riconoscimento della libertà individuale, ma si rischia di banalizzarne la funzione, che è piuttosto la presa d’atto da parte dell’intera società di una gravissima frattura dell’ordine familiare che rende indispensabile l’intervento pubblico a sua difesa.
Introducendo il divorzio breve, inoltre, si amplifica lo scollamento tra i tempi legali e i tempi interiori, che sono molto più lunghi perché impongono di elaborare il lutto e di riorganizzare la propria vita e quella dei figli, se presenti, prima di poter ricominciare. D’altra parte, non vi è neppure una reale esigenza sociale di riduzione dei tempi legali, posto che circa il 40% delle separazioni non si trasforma in un divorzio: molte coppie, dunque, tendono a muoversi con prudenza, evitando di avviare le procedure per lo scioglimento del matrimonio o chiedendo il divorzio solo dopo un periodo di separazione assai più prolungato di quello minimo previsto dalla legge.