La politica economica tedesca è dannosa per l’Europa
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
I sistemici surplus della bilancia commerciale tedesca attestano che la Germania sta attuando politiche mercantilistiche, che vedono nel commercio estero la principale attività economica per incrementare la ricchezza dello Stato. Secondo gli esponenti politici tedeschi, il surplus commerciale è segno della competitività dell’economia industriale tedesca rispetto alle altre economie dell’Europa meridionale. Inoltre, la Commissione Europea invita i governi dei paesi in deficit ad attuare politiche volte ad abbassare il costo del lavoro per migliorare la competitività delle loro esportazioni. Tuttavia, data la divergenza tra le economie del Nord e del Sud dell’Europa, autorevoli politici ed economisti sostengono, da un lato, che le politiche mercantilistiche tedesche, fondate non solo su una domanda globale di prodotti di qualità, ma anche sulla competitività, ottenuta attraverso una non adeguata crescita dei salari rispetto alla produttività e incentivata con l’introduzione dell’euro, sono insostenibili per gli altri paesi europei; dall’altro, che tutti i lavoratori europei, anche tedeschi, trarrebbero vantaggi da un maggiore coordinamento delle politiche salariali.
MEDIATECA
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il superamento della crisi europea è possibile solo aumentando la competitività. La Commissione Europea invita il governo italiano ad intraprendere politiche per abbassare il costo del lavoro, per perseguire una decentralizzazione della contrattazione, per alleggerire la pressione fiscale sui fattori produttivi.
Economisti keynesiani hanno invitato i decisori politici a perseguire gli interessi non dei capitali tedeschi ma dei lavoratori europei, adottando dei meccanismi di compensazione degli squilibri delle bilance commerciali, come lo standard retributivo europeo, che lega la crescita delle retribuzioni reali all’andamento della produttività.
La causa principale degli squilibri intra-europei della bilancia commerciale risiede nelle divergenze tra centro e periferia sul costo del lavoro per unità di prodotto, dovute ad una politica monetaria comune incurante delle differenze fra i singoli tassi di cambio reali e alla deflazione salariale attuata dal governo tedesco attraverso la deregolamentazione del lavoro voluta dagli industriali.
Più che dalla competitività, le oscillazioni delle bilance commerciali nell’eurozona sono state determinate principalmente dalle fluttuazioni della crescita, associate, inizialmente, ad un boom della domanda, innescato da tassi di interesse insolitamente bassi e, successivamente, a contrazioni della domanda, derivanti dalla crisi e dalla politica degli aggiustamenti fiscali.
Il surplus commerciale tedesco, fondato sulla riduzione del costo del lavoro e favorito da tassi di cambio artificialmente deboli, è insostenibile per le finanze pubbliche dei paesi periferici dell’eurozona, costretti a raggiungere unilateralmente il riequilibrio attraverso la compressione delle importazioni e la deflazione salariale.
Nell’eurozona non si registrano squilibri della bilancia commerciale tali da richiedere una pianificazione correttiva della politica economica tedesca che preveda una riduzione del surplus delle partite correnti, la fissazione di un limite di squilibrio, l’aumento dei salari e della domanda interna.
Il superamento della crisi europea è possibile aumentando la competitività e abbattendo il costo del lavoro
Al posto dell’austerità neoliberista imposta ai paesi con ampi squilibri macro-economici dalla Commissione Europea, economisti keynesiani hanno invitato i decisori politici ad adottare dei meccanismi di compensazione degli squilibri delle bilance commerciali.
Sono state presentate alcune proposte ed indicazioni volte a conseguire un superamento della crisi economica europea raggiunto attraverso la composizione unitaria degli interessi non dei capitali tedeschi ma dei lavoratori europei. Tra queste si segnalano: lo standard retributivo europeo, che lega la crescita delle retribuzioni reali all’andamento della produttività; l’esortazione ad un aumento della domanda interna in Germania e a politiche di contrattazione salariale maggiormente coordinate e centralizzate in Europa; la proposta di istituire un meccanismo fiscale volto a correggere l’eccessiva propensione all’export dell’economia tedesca.
La Commissione Europea indica all’Italia alcune misure di politica salariale per correggere i propri squilibri macroeconomici. La Commissione Europea, in particolare, invita il governo italiano ad intraprendere politiche per abbassare il costo del lavoro, per perseguire una decentralizzazione della contrattazione, per alleggerire la pressione fiscale sui fattori produttivi. Inoltre, “poiché ci vuole del tempo prima che le misure per accrescere la produttività diano frutti, è opportuno esplorare le possibili leve per affrontare le pressioni sui costi nell’economia. Mantenere la moderazione del costo del lavoro e superare le rigidità nella fissazione delle retribuzioni per consentire una differenziazione retributiva aiuterebbe l’Italia a recuperare competitività di costo a breve termine. La differenziazione salariale, che tiene conto della grande disparità in termini di produttività e di condizioni del mercato del lavoro nell’economia, contribuirebbe anche a migliorare l’efficienza allocativa dell’economia e ad aumentare la produttività” (Commissione Europea, Squilibri macroeconomici — Italia 2014, “ec.europa.eu”, 25 febbraio 2014).
La causa principale degli squilibri intra-europei può essere rintracciata nella divaricazione tra i costi di lavoro per unità prodotta
Vi è uno schema interpretativo della crisi dell’eurozona che riconosce la causa principale degli squilibri della bilancia commerciale tra il Nord e il Sud dell’area euro nelle divergenze economiche registrate sia rispetto al costo unitario del lavoro, sia a causa dell’introduzione di una politica monetaria comune incurante delle differenze fra i singoli tassi di cambio reale. Secondo questo schema interpretativo, condiviso anche da quei ricercatori tedeschi che considerano l’idea di colpire il mercato del lavoro per aumentare la competitività un’opinione sbagliata diventata un’opinione dominante, i fattori rilevanti per le crescenti divergenze rispetto al costo del lavoro per unità di prodotto registrate tra il centro e la periferia dell’eurozona sono la deflazione salariale, cioè un aumento dei salari inferiore rispetto all’aumento medio dei salari dell’eurozona, e l’estensione del settore del basso salario – caratterizzato dall’assenza di opportunità di avanzamento e dal basso potere contrattuale dei lavoratori – attuata dal governo tedesco in seguito alle pressioni dell’associazione degli industriali, attraverso la deregolamentazione del mercato del lavoro.
Le modeste variazioni del costo del lavoro non sono la causa degli squilibri commerciali intra-europei. Più che dai cambiamenti di competitività, misurata dai tassi di cambio reali o dai costi unitari del lavoro, le oscillazioni delle bilance commerciali nell’eurozona sono state determinate principalmente dalle fluttuazioni della crescita, associate, inizialmente, ad un boom della domanda, innescato da tassi di interesse insolitamente bassi e, successivamente, a contrazioni della domanda, derivanti dalla crisi e dalla politica degli aggiustamenti fiscali.
Più che dalla competitività, è stato lo shock di domanda interna a contribuire in maniera rilevante alle attuali dinamiche del saldo delle partite correnti nella periferia dell’eurozona.
Per risolvere lo squilibrio commerciale e incoraggiare una crescita sostenuta nel tempo sono necessari: da un lato, una sorveglianza e un coordinamento reciproco delle politiche di bilancio; dall’altro, di contro all’efficacia limitata della deflazione salariale, investimenti per migliorare la produttività e una crescita del costo del lavoro in linea con la crescita della produttività.
Il surplus commerciale della Germania, fondato sulla stretta al ribasso del costo del lavoro, può essere insostenibile per gli altri paesi dell’eurozona
La competitiva economia industriale tedesca è dipendente dalle esportazioni. Il suo surplus commerciale è costruito sulla riduzione del costo del lavoro ed è favorito da tassi di cambio artificialmente deboli. I paesi cosiddetti “periferici” dell’eurozona sono costretti a raggiungere unilateralmente il riequilibrio attraverso la compressione delle importazioni e la deflazione salariale, rendendo corrispondentemente difficoltoso bilanciare i deficit pubblici. Poiché un destino comune lega le economie europee, tale squilibrio della bilancia commerciale intra-europea è insostenibile per i paesi “periferici” dell’eurozona.
Il trattamento asimmetrico da parte di Bruxelles da una parte consente ai paesi in surplus, come la Germania, di evitare di incrementare, attraverso investimenti, sia il ritmo anemico della domanda interna sia la quota salari; dall’altra non consente ai paesi in deficit di recuperare competitività e di sistemare le loro finanze pubbliche.
Il surplus commerciale tedesco si è dimezzato tra il 2007 e il 2012. Ciò è segno della competitività dell’economia industriale tedesca rispetto alle altre economie dell’Europa meridionale e della domanda globale di prodotti di qualità dalla Germania. La bilancia commerciale intra-europea è generalmente equilibrata.
Il surplus commerciale tedesco non offre motivo di preoccupazione per la Germania, per la zona euro e per l’economia mondiale, anzi: Berlino sta perseguendo un corso di consolidamento favorevole allo sviluppo, del quale beneficiano i fornitori nella zona euro.
Nell’eurozona non si registrano squilibri tali da richiedere un’arrogante e irrealistica pianificazione correttiva della politica economica tedesca che preveda una riduzione dell’avanzo delle partite correnti, una fissazione di un limite di squilibrio, l’aumento dei salari e della domanda interna.