Superbonus
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il Superbonus 110% – introdotto nel 2020 dal governo Conte II – offriva detrazioni fiscali pari al 110% delle spese per riqualificare energeticamente e rendere antisismici gli edifici residenziali. Misura senza precedenti (nessun altro paese aveva mai rimborsato oltre il costo dei lavori), è stata pensata per rilanciare l’economia post-Covid e accelerare la transizione ecologica. In effetti, ha innescato un boom di ristrutturazioni: già ad aprile 2022 erano stati approvati oltre 122.000 interventi per circa 21 miliardi di euro, portando una forte domanda nell’edilizia e oltre 150.000 nuovi posti di lavoro secondo stime iniziali. I promotori evidenziano che il Superbonus ha risollevato un settore in crisi, spinto il PIL e creato occupazione diffusa, consentendo la ristrutturazione di edifici vetusti che da anni attendevano manutenzione. Inoltre, grazie agli interventi “trainati” gratuiti, molte famiglie hanno installato isolamenti, caldaie efficienti, pannelli solari e strutture antisismiche che altrimenti non avrebbero potuto permettersi, con benefici in termini di bollette più leggere e sicurezza delle case.
D’altro canto, i costi per lo Stato sono esplosi ben oltre le attese.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Stimolo record all’edilizia post-Covid: PIL e occupazione in aumento grazie al Superbonus.
Oneri ben oltre le stime iniziali (100+ miliardi) hanno aggravato deficit e debito, sottraendo risorse ad altri settori vitali.
Consumi energetici nazionali ridotti e bollette più leggere, contribuendo agli obiettivi climatici e tagliando la dipendenza energetica.
Gran parte dei benefici è andata a proprietari benestanti, mentre le famiglie a basso reddito sono rimaste escluse.
Migliaia di edifici resi antisismici e ammodernati: abitazioni più sicure in caso di terremoti e con maggior valore immobiliare.
Rapporto costi/benefici sfavorevole: ogni tonnellata di CO₂ evitata e ogni posto di lavoro creato sono costati troppo, segno di scarsa efficienza.
Burocrazia e continue modifiche normative hanno limitato i risultati del Superbonus, senza però smentire la validità della misura in sé.
La generosità del bonus ha alimentato rincari anomali nei costi edilizi e frodi sui crediti d’imposta, tra le più gravi mai registrate a danno dello Stato.
Il Superbonus ha dato uno stimolo economico e occupazionale senza precedenti nell’edilizia
Il Superbonus ha rappresentato un volano straordinario per l’economia italiana, in particolare per il settore delle costruzioni duramente colpito dalla crisi pandemica. Grazie a questo incentivo, l’edilizia è diventata il motore della ripresa post-Covid: nel 2021-2022 l’Italia ha registrato tassi di crescita del PIL tra i più alti in UE, trainati proprio dal boom di investimenti in ristrutturazioni. I numeri confermano l’impatto positivo. Entro metà 2022 lo Stato aveva erogato circa €21 miliardi in Superbonus, innescando però oltre €40 miliardi di produzione economica aggiuntiva. Il Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI) ha calcolato che solo nei primi sei mesi 2022 il 110% ha generato 312.000 nuovi posti di lavoro, più che raddoppiando l’occupazione creata nell’intero 2021. Analogamente, Riccardo Fraccaro (deputato M5S ideatore del bonus) ha rivendicato oltre “150.000 nuovi occupati” già ad aprile 2022, segno di un effetto immediato sull’impiego di manodopera edile, tecnici, impiantisti e indotto. Questo circolo virtuoso ha portato benefici anche alle finanze pubbliche di breve termine: l’aumento di redditi e consumi ha generato maggiori entrate IVA e IRPEF. ANCE (associazione costruttori) stima che circa il 47% della spesa statale in Superbonus rientri sotto forma di tasse e contributi aggiuntivi. Su €57 miliardi di crediti previsti a fine piano, €26 miliardi tornerebbero direttamente all’Erario, riducendo il costo netto effettivo. Per ogni miliardo investito dallo Stato, quasi mezzo miliardo rientra subito in gettito: in pratica il costo reale è circa la metà di quello nominale. Va sottolineato che senza Superbonus quei lavori non sarebbero mai partiti. Il provvedimento ha sbloccato un potenziale enorme di interventi rimasti a lungo nel cassetto: famiglie e condomìni che rimandavano da anni lavori di efficientamento o messa in sicurezza hanno potuto realizzarli grazie all’incentivo totale. Questo ha rivitalizzato migliaia di PMI edili, artigiani e professionisti (geometri, tecnici, termoidraulici) usciti provati dal lockdown. La filiera delle costruzioni – tradizionalmente uno dei maggiori datori di lavoro in Italia – ha visto crescere nuove imprese e riassorbire disoccupati, in tutte le regioni. Il PIL edilizio è aumentato a doppia cifra, con effetti di trascinamento su settori collegati: produzione di materiali da costruzione, serramenti, caldaie, arredamento. Alcuni territori colpiti da crisi industriali hanno beneficiato di cantieri diffusi che hanno creato lavoro locale.
Inoltre, l’espansione è avvenuta senza pesare sui bilanci familiari. Il Superbonus ha liberato risorse nelle tasche dei cittadini: i proprietari hanno visto crescere il valore dei propri immobili senza indebitarsi, e i soldi risparmiati (grazie allo “sconto in fattura” o alla cessione del credito) hanno potuto destinarli ad altri consumi, alimentando ulteriormente l’economia. Il moltiplicatore fiscale dell’intervento è stato quindi elevato: secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, l’effetto sul PIL del 2022 è stato tale da “più che compensare” la prima tranche di minori entrate per lo Stato. Anche la CGIA di Mestre e altri osservatori hanno evidenziato come il 110% abbia contribuito in modo determinante al rimbalzo del +6.6% del PIL italiano nel 2021 e alla tenuta nel biennio successivo.
Pur riconoscendo che il costo per lo Stato è significativo, i favorevoli sostengono che va visto come un investimento anticiclico con ritorni economici importanti. In momenti di recessione, spendere in deficit per creare lavoro e infrastrutture (in questo caso, case rinnovate) è esattamente ciò che prescrivono le teorie keynesiane. Il Superbonus ha evitato il tracollo dell’edilizia – un settore che rappresenta circa l’8% del PIL italiano – e ha accelerato la ripresa generale post-Covid. “È impossibile negare l’effetto di crescita pervasiva” dell’eco-bonus, dichiarava il presidente CNI Armando Zambrano già nel 2022. Certo, la misura andava calibrata meglio, ma interromperla bruscamente rischiava di spegnere il motore che ha trainato l’Italia fuori dalla crisi pandemica. In sintesi, il Superbonus ha mostrato la capacità dello Stato di stimolare la crescita in modo rapido, creando occupazione e migliorando al contempo il patrimonio edilizio. Per i proponenti, questo successo macroeconomico non va dimenticato: “i soldi spesi hanno fatto girare l’economia” e una quota rilevante è già tornata indietro sotto forma di tasse e PIL. L’esperienza dimostra che investire in edilizia conviene sul piano della crescita, specie se accompagnato da adeguati correttivi per massimizzarne l’efficacia.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Il Superbonus ha creato una voragine nei conti pubblici e mostrato inefficienza fiscale
Per i critici, il Superbonus 110% ha inflitto alle finanze statali un colpo durissimo, dimostrando come una politica concepita senza criterio di spesa possa aprire una voragine di bilancio. L’accusa principale è di insostenibilità fiscale: la montagna di crediti d’imposta generata ha sforato di gran lunga le previsioni iniziali, trasformandosi in un macigno sul debito pubblico. I numeri presentati dal MEF e dagli organi di controllo sono eloquenti. Il governo Conte II stimava che il Superbonus avrebbe avuto un impatto intorno ai €35 miliardi diluiti fino al 2035. In realtà, nel giro di pochi anni, il Tesoro ha dovuto riconoscere circa €160 miliardi di crediti (considerando tutte le agevolazioni edilizie straordinarie). Giancarlo Giorgetti, attuale Ministro dell’Economia, ha parlato di “situazione grave”, con oltre €100 mld di costi già consolidati e ulteriori miliardi di perdite attese fino al 2026. L’ex premier Mario Draghi, nel 2022, definì senza mezzi termini il meccanismo “un buco” che stava facendo esplodere i prezzi e il disavanzo. Queste deregulation fiscale ha avuto conseguenze immediate sui conti pubblici: il deficit/PIL italiano del 2022 si è assestato ad un altissimo 8%, con almeno 2 punti percentuali attribuibili alle misure sui bonus edilizi. La stessa Commissione Europea ha espresso preoccupazione: Eurostat ha richiesto di contabilizzare più rigorosamente questi crediti, il che potrebbe far lievitare ulteriormente il deficit ufficiale nel 2024. In altre parole, il Superbonus ha compromesso gli sforzi di risanamento del bilancio intrapresi in altri ambiti. Corte dei Conti e Ufficio Parlamentare di Bilancio hanno parlato di effetti “di dimensione macroscopica” e “senza precedenti” sui conti dello Stato. La Corte stima che, anche tenendo conto dell’indotto e delle maggiori tasse incassate, il rimborso di quanto speso richiederà oltre 24 anni: un orizzonte lunghissimo, che significa di fatto scaricare queste spese sulle generazioni future. Senza considerare le spese aggiuntive per interessi sul debito maggiore. Luis Garicano, ex economista ed eurodeputato, calcola che il Superbonus e simili costeranno in totale circa €220 miliardi agli italiani – pari a una manovra finanziaria straordinaria di 12% del PIL, concentrata in pochi anni. Per dare un’idea, è come se si fosse finanziata con debito aggiuntivo un’intera legge di Bilancio mega-espansiva ogni anno dal 2020 al 2023. Una scelta che inevitabilmente ha aumentato il rapporto debito/PIL, ipotecando la tenuta finanziaria del Paese: Moody’s e altre agenzie hanno più volte avvertito sull’impatto negativo dei bonus edilizi sulla traiettoria del debito italiano.
I contrari sottolineano che con €120-160 miliardi si sarebbero potute fare politiche ben più utili e mirate. “Le risorse non sono infinite” – ha scritto Cottarelli – e investire l’equivalente di un anno di spesa sanitaria in un solo settore come l’edilizia è stato scriteriato. Ogni euro speso in Superbonus è un euro in meno per ospedali, scuole, innovazione, riduzione del cuneo fiscale. L’opportunità persa è enorme: invece di distribuire sussidi a pioggia su ristrutturazioni private (anche di seconde case, villette e immobili di lusso nei primi tempi), quello stesso denaro pubblico poteva finanziare politiche alternative: edilizia pubblica efficiente (case popolari green per chi ne ha bisogno), impianti di energie rinnovabili su larga scala (che riducono la bolletta di tutti), trasporto pubblico non inquinante, o un serio piano di messa in sicurezza di scuole e infrastrutture pubbliche. Insomma, per i critici, il Superbonus è stato un clamoroso spreco di risorse che ha drenato fondi da altre priorità. Basti pensare che la legge di Bilancio 2023 ha dovuto trovare coperture per 21 miliardi (in aumento deficit) principalmente per fare fronte al “buco” dei crediti dei bonus edilizi: quei 21 miliardi avrebbero potuto finanziare misure strutturali di crescita; invece, sono andati a sanare gli effetti di un incentivo mal calibrato. Il problema fiscale è emerso in pieno nel 2023, quando ISTAT ha rivisto al rialzo il deficit allarmando governo e UE: +38 miliardi di maggiore indebitamento, quasi tutti dovuti alla contabilizzazione ex-post dei crediti Superbonus. In un periodo in cui l’Italia deve tornare sotto il 3% di deficit/PIL, il lascito del 110% rende il compito molto più difficile, esponendo il Paese a possibili procedure d’infrazione e a minore credibilità finanziaria internazionale. Non a caso, a fine 2023 Giorgetti ha parlato di “virtuosa inversione di rotta” e rigore nei conti come risposta all’eredità pesante del Superbonus.
I detrattori fanno poi un discorso di efficienza allocativa: il Superbonus incarna un caso da manuale di risorse pubbliche spese nel modo meno efficiente. Pagare 110 per ottenere 100 è, in sé, un assurdo economico, aggravato dal fatto che la platea non era ristretta a soggetti bisognosi. Giorgia Meloni ha definito il bonus “la più grande follia che potessero fare”, imputandogli di aver creato un gigantesco debito occulto senza costruire nulla di realmente produttivo. In termini di finanza pubblica, il 110% è stato un espediente per far sembrare la spesa come “minori entrate” differite: un artificio contabile (crediti fiscali) che ha aggirato temporaneamente il bilancio salvo poi presentare il conto tutto insieme. Il Procuratore Generale della Corte dei Conti, nella sua audizione 2023, ha parlato di “deresponsabilizzazione di massa”: tutti spendevano senza badare ai costi, tanto pagava lo Stato. Con tragica ironia, il Superbonus ha ricordato certe pratiche di finanza allegra del passato (condoni di massa, spesa facile a deficit), proprio mentre l’Italia cercava di costruirsi una reputazione di rigore. Per i contrari, questo modello è eticamente e economicamente sbagliato: caricare decine di miliardi sul debito pubblico per lavori privati – spesso a beneficio di chi poteva comunque ristrutturare – è un’ingiustizia intergenerazionale e uno sperpero che il Paese non poteva permettersi.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Grazie al Superbonus l’efficienza energetica e l’attenzione al clima hanno fatto un salto avanti
Il Superbonus 110% è nato anche – e soprattutto – con uno scopo ambientale: accelerare la riqualificazione energetica del vetusto patrimonio edilizio italiano, riducendo consumi e emissioni di CO₂ in linea con gli obiettivi climatici UE. Da questo punto di vista, la misura ha ottenuto risultati significativi. Secondo i dati ENEA, gli interventi incentivati dal 2007 ad oggi hanno generato un risparmio energetico annuo di oltre 33.700 GWh; di questi, ben 9.050 GWh/anno (circa il 27%) sono direttamente attribuibili al Superbonus, nonostante sia operativo solo dal 2020. Ciò evidenzia l’enorme impatto che l’incentivo ha avuto in pochissimi anni, avvicinando in breve tempo i risparmi ottenuti in oltre un decennio di Ecobonus ordinario. Tradotto in bolletta, significa miliardi di euro risparmiati ogni anno dalle famiglie in minor consumo di elettricità e gas.
Il Rapporto Annuale Efficienza Energetica 2025 di ENEA conferma questi benefici: grazie anche (e soprattutto) al Superbonus, l’Italia nel solo 2024 sta risparmiando circa 4,5 Mtep/anno (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia primaria – l’equivalente del consumo energetico di 4 milioni di abitazioni. Questo “tesoretto” energetico vale circa €1 miliardo all’anno di minori importazioni di gas e combustibili. In un momento di prezzi energetici alle stelle e tensioni geopolitiche sull’energia, avere tagliato la domanda interna di tale entità è un vantaggio strategico: bollette più basse per le famiglie (sottraendo circa 1 miliardo ai costi energetici nazionali) e maggiore sicurezza energetica per il Paese. Non a caso, ENEA ha definito la cancellazione del Superbonus un “danno energetico” per l’Italia, poiché senza misure altrettanto efficaci sarà arduo centrare il target di risparmio di 10,6 Mtep annui fissato al 2030 nel Pniec.
Dal punto di vista ambientale e climatico, il Superbonus ha accelerato la riduzione di emissioni di gas serra. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) finanziava parte del Superbonus con l’obiettivo dichiarato di tagliare circa 667 kton di CO₂ l’anno a regime. Già entro il 2023, grazie agli interventi realizzati, si stima una riduzione di oltre 600.000 tonnellate di CO₂/anno, contribuendo in modo tangibile agli impegni italiani nell’Accordo di Parigi. Il bonus imponeva infatti un salto di due classi energetiche degli edifici: milioni di metri quadri di pareti sono stati isolati, migliaia di caldaie a gas vecchie e inquinanti sono state rimpiazzate da modelli a condensazione o da pompe di calore elettriche. Si è installata energia rinnovabile distribuita: molti cantieri hanno incluso impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo, incentivati al 110% se eseguiti congiuntamente agli interventi principali. Tutto ciò ha trasformato case “colabrodo” in edifici ad alta efficienza, con consumi ridotti anche del 30-50%. Questi benefici permanenti si protrarranno per decenni: una casa coibentata e ben riscaldata inquina meno e costa meno, anno dopo anno.
I sostenitori fanno notare che il Superbonus ha dato un impulso senza precedenti alla “renovation wave” italiana. Per anni l’adeguamento energetico dei condomìni è proceduto a rilento, a causa di costi elevati e difficoltà decisionali: il 110% ha rimosso questi ostacoli, coprendo integralmente la spesa e incentivando tutti a intraprendere i lavori. In pochi mesi, migliaia di assemblee condominiali hanno approvato interventi di efficientamento che altrimenti sarebbero stati rinviati sine die. L’Italia, che storicamente ha un patrimonio immobiliare energivoro (oltre il 60% degli edifici residenziali è stato costruito prima delle prime norme termiche degli anni ‘70), ha iniziato finalmente a riqualificare su larga scala. La Commissione Europea indicava come traguardo il rinnovamento di almeno 32 milioni di m² di edifici con il Superbonus entro il 2025. Già entro fine 2023 erano stati efficientati ~12 milioni di m²: un progresso notevole, frutto diretto del programma. Questo significa case più moderne e confortevoli, città con meno emissioni e un passo avanti verso l’obiettivo di neutralità climatica.
Un altro effetto positivo è stato il contrasto alla povertà energetica (famiglie che non riescono a permettersi il riscaldamento adeguato). Coibentare un appartamento significa ridurre la dispersione termica e quindi la spesa per tenere la casa calda d’inverno o fresca d’estate. Anche se, come rilevato da alcuni studi, i ceti più poveri hanno usufruito meno direttamente del Superbonus, i benefici indiretti toccano tutti: un parco abitativo più efficiente mitiga la domanda nazionale di energia, contribuendo a contenere i costi energetici e la volatilità dei prezzi. In prospettiva, politiche simili potrebbero essere indirizzate maggiormente alle categorie vulnerabili – ad esempio edifici di edilizia popolare – per massimizzare l’impatto sociale, ma ciò riguarda il disegno della misura, non la sua efficacia ecologica.
I favorevoli evidenziano un ulteriore vantaggio ambientale: la crescita esponenziale di interventi ha stimolato lo sviluppo di una filiera “green” nazionale. Aziende di serramenti isolanti, caldaie ad alta efficienza, pannelli solari, materiali coibenti, hanno visto aumentare la domanda, investendo in innovazione e aumentando la produzione. Questo rafforzamento industriale interno favorisce la transizione ecologica su basi economiche solide, creando know-how e posti di lavoro verdi. Ogni euro investito in efficientamento energetico genera “dividendi ambientali” sotto forma di minori emissioni e minore dipendenza dalle fonti fossili.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Il Superbonus è una misura iniqua e regressiva
Un altro profilo fortemente critico del Superbonus è quello sociale e redistributivo. Secondo questa tesi, il 110% si è risolto in un enorme trasferimento di ricchezza dallo Stato (cioè dalla collettività) a una fascia relativamente benestante di proprietari immobiliari, senza alleviare le disuguaglianze: “ha preso ai poveri per dare ai ricchi”, invertendo la logica di progressività fiscale. I dati confermano uno sbilanciamento di classe nei beneficiari. Un’analisi de “lavoce.info” rivela che circa il 50% di tutti i crediti Superbonus è stato assorbito “dal 10% delle famiglie più ricche”. Questo 10% è composto da soggetti con alti redditi, cospicui patrimoni immobiliari (spesso seconde case) e piena capacità fiscale. Viceversa, la metà più povera della popolazione ha fruito di una quota minoritaria dei bonus, e molti tra i meno abbienti non hanno ottenuto nulla. Ciò è dovuto a vari fattori: i “beni meritevoli” di bonus (case di proprietà, magari unifamiliari) sono concentrati nelle fasce medio-alte; chi non possiede casa o vive in affitto era escluso in partenza; chi aveva redditi bassissimi (incapienti) all’inizio faticava a cedere il credito, perché banche e imprese cercavano committenti più solidi. Il risultato è che spesso il lavoratore precario in affitto ha finanziato – tramite debito pubblico – la ristrutturazione della villetta al mare di un pensionato d’oro o la cappottatura della palazzina di un professionista benestante. Non esattamente un intervento equo.
La geografia del bonus accentua questo divario. Regioni ricche del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) hanno fatto la parte del leone nelle richieste di Superbonus, mentre al Sud – dove si concentrano i casi di povertà energetica (famiglie che non possono permettersi riscaldamento) – l’utilizzo è stato inferiore. Ad esempio, la Calabria, una delle regioni con più basso reddito medio e maggior bisogno di riqualificazione, ha visto pochi interventi rispetto alla popolosa e benestante Lombardia. Le cause: al Sud molte abitazioni sono abusive o con situazioni catastali irregolari (quindi non accessibili al bonus), inoltre la minor diffusione di imprese strutturate ha rallentato l’offerta di lavori. Ma il risultato resta: chi vive nelle case peggiori (fredde, umide, insicure) paradossalmente è rimasto fuori dal Superbonus, mentre chi già aveva case di proprietà ha potuto migliorarle a costo zero. Questo rischia di ampliare il divario: oggi chi ha usufruito del 110% si ritrova con bollette più basse e un immobile di classe A che vale di più; chi non ha potuto accedervi continua a vivere in case di classe G, con spese energetiche alte e minor comfort. In altre parole, il bonus ha creato “vincitori e vinti”. E i vincitori sono in gran parte i proprietari immobiliari più agiati. Non stupisce che Meloni abbia definito il Superbonus un provvedimento “a vantaggio dei più abbienti”, sottolineando come a pagare siano tutti i contribuenti mentre a guadagnare sono stati in pochi. Anche personalità insospettabili come l’ex ministro Enrico Giovannini (tecnico di area progressista) hanno riconosciuto che la misura era “regressiva” nella sua distribuzione dei benefici, esprimendo perplessità fin dal 2020.
Un ulteriore elemento di iniquità sta nel meccanismo del credito d’imposta cedibile: in teoria doveva favorire chi non aveva liquidità (potendo cedere il credito alla banca o fare sconto in fattura). In pratica, dopo una prima fase, molte banche hanno ridotto le acquisizioni di crediti e i piccoli risparmiatori incapienti sono rimasti impigliati. Sono emersi casi di famiglie meno abbienti bloccate: ad esempio persone che hanno avviato i lavori convinte di cedere il credito ma si sono trovate con il cantiere a metà perché nessuno comprava più il loro credito fiscale (dopo il blocco di febbraio 2023). Paradossalmente, chi aveva più risorse o potere contrattuale è riuscito a monetizzare i crediti (anche a costo scontato), mentre piccole imprese artigiane e clienti meno solidi hanno accumulato crediti incagliati per milioni. Questo ha richiesto un intervento pubblico ulteriore (il governo ha dovuto trovare soluzioni per sbloccare i crediti, coinvolgendo Poste e concedendo spazi fiscali). Tutto ciò aggiunge elementi di ingiustizia: i grandi general contractor e le banche hanno comunque realizzato margini nel ciclo iniziale, mentre i soggetti più deboli hanno rischiato il dissesto quando la musica è cambiata.
Dal punto di vista etico-sociale, i contrari ritengono inaccettabile l’idea di aver finanziato con soldi pubblici la patrimonializzazione privata su larga scala. A differenza di una scuola o un ospedale (beni comuni), qui lo Stato ha ristrutturato beni privati, accrescendo il valore di proprietà individuali. In molti casi il beneficiario del bonus è diventato più ricco (perché la sua casa vale di più sul mercato) senza aver investito nulla di proprio; anzi spesso lucrando, se si considera che il bonus copriva il 110% e quindi molti hanno ottenuto lavori gratuiti e pure un 10% extra a loro favore. Questo configura una rendita paradossale: socializzazione dei costi, privatizzazione dei profitti. Un trasferimento netto di ricchezza pubblica ai proprietari immobiliari (categoria notoriamente già più benestante della media, in Italia). Carlo Cottarelli ha evidenziato proprio questo aspetto: “si esagera quando si apre l’accesso a un bonus generosissimo indipendentemente dalle condizioni economiche”, con la conseguenza che a beneficiarne sono famiglie senza difficoltà economiche. E si esagera – aggiunge – quando per dare 120 mld all’edilizia si tolgono risorse ad altri settori cruciali. Questo rende il Superbonus una politica non solidale e non in linea coi principi costituzionali di equità fiscale.
I detrattori rimarcano anche la percezione di ingiustizia generata nella popolazione. Chi per senso civico o impossibilità non ha partecipato ai bonus può sentirsi giustamente penalizzato: ha visto il vicino rifarsi casa gratis mentre lui magari non ha avuto alcun aiuto (si pensi a inquilini in affitto in case non ristrutturate – pagano affitti e bollette alte). Oppure alle giovani coppie che faticano ad acquistare la prima casa: il mercato immobiliare è stato drogato dal bonus (prezzi e costi su, pochi appartamenti in vendita perché conviene tenerseli e ristrutturarli gratis), rendendo per loro ancora più arduo trovare casa. C’è quindi un tema di generazioni: i più giovani (con meno proprietà) hanno ottenuto briciole, i più anziani proprietari hanno avuto la torta.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Con il Superbonus, case più sicure e patrimonio edilizio rinnovato
Il Superbonus ha incorporato anche il Sismabonus al 110%, puntando a rendere le abitazioni italiane più sicure in caso di terremoti. Questo aspetto viene talvolta trascurato, ma è fondamentale in un Paese come l’Italia, dove il rischio sismico è elevato e migliaia di edifici – spesso storici o costruiti con normative superate – risultano vulnerabili. Grazie al Superbonus, per la prima volta lo Stato ha coperto integralmente interventi di miglioramento antisismico: rinforzo di fondamenta e pilastri, installazione di dissipatori sismici, consolidamento di muri portanti. Interventi costosi, che raramente i privati affrontavano spontaneamente, sono stati realizzati in massa grazie all’incentivo. Secondo i dati del Ministero (MITE), oltre 46.000 cantieri Superbonus hanno riguardato lavori strutturali di riduzione del rischio sismico. Molti condomìni hanno abbinato il cappotto termico al rinforzo antisismico, sfruttando la detrazione massima. Interi quartieri, specialmente nell’Italia centrale e meridionale, sono oggi più sicuri: in caso di futuro terremoto, queste opere potrebbero salvare vite umane e prevenire crolli, riducendo anche la necessità di costose ricostruzioni post-sisma a carico dello Stato.
Il PNRR e la Commissione Europea assegnavano al Superbonus anche un traguardo di messa in sicurezza sismica: almeno 3,8 milioni di m² di edifici residenziali consolidati strutturalmente entro il 2025. Già entro il 2023 erano stati completati lavori antisismici su 1,4 milioni di m², un risultato notevole per un Paese che spesso interviene solo dopo le tragedie. Ciò significa che migliaia di case, scuole, palazzi ora hanno una classe di rischio sismico inferiore (in molti casi passando da classe C/B a A), cioè, subiranno danni molto minori in caso di scosse. Questo approccio preventivo è un cambio di paradigma: l’Italia spende regolarmente miliardi per ricostruire dopo i terremoti (si pensi ai €30 mld stimati dopo il sisma del Centro Italia 2016-17). Investire una parte di quelle somme prima (in prevenzione) è economicamente saggio e moralmente doveroso. Il Superbonus lo ha reso possibile su larga scala: un territorio più resiliente, cittadini più protetti.
Oltre al miglioramento sismico, l’incentivo ha promosso una rigenerazione del patrimonio edilizio a 360 gradi. Molti edifici italiani versavano in condizioni di degrado (facciate ammalorate, infiltrazioni, impianti obsoleti). Con i lavori trainati dal Superbonus, spesso si è proceduto anche a manutenzioni straordinarie che hanno riqualificato esteticamente e funzionalmente gli stabili. Interventi collaterali come il Bonus Facciate 90% (spesso usato in combinazione) hanno ridato decoro ai centri urbani: palazzi storici ripuliti, cappotti colorati al posto di muri anneriti. Piccoli borghi e periferie hanno cambiato volto grazie a questi interventi integrati, migliorando la qualità abitativa e anche il valore immobiliare. Secondo stime delle associazioni di categoria, gli immobili ristrutturati col Superbonus hanno visto aumentare il proprio valore di mercato mediamente del 3-5% (in alcuni casi fino al 10% per gli edifici passati in classe energetica A). Ciò significa arricchimento diffuso: famiglie che si ritrovano una casa che vale di più e costa meno di bollette, creando ricchezza patrimoniale netta per la classe media.
Un altro punto di merito è l’adeguamento degli impianti: tante palazzine hanno colto l’occasione per rifare ex novo impianti elettrici, idraulici, ascensori, eliminando barriere architettoniche (bonus 75% per disabili abbinabile). Anche l’installazione massiccia di colonnine di ricarica per veicoli elettrici (anch’esse detraibili al 110% se trainate) è stata un effetto positivo: migliaia di condomìni ora dispongono di punti di ricarica privati, incentivando la mobilità elettrica. Insomma, il Superbonus ha innescato una riqualificazione integrata: energetica, strutturale e tecnologica. Questo genere di rinnovamento “deep retrofit” è esattamente ciò di cui ha bisogno il patrimonio edilizio italiano, tra i più vecchi d’Europa (età media edifici > 50 anni).
I favorevoli fanno notare che per decenni lo Stato ha incentivato l’edilizia con bonus molto meno incisivi (50-65%) che però, in assenza di copertura totale, non hanno mai scatenato una trasformazione sistemica. Il 110% ha dimostrato che, quando l’incentivo è forte, i cittadini aderiscono in massa e il cambiamento avviene. Ora milioni di persone vivono in case non solo più efficienti, ma anche più sicure e confortevoli. Si pensi agli anziani proprietari che non potevano permettersi costosi consolidamenti: grazie al bonus hanno dormito sonni più tranquilli, sapendo di abitare in edifici meglio ancorati e rinforzati. In zone sismiche (Appennino, Sicilia, Friuli) interi condomìni sono scesi di una classe di rischio: in caso di scossa, meno danni strutturali e dunque meno paura e meno sfollati. Questo valore sociale è difficile da quantificare economicamente ma è innegabile.
In sintesi, il Superbonus ha agito come un “restauro diffuso” del patrimonio immobiliare italiano: ne ha accresciuto la resilienza ai terremoti, prolungandone la vita utile, e ne ha migliorato le prestazioni (energetiche e non solo). Un patrimonio edilizio rinnovato significa anche città più moderne e competitive: basti pensare all’impatto sul turismo di borghi ristrutturati o sul benessere psicologico di vivere in un quartiere riqualificato. Per i sostenitori, questi benefici di lungo periodo – sicurezza, decoro, valorizzazione – sono parte integrante del lascito positivo del Superbonus, troppo spesso ignorati nel dibattito focalizzato solo sui numeri di bilancio. Investire nella casa degli italiani non è mai uno spreco, ma un volano di sviluppo sostenibile (sicurezza + ambiente) che aumenta la ricchezza reale del Paese.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Efficienza del Superbonus è dubbia: un euro di risultato al prezzo di molti euro spesi
Il Superbonus viene bocciato dai critici sul piano della efficienza economica intrinseca. Ci si chiede: i benefici ottenuti – in termini di risparmio energetico, crescita PIL, riduzione emissioni, messa in sicurezza – valgono davvero i costi astronomici sostenuti? La risposta dei detrattori è un netto no. In pratica, il Superbonus ha reso poco rispetto a quanto è costato. Ha impiegato risorse enormi per ottenere risultati modesti, che si sarebbero potuti raggiungere con spese molto minori attraverso altre politiche. Un primo indicatore è il costo per unità di emissione evitata. L’obiettivo ambientale era ridurre CO₂, ma a quale prezzo? Secondo i calcoli di vari analisti, ogni tonnellata di CO₂ risparmiata tramite i lavori incentivati è costata allo Stato cifre abnormi: oltre €1.000 per tonnellata. In confronto, il prezzo di mercato della CO₂ nel sistema ETS europeo è attorno a €80/tonnellata. Significa che il Superbonus ha speso più di 12 volte tanto per ottenere lo stesso risultato ambientale che si sarebbe potuto conseguire, ad esempio, incentivando rinnovabili o acquistando crediti di carbonio sul mercato. Luis Garicano lo definisce “la più grande operazione di greenwashing”: un’operazione presentata come ecologica, ma a un costo così sproporzionato da risultare antieconomica. In sostanza, per tagliare un kg di CO₂ col 110% lo Stato avrebbe potuto tagliarne 12 kg investendo diversamente. Questo è un indicatore di inefficienza lampante. Analogamente, guardando al risparmio energetico: ENEA quantifica in ~9 TWh/anno il risparmio da Superbonus. Ottimo, ma a fronte di 110 miliardi spesi. Ogni kWh risparmiato costerà quindi allo Stato decine di centesimi di euro per decenni, quando lo stesso kWh “negativo” (risparmio) si poteva ottenere con programmi mirati (ad esempio sostituzione elettrodomestici, detrazioni al 65%) spendendo molto meno. Insomma, l’efficienza energetica si poteva promuovere in modo più economico. La Corte dei Conti ha sottolineato che sì, gli obiettivi di risparmio ed emissioni sono stati superati, “ma se l’attenzione si sposta sul costo… la musica cambia”: il tempo di ritorno dell’investimento pubblico è superiore a 35 anni (24 anni includendo entrate indotte). Valore ben oltre la vita utile di molti interventi (un cappotto può degradarsi in 20 anni), sintomo che l’operazione non si ripaga in tempi ragionevoli. Un progetto efficiente dovrebbe rientrare in tempi molto più brevi.
Altro parametro è il costo per posto di lavoro creato. I sostenitori vantano le centinaia di migliaia di occupati generati. Ma se si divide la spesa pubblica per il numero di occupati, quanto “è costato” ciascun nuovo posto? Supponendo 300mila occupati a fronte di €120 mld impegnati, fanno €400.000 per occupato. Una cifra enorme, con la quale si potevano finanziare decine di anni di stipendio di ciascun lavoratore (lo stipendio edile medio è €25-30k/anno). Ciò significa che l’effetto occupazionale è stato ottenuto in modo costosissimo. Anche considerando l’indotto e i moltiplicatori, secondo l’FMI il boost di crescita ottenuto è “abbastanza limitato in relazione alla mole di risorse fiscali impiegate”. Si stima che il PIL aggiuntivo generato sia di molto inferiore al valore dei crediti concessi. In pratica, con quell’ammontare di spesa si sarebbero potuti creare forse più posti di lavoro e più PIL in altri settori. Carlo Cottarelli osserva ad esempio che impiegare 120 miliardi su università, digitalizzazione, infrastrutture avrebbe potuto produrre crescita più alta e duratura, invece di gonfiare un solo settore per poi sgonfiarlo subito dopo. Insomma, l’efficienza allocativa è mancata: si sono concentrati troppi soldi in un ambito ristretto, creando distorsioni e poi un brusco vuoto quando il denaro è finito.
Anche guardando la percentuale di patrimonio riqualificato, il bilancio è deludente rispetto alle risorse impiegate. Il Superbonus ha interessato circa 1,3 milioni di unità immobiliari (dato Enea, includendo ~380 mila edifici unifamiliari, ~800 mila appartamenti in condominio). L’Italia ha oltre 12 milioni di edifici residenziali e 30+ milioni di abitazioni: significa che con quell’esborso colossale si è migliorato appena il 4-5% del patrimonio. Non esattamente una rivoluzione green, ma un ritocco marginale. Garicano nota che il programma rinnoverà in totale poco meno di 500.000 abitazioni (dati 2024), quindi l’ordine di grandezza è quell’1-2% annuo del parco immobiliare – simile a quanto avviene già con le riqualificazioni spontanee e i bonus tradizionali. Dunque, il salto di qualità non c’è stato in proporzione alla spesa. Anzi, in futuro mancheranno le risorse per continuare la riqualificazione sul restante 95% di edifici, perché il budget pubblico è stato pesantemente assorbito. Con la stessa cifra, si lamenta, si sarebbero potuti interamente ricostruire da zero decine di migliaia di alloggi popolari NZEB (energia quasi zero) o installare gigawatt di rinnovabili, ottenendo benefici di gran lunga maggiori in termini di decarbonizzazione e crescita. Invece si è scelto un percorso poco efficiente. Ugo Spezia (analista economico) ha definito il Superbonus “un martello usato per svitare una vite”: uno strumento inadatto, sovradimensionato per lo scopo, che finisce per fare danni collaterali.
Gli oppositori contestano anche l’efficacia reale dei lavori eseguiti. Molti interventi, fatti di fretta per rientrare nelle scadenze, potrebbero non durare a lungo o non rendere quanto previsto. Ad esempio, alcuni cappotti termici esterni presentano già muffe o problemi perché realizzati con materiali scadenti (complice l’aumento dei prezzi e la carenza di manodopera qualificata). Ci sono stati casi di lavori incompleti o lasciati a metà per il blocco dei fondi, che rischiano di vanificare la spesa fatta (edifici a metà dell’opera). Inoltre, incentivando tutti a partire contemporaneamente, si è creato un collo di bottiglia: non c’erano abbastanza aziende serie per soddisfare la domanda, e ciò ha favorito l’improvvisazione e l’aumento di cantieri di bassa qualità. Il risultato è che non sempre i benefici teorizzati (salti di due classi energetiche ecc.) verranno mantenuti nella realtà quotidiana e negli anni. Se un cappotto è applicato male, non isola come dovrebbe; se una caldaia a condensazione è sovradimensionata o regolata male, non rende a pieno.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Il Superbonus è un’idea valida, rovinata da modifiche e gestione incerte
Secondo i sostenitori, molte delle criticità imputate al Superbonus derivano non dalla sua concezione originaria – considerata valida – ma da errori politici e burocratici nella sua attuazione. In altre parole, il principio di finanziare massicciamente la riqualificazione di case e condomìni era giusto e necessario; a risultare sbagliati sono stati semmai alcuni dettagli tecnici, i continui cambi di regole e l’insufficienza di controlli contro gli abusi. Questo punto di vista sposta dunque il focus: non “Superbonus sì o no”, ma “come” implementarlo al meglio.
Innanzitutto, va ricordato che il Superbonus è nato in un contesto emergenziale (pandemia) con obiettivi condivisi trasversalmente: rilanciare l’economia, ridurre le emissioni, migliorare la sicurezza abitativa. Perfino critici severi come Carlo Cottarelli riconoscono che “occorreva sostenere il sistema edilizio… e rendere le case più verdi”, cioè che le finalità fossero sacrosante. Se poi l’esecuzione ha presentato problemi, la risposta razionale sarebbe stata correggerlo, non demonizzare l’intera idea. Legambiente, ad esempio, sin dal 2021 sosteneva che “il 110% non va ridotto, ma migliorato” con opportuni aggiustamenti. Quali aggiustamenti? I proponenti ne indicano diversi: introdurre massimali di costo adeguati (già nel 2022 il MITE fissò prezzari per frenare i rincari); potenziare i controlli preventivi antifrode (l’Agenzia Entrate iniziò a farlo solo dopo che erano emerse truffe, ma ormai tardi); selezionare i beneficiari in base al reddito e al tipo di immobile (ad esempio escludere le ville di lusso o introdurre un tetto ISEE per accedere al 110%, cosa poi fatta parzialmente dal 2023). Sono tutte misure che si potevano implementare, mantenendo l’incentivo efficace ma riducendo gli effetti distorsivi. In pratica, l’errore è stato considerare il Superbonus “troppo bello per essere vero” e lasciarlo inizialmente senza paletti, quando sarebbe bastato dosarne la generosità per evitare eccessi.
Un aspetto cruciale che i favorevoli evidenziano è la continua oscillazione normativa attorno al bonus. Dal 2020 al 2023 il quadro è cambiato decine di volte: proroghe annunciate e poi riviste, aliquote modificate (110%, poi 90%, poi 70%), vincoli introdotti (limiti alle villette, plafond di spesa) spesso ex post, e infine la brusca sospensione della cessione dei crediti decisa a sorpresa nel febbraio 2023. Questa instabilità ha generato caos e incertezza sia tra i cittadini sia tra le imprese. Cantieri aperti confidando in norme vigenti si sono trovati all’improvviso senza compratori per i crediti, rischiando il default. Famiglie che contavano sul 110% hanno dovuto ridimensionare i lavori o indebitarsi per coprire la differenza. È evidente – sostengono i pro – che una miglior gestione politica avrebbe evitato questi traumi: bastava pianificare una transizione graduale (ad esempio scalare al 90% solo per nuovi lavori e garantire la cessione bancaria fino a esaurimento per quelli in corso) invece di bloccare di colpo il meccanismo. La responsabilità di molte storture ricade dunque su chi ha gestito male il “dopo”, più che sull’idea in sé. Persino il governo Meloni ha dovuto riconoscere la necessità di un compromesso, prorogando il 110% per non lasciare “famiglie e imprese con crediti incagliati”. Ciò dimostra che interrompere bruscamente il bonus è stato un errore: alla fine si è dovuto tornare parzialmente indietro, confermando che la misura aveva creato aspettative e obbligazioni che andavano onorate con serietà istituzionale.
Un altro fattore correttivo riguarda le frodi. Gli oppositori citano giustamente le truffe miliardarie, ma anche qui va chiarito: non è il Superbonus in sé a essere fraudolento, bensì alcune società e intermediari disonesti che ne hanno approfittato in assenza di verifiche stringenti iniziali. L’esperienza ha portato rapidamente a introdurre controlli extra: dal 2022 obbligo di visto di conformità, asseverazioni tecniche, cessione tracciata su piattaforma dedicata. Con questi strumenti, il grosso delle frodi è stato arginato. Inoltre, le forze dell’ordine e la magistratura hanno già individuato i responsabili di molti raggiri: 12 miliardi di crediti illeciti bloccati. Ciò suggerisce che, con adeguate cautele a monte, l’incentivo può funzionare senza truffe sistemiche. È come accusare i finanziamenti UE di essere sbagliati perché c’è chi cerca di frodarli: la soluzione non è abolire i fondi, ma rafforzare i controlli.
I sostenitori inoltre ricordano che tutte le forze politiche hanno inizialmente supportato e votato il Superbonus, maggioranze e opposizioni comprese. La narrazione per cui era “evidente sin dall’inizio” che sarebbe stato un disastro è smentita dal consenso quasi unanime con cui è stato prorogato più volte (solo rarissime eccezioni parlamentari si opposero). Questo consenso trasversale indica che l’idea di principio era considerata valida: se poi il contesto è cambiato (crisi energetica, inflazione) o sono emerse criticità attuative, la politica avrebbe dovuto adattare la misura, non scaricare la colpa su chi l’aveva proposta. Da notare che perfino nell’attuale governo, ministri e sottosegretari hanno usufruito dei bonus edilizi per le proprie case, segno che credevano nell’utilità di ristrutturare con il contributo pubblico (lo ha sottolineato Conte: “metà governo” ne ha beneficiato). Questo rende le successive accuse di “assistenzialismo per ricchi” un po’ ipocrite agli occhi dei proponenti.
Il fallimento non è nell’idea di Superbonus, ma nella sua implementazione imperfetta. Gli obiettivi – crescita, transizione ecologica, sicurezza – restano fondamentali e anzi inderogabili. Si poteva e doveva calibrare meglio lo strumento: imporre tetti di spesa complessivi (evitando l’effetto “bomba a orologeria” sul bilancio), modulare la percentuale (magari 100% anziché 110%, per lasciare un minimo di attenzione ai costi da parte dei privati), introdurre da subito filtri antifrode e criteri di equità. Tutte misure tecniche che nulla tolgono alla bontà dell’approccio strategico: investire risorse pubbliche per rinnovare il patrimonio edilizio, con benefici economici, sociali e ambientali diffusi. Un policy maker responsabile avrebbe dovuto migliorare la misura lungo il percorso, non bollare come “peggior iniziativa” qualcosa che ha comunque portato enormi benefici tangibili. In conclusione, per questa tesi il Superbonus è stato sfigurato da scelte politiche inadeguate (come il dietrofront caotico del 2023) ma resta, nella sua filosofia di base, uno strumento valido e lungimirante. La prova sta nel fatto che ora si discute di nuovi incentivi (ad esempio il progetto Ecobonus 80% mirato) per proseguire la riqualificazione: segno che l’idea di fondo – lo Stato promotore della transizione energetica edilizia – è qui per restare, pur con formule migliorate.
Nina Celli, 29 novembre 2025
Il Superbonus ha avuto effetti collaterali deleteri: frodi massive, distorsioni di mercato e bolla dell’edilizia
Oltre ai problemi di bilancio e distribuzione, il Superbonus viene accusato di aver innescato una serie di effetti distorsivi nell’economia e nella società, che ne aggravano il bilancio complessivo. In questa tesi contraria si evidenziano tre ordini di effetti negativi: l’esplosione di frodi e illeciti, la distorsione dei prezzi nel settore edilizio (una vera bolla inflattiva), e infine la creazione di un boom artificiale seguito da un inevitabile crash, con strascichi di incertezza e sfiducia.
Sul fronte delle frodi, la natura stessa del 110% (credito più alto del costo, monetizzabile con facilità) ha rappresentato un invito per i truffatori. Non appena il meccanismo è partito, sono fioriti schemi fraudolenti: false attestazioni di lavori mai eseguiti, creazione di cantieri fittizi, gonfiaggio sistematico delle fatture. Il Ministro dell’Economia dell’epoca, Daniele Franco, nel 2022 definì quelle emerse “una delle più grandi truffe nella storia della Repubblica”. Le operazioni della Guardia di Finanza hanno scoperto crediti fittizi per oltre 9 miliardi già a inizio 2022. A fine 2023, Meloni ha parlato di €12 miliardi di contratti irregolari scoperti e aggiornati poi a €16 miliardi. Tra i casi più eclatanti: aziende inesistenti costituite solo per creare crediti fasulli, compravendite di immobili tra compiacenti per gonfiare i massimali, fino ad arrivare a interi capannoni industriali fantasma sanati sulla carta per milioni di euro. Un’inchiesta giornalistica di “Report” ha mostrato come un gruppo criminale sia riuscito a generare €110 milioni di crediti su immobili in teoria da demolire, usando prestanome nullatenenti. Tutto ciò è avvenuto perché inizialmente mancavano controlli ex ante: bastava un’asseverazione compiacente e si otteneva il credito. Solo a fine 2021 il governo Draghi ha imposto il visto di conformità obbligatorio e il codice identificativo univoco per ogni credito (bloccando così le cessioni “a catena”). Ma il danno era fatto: truffe per oltre 5 miliardi erano già state certificate. I critici sottolineano che questo rappresenta un danno secco: quei miliardi di crediti fasulli pesano sul bilancio senza alcun lavoro reale svolto. Il Superbonus è così diventato – parole di Meloni – “la più grande truffa ai danni dello Stato”. Un primato negativo che offusca qualsiasi vantaggio.
In parallelo, il 110% ha stravolto il normale funzionamento del mercato edilizio. Dando ai privati totale indifferenza al prezzo (tanto paga lo Stato), si è eliminato ogni incentivo a tenere bassi i costi. Anzi, come notava “Reuters”, “più il lavoro costava, più soldi restavano in tasca al proprietario” (che riceveva il 10% extra oltre la spesa). Questo ha fatto lievitare i prezzi: i preventivi di ristrutturazione sono esplosi, spesso gonfiati ad arte. Banca d’Italia ha quantificato un +13% dei costi di costruzione dopo l’avvio del Superbonus, di cui circa la metà attribuibile direttamente al bonus. Alcuni materiali hanno avuto rincari assurdi: ponteggi +400% entro fine 2021, isolanti +80%, serramenti +50%. I tetti di prezzo introdotti (prezzari DEI) sono serviti a poco: come osserva Cottarelli, “erano diventati prezzi medi, non massimi” – le imprese tendevano ad applicare comunque il tetto massimo, tanto c’era margine. Questo ha drogato il settore: un’impennata inflattiva che ha penalizzato chiunque volesse fare lavori al di fuori del bonus (impossibile trovare imprese a costi normali). Inoltre, il bonus ha attratto nel settore una pletora di nuovi operatori improvvisati: società nate dal nulla per accaparrarsi commesse facili, alcune senza esperienza che hanno poi lasciato lavori di scarsa qualità. Si è creato un “Far West” edilizio, in cui l’obiettivo di molti non era eseguire bene i lavori ma massimizzare il profitto rapido a spese dello Stato. La qualità media ne ha risentito e il settore è diventato meno trasparente.
Un’altra distorsione è stata sul mercato creditizio: in poco tempo sono stati emessi oltre €120 miliardi di crediti d’imposta scambiabili. Praticamente un quasi-circuito monetario parallelo (come notato da Garicano). A un certo punto c’erano più crediti che capienza fiscale per compensarli, una situazione che ha costretto il governo a intervenire bloccando le cessioni oltre una certa soglia. Quando ciò è avvenuto (febbraio 2023), si è creata una crisi di liquidità per migliaia di imprese: crediti incassati ma non più cedibili, fatture non pagate, banche piene e non più disposte ad accettare crediti. Il meccanismo si è inceppato bruscamente, e questo è anch’esso un effetto collaterale di un disegno troppo disinvolto. In pratica, il Superbonus ha generato prima una bolla (tutti volevano i crediti, che infatti venivano scambiati quasi alla pari col contante), poi un blocco del mercato con crediti divenuti toxic asset. CNA e Confartigianato hanno denunciato che oltre 30-40 mila imprese edili, soprattutto PMI, hanno rischiato il fallimento per colpa dei crediti incagliati. Interi condomìni si sono trovati coi lavori fermi e ponteggi abbandonati perché l’impresa non poteva più scontare i crediti e andare avanti. Questo contraccolpo ha gettato nel panico operatori e clienti, scatenando proteste (e portando alla mini-proroga per i redditi bassi a fine 2023). In sostanza, il Superbonus ha creato un ciclo boom-and-bust: prima un boom frenetico, poi un bust traumatico. Questa instabilità è un effetto altamente indesiderabile: invece di una crescita sana e graduale del settore, si è avuta una fiammata seguita da un raffreddamento repentino, con cantieri sospesi e perdita di posti di lavoro (l’Ance stima 50 mila posti persi nel 2023 a causa dello stop). Bankitalia ha evidenziato proprio questo rischio: imprese edili sorte per catturare il bonus ora affrontano un crollo di domanda, con rischio di insolvenze a catena. Il tessuto imprenditoriale ne esce scompaginato: alcuni hanno fatto profitti facili, altri sono saltati; la reputazione del settore ha subito danni; la fiducia di banche e investitori in strumenti fiscali simili è scossa.
I critici sottolineano dunque come il Superbonus abbia minato la credibilità delle politiche di incentivo in Italia. In futuro, un cittadino potrebbe essere diffidente nell’aderire a nuovi bonus se teme cambi repentini; le banche stesse potrebbero esitare a finanziare crediti fiscali dopo l’esperienza traumatica (lo ha ammesso l’ABI). Il clima di fiducia tra Stato, imprese e cittadini è stato incrinato: lo Stato ha dovuto rimangiarsi le promesse (bloccando cessioni), le imprese si sono trovate con contratti non onorati, i cittadini con case a metà. Questo è un fallimento gestionale che però deriva da un difetto originario: un incentivo troppo generoso e non sostenibile, destinato prima o poi a causare un disordine di mercato.
Nina Celli, 29 novembre 2025