Strategia della decrescita felice
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La teoria della decrescita (il cui maggiore esponente, attualmente, è l’economista francese Serge Latouche) è una teoria economica e sociale affermatasi a partire dalla fine degli anni Settanta, sostenitrice della necessità di ridurre volontariamente la produzione economica e l’entità dei consumi al fine di ristabilire una corretta relazione fra l’uomo e l’ambiente e di sanare la crescente diseguaglianza economica e sociale fra paesi e all’interno degli stessi. Tale corrente di pensiero si è affermata nel corso del tempo, fuoriuscendo dagli ambiti accademici e divenendo presto nota anche a parte dell’opinione pubblica.
Nonostante abbia trovato notevole riscontro e un crescente consenso, ispirando anche l’agenda di diverse forze politiche di vari Paesi, essa non ha mancato di raccogliere numerose critiche da parte di economisti e scienziati di formazione disparata, che ne hanno sottolineato talora la fallacia dei presupposti teorici talora la scarsa applicabilità dal punto di vista pratico, accendendo vivaci dibattiti sulla desiderabilità e la sostenibilità dell’attuale modello economico.
MEDIATECA
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Nonostante abbia trovato notevole riscontro e un crescente consenso, la teoria della decrescita non ha mancato di raccogliere numerose critiche da parte di economisti e scienziati, che ne hanno sottolineato sia la fallacia dei presupposti teorici che la scarsa applicabilità pratica, accendendo vivaci dibattiti sulla sostenibilità dell’attuale modello economico.
Una delle critiche mosse alla decrescita si fonda sulla falsa opposizione tra crescita e decrescita. L’aumento della produttività non è un fatto di per sé negativo: talvolta ha portato la diminuzione degli orari di lavoro e una maggiore accessibilità ad alcuni beni essenziali. Il punto è ricondurre la logica produttiva ai reali bisogni umani e non alle esigenze del profitto.
La decrescita vuole ricondurre la produzione ai reali bisogni umani. Essa è incompatibile col sistema capitalista, poiché fondato sul principio ultimo dell’accumulazione senza limiti, senza il quale non potrebbe continuare a esistere. Si deve, inoltre, tener conto della limitatezza delle risorse: un’economia pianificata, se ancorata alla logica del produttivismo, è comunque insostenibile.
Molti evidenziano l’irrealizzabilità della decrescita e la vedono come un’utopia: è impossibile far retrocedere la storia e il progresso scientifico e tecnologico e, anche se lo fosse, tale regressione non sarebbe felice. Essa porterebbe una recessione economica, con disoccupazione, perdita del potere d’acquisto dei salari, aumento della miseria e delle violenze sociali.
Gli attuali livelli di consumo sono insostenibili, la recessione economica è comunque inevitabile. Il punto è se attenderla e subirla oppure se ridurre i consumi come scelta pianificata. Non è affatto vero che tale riduzione porterà una diminuzione della qualità della vita: tutto sta nell’orientare la produzione a logiche rispondenti alle vere esigenze dell’uomo e nel ridistribuirla equamente.
Georgescu-Roegen ha mostrato come la II legge della termodinamica riguardi anche l’economia: l’aumento dell’efficienza porta una diminuzione della quantità di energia disponibile per le generazioni future. Occorre riconvertire la teoria economica, creandone una ibrida, detta “teoria bioeconomica”, che provveda alla distribuzione di beni e risorse in un contesto di decrescita economica.
Se è vero che la II legge della termodinamica è applicabile all’economia, è vero anche che la dispersione energetica è bilanciata dall’uso di nuove risorse e da più efficienza nell’uso delle vecchie. Il capitale e il lavoro possono sostituire le risorse naturali nella produzione: ad esempio, l’economia virtuale produce crescita sotto forma di servizi o informazioni, senza generazione scarti.
Dal noto rapporto sui limiti dello sviluppo, The Limits To Growth del 1972, emerge che se il trend di crescita rimarrà invariato i limiti della crescita saranno raggiunti nell’arco di un secolo, provocando un collasso dell’attuale struttura produttiva. Per invertire questa tendenza è necessario uscire dall’attuale paradigma economico che ci impone la crescita come un valore in sé.
L’aumento di popolazione, industrializzazione, inquinamento, consumo di risorse dovrebbe portare un pari sviluppo tecnologico, quindi nuove soluzioni. L’aumento dei costi di certe risorse dovrebbe favorire lo sviluppo di nuove tecnologie e una sostituzione di tali risorse. Inoltre, un maggiore sviluppo creerà un surplus da investire nell’ambiente, senza intaccare il trend di crescita.
Il problema non è quanto si produce ma come e per chi. Non si tratta di negare la crescita ma di regolarla secondo i bisogni umani e non del profitto
L’obiettivo della decrescita è appunto quello di ricondurre alla logica dei bisogni umani quella produzione che oggi è slegata dalla concretezza della vita reale ed è vista come un fine da perseguire in sé.
Il problema di chi gestisce le risorse non è affatto ignorato dalla decrescita ed essa è incompatibile col sistema capitalista, poiché questo è fondato sul principio ultimo dell’accumulazione senza limiti, senza il quale non potrebbe continuare a esistere.
Tuttavia, oltre a questo problema si deve anche tener conto di quello riguardante la limitatezza delle risorse: se ancorata alla logica del produttivismo, un’attività economica pianificata è non meno insostenibile sul lungo termine di quella di mercato.
La critica più frequente alla decrescita proveniente da una parte della sinistra marxista (che sul tema è sostanzialmente spaccata) è che l’opposizione tra crescita e decrescita sia in realtà una falsa opposizione. Le questioni determinanti sono il controllo e la natura della produzione, non la sua quantità, e si deve dunque saper operare una distinzione fra crescita oggettivamente utile all’umanità e crescita funzionale esclusivamente alla logica del profitto delle imprese.
L’aumento della produttività del lavoro non è un fatto negativo di per sé e non deve essere demonizzato: anzi, esso, in determinati momenti storici, ha reso possibile una diminuzione degli orari di lavoro e una maggiore accessibilità ad alcuni beni essenziali prima limitati solamente ad una parte ristretta della popolazione. Il problema fondamentale è il riuscire a ricondurre la logica produttiva sotto un piano ordinato e razionale rispondente alla concretezza dei bisogni umani e non alle esigenze del profitto.
La decrescita è un’utopia non realizzabile e, qualora lo fosse, sarebbe tutt’altro che “felice”
Poiché gli attuali livelli di consumo sono insostenibili per l’ecosistema globale, la recessione economica giungerà comunque e in maniera inevitabile.
Il punto fondamentale della questione è se attenderla e subirla forzatamente oppure, piuttosto, se fare della riduzione dei consumi una scelta volontaria e pianificata, in modo da scampare alla potenziale catastrofe generata da una recessione globale in un’economia di mercato.
Non è affatto vero infatti che tale riduzione coincida necessariamente con una diminuzione della qualità della vita: tutto sta nell’orientare la produzione a logiche rispondenti alle vere esigenze dell’uomo e nel ridistribuirla poi equamente.
In molti hanno posto l’accento sull’irrealizzabilità dell’obiettivo proposto dai sostenitori della decrescita, che in quanto tale si configurerebbe come un’utopia ideale che però non può trovare riscontro nella vita reale; è infatti impossibile voler portare indietro le lancette della storia e del progresso scientifico e tecnologico e, anche qualora lo fosse, tale regressione non sarebbe affatto felice.
Più che di fronte ad una decrescita serena ci troveremmo a dover fare i conti con una vera e propria “decrescita infelice”: essa, infatti, genererebbe inevitabilmente una recessione economica, e con essa disoccupazione, perdita del potere d’acquisto dei salari, aumento della miseria e insorgere di violenze sociali.
L’economia non può sfuggire all’ineluttabilità delle leggi della fisica, in particolare della seconda legge della termodinamica
Georgescu-Roegen, con il suo saggio sulla legge dell’entropia (The Entropy Law and the Economical Process, Harvard University Press, 1971), ha mostrato come la seconda legge della termodinamica riguardi anche i processi economici, che si trovano a dover pagare i propri aumenti in termini di efficienza con una diminuzione proporzionalmente maggiore della quantità di energia disponibile, con conseguenze ambientali potenzialmente distruttive: più grande è infatti la dispersione energetica (dispersione che ha carattere irreversibile), più grande è la quantità di energia che viene sottratta alle generazioni future, nonché il disordine che viene riversato nell’ecosistema.
La crescita economica infinita non è dunque solo economicamente insostenibile, ma anche fisicamente impossibile. Occorre riconvertire la teoria economica tenendo conto della seconda legge della termodinamica, creando una teoria ibrida che Georgescu-Roegen chiama “teoria bioeconomica”, che si occupi del problema della distribuzione dei beni e delle risorse e della soddisfazione dei bisogni umani in un contesto di decrescita economica
Se è vero che la seconda legge della termodinamica è valida anche per i processi economici, è altrettanto vero che il carattere irreversibile della dispersione energetica è bilanciato sia dall’utilizzo di nuove risorse, sia dalla maggiore efficienza nello sfruttamento delle vecchie, che tendono a far diminuire tale dispersione.
Inoltre, come hanno fatto a più riprese notare gli economisti Robert Solow e Joseph Stiglitz, fattori quale il capitale e il lavoro possono sostituire sia direttamente che indirettamente le risorse naturali nella produzione, sfuggendo alle implicazioni entropiche.
Ad esempio, l’avvento, nella contemporaneità, dell’economia virtuale e finanziaria e della società dell’informazione sta portando avanti un processo di de-materializzazione dei processi economici che rende possibile produrre crescita sotto forma di servizi o informazioni, senza generazione di rifiuti o scarti produttivi.
L’attuale livello di produzione e consumo è insostenibile per il mantenimento degli equilibri del pianeta
Nel 1972 l’associazione non-governativa nota come Club di Roma, commissionò al MIT (Massachusetts Institute of Technology), un rapporto sui limiti dello sviluppo. Le conclusioni del rapporto (Donella Meadows, Dennis Meadows, Jorgen Randers, The Limits To Growth, Universe Books, 1972) sono categoriche: se il trend di crescita rimarrà invariato i limiti della crescita saranno raggiunti nell’arco di un secolo. Negli anni seguenti numerose altre ricerche hanno sostanzialmente confermato quanto sostenuto nel rapporto, fornendo anzi in alcuni casi previsioni ancor più pessimiste. Il rapporto venne aggiornato successivamente (1992 e 2004) tramite l’utilizzo di strumenti di calcolo più raffinati, confermando l’ipotesi di un collasso dell’attuale struttura produttiva nel corso del XXI secolo.
Per invertire questa tendenza è necessario uscire dall’attuale paradigma economico che ci impone la crescita come un valore in sé, indispensabile per il mantenimento del sistema.
Grazie al progresso scientifico e tecnologico, l’uomo sarà in grado di sopperire alla limitatezza delle risorse naturali.
Se si suppone che la popolazione mondiale, l’industrializzazione, l’inquinamento, la produzione di cibo e il consumo delle risorse continueranno ad aumentare in maniera esponenziale, infatti, nulla ci impedisce di supporre che anche lo sviluppo tecnologico avanzerà di pari passo, fornendo nuove soluzioni oggi impensate a tali problemi.
Ad esempio, il meccanismo economico dei prezzi 1) farà sì che l’aumento dei costi di certe risorse, aumento dovuto alla crescente difficoltà del loro reperimento, favorirà lo sviluppo di nuove tecnologie (ad oggi non elaborate perché non considerate redditizie) per un loro utilizzo più efficiente e 2) spingerà irresistibilmente l’uomo verso una sostituzione di tali risorse.
Inoltre, è azzardato supporre l’esistenza di un rapporto direttamente proporzionale tra inquinamento e crescita economica, dato che un maggiore sviluppo industriale permetterà la creazione di surplus da investire nella risoluzione dei problemi ambientali senza che si debba intaccare l’andamento della crescita stessa.