Javier Milei
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Javier Milei, economista ultraliberista ed esponente della destra radicale argentina, ha catalizzato l’attenzione internazionale promettendo di “spazzare via la casta” politica e ricostruire il Paese in crisi. Eletto presidente nel novembre 2023 con il 55,5% dei voti, forte del malcontento popolare per un’inflazione annua oltre il 200% e un tasso di povertà intorno al 45%, Milei ha inaugurato un governo fuori dagli schemi tradizionali. Il suo programma, ispirato ai principi del libero mercato e della “non aggressione” cari a Friedman e Hayek, propone una svolta radicale dopo decenni di peronismo statalista. Sin dall’insediamento (10 dicembre 2023) il nuovo presidente ha adottato misure d’urto: svalutazione immediata del peso del 50%, abolizione o accorpamento di ministeri (da 18 ridotti a 9) e licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici. Con un maxi-decreto d’emergenza di oltre 350 articoli, ribattezzato “decreto motosega”, Milei ha liberalizzato affitti, cambi valutari e settori chiave (energia, commercio estero), cancellando sussidi e norme di tutela ambientale e del lavoro. Ha inoltre congelato stipendi pubblici e pensioni nel pieno dell’iperinflazione e azzerato programmi sociali e fondi persino per cure oncologiche, nel tentativo di eliminare il disavanzo statale. Queste mosse, salutate dai suoi sostenitori come una “cura da cavallo” necessaria dopo anni di stagnazione, hanno però innescato un forte dibattito nazionale e proteste di piazza.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
L’austerità immediata ha restituito credibilità finanziaria all’Argentina, evitando il baratro del default.
La “cura Milei” rischia di uccidere il paziente, schiacciando la popolazione sotto sacrifici intollerabili.
Milei ha spezzato decenni di mala gestione populista. Il drastico snellimento dello Stato elimina privilegi e clientele, liberando l’economia dalle zavorre.
Il metodo Milei mostra tratti illiberali pericolosi. L’indipendenza della magistratura e la libertà di protesta sono in pericolo, minando lo Stato di diritto.
Il modello Milei riscopre i principi liberali: meno Stato e più libertà individuale. L’Argentina torna terreno fertile per imprenditorialità e investimenti.
Le politiche di Milei hanno demolito reti di protezione essenziali, aumentando disuguaglianze e precarietà.
Milei ha un forte sostegno popolare alle sue riforme. Investitori e partner internazionali salutano con favore la svolta pro-mercato, rilanciando economia e credibilità.
Il governo Milei riporta indietro l’orologio dei diritti. Donne e comunità LGBTQ+ vedono decenni di conquiste messi in discussione da un’agenda ultraconservatrice.
La linea dura di Milei su sicurezza, famiglia e sovranità rispecchia il sentire di molti argentini.
La retorica contro Cina e vicini e l’allineamento a Washington espongono l’Argentina a ritorsioni e instabilità.
Milei ha sconfitto l’iperinflazione e rimesso in ordine i conti
Dopo anni di crisi cronica, lo “shock” Milei ha ottenuto in pochi mesi ciò che i governi precedenti non erano riusciti a fare: fermare la spirale inflazionistica e risanare il bilancio statale. A fine 2023 l’Argentina usciva da un periodo nero, con prezzi fuori controllo (+210% annuo) e casse pubbliche dissestate. Milei ha risposto con misure drastiche: stop immediato alla spesa in deficit e pareggio di bilancio istantaneo nel 2024, ottenuto bloccando aumenti di stipendi pubblici e pensioni e tagliando sussidi in ogni settore. Questa dura cura austeritaria ha spezzato le aspettative inflattive. Già entro la metà del 2024, l’inflazione mensile è crollata intorno al 2-3%, un livello impensabile solo l’anno prima. A ottobre 2025 il tasso annualizzato è attorno al 30%, riportando l’Argentina in linea con altri Paesi emergenti dopo l’iperinflazione record del biennio precedente. Sul fronte fiscale, i risultati sono altrettanto tangibili: il disavanzo superiore al 5% del PIL ereditato nel 2023 è stato annullato e nei primi mesi del 2024 si sono registrati addirittura avanzi primari, segno di un ritorno alla disciplina di bilancio. La spesa primaria è stata compressa di oltre un quarto in termini reali in un anno, superando persino gli obiettivi del FMI. Questi numeri certificano il successo iniziale del “modello Milei”: l’Argentina non sta più finanziando la spesa pubblica stampando moneta (causa diretta dell’inflazione), e ciò ha ripristinato fiducia sia all’interno che all’estero. I mercati, infatti, hanno subito reagito: i titoli di Stato argentini a lunga scadenza sono risaliti appena insediato Milei, segnale che gli investitori credono nella sostenibilità delle sue politiche. Anche il Fondo Monetario Internazionale, tradizionale arbitro della stabilità macro in Argentina, ha premiato l’approccio rigoroso sbloccando nuovi fondi (4,7 miliardi $ a gennaio 2024) e negoziando un maxi-accordo (14 miliardi $ tra aprile e luglio 2025) volto a ricostituire le riserve valutarie e facilitare le riforme. Per i favorevoli, dunque, Milei ha evitato un collasso annunciato: senza un’azione così rapida e decisa, l’Argentina avrebbe rischiato l’iperinflazione galoppante (si parlava di prezzi raddoppiati ogni mese) e un default sul debito pubblico. Ora invece l’inflazione è sotto controllo e le finanze pubbliche sono in ordine, prerequisiti indispensabili per tornare a crescere. Si tratta di conquiste concrete: “ha fatto in un anno ciò che nessun altro aveva nemmeno tentato” ripetono i sostenitori, evidenziando come il tasso d’inflazione annuale sia crollato da quasi 300% ad appena un decimo di quel valore in due anni, con la moneta finalmente stabilizzata. Certo, riconoscono che la terapia ha effetti collaterali, ma li considerano temporanei: l’economia sta assorbendo il trauma e già nel terzo trimestre 2024 ha ricominciato a crescere (+0,8% PIL) dopo la caduta iniziale. La disoccupazione, lungi dall’esplodere, è addirittura calata leggermente (segno che le imprese ritrovano ossigeno). Argomentano infine che la ritrovata stabilità dei prezzi sta gettando le basi per ridurre la povertà strutturale nel medio periodo. In breve, per il fronte pro Milei, l’unica alternativa all’abisso era uno shock immediato, e i numeri suggeriscono che questo shock sta funzionando, salvando l’Argentina dal caos inflazionario e restituendole credibilità finanziaria. Ogni critica sui “costi sociali” va inquadrata in questa prospettiva: i costi di non agire sarebbero stati immensamente peggiori.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
L’austerità estrema imposta da Milei ha fatto esplodere la povertà
Per i critici, il governo Milei sta imponendo all’Argentina un regime di austerità insostenibile che sta gettando nella miseria vasti strati della popolazione. La brusca svalutazione iniziale del peso (–50% in un solo giorno) combinata al blocco degli aumenti salariali ha fatto da miccia a un’esplosione inflazionistica che, nei primi mesi del 2024, ha travolto il potere d’acquisto delle famiglie più vulnerabili. L’osservatorio OCPI ha calcolato che la povertà, attestata attorno al 35-40% nel 2023, è schizzata oltre il 50% della popolazione subito dopo le prime misure di Milei. Si tratta di milioni di nuovi poveri nel giro di settimane: persone spinte sotto la soglia di sussistenza dall’aumento immediato dei prezzi di beni essenziali (alimentari in primis) senza adeguamenti di reddito. L’impatto sociale è stato drammatico: secondo Human Rights Watch, a metà 2024 oltre la metà degli argentini viveva in povertà, con punte del 67% tra i bambini e del 18% in povertà estrema (fame). Scene di denutrizione, come bambini che rovistano nei rifiuti o anziani costretti a saltare pasti, sono divenute più comuni. Gli stessi dati ufficiali INDEC confermano che i consumi alimentari sono crollati di circa il 20%: un quinto in meno di cibo nei carrelli rispetto a prima delle riforme. Gli oppositori accusano Milei di aver bruciato il ceto medio e lavoratore nel nome di un dogma liberista: tagliando sussidi a trasporti, energia e cibo da un giorno all’altro, le bollette e i prezzi al dettaglio sono saliti alle stelle (nel 2024: +285% acqua/energia, riporta HRW), divorando stipendi e pensioni. Ad esempio, il costo del gas è aumentato del 600% e dei trasporti del 700% nel primo anno di Milei, secondo stime citate da media indipendenti. Anche se poi l’inflazione annua è scesa, sottolineano i critici, questo è avvenuto sul sangue dei poveri: il governo rivendica la riduzione del tasso al 30%, ma ciò è avvenuto dopo aver dimezzato il potere d’acquisto e dimezzato la domanda interna. L’economista Bona spiega chiaramente che Milei “ha inizialmente aumentato moltissimo la povertà per poi riportarla ai livelli di partenza”. In altre parole, zero progresso reale. Quell’apparente “ritorno ai livelli precedenti” nasconde situazioni di profondo deterioramento: i supermercati segnalano un –20% di vendite alimentari, segno che la gente mangia meno. Non a caso, sotto Milei l’Argentina ha vissuto un fenomeno inquietante: il boom delle ollas populares, le mense popolari e le pentole comunitarie dove quartieri interi si organizzano per cucinare insieme con quel poco che hanno, come nei periodi peggiori della storia nazionale. I detrattori accusano dunque Milei di aver fatto pagare la stabilizzazione ai più deboli: anziché cercare un aggiustamento graduale e socialmente equo, ha scelto la strada più brutale, scaricando l’intero peso del risanamento sui cittadini comuni. Essi contestano anche l’idea che questo fosse inevitabile. Ad esempio, ricordano che altri Paesi con alta inflazione (come il Brasile negli anni ‘90) l’hanno domata con piani più attenti al tessuto sociale, senza distruggere salari e risparmi dall’oggi al domani. Nel caso argentino c’era poi la via di una ristrutturazione del debito o di accordi internazionali per contenere l’impatto, ma Milei ha voluto mostrare “coerenza ideologica” a tutti i costi – costi che però non ha pagato lui, bensì la gente comune. L’aumento iniziale dell’inflazione al 25% mensile nel passaggio di consegne 2023-24, citato da HRW, è emblematico di una gestione spregiudicata. Oltre alla povertà monetaria, l’austerità ha generato nuova disoccupazione e precarietà: secondo analisi indipendenti, oltre 250.000 lavoratori hanno perso il posto di lavoro dall’insediamento di Milei, travolti dalla contrazione economica (il PIL si è contratto in termini reali per almeno due trimestri). Circa 18.000 imprese, per lo più PMI, hanno chiuso perché non reggevano i costi esplosi e la caduta della domanda. E chi mantiene il lavoro vede il proprio salario reale dimezzato. I sindacati denunciano un impoverimento generalizzato: impiegati pubblici e privati fanno fatica con affitti triplicati (Milei ha eliminato il calmiere sugli affitti senza misure transitorie) e con prezzi che ancora crescono più dei salari e pensioni (nel 2025 i prezzi +32% vs pensioni +21%). Sostengono inoltre che questa compressione della domanda interna sta deindustrializzando il Paese: l’austerità ha ridotto la produzione e la capacità di spesa, portando a fallimenti a catena nel settore manifatturiero, come evidenzia Bona. Il fronte contrario ritiene dunque che Milei abbia chiesto troppo ai cittadini e troppo in fretta. Un miglioramento dell’inflazione ottenuto riducendo la gente alla miseria è una vittoria di Pirro. A loro avviso, serviva un piano graduale di riforme con compensazioni sociali, mentre qui si è scelto il sacrificio indiscriminato. Se l’Argentina è riuscita a “stabilizzare” alcuni indicatori, è perché ha affamato la sua gente, e ciò è economicamente e moralmente inaccettabile.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
La politica di Milei è una rottura necessaria dopo decenni di declino populista
Chi difende Milei sostiene che la sua ascesa rappresenti una discontinuità storica indispensabile per risollevare un Paese intrappolato da 40 anni in un circolo vizioso di populismo, spesa facile e declino economico. L’Argentina era afflitta da una “malattia cronica di statalismo” che l’ha condannata a ripetuti default e inflazione: un mix di peronismo assistenzialista, burocrazia elefantiaca e corruzione dilagante che ha impoverito la nazione un tempo prospera. In questo contesto, i metodi shock di Milei, per quanto radicali, sono visti come l’unico antidoto efficace per invertire la rotta. La logica è che per spezzare l’incantesimo populista serviva un contrappeso altrettanto forte: “solo un populismo di segno opposto poteva battere il populismo iperstatalista” scriveva un analista, evidenziando che Milei è il “male necessario” generato da un sistema malato. La sua retorica anticasta e le azioni drastiche hanno avuto il merito di scuotere l’inerzia di un apparato pubblico inefficiente, facendo piazza pulita di rendite e abusi. In pochi giorni dall’insediamento, Milei ha fatto ciò che i precedenti presidenti promettevano a parole ma non osavano nei fatti: ha tagliato gli enormi sprechi dello Stato. Armato di una motosega simbolica, ha declassato 9 ministeri su 18 a semplici dipartimenti, abolendo enti ridondanti come i ministeri del Turismo, dello Sport, dell’Ambiente e trasferendo le competenze ad altri dicasteri per snellire la macchina burocratica. Ha licenziato oltre 5.000 funzionari parassitari in esubero, un atto senza precedenti in un Paese dove il pubblico impiego era spesso usato come serbatoio clientelare. Ha inoltre posto fine a privilegi e sussidi ingiustificati: via i controlli sui prezzi e le distorsioni di mercato che alimentavano solo il mercato nero, via i sussidi energetici generalizzati (che beneficiavano anche i ricchi) e i finanziamenti a pioggia a imprese in procinto di chiudere. Questo “repulisti” ha certamente scosso interessi consolidati: sindacati, corporazioni e politici tradizionali si sono ribellati. Ma per i pro Milei era l’unico modo per estirpare un sistema marcio. L’urto iniziale, con la svalutazione e l’aumento dei prezzi, viene paragonato a un’operazione chirurgica necessaria: dolorosa nell’immediato, ma finalizzata a estirpare un tumore (l’economia drogata da spesa fuori controllo e moneta finta) per permettere al paziente di guarire. Inoltre, si nota come la durezza delle misure sia stata anticipata chiaramente agli elettori: Milei non ha ingannato nessuno, anzi la sua piattaforma “lacrime e sangue” era nota, e il popolo l’ha votato proprio per questo, stanco di promesse mancate e compromessi al ribasso. In un discorso emblematico subito dopo l’elezione, Milei ha dichiarato: “la situazione dell’Argentina è critica, i cambiamenti necessari sono drastici, non c’è spazio per il gradualismo”. I suoi sostenitori ne citano spesso questa frase come sintesi: il gradualismo era un lusso che l’Argentina non poteva più permettersi. Ogni tentativo timido in passato (come le riforme a metà di Macri nel 2015-2019) è fallito proprio perché si è scontrato con l’ostilità del “sistema” senza avere l’audacia di forzarlo. Milei invece è andato fino in fondo, accettando di pagare un prezzo politico pur di ottenere risultati. Dal loro punto di vista, questa rottura è già di per sé un merito: ha dimostrato che si può agire contro le sacche di privilegio e ha infranto tabù (come licenziare nel pubblico o chiudere enti inutili) che bloccavano qualsiasi riforma. Infine, c’è un elemento di rinnovamento morale: il rigore di Milei ha imposto un clima nuovo, in cui “non c’è più denaro facile” per nessuno. Il motto circolato nei ministeri è “No hay plata”, “non ci sono soldi”, a indicare la fine degli sprechi: un messaggio culturale forte dopo anni in cui si dava per scontato che lo Stato avrebbe sempre pagato tutto. L’Argentina aveva bisogno di uno shock di onestà e responsabilità: Milei ha avuto il coraggio di darlo, rompendo con un passato di declino annunciato e aprendo la strada a una possibile rinascita sulle ceneri del vecchio sistema.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei ha imposto un autoritarismo che sta indebolendo la democrazia
Uno dei punti più critici sollevati dagli oppositori di Milei è la sua deriva autoritaria e il danno che sta infliggendo alle istituzioni democratiche e allo stato di diritto in Argentina. Fin dal suo insediamento, Milei ha governato in modo fortemente centralizzato, aggirando spesso il Parlamento per imporre il suo programma. L’uso disinvolto dei Decreti d’Urgenza (DNU) – strumenti pensati per emergenze ma impiegati da Milei per riforme di ampia portata – è stato massiccio: il suo “mega-decreto” 70/2023, emanato a dicembre senza dibattito parlamentare, ha modificato centinaia di norme in un solo colpo. Questo atto, definito incostituzionale da molti giuristi, è stato in parte bloccato dalla giustizia (Corte del Lavoro) e respinto dal Senato a marzo 2024, segno che Milei aveva travalicato i suoi poteri. I critici sottolineano che ignorare il Parlamento – dove pure il governo avrebbe potuto cercare compromessi – è sintomo di intolleranza verso il confronto democratico. Il presidente ha spesso bollato i legislatori oppositori come “ostacoli da aggirare” e ha ritirato disegni di legge (come la Ley Bases a febbraio 2024) minacciando di riproporli post-elezioni con una maggioranza a lui fedele. Questo atteggiamento delegittima il ruolo del Congresso, insinuando che solo la sua volontà elettorale conta. Altro aspetto grave è l’interferenza nell’indipendenza giudiziaria. Milei ha tentato di nominare direttamente due giudici della Corte Suprema tramite decreto presidenziale ad aprile 2024, un metodo che costituzionalisti definiscono “arbitrario e pericoloso” perché scavalca la procedura di nomina che prevede il consenso di due terzi del Senato. Questa mossa (ancora in stallo grazie all’opposizione in commissione) è vista da ONG come HRW come un tentativo di plasmare la Corte a propria immagine, magari con giudici compiacenti verso le sue riforme. Uno dei candidati, Ariel Lijo, ha un passato contestato con decine di procedimenti disciplinari per aver insabbiato inchieste di corruzione, eppure Milei lo ha proposto lo stesso: per i detrattori ciò indica che il presidente vuole giudici per lui “affidabili”, forse per coprire il proprio entourage o per evitare futuri controlli. Inoltre, ad oltre un anno dall’inizio del mandato, il governo non ha ancora nominato figure cruciali come il Difensore civico (Ombudsman) e il Procuratore generale, lasciando vacanti istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini dagli abusi di potere. Questo vuoto viene interpretato come volontario: Milei preferisce non avere cani da guardia indipendenti che possano intralciare la sua agenda. Ancora, i tribunali segnalano che quasi 300 posti di giudici federali restano scoperti, creando la prassi dei giudici supplenti deboli e condizionabili. Anche qui l’inerzia del governo appare tesa a lasciare la giustizia in uno stato di precarietà e dipendenza. Passando alle libertà civili, gli oppositori denunciano un clima intimidatorio verso i media e la dissidenza. Milei ha attaccato frontalmente giornalisti e testate critiche, definendoli “giornalai prezzolati” e minacciando querele milionarie: Reporters Sans Frontières ha retrocesso l’Argentina di decine di posizioni nella classifica di libertà di stampa (87° posto, -47 posizioni) proprio a causa di aggressioni e molestie verso giornalisti dopo il 2023. Vari reporter hanno ricevuto valanghe di insulti e minacce online da account legati all’ecosistema mileista, e il presidente non ha mai preso le distanze, anzi ha alimentato il sentimento chiamandoli “militanti del falso”. Questa retorica ostile è preoccupante: crea un ambiente dove la stampa indipendente viene delegittimata e chi critica il potere rischia ritorsioni verbali o persino fisiche. Human Rights Watch nel suo rapporto parla esplicitamente di “ostilità ufficiale verso giornalisti e comunità LGBT”: sebbene Milei non abbia censurato i media, li ha però definiti nemici. Un episodio grave è l’espulsione di un famoso conduttore radio (Victor Hugo Morales), apertamente anti-Milei, da parte dell’emittente sotto pressioni politiche, segnale di un bavaglio strisciante. Sul fronte del diritto di protesta, il ministro della Sicurezza Bullrich ha emanato a fine 2023 un “Protocollo antipiqueteros” che vieta i blocchi stradali e autorizza la polizia a disperdere con la forza qualsiasi manifestazione che intralci la circolazione. Amnesty International Argentina ha monitorato gli effetti: in un anno di applicazione si registrano oltre 1.150 feriti nelle proteste, tra cui 50 giornalisti colpiti mentre coprivano le manifestazioni e decine di manifestanti feriti alla testa da proiettili di gomma. La repressione di giugno 2024 contro i cortei anti-Ley Bases, con cariche motociclistiche e arresti indiscriminati, è diventata simbolo di eccesso di forza. Di fronte alle critiche, il governo ha reagito con arroganza: Bullrich ha liquidato Amnesty accusandola: “sta dalla parte dei criminali”. Intanto, ONG locali come CELS documentano casi di abusi polizieschi impuniti, facilitati da una circolare ministeriale che allarga la possibilità per gli agenti di usare armi letali e riduce le sanzioni per eventuali eccessi. Tutto ciò configura un quadro in cui il diritto a manifestare pacificamente è sotto attacco, con l’obiettivo palese di dissuadere qualsiasi opposizione di piazza. Emblematico è che un giudice sia dovuto intervenire a novembre 2024 per ordinare al governo di proteggere i siti della memoria delle torture della dittatura, dopo che alcuni erano stati lasciati decadere o minacciati di chiusura, segno di disprezzo anche verso le istituzioni della memoria storica. Milei, dunque, per alcuni è un leader che sta svuotando la democrazia dall’interno: concentra potere nell’esecutivo, indebolisce i controlli, delegittima chi dissente, usa la polizia come clava politica. Paragonano questo metodo a quello di altri autocrati contemporanei (Orban, Bolsonaro): eletti democraticamente ma propensi a erodere le norme liberali per consolidare il potere personale. Se non verrà frenato, avvertono, l’Argentina rischia di scivolare verso una “democradura”, una democrazia solo di facciata, in cui la maggioranza di governo può fare qualsiasi cosa ignorando minoranze, legge e diritti.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Meno Stato, più libertà: quella di Milei è una rivoluzione liberale
I sostenitori di Milei esaltano la sua agenda come una “rivoluzione libertaria” che finalmente libera le energie produttive del Paese dall’abbraccio soffocante dello Stato. In un Paese a lungo dominato da logiche stataliste (dalla “mano visibile” peronista alle regolamentazioni pervasive), Milei ha riportato al centro i principi del libero mercato e della responsabilità individuale. La sua visione, espressa sin dal discorso inaugurale, è chiara: rispetto assoluto per vita, libertà e proprietà privata, con lo Stato ridotto ai compiti essenziali (ordine pubblico e giustizia) e privo di ogni funzione paternalistica. Questo approccio ha ispirato fiducia in larghi settori della società che si riconoscono nei valori liberali. Imprenditori, professionisti e giovani startupper vedono nel programma di Milei un ritorno alla meritocrazia: fine delle rendite protette, concorrenza leale e meno interferenze politiche nell’economia. Ad esempio, grazie alle numerose liberalizzazioni adottate via decreto e legge omnibus, oggi in Argentina affittare una casa o avviare un’impresa è più semplice: sono stati aboliti i controlli sui prezzi degli affitti e i tetti amministrativi su beni come carburante e farmaci, eliminando distorsioni che scoraggiavano l’offerta. Sono cadute normative protezionistiche come l’obbligo per supermercati di riservare spazi a piccoli produttori o la preferenza alle imprese locali negli appalti pubblici. Viene introdotta una maggiore flessibilità nel lavoro: contratti meno onerosi e riduzione dei costi di licenziamento, specie per le nuove assunzioni. Tutte queste misure incoraggiano l’occupazione regolare e gli investimenti (nazionali ed esteri) perché tolgono vincoli burocratici e oneri che avevano reso l’Argentina un contesto poco competitivo. Sull’onda di questa deregolamentazione, alcuni segnali positivi già si vedono: nel 2024 importanti aziende internazionali (soprattutto nel settore energia e litio) hanno annunciato nuovi investimenti, attratte dagli incentivi fiscali offerti a chi porta capitali freschi per grandi progetti. Un regime speciale (RIGI) concede benefici doganali e cambiari a investimenti oltre 200 milioni $, aprendo all’Argentina possibilità di sviluppo, ad esempio nel gigantesco giacimento di Vaca Muerta. Questo shock pro-business, unito all’apertura commerciale (Milei ha rimosso quote e licenze su import/export), sta reinserendo l’Argentina nei circuiti globali degli scambi dopo anni di chiusura autarchica. Un altro pilastro è la riduzione del fisco e dell’apparato pubblico: Milei ha avviato la privatizzazione di diverse imprese statali inefficienti (dalla compagnia aerea di bandiera Aerolíneas Argentinas alle società energetiche e autostradali), puntando ad abbassare il peso del settore pubblico nell’economia. Meno imprese statali significa meno perdite coperte dai contribuenti e più spazio per investitori privati dinamici. I fan di Milei sottolineano anche il messaggio culturale: abolire ministeri come quello della Cultura (accorpato all’Istruzione) o dell’Economia Sociale non significa ignorare quei settori, ma togliere la politicizzazione della società. Per decenni, dicono, lo Stato argentino ha voluto intervenire in ogni ambito (dalle arti all’amore, come ironizza Milei, chiamando il Ministero delle Donne “Ministero dell’Indottrinamento”), restituire autonomia alla società civile e al mercato è un atto di fiducia nella creatività e responsabilità dei cittadini.
C’è, infine, il tema della pace fiscale e stabilità monetaria: Milei ha posto fine all’“imposta inflazionaria” (cioè stampare moneta svalutando i risparmi) restituendo valore al peso e lasciando liberi i cittadini di transare in valute forti come il dollaro o criptovalute. Questo rispetto della sound money tutela il diritto di proprietà dei risparmiatori e attira capitali prima fuggiti.
Milei, dunque, ha ridato libertà agli argentini: libertà economica, riducendo tasse e vincoli; libertà di scegliere la moneta e di competere sul mercato; libertà dai privilegi di pochi che bloccavano lo sviluppo di molti. È una rivoluzione paragonata a quelle di Reagan e Thatcher negli anni ‘80, finalmente approdata anche sul Rio de la Plata. Se mantenuta, questa svolta liberale potrà rimettere in moto le straordinarie potenzialità di un Paese ricco di risorse e talenti, frenati solo dall’eccesso di Stato e burocrazia.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei sta smantellando il welfare e riducendo i servizi al collasso
Gli oppositori di Milei denunciano che, dietro ai freddi numeri della riduzione del deficit, vi è in realtà un collasso dei servizi pubblici essenziali e una cancellazione di tutele sociali che sta colpendo duramente i cittadini più fragili. La drastica compressione della spesa pubblica (-28% reale in un anno) non è avvenuta tramite efficienze o tagli agli sprechi soltanto: ha comportato la quasi eliminazione di interi settori di investimento e assistenza. Ad esempio, gli investimenti pubblici sono stati praticamente azzerati: nell’edilizia popolare ridotti del 93%, nell’istruzione dell’89%. Ciò significa che lo Stato ha smesso di costruire case per i meno abbienti e di investire in scuole, infrastrutture, ospedali. Le conseguenze si vedono già: cantieri bloccati, scuole senza manutenzione (ci sono stati casi di crolli di soffitti nelle classi), mezzi di trasporto obsoleti con incidenti in aumento. Anche le pensioni sono state colpite: Milei ha deciso di adeguarle all’inflazione solo in minima parte, ottenendo un taglio reale vicino al 20% in un anno. Milioni di anziani hanno visto il loro assegno perdere potere d’acquisto, scendendo spesso sotto il costo di una cesta di beni di base. Molti pensionati oggi non riescono a pagare medicine o bollette e devono essere aiutati dalle famiglie o dalle parrocchie locali. Un altro risparmio massiccio è arrivato dai sussidi: -32% per la spesa sociale e assistenziale. Sono stati eliminati o ridotti programmi di integrazione al reddito per disoccupati, aiuti alimentari, borse di studio per studenti poveri. ONG e Chiese, che suppliscono come possono, segnalano un aumento delle richieste di aiuto senza precedenti dall’epoca della crisi 2001. Il governo ha addirittura tagliato un fondo sanitario cruciale: come riportato dalla stampa, il piano per le cure oncologiche (che forniva medicinali costosi ai malati di cancro senza risorse) è stato sospeso nel 2024 per mancanza di fondi. Pazienti con tumori o malattie rare si sono trovati dall’oggi al domani senza le cure salvavita, costretti a interrompere terapie o a indebitarsi pesantemente. Alcune associazioni hanno fatto ricorso legale per obbligare lo Stato a fornire quei farmaci: la situazione è divenuta talmente grave che i media internazionali (ad esempio “Buenos Aires Times”) parlano di “watchdog in tribunale per costringere il governo a dare medicine ai bambini malati”. La sanità pubblica nel suo complesso sta vivendo un momento drammatico: gli ospedali, già provati da anni di sottofinanziamento, hanno visto i budget falcidiati. A metà 2024 molti ospedali provinciali segnalavano carenze di forniture basilari (siringhe, reagenti, anestetici), ambulanze ferme per mancanza di manutenzione, code di mesi per esami diagnostici. Il congelamento dei salari ha spinto molti medici a dimettersi per andare nel privato o all’estero, aggravando la fuga di cervelli. Anche l’istruzione soffre: Milei ha definito la pubblica istruzione “un indottrinamento” e ha ridotto al minimo le risorse. Nelle università i docenti precari non vengono più pagati regolarmente, le borse di studio sono state cancellate e vari istituti tecnici hanno dovuto sospendere corsi per mancanza di fondi. Dalla primaria all’università, il sistema educativo argentino – un tempo vanto nazionale – rischia il tracollo qualitativo, con effetti di lungo periodo sul capitale umano del Paese. I critici sottolineano come i tagli lineari di Milei non abbiano fatto distinzioni: hanno colpito settori strategici per lo sviluppo e la coesione sociale. Un esempio emblematico è l’energia: sono stati eliminati in un colpo i sussidi alle bollette elettriche e del gas, facendo quintuplicare le tariffe per i consumatori domestici più poveri. Ciò ha ridotto la domanda energetica (molte famiglie hanno iniziato a razionare luce e gas) ma ha anche causato proteste e distacchi di fornitura per morosità. Sul fronte ambientale, l’abrogazione di norme di tutela (come la legge che consentiva al governo di intervenire per garantire l’approvvigionamento di beni essenziali) e la volontà di sfruttare intensivamente risorse come litio, petrolio e gas senza adeguati controlli ha scatenato l’allarme di comunità locali e ambientalisti. Si teme un aumento di inquinamento e danni irreversibili (ad esempio a Vaca Muerta e nell’Atlantico per trivellazioni off-shore) senza un apparato di regolamentazione forte. Allargando lo sguardo, i detrattori affermano che il modello di Milei sta smantellando lo Stato sociale costruito in decenni. La giustificazione ufficiale è eliminare gli sprechi, ma in pratica si stanno negando diritti fondamentali: il diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, all’alimentazione per i bambini. Amnesty afferma che nei primi mesi del 2024 i programmi di protezione per le donne vittime di violenza sono stati tagliati dal 70% al 100%, lasciando centri antiviolenza e rifugi senza fondi. Questo mentre i femminicidi e la violenza domestica restano fenomeni gravi nel Paese: “si sta risparmiando sulle vite delle donne”, accusa la deputata d’opposizione Monica Macha. Al contempo, il governo ha chiuso l’agenzia antidiscriminazione e ridotto drasticamente le attività di protezione per le minoranze etniche e indigene (come riportato da CELS, molti territori indigeni sono più esposti a sfratti e abusi di polizia). Il timore espresso dalle ONG è che Milei stia ritirando lo Stato proprio dove era più necessario, lasciando un vuoto che peggiorerà tutti gli indicatori sociali: più povertà, più criminalità (è noto che crisi economiche di tale portata fanno aumentare furti e microcriminalità), meno capitale umano formato e quindi meno prospettive di sviluppo futuro. Un Paese non è fatto solo di numeri, è fatto di persone che vanno curate, istruite, protette nelle fasi di difficoltà. Il “modello Milei” ignora questo e sacrifica sull’altare del rigore contabile la dignità e il benessere di milioni di cittadini, portando alla lunga più instabilità e sofferenza.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei gode del sostegno popolare e sta portando al Paese nuova credibilità internazionale
A differenza di molte riforme impopolari del passato imposte dall’alto, il “progetto Milei” può vantare un robusto mandato democratico e un avallo che si è anzi rafforzato con il tempo. I suoi sostenitori evidenziano come l’agenda liberista di Milei non sia stata affatto respinta dagli argentini, ma anzi confermata nelle urne. Dopo la vittoria al ballottaggio nel 2023 (55,5% dei voti), il governo ha affrontato un importante test alle elezioni di medio termine dell’ottobre 2025, presentate da molti come un referendum sulle sue politiche di austerità. L’esito è stato inequivocabile: La Libertad Avanza è risultata il partito più votato del Paese con oltre il 40% dei consensi, superando nettamente la coalizione peronista. Un successo che ha stupito gli stessi analisti – alcuni prevedevano un “voto di protesta” contro i tagli – e che invece ha consolidato la posizione di Milei, permettendogli di conquistare decine di seggi parlamentari aggiuntivi. “Oggi è una giornata storica per l’Argentina” ha dichiarato il presidente esultante, definendo la vittoria elettorale la prova che il popolo sostiene la sua rivoluzione e che si è “oltrepassato il punto di svolta”. Questo ampio sostegno interno smentisce la narrazione secondo cui le misure sarebbero imposte contro la volontà popolare: al contrario, milioni di cittadini, pur colpiti dall’austerità, riconoscono in Milei l’intento di risanare il Paese e gli hanno rinnovato la fiducia. Ciò conferisce al governo una legittimità politica importante per proseguire le riforme. I deputati e senatori adesso più vicini alla maggioranza sanno che l’elettorato ha chiesto continuità, rendendo più facile far passare leggi inizialmente bloccate. Accanto al fronte domestico, i pro Milei sottolineano i benefici sul piano della reputazione internazionale dell’Argentina. Dopo anni di isolamento e sfiducia (tre default dal 2001 e rapporti freddi con investitori e istituzioni), il Paese sta recuperando credibilità presso i partner occidentali. Il cambio di rotta ideologico, con l’abbandono di alleanze con regimi autoritari e l’esplicito allineamento di Milei alle democrazie liberali, è stato accolto con favore da molti leader e organismi sovranazionali. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno scommesso su Milei come argine al populismo di sinistra in America Latina. L’amministrazione Trump gli ha apertamente offerto sostegno economico e politico, condizionando un generoso pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari (swap di moneta e prestiti privati) al buon esito delle sue riforme. “Se vince, restiamo con lui; se perde, ce ne andiamo” aveva dichiarato Trump in modo schietto. Il fatto che Milei abbia vinto ha cementato un’alleanza strategica con Washington. Questo ha effetti immediati: grazie alla garanzia USA, la banca centrale è riuscita a frenare la fuga dal peso prima delle elezioni di ottobre 2025, vendendo dollari e stabilizzando il cambio. In prospettiva, l’Argentina di Milei potrà contare su maggior peso negoziale nel FMI e su investimenti nordamericani (si parla di interessi di grandi fondi nelle privatizzazioni argentine). Anche l’Unione Europea e altri Paesi hanno guardato con rinnovata fiducia a Buenos Aires: la svolta liberale e filoccidentale ha migliorato il clima per accordi commerciali e cooperazione. Ad esempio, analisti notano come col governo precedente (peronista) l’accordo di libero scambio UE-Mercosur fosse in stallo; ora con Milei le chance di ratifica sono aumentate, poiché l’Argentina è più aperta al commercio libero.
I pro Milei affermano che la traiettoria del Paese è tornata credibile e attraente: credibile perché chi investe non teme più espropri o default improvvisi (lo testimonia il rientro di capitali e il calo dello spread dopo le elezioni); attraente perché l’Argentina si propone come partner stabile dell’Occidente. Un effetto visibile è la crescita delle riserve valutarie nel 2025 grazie all’afflusso di dollari di sostegno e ai ricavi dalle esportazioni sbloccate (il governo Milei ha incentivato gli agricoltori ad esportare, abolendo ritenute fiscali temporaneamente). Tutto ciò era impensabile prima di Milei. Dunque, l’esperimento Milei gode sia della sovranità popolare – che gli ha dato un mandato chiaro a proseguire – sia di un sostegno esterno inedito, che può accelerare la ripresa. Questa combinazione di legittimità interna e appoggio internazionale conferisce solidità alle sue riforme, riducendo il rischio di marcia indietro e anzi creando un circolo virtuoso: più Milei ha successo, più investimenti arrivano e più il popolo gli conferma fiducia.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei sta attuando in Argentina una regressione sui diritti civili e sociali
Un’altra grave preoccupazione espressa dagli oppositori di Milei riguarda la retromarcia sui diritti umani, civili e di inclusione che il suo governo sta attuando. Gli ultimi anni avevano visto l’Argentina compiere passi avanti storici su vari fronti di diritti: dalla legalizzazione dell’aborto nel 2020 alle politiche a favore della parità di genere, dal riconoscimento dei diritti LGBT+ ai programmi contro la violenza domestica. L’arrivo di Milei, con la sua ideologia ultraconservatrice, rischia di cancellare queste conquiste e riportare indietro il Paese di decenni. In primis il diritto all’aborto sicuro e legale: Milei ha più volte definito l’interruzione di gravidanza un “omicidio abominevole” e promesso un plebiscito per abrogare la legge che lo consente fino a 14 settimane. Anche se tale referendum non è ancora stato convocato, di fatto il governo ha già reso l’aborto molto meno accessibile. Come documentato da Amnesty, il Ministero della Salute nel 2024 non ha acquistato alcuna scorta di pillole abortive da distribuire negli ospedali pubblici, scaricando la responsabilità sulle province, molte delle quali non hanno i fondi o la volontà politica di farlo. Il risultato è che in più della metà delle province argentine le donne che necessitano di un aborto farmacologico non trovano i medicinali negli ospedali e devono procurarseli a proprie spese (fino a 160 dollari, cifra proibitiva per le fasce povere). Questo torna a spingere l’aborto nella clandestinità, con rischi di morti e complicanze che la legge del 2020 mirava ad evitare. I dati pre-legalizzazione erano tragici: centinaia di donne morivano ogni anno per aborti insicuri. Amnesty e altre ONG avvertono che quei numeri potrebbero risalire, vanificando il progresso di aver ridotto del 53% i decessi materni da aborto nei 5 anni post-legalizzazione. Il governo Milei appare sordo a questi appelli e anzi rivendica di non voler spendere soldi pubblici per fornire aborti, riflettendo un approccio ideologico e punitivo verso le donne che scelgono di interrompere la gravidanza. Parallelamente, Milei ha smantellato gli organi dedicati alle politiche di genere e antidiscriminatorie. Ha chiuso il Ministero delle Donne, considerato da lui “inutile” e fondato su un’ideologia che odia, definendo il femminismo “spazzatura socialista”. Ha anche depotenziato l’INADI, l’istituto contro la discriminazione, licenziandone la presidente e tagliandone i fondi. Questo lancia un segnale pericoloso: che la tutela delle minoranze e la promozione della parità non sono più priorità dello Stato. Già si vedono i primi effetti: casi di violenza di genere in aumento, con meno risorse per i centri antiviolenza (finanziati dallo Stato in misura quasi nulla nel 2024); un discorso pubblico che legittima atteggiamenti misogini. Milei stesso al WEF di Davos 2025 ha affermato che femminismo e ideologia di genere sono “virus mentali” che servono solo ad espandere lo Stato. Dichiarazioni del genere, provenienti dal Capo dello Stato, possono incoraggiare comportamenti discriminatori e violenti. Non a caso, attivisti segnalano un crescendo di discorsi d’odio online contro donne e comunità LGBT dall’inizio della presidenza Milei. Sul fronte LGBT+, l’Argentina era uno dei Paesi più avanzati (matrimonio egualitario dal 2010, legge identità di genere 2012). Ora teme un arretramento: Milei ha criticato leggi come le quote transgender nel settore pubblico e il suo governo ha proposto di vietare qualsiasi quota o misura proattiva per minoranze (con il paradosso di chiamarla “legge sull’eguaglianza davanti alla legge”). Questo approccio ignora la discriminazione strutturale esistente e rischia di escludere ancora di più gruppi storicamente marginalizzati. Inoltre, Milei ha più volte fatto affermazioni omofobe, equiparando nelle sue invettive l’omosessualità a devianze: in un comizio, ha parlato di “omosessuali che adottano bambini per abusarne”, affermazione smentita e orripilante che è stata condannata anche da esponenti del suo stesso schieramento (come Ferraro, deputato gay del suo alleato di coalizione). Questa retorica stigmatizzante può innescare violenza: HRW ricorda che nel maggio 2024 tre donne lesbiche sono state uccise in un ostello a Buenos Aires, un crimine d’odio ricollegato al clima di crescente intolleranza. Altro segnale allarmante è che l’Argentina di Milei è stato l’unico Paese del G20 a non sottoscrivere la dichiarazione sull’uguaglianza di genere nell’ottobre 2025, isolandosi dalle democrazie su questo tema. Gli oppositori denunciano poi il revisionismo storico e il pericolo per i diritti umani di ieri e di oggi. Milei e soprattutto la sua vice Villarruel hanno minimizzato i crimini della dittatura militare (1976-83), spostando l’attenzione sulle vittime della guerriglia di sinistra. Se è legittimo ricordare tutti i morti, l’intento percepito è quello di riscrivere la storia equiparando terrorismo di Stato e violenze rivoluzionarie, e così facendo indebolire l’architettura dei diritti umani costruita dal ritorno alla democrazia. Non sorprende che il governo abbia smesso di finanziare molti progetti di memoria (la citata vicenda dei siti di tortura), e che personaggi vicini a Milei abbiano evocato la necessità di “finire il lavoro iniziato nel 1976”. Le organizzazioni dei diritti umani (Madres de Plaza de Mayo, Abuelas, CELS) sono costrette di nuovo a mobilitarsi come nei decenni bui, sentendo minacciate verità e giustizia faticosamente affermate. Per il fronte contro, quindi, il governo Milei sta alienando l’Argentina dal consesso delle democrazie progressiste: smantella politiche di uguaglianza e tutela delle minoranze che erano patrimonio comune di molte nazioni occidentali e abbraccia un’agenda reazionaria più vicina a regimi illiberali. Ciò non solo tradisce i principi della Costituzione (che tutela i diritti umani e la non discriminazione), ma rischia di avere ricadute interne gravissime: più violenza di genere, più odio omofobo, più divisioni sociali. Le affermazioni di Milei su femminismo e diritti LGBT costituiscono quasi un incoraggiamento implicito alla discriminazione, come sottolinea l’ex presidente del Comitato INADI (Instituto Nacional Contra la Discriminacion, la Xenofobia y el Racismo): “il linguaggio di Milei è un lasciapassare affinché uomini violenti si sentano autorizzati, uno sdoganamento della misoginia e dell’omofobia”. I critici avvertono che smantellare decenni di progresso civile è pericoloso e anacronistico: in un mondo che va avanti su parità e inclusione, l’Argentina di Milei sta tornando indietro, con costi umani che potrebbero essere altissimi.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei fa guerra al politicamente corretto e ritorna ai valori tradizionali
Una parte non trascurabile del consenso di Milei proviene da chi ne apprezza la battaglia frontale contro l’ideologia progressista e il cosiddetto “politicamente corretto”. In campagna elettorale e da presidente, Milei non ha nascosto il suo disprezzo per quelle che definisce le “teste dell’idra marxista”: femminismo, ideologia di genere, ambientalismo radicale, politiche di accoglienza ecc. Per molti sostenitori – soprattutto nell’elettorato conservatore, religioso o semplicemente esasperato da certe istanze – questo linguaggio schietto e iconoclasta è stato un vento di aria fresca nel panorama pubblico. Milei ha promesso di abolire ciò che ritiene istituzioni inutili figlie del “pensiero woke”: ha subito chiuso il Ministero delle Donne, Generi e Diversità e l’INADI (l’ente antidiscriminazioni), considerandoli veicoli di ideologia anziché strumenti di giustizia. Questa mossa, criticata all’estero, è stata invece applaudita internamente da chi vedeva in quegli enti solo burocrazia e propaganda. Il ragionamento dei pro-Milei è che i diritti individuali vanno garantiti per tutti senza creare corsie preferenziali: eliminare quote rosa, quote LGBT o altre misure “speciali” significa applicare davvero l’eguaglianza formale (non a caso una delle prime bozze di legge del governo è chiamata “Legge sull’uguaglianza davanti alla legge”, volta a sopprimere le quote di genere e categorie protette nel settore pubblico). Inoltre, l’approccio di Milei riflette valori tradizionali cari a molti argentini: il suo fermo no all’aborto (da lui definito “omicidio”) allinea l’Argentina con la sensibilità cattolica di una larga fetta della popolazione, specie fuori dai grandi centri urbani. Dopo la legalizzazione del 2020, in diverse province più conservatrici c’era malcontento; Milei ha captato questa onda promettendo un referendum per abrogare la legge e intanto riducendo la disponibilità di pillole abortive nel pubblico. Anche se ciò è controverso a livello di diritti, per i suoi sostenitori rappresenta un ritorno alla difesa della vita e della famiglia tradizionale. Similmente, sul fronte sicurezza e ordine, Milei ha nominato al governo figure di linea dura (come Patricia Bullrich alla Sicurezza) e introdotto protocolli anti-picchetto e ampliamento della legittima difesa per le forze dell’ordine: misure che chi è pro saluta come necessarie per ristabilire l’autorità dello Stato dopo anni in cui manifestazioni violente e blocchi stradali paralizzavano il Paese impunemente. Il risultato è stato una forte diminuzione dei piquetes (blocchi) e un messaggio di tolleranza zero verso vandalismi e caos urbano. In ambito internazionale, Milei ha riallineato l’Argentina con l’Occidente e i suoi valori liberali, rompendo i legami con dittature comuniste. Ha promesso di spostare l’ambasciata in Israele a Gerusalemme e di sostenere Taiwan contro la Cina, posizioni apprezzate dall’elettorato filoccidentale e dalle comunità religiose locali (cristiane ed ebraiche). Questo netto posizionamento valoriale, pur rischioso diplomaticamente, è percepito come un segnale di coerenza morale: l’Argentina non farà più affari con regimi che non rispettano la libertà. In patria, Milei ha persino osato criticare il “sanctum” dei diritti umani così come narrati dalla sinistra peronista: la sua vice, Victoria Villarruel, ha organizzato eventi in memoria delle vittime dei guerriglieri marxisti degli anni ‘70, per bilanciare la narrazione concentrata solo sui crimini della dittatura militare. Anche questo ha incontrato il favore di chi vuole una memoria condivisa e non ideologica del passato. Infine, vi è l’aspetto del linguaggio: Milei parla senza filtri, chiama “ladri” e “parassiti” i politici e dice ciò che molti pensano ma non osavano dire in pubblico. Questa rottura del linguaggio paludato è stata vissuta dai suoi elettori quasi come un atto liberatorio, un “dire la verità” dopo anni di ipocrisie. In conclusione, dal punto di vista pro, Milei sta difendendo l’identità e i valori fondamentali della società argentina: vita, famiglia, ordine, religione e libertà di espressione. La sua crociata contro il politicamente corretto (dall’aborto al femminismo radicale, dall’ideologia gender al catastrofismo climatico) è vista come la protezione della maggioranza silenziosa contro l’imposizione di minoranze ideologizzate. “Femminismo, uguaglianza di genere, cambiamento climatico… sono scuse per far avanzare lo Stato”, ha detto a Davos. Per i suoi sostenitori è un leader che finalmente smaschera certe ideologie e rimette lo Stato al suo posto. Questa componente valoriale spiega perché molti argentini, pur subendo sacrifici economici, restano fedeli a Milei: vedono in lui non solo un economista, ma un difensore di principi in cui credono profondamente.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025
Milei porta l’Argentina verso l’isolamento geopolitico e la sudditanza verso gli USA
I detrattori di Milei giudicano la sua politica estera e strategica spericolata e controproducente per gli interessi di lungo periodo dell’Argentina. In particolare, contestano il doppio rischio che sta emergendo: da un lato Milei sta isolando il Paese dai suoi naturali partner economici e regionali con una diplomazia ideologica e conflittuale; dall’altro, ha reso l’Argentina eccessivamente dipendente dall’aiuto degli Stati Uniti, in un rapporto squilibrato e potenzialmente ricattatorio. Sul primo fronte, la retorica di Milei contro regimi “comunisti” ha avuto come bersagli primari Cina e Brasile, ovvero rispettivamente il secondo mercato di destinazione dell’export argentino e il primo partner commerciale in assoluto. In campagna elettorale Milei dichiarò che non avrebbe “trattato con assassini” riferendosi al governo cinese, definì Xi Jinping “un dittatore assassino” e il popolo cinese “non libero”; inoltre, tramite la sua emissaria Mondino, ventilò l’ipotesi di rompere i rapporti diplomatici sia con Pechino sia con Brasilia. Tali dichiarazioni – pur in parte ritrattate o smentite dopo l’elezione – hanno creato tensioni e preoccupazione. La Cina ha ufficialmente messo in guardia che “sarebbe un errore gravissimo” rompere legami con partner chiave. E infatti, di fronte alle possibili ripercussioni (la Cina acquista enormi quantità di soia e carne argentine, ed è investitore nel litio e nelle dighe), Milei ha dovuto fare marcia indietro: la sua futura cancelliere ha chiarito che non chiuderanno i canali di commercio, limitandosi a dire che non faranno più “contratti segreti” ma rapporti più trasparenti. Resta però il danno: la fiducia dei partner è incrinata. Il Brasile di Lula ha rapporti gelidi con Milei, che in passato lo insultò chiamandolo “comunista corrotto”; Lula ha definito “triste” la vittoria di Milei. Questo ha già portato a problemi: il Brasile ha minacciato di escludere l’Argentina da un importante progetto di moneta comune sudamericana, ha frenato su collaborazione energetica e potrebbe penalizzare l’export argentino se Milei uscirà dal Mercosur (cosa ipotizzata). L’isolamento regionale è pericoloso: l’Argentina ha bisogno del Mercosur e dei vicini per commercio, sicurezza e negoziati globali (ad esempio su clima). Litigare con tutti per motivi ideologici riduce la capacità di influenzare decisioni che riguardano l’area (come la gestione dell’Amazzonia, l’integrazione infrastrutturale continentale). Sulla Cina, poi, i critici evidenziano che Milei ha messo a rischio investimenti vitali: per esempio, era in corso un progetto cinese da 8 miliardi $ per centrali nucleari in Argentina, ora sospeso per volontà del nuovo governo. Oppure l’adesione alla Nuova Via della Seta, revocata da Milei, che poteva portare finanziamenti a infrastrutture. Questa rottura potrebbe costare opportunità di sviluppo che altri Paesi latinoamericani (Brasile, Cile) stanno cogliendo con equilibrio.
La diplomazia di Milei, dunque, appare imprudente e dogmatica, anteponendo affinità ideologiche al pragmatismo economico. Il timore è che l’Argentina, rompendo con partner multipli, rimanga isolata e priva di alternative, costretta a un unico alleato: gli Stati Uniti. Ed è qui il secondo aspetto: la dipendenza da Washington. È innegabile che l’amministrazione Trump abbia fornito a Milei un supporto cruciale nel 2025: la famosa linea di credito di 20 miliardi di $ dal Tesoro USA e banche vicine, condizionata alla vittoria di Milei alle midterm. Questo aiuto, per quanto utile a evitare una crisi valutaria preelettorale, viene visto dai critici come un accordo faustiano. La frase di Trump “se vince restiamo, se perde ce ne andiamo” suona come un’ingerenza nella sovranità argentina, quasi una minaccia: un presidente estero che decide le sorti di un programma di salvataggio in base all’esito elettorale di un altro Paese. Una volta ottenuto l’aiuto, Milei si trova inevitabilmente debitore politicamente: infatti non ha esitato a definire Trump “un grande amico” ringraziandolo per la fiducia. Ora, l’ancora di salvezza americana ha delle contropartite pesanti: come rivelato da “L’Indipendente”, il creditore USA (nella persona del Segretario al Tesoro Bessent) chiede in cambio privatizzazioni accelerate, tagli ancora più profondi e apertura totale al capitale straniero. L’Argentina viene così legata “mani e piedi a Washington”: di fatto, deve adattare la propria politica economica agli interessi di investitori vicini alla Casa Bianca (nell’articolo si cita Rob Citrone, miliardario con forti posizioni su bond argentini, che avrebbe fatto pressioni per il salvataggio per evitare perdite personali). I critici vedono questo come un caso di colonialismo finanziario: l’Argentina, in crisi, ha consegnato le chiavi della propria economia a determinati circoli finanziari USA in cambio di ossigeno immediato. Inoltre, si fa notare la precarietà di appoggiarsi solo a Trump. Basare tutta la strategia su un solo partner è rischioso: basta un cambio di amministrazione a Washington e l’Argentina resterebbe scoperta, avendo magari già perso i rapporti con Cina o Europa. L’UE ha manifestato freddezza verso Milei e anche all’interno degli USA la continuità del sostegno non è garantita oltre Trump. C’è poi la questione della sovranità: Milei ama parlare di libertà dall’oppressione statale, ma di fatto la sua Argentina rischia di diventare un protettorato economico degli USA. Quando Axel Kicillof, governatore peronista, ha criticato i 40 miliardi USA dicendo “né il governo americano né JP Morgan sono società benefiche; se vengono è per profitto”, ha toccato un punto vero: questi aiuti non sono altruismo, vogliono qualcosa in cambio (dalle concessioni su risorse naturali argentine a posizioni politiche allineate in forum internazionali). Il pericolo è che l’Argentina perda autonomia decisionale su settori chiave (energia, trasporti, difesa) condizionata dagli accordi di Milei con gli alleati scelti. Già si è visto con il G20: per compiacere Trump, l’Argentina si è accodata agli USA nel bloccare una dichiarazione sulla parità di genere, isolandosi dagli altri 19 Paesi. In futuro, che succederà su dossier come la Cina? L’Argentina potrebbe dover rifiutare investimenti cinesi nel litio o dire di no a partecipare ai BRICS, anche se convenisse, solo perché vincolata alla sfera USA. Questo sbilanciamento è insidioso. La politica estera di Milei sta trasformando l’Argentina da Paese autonomo con relazioni diversificate a satellite monodimensionale: ha tagliato i ponti a est (Cina), al sud (vicini latinoamericani) e a est (mondo arabo? Ha spostato subito l’ambasciata a Gerusalemme, irritando partner islamici), puntando tutto sull’asse Washington-Tel Aviv. Una strategia che lascia il Paese diplomaticamente isolato – un solo amico potente, tanti ex amici alienati. Questa dipendenza è considerata pericolosa e umiliante: l’Argentina, che storicamente cercava equilibrio tra blocchi, ora appare succube di un solo attore. Il motto di molti critici è diventato: “Abbiamo cacciato il FMI dalla porta e l’abbiamo fatto rientrare dalla finestra USA”. Insomma, Milei sta scambiando un’indipendenza di facciata (contro il “comunismo”) con una nuova dipendenza ben concreta dal “Dollaro”, che potrebbe costare al Paese in termini di patrimonio nazionale (privatizzazioni forzate) e di libertà di manovra in politica estera. Il risultato finale temuto è un’Argentina geopoliticamente isolata, priva del sostegno del vicinato e vulnerabile alle pressioni di un alleato ingombrante, una posizione di debolezza anziché di forza nello scenario globale.
Madeleine Maresca, 27 novembre 2025