Sacerdozio femminile
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Le argomentazioni con le quali la Chiesa cattolica preclude alle donne il servizio sacerdotale spaziano dalla rivendicazione della fedeltà alla tradizione, all'esempio diretto di Cristo che non investì durante l'ultima cena alcuna donna alla missione dell'apostolato, ad argomentazioni di stampo teologico incentrate sugli aspetti simbolici del rito eucaristico. Si afferma che la necessità della rappresentazione da parte del celebrante della figura di Cristo preclude alle donne tale ruolo, sia per ragioni di naturale somiglianza con l'oggetto simbolizzato, sia per motivi inerenti l'impianto matrimoniale della simbologia del rito, per la quale Cristo è sposo e la Chiesa sposa. I temi della fedeltà alla tradizione e all'esempio di Cristo vengono messi in discussione dalla teologia femminista tramite la ricerca storico-filologica, che mostra come l'uso dell'ordinazione femminile fosse vivo per tutto il primo millennio, e con l'affermazione della presenza di limiti e condizionamenti storico-culturali nell'espressione del messaggio di Gesù o almeno nella sua trasmissione. Gli aspetti riguardanti il simbolismo eucaristico non sfuggono a una radicale messa in questione, che consta soprattutto della riflessione sui presupposti androcentrici che lo informano (cui la Chiesa contrappone la centralità di Maria e la teoria della complementarietà dei sessi) e della rivendicazione della piena eguaglianza spirituale di tutti i cristiani proclamata da san Paolo nella Lettera ai Galati.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Le argomentazioni con le quali la Chiesa cattolica preclude alle donne il sacerdozio –messe in discussione dalla ricerca storico-filologica della teologia femminista – vanno dalla rivendicazione della fedeltà alla tradizione, all'esempio diretto di Cristo, che non coinvolse donne nell'apostolato, ad argomentazioni di stampo teologico, incentrate sugli aspetti simbolici del rito eucaristico.
Non tutto l'ambiente del femminismo cattolico spinge per l'ammissione delle donne al servizio sacerdotale. Tale ammissione, anziché scardinare il sistema maschilista, lo rafforzerebbe. Non è necessario spingere per l'ordinazione delle donne, ma si deve abbattere l’organizzazione gerarchica della casta sacerdotale e ottenere che i sacramenti possano essere amministrati da tutti i laici.
La struttura androcentrica della Chiesa deve essere smossa dal suo interno attraverso una ricezione più autentica del messaggio di Gesù, aprendosi all'ordinazione delle donne. Questa, nel ruolo di celebrante, aiuterà i fedeli a percepire Dio in una maniera più ampia e porterà la Chiesa a essere più rispettosa del ruolo della donna, con la conseguenza di riavvicinare i fedeli alle sue pratiche.
L'esclusione della donna dal sacerdozio non è un'umiliazione, perché rispecchia una diversità di ruoli egualmente imprescindibili. Il ruolo delle donne nella Chiesa è più importante di quello dei sacerdoti, proprio come Maria sta più in alto dei vescovi e degli stessi apostoli. Ha quasi una “superiorità antropologica” testimoniata dall'essere, Maria, il vero soggetto del patto neotestamentario.
Dietro alla nozione di complementarietà si cela una logica di sottomissione della donna. Tale logica viene rivelata dal rito eucaristico, la cui simbologia (rito d’inversione), mostra una volontà di rivalsa di genere: il maschio, mantenendo il ruolo di sacerdote, si appropria della capacità di dare la vita, propria del genere femminile, giustificando così il suo dominio sulla donna.
La simbologia del rito eucaristico non riguarda tanto la somiglianza fisica, ma un simbolismo di tipo relazionale: un uomo e una donna uniti in matrimonio. Nel rito eucaristico Cristo redime la Chiesa, così come lo sposo redime la sua compagna. Data tale rappresentazione, a impersonare Cristo deve essere un maschio.
Ritenendo che il celebrante debba essere uomo perché imita Cristo “sposo della Chiesa”, non si considera che esso agisce anche con la massa dei fedeli. Come possono, i fedeli di sesso maschile, rappresentare la Chiesa? Se simbolo della Chiesa è Maria, è la donna che dovrebbe celebrare. Non sono i tratti maschili di Cristo a essere imitati, ma quelli femminili: servizio e il potere di dare la vita.
Cristo deve essere simbolicamente presente durante il rito eucaristico, ed essendo egli maschio, il suo ruolo può essere impersonato in maniera visibile solo da un ministro di sesso maschile. Gesù era anche capo della Chiesa e mediatore tra essa e Dio: chi lo impersona deve, dunque, esprimere autorità, essendo al di sopra del resto della comunità; e ciò non avverrebbe con una donna.
Si potrebbe osservare che l'appartenenza al genere maschile non era l'unica caratteristica di Gesù: egli era anche ebreo, ma tale requisito non viene richiesto come prerogativa per l'ammissione agli ordini. Molti teologi rivendicano la piena eguaglianza spirituale di uomini e donne, e dunque la somiglianza di ogni cristiano, senza distinzioni, con Gesù Cristo.
L'esempio di Cristo nell'ordinazione di soli sacerdoti maschi è stato seguito dalla Chiesa nella sua storia senza che ci siano state mai reali eccezioni. Il ruolo delle diaconesse, ordinate dalla Chiesa delle origini fino al I millennio, non è equivalente a quello del sacerdote. Questa fedeltà all'esempio di Cristo è una specificità del cristianesimo. Il celebrante può essere solo un maschio.
Contro il ricorso alla tradizione, quale criterio per escludere le donne dal sacerdozio, si presentano almeno due strategie: è quella che confuta questa affermazione a livello storico; e quella che pone in dubbio il ruolo della tradizione come criterio dirimente delle scelte della Chiesa. Cosa s’intende per tradizione? Quanto di essa è di origine divina e quanto di origine umana? È modificabile?
L'argomento più forte contro il sacerdozio femminile è l'esempio di Cristo: nell'Ultima Cena, egli si rivolge esclusivamente ai dodici apostoli, tutti maschi, e li investe dei poteri relativi al ministero. Il rifiuto dell'ordinazione femminile è una dichiarazione di fedeltà da parte della Chiesa “all'esempio del suo Signore”. Cristo avrebbe potuto istituire il sacerdozio femminile, ma non lo fece.
I contenuti delle Scritture vanno collocati nel loro contesto storico, che spiega la mancata investitura sacerdotale delle donne da parte di Gesù: esisteva una parificazione tra uomo e donna a livello spirituale, ma non a livello sociale. Maria, descritta come portatrice dello Spirito Santo, porta a ipotizzare un implicito “apostolato di Nostra Signora”, reale esempio di sacerdozio femminile.
La religione cattolica veicola l'impostazione patriarcale della società: il sacerdozio femminile, anziché rifiutarla e scardinarla, la promuoverebbe
La struttura patriarcale e androcentrica della Chiesa cattolica manifesta nel precludere le sue gerarchie di potere al genere femminile, può e deve essere smossa dal suo interno attraverso una ricezione più autentica del messaggio originario di Gesù, e aprendo dunque le porte all'ordinazione delle donne (Wijngaards), oltre che a una serie di riforme, come quelle invocate dal Collegio Vaticano II, miranti a una maggiore collegialità e a un maggior pluralismo, che possano “restituire la Chiesa al laicato” (Movimento Internazionale “Noi Siamo Chiesa”). La presenza di una donna davanti all'altare nel ruolo di celebrante aiuterà da una parte i fedeli a percepire Dio in una maniera più ampia, senza legarne la figura ai limiti di uno specifico genere sessuale (Morgan), dall'altra porterà invece la Chiesa a essere più rispettosa e cosciente del ruolo della donna (Carr) con la conseguenza di riavvicinare alle sue pratiche i fedeli, immersi in una società in cui tale consapevolezza è già e sempre più un dato di fatto (Mancuso).
Non tutto l'ambiente del femminismo cattolico spinge per l'ammissione delle donne al servizio sacerdotale: alcune di esse sottolineano come l'ammissione al sacerdozio rappresenterebbe una forma di cooptazione delle donne all'interno di un sistema fondamentalmente patriarcale e androcentrico. Quest’ultimo, anziché essere scardinato, verrebbe rafforzato dalla presenza di donne in virtù della richiesta, per servire, di essere “come uomini”. Per scardinare questo sistema maschilista non è necessario, dunque, spingere per l'ordinazione delle donne, ma si deve piuttosto abbattere completamente l’organizzazione gerarchica fondata sulla casta sacerdotale e ottenere che i sacramenti possano essere amministrati da tutti i laici (Hunt, Carr, Raab). La questione dell'ammissione femminile al sacerdozio coinvolge più ampiamente le strutture autoritarie nascoste della società nella sua interezza, basate concettualmente sulla logica del sacrificio religioso e sul meccanismo vittimario: esse non vanno “aggiustate” o ammorbidite, ma scardinate completamente (Magli).
L'esclusione dal sacerdozio non è umiliazione: c'è una diversità di ruoli, entrambi imprescindibili
L'apporto della teologia femminista spinge la Chiesa ad abbandonare il modello dell'inferiorità femminile e a elaborare una teoria della complementarietà dei sessi che non cessa però di suscitare perplessità. Dietro alla nozione di complementarietà, si nota, c'è il rischio che si perpetui una logica di sottomissione della donna (Gibellini), come fa propendere il suo radicarsi in espressioni della cultura ebraica (Stone). Tale logica di subordinazione viene rivelata proprio dal rito eucaristico, la cui simbologia, strutturata come un tipico rito di inversione, manifesta una volontà di rivalsa di genere (gender reversal): il maschio, mantenendo per sé solo il ruolo di sacerdote, si appropria a livello concettuale della capacità di dare la vita (intesa come trasformazione del nutrimento in corpo) propria del genere femminile, giustificando così razionalmente il suo dominio sulla donna e negandone il valore (Raab), a meno di un'ulteriore pratica di inversione di ruolo: quella che vede la donna rinunciare proprio a queste prerogative “vitali” e rendersi sessualmente preclusa, “chiusa” come una “torre d'avorio” (Magli).
Il sacerdozio è un servizio a cui si è chiamati, non una gratificazione a cui aspirare, e non può essere considerato in alcun modo un diritto (Congregazione per la Dottrina della Fede, Carlo Maria Martini). L'esclusione della donna dal servizio sacerdotale risponde, del resto, al Disegno del Signore dell'Universo e non rappresenta affatto un'umiliazione, perché rispecchia una diversità di ruoli egualmente imprescindibili, come dimostrato dal fatto che a Maria, “la madre di Dio e della Chiesa”, il ruolo di sacerdote non fu affidato (Giovanni Paolo II). Anzi, il ruolo delle donne nella Chiesa, diverso da quello degli uomini, è più importante di quello dei sacerdoti, proprio come Maria sta più in alto dei vescovi e degli stessi apostoli. Si avverte la necessità non di una superficiale “clericalizzazione” della donna, ma piuttosto di una sua teologia (Francesco), la quale con la sua specificità – la sua capacità di accogliere la vita - rappresenta al più alto grado la relazionalità dell'essere umano, in una quasi “superiorità antropologica”, testimoniata dall'essere, Maria, una donna, il vero soggetto del patto neotestamentario (Mancina).
Il simbolismo matrimoniale del rito eucaristico rende necessario per il ruolo del celebrante-sposo una figura maschile
L'argomento secondo il quale la simbologia del rito eucaristico rende necessaria la presenza di un uomo, in quanto ciò che di Cristo viene imitato dal celebrante è il suo “essere sposo” (elemento maschile) della Chiesa (elemento femminile), viene ribattuto in tre distinte maniere. La prima è quella di mettere in evidenza come il celebrante agisca non solo in persona Christi, ma anche, assieme a tutta la massa dei fedeli, in persona Ecclesiae; mentre la Chiesa insiste sul primo simbolismo per giustificare la prerogativa maschile, non pone il problema di come i fedeli di sesso maschile possano rappresentare la femminilità della Chiesa (Power). La seconda argomentazione è quella che attribuisce un ruolo prioritario al fatto di rappresentare la Chiesa: dal momento che simbolo della Chiesa è Maria, allora non l'uomo, ma la donna, è il soggetto perfetto per amministrare l'eucarestia (Coffey). La terza modalità consiste nello svelare il meccanismo di rito di inversione che caratterizza l'eucarestia: non sono i tratti maschili di Cristo a essere imitati dal celebrante durante il rito, ma quelli associati al genere femminile, come il carattere di servizio e, soprattutto il potere di dare la vita (Raab).
La simbologia del rito eucaristico non riguarda tanto la somiglianza fisica col genere maschile di Gesù, quanto piuttosto un simbolismo di tipo relazionale, quello tra un uomo e una donna uniti in matrimonio. Siccome nel rito eucaristico Cristo redime la Chiesa, così come lo sposo redime la sua compagna, e dovendo la rappresentazione di tale relazionalità avvenire in maniera “trasparente ed univoca”, a impersonare Cristo non può essere che un individuo di sesso maschile (Giovanni Paolo II, Congregazione per la Dottrina della Fede). La rivendicazione di parità di diritti tra i sessi da parte del movimento femminista non deve, dunque, portare alla richiesta dell'apertura all'ordinazione sacerdotale, che è un “falso obiettivo” per le donne, considerato quanto viene espresso dalla simbologia matrimoniale inscenata durante il rito eucaristico. Questo è metafora reale della relazionalità tra i sessi, la cui eguaglianza si declina in una diversità di ruoli, a livello simbolico quanto nella vita reale (Mancina).
Il celebrante dell'eucarestia deve avere una somiglianza naturale con Cristo
All'argomento della necessità di una somiglianza naturale con Cristo, affermato a più riprese dai vertici della Chiesa cattolica sulla scorta di Tommaso d'Aquino, viene controbattuto mettendo in questione la scelta dei criteri coi quali si ammette la somiglianza. In maniera provocatoria si può osservare come l'appartenenza al genere maschile non fosse l'unica caratteristica dell'uomo Gesù: egli era anche ebreo, ma tale requisito non viene certo richiesto come prerogativa per l'ammissione agli ordini; se si proponesse poi un criterio di somiglianza basato sull'appartenenza allo stesso gruppo sanguigno, emergerebbe l'assurdità del criterio della somiglianza fisica (Raab). Facendo riferimento alla Lettera ai Galati di san Paolo, secondo cui in Cristo “non c'è più uomo né donna”, molti teologi rivendicano la piena eguaglianza spirituale di uomini e donne, e dunque la somiglianza di ogni cristiano, senza distinzioni, con Gesù Cristo (Norris, Keifer, Wijngaards). Tale tesi di eguaglianza è sostenuta anche da Giovanni Paolo II, il quale destituisce di autorevolezza l'argomento secondo cui la caratteristica di Cristo, che il sacerdote deve rappresentare, sia l'autorità (Mancina).
Richiamandosi a Tommaso d'Aquino, il documento Inter insigniores emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, fa riferimento all'importanza dell'economia simbolica implicata dai riti sacramentali, e in particolare di quello eucaristico. Nell'argomentazione dell'Aquinate viene espresso il criterio per cui i simboli esprimono ciò che significano per “naturale rassomiglianza”, e devono dunque essere evidenti, fondati sulla psicologia umana. Cristo deve essere simbolicamente presente durante il rito eucaristico, ed essendo egli maschio, il suo ruolo può essere impersonato in maniera visibile e inequivocabile solo da un ministro di sesso maschile (Congregazione per la Dottrina della Fede, Bellon). Gesù inoltre non solo era maschio, ma era anche capo della Chiesa e mediatore tra essa e Dio: chi lo impersona nel rito deve, dunque, esprimere visibilmente autorità, essendo al di sopra del resto della comunità; e ciò non avverrebbe con una donna (Tommaso d'Aquino, Reynolds). Secondo un'argomentazione opposta la simbologia rituale prevede un'inversione di ruoli, così a impersonare la servilità di Cristo non può essere che un uomo (McDade).
La Chiesa cattolica non ha mai accettato il sacerdozio femminile, è la tradizione o magistero universale
Contro l'argomento secondo cui la mancanza di esempi di ordinazione femminile nella tradizione della Chiesa rappresenta un criterio per escludere le donne dal sacerdozio, vengono presentate almeno due strategie fondamentali: la prima è quella che confuta questa affermazione a livello storico (Magli, Otranto, Osiek, Macy); la seconda invece pone in questione il ruolo stesso della tradizione come criterio dirimente delle scelte della Chiesa: che cosa si intende infatti per tradizione? Quanto di essa è di origine divina e quanto il risultato di elaborazioni umane (Osiek, Cardman, Van der Meer, MacDonald)? Essa è immodificabile (Ostdiek, Raab)? Quale criterio può essere utilizzato per distinguere tra ciò che di essa è normativo e quanto di essa modificabile (Lakeland, Congar, Dewart)? Quello della fedeltà all'esempio di Cristo nella tradizione è, del resto, un criterio sempre rispettato? O è un argomento portato in mala fede (Lakeland)? Le Scritture prese di per sé stesse costituiscono una fonte attendibile per la tradizione, o vanno piuttosto situate nel loro contesto e individuate le intenzioni del movimento politico-culturale che soggiace alla loro stesura (Schüssler-Fiorenza)?
L'esempio di Cristo nell'ordinazione di soli sacerdoti maschi è stato seguito dalla Chiesa nella sua storia senza che ci siano state mai reali eccezioni (Carlo Maria Martini); a chi cerca di confutare tale affermazione ricordando l'ordinazione di diaconesse dalla Chiesa delle origini fino a tutto il primo millennio, viene fatto notare come il ruolo del sacerdote, il solo a poter celebrare l'eucarestia, non sia equivalente a quello diaconale (Kelly-Zukowski). Inoltre, questa fedeltà all'esempio di Cristo e alla tradizione è di grande importanza e non rappresenta un adattamento alla cultura del suo tempo, ma una specificità del cristianesimo, se si considera che nel mondo politeista la presenza di sacerdotesse era diffusa (Benedetto XVI). La tradizione e l'esempio di Cristo sono dunque ispirati da Dio e non possono essere storicizzati (Smith) in alcuno dei loro aspetti: così come – poiché Cristo si incarnò in Galilea – si celebra ancora oggi l'eucarestia con pane di frumento e vino, il celebrante può essere solo un maschio; la Chiesa ha il “diritto di rimanere imprigionata” a livello simbolico nei tempi e negli usi neotestamentari (Rahner).
Gesù non ha ordinato sacerdote alcuna donna. La Chiesa non ha dunque il potere di ordinare le donne
I contenuti delle Scritture non possono essere letti e compresi in maniera isolata, come se i protagonisti e gli autori di questi testi agissero in maniera totalmente libera da condizionamenti culturali: vanno collocati nel loro contesto storico (Schüssler Fiorenza, Mandeville Russell, Magli). Questa metodologia va applicata alla mancata investitura delle donne da parte di Gesù del ministero sacerdotale: l'aperta contrapposizione rispetto alla cultura dell'epoca e della civiltà, a cui Gesù apparteneva, si spinge fino a una piena parificazione tra uomo e donna per quanto concerne il livello spirituale, ma non riesce ad attuare una stessa parificazione a livello sociale, perché tale parificazione è, per l'epoca, impensabile (Magli, Wijngaards).
Forse, addirittura, la piena parificazione di uomo e donna, manifesta nei comportamenti e negli atteggiamenti di Cristo, è stata teorizzata ed esplicitata da Gesù ma non riportata, spontaneamente censurata dagli apostoli per motivi di accettabilità sociale (Magli), mentre il fatto che Maria sia descritta come portatrice dello Spirito Santo porta a ipotizzare un implicito “apostolato di Nostra Signora”, reale esempio di sacerdozio femminile (Wijngaards).
L'argomento più spesso portato contro l'ammissione del genere femminile al ministero sacerdotale è quello che si rifà all'esempio di Cristo stesso: nell'istituire il rito dell'eucarestia durante l'Ultima Cena, Cristo si rivolge esclusivamente ai dodici apostoli, tutti maschi, e li investe dei poteri e dei doveri relativi al ministero (Paolo VI, Congregazione per la Dottrina della Fede). Il rifiuto dell'ordinazione femminile non è, dunque, la strenua difesa di un arcaismo ma una dichiarazione di fedeltà da parte della Chiesa “all'esempio del suo Signore” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Carlo Maria Martini); non una mera decisione disciplinare, ma un vero e proprio precetto che la Chiesa non ha il potere di disattendere (Giovanni Paolo II).
Contro chi afferma che nella sola investitura maschile Gesù sia stato condizionato dai tempi in cui viveva, viene ricordato come egli fosse “Dio fatto carne”, e viene dunque affermato che egli avrebbe certo potuto istituire il sacerdozio femminile, ma non ha voluto (Bellon). A prova di ciò sta l'atteggiamento di Cristo nei confronti delle donne, sempre libero e in contrasto col conformismo sociale (Mancina).