11 settembre è stato un complotto dell’Occidente?
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L’11 settembre 2001, diciannove terroristi di al-Qaeda dirottarono quattro aerei di linea: due si schiantarono contro le Torri Gemelle di New York, uno colpì il Pentagono a Washington e un quarto precipitò in Pennsylvania, causando in totale quasi 3.000 vittime. Questo attacco senza precedenti sconvolse il mondo e inaugurò la “guerra al terrorismo”. Fin da subito emersero però spiegazioni alternative: poche ore dopo gli attentati comparvero online le prime teorie del complotto, secondo le quali l’11/9 sarebbe frutto di un piano ordito dall’Occidente stesso anziché di un atto di terrorismo islamista. Queste narrazioni “alternative” sostengono di rivelare la “faccia nascosta” degli attentati, volutamente taciuta dalle fonti ufficiali. Nei due decenni successivi, infatti, innumerevoli teorie cospirazioniste sull’11 settembre sono rimaste in circolazione, alimentate da ambienti politici di ogni orientamento e ampiamente rilanciate dai social network. In comune, tali teorie vedono poteri occidentali (soprattutto l’amministrazione USA, spesso con la complicità di Israele) come orchestratori occulti degli attacchi, allo scopo di fornire un casus belli per guerre in Medio Oriente e per imporre politiche repressive all’interno.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Crolli verticali “perfetti”, come in un’implosione, indicherebbero esplosivi piazzati internamente.
Impatti e incendi bastano a spiegare il collasso del WTC: nessuna evidenza di esplosivi, teoria smentita da studi e perizie.
Foro e rottami al Pentagono appaiono incompatibili con un Boeing: sarebbe stato un missile coperto da prove falsate.
Centinaia di testimoni e analisi tecniche confermano l’impatto dell’aereo AA77. Nessuna traccia di missili, l'ipotesi alternativa è infondata.
Settori deviati USA avrebbero lasciato accadere l’11/9 (teoria LIHOP), ottenendo il pretesto per guerre e svolte autoritarie.
Non è plausibile coinvolgere migliaia di complici e tacere per 24 anni. Non ci sono prove dell’“inside job”.
Documenti secretati, prove distrutte e stranezze investigative tradiscono un occultamento della “verità nascosta”.
Le indagini e la storia indicano i terroristi islamisti come responsabili. Le falle e i ritardi USA spiegano le mancanze, non complotti.
Crolli perfetti indicano demolizioni controllate
I teorici del complotto occidentale puntano il dito sulla dinamica dei crolli delle Torri Gemelle e dell’edificio 7 del WTC, considerandola la prova regina di un’operazione interna. Secondo loro è altamente sospetto che i grattacieli siano collassati verticalmente su loro stessi in modo così simmetrico: sembra l’esito di una demolizione controllata con esplosivi, non di semplici incendi. Notano che entrambe le Torri Gemelle crollarono completamente, quasi alla velocità di caduta libera e in maniera ordinata senza inclinarsi lateralmente – comportamento anomalo se attribuito solo ai danni causati dagli aerei. Ancora più inspiegabile, a loro avviso, è il crollo del WTC7: un edificio di 47 piani che non fu colpito direttamente da alcun aereo, eppure collassò nel pomeriggio dell’11/9 in modo verticale e rapido. Per i complottisti ciò può voler dire solo una cosa: qualcuno ha piazzato cariche esplosive nei punti chiave di quegli edifici, facendoli saltare dall’interno. Citano testimonianze di ingegneri e vigili del fuoco secondo cui le Torri erano state progettate per reggere l’impatto di un Boeing (dopo l’attentato del 1993), dunque il solo urto di un aereo di linea e l’incendio conseguente non dovrebbero averle annientate totalmente. I sostenitori di questa tesi evidenziano inoltre alcuni filmati e audio in cui si percepirebbero sequenze di “bang” prima e durante i crolli, compatibili – sostengono – con l’innesco di esplosioni controllate ai vari piani. Ad esempio, frame video mostrano getti di polvere (le cosiddette squib) uscire da piani più in basso, come se esplosivi stessero frantumando i piani inferiori in anticipo. Questi segnali, per i truthers, rafforzano l’ipotesi che il collasso sia stato provocato intenzionalmente con esplosivi ad alto potenziale (termite o nanotermite, data la presenza di metalli fusi nelle macerie). In pratica, i terroristi avrebbero sì dirottato e schiantato gli aerei contro le Torri, ma l’abbattimento finale degli edifici sarebbe stato garantito da un piano interno clandestino, volto a massimizzare lo shock e le vittime. A supporto della loro tesi, citano il parere di oltre 3.600 professionisti aderenti ad Architects & Engineers for 9/11 Truth, che da anni contestano la versione governativa: secondo questo gruppo, i rapporti ufficiali (FEMA, NIST) non avrebbero spiegato veramente perché le strutture cedettero così completamente, ignorando evidenze di esplosioni e altri fenomeni anomali. Il fronte pro-complotto ritiene che i crolli “troppo perfetti” del World Trade Center siano l’anello mancante che collega gli attacchi a un piano interno: solo un intervento tecnico interno – e non il semplice impatto degli aerei – può aver prodotto quei crolli verticali. Questa convinzione è considerata la base tecnica del complotto occidentale: se le Torri furono demolite dall’interno, significa che qualcuno in Occidente ha orchestrato l’11/9.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
I crolli del WTC si spiegano con impatti e incendi, non con esplosivi
Le confutazioni basate su evidenze ingegneristiche mostrano che il collasso delle Torri Gemelle e del WTC7 può essere pienamente spiegato senza ricorrere ad alcun esplosivo occulto. In primo luogo, gli esperti evidenziano la devastazione causata dall’impatto iniziale dei Boeing: ciascun aereo (del peso di oltre 110 tonnellate) colpì le Torri a circa 800 km/h, tranciando decine di colonne portanti esterne e interne. L’urto asimmetrico compromise immediatamente la resistenza strutturale a un lato degli edifici. Subito dopo, l’esplosione del carburante (circa 35.000 litri per aereo) innescò incendi multipiano con temperature stimate di 1000 °C e oltre. L’acciaio strutturale, pur ignifugato, a quelle temperature perde gran parte della sua resistenza (diventa morbido e cedevole al 50% del carico che reggerebbe a freddo). Nelle Torri, costruite con struttura “tubolare” in acciaio relativamente leggero, il fuoco indebolì progressivamente i solai e i pilastri ai piani d’impatto, che alla fine cedettero, facendo collassare la sezione superiore (decine di piani) su quella inferiore. Una volta iniziato, il crollo progressivo fu inevitabile: l’energia enorme del collasso dei piani superiori ha travolto a cascata tutti gli altri piani sottostanti. Questo meccanismo, noto come pancake collapse, è ben documentato e visibile nei video: ogni piano cede in rapida successione sotto il peso e l’energia cinetica di ciò che cade dall’alto. Non si osserva nulla di incompatibile con una caduta gravitazionale. I debunker sottolineano che in una demolizione controllata classica gli esplosivi tagliano le colonne alla base, facendo partire il crollo dal basso – mentre nelle Torri l’innesco del collasso è chiaramente in alto, dal punto dell’impatto, evidenza che smentisce l’ipotesi di esplosioni preposte altrove. Inoltre, se fossero state piazzate cariche in tutto l’edificio, ci sarebbero stati fortissimi boati prima del crollo: invece audio e sismografi non hanno registrato alcun segnale di esplosioni ordinatamente temporizzate. Nessuna traccia di esplosivi è stata trovata nelle polveri o nei resti delle colonne – e ricordiamo che tonnellate di acciaio delle Torri furono analizzate nei giorni seguenti presso il NIST e altri laboratori senza riscontrare residui tipici da detonazione. Le teorie complottiste spesso citano “pozze di metallo fuso” trovate sotto Ground Zero come indizio di termite (che fonde l’acciaio), ma gli esperti spiegano che la presenza di metallo fuso non è strana: era alluminio degli aerei e altri metalli, colati a causa degli incendi prolungati. Anche l’edificio WTC7 – che i complottisti ritengono il graal del complotto – ha una spiegazione razionale: colpito dai detriti incandescenti delle Torri, sviluppò incendi incontrollati su più piani e subì gravi danni strutturali alla base. Nel primo pomeriggio, privato dell’acqua antincendio, il WTC7 bruciò per ore, deformando le travi e causando il cedimento di una colonna centrale al piano inferiore; ciò innescò un collasso interno seguito dal crollo globale dell’edificio attorno alle 17:20. Il WTC7, dunque, cadde dal basso verso l’alto, proprio come prevedibile per un cedimento strutturale causato dal fuoco (e al contrario di quanto accadrebbe con una demolizione deliberata, che di norma inizia simultaneamente alla base). Il NIST ha pubblicato un rapporto dettagliato su WTC7 nel 2008, basato su simulazioni, che conferma questo scenario senza dover invocare esplosivi.
Tutta la fenomenologia dei crolli dell’11/9 risulta coerente con gli impatti aerei e gli incendi e incompatibile con demolizioni preimpostate. Gli ingegneri strutturisti e i fisici che hanno studiato l’evento – compresi quelli indipendenti – convergono su questa conclusione. Finora, i complottisti non hanno fornito alcuna prova concreta di esplosivi (come spezzoni di miccia, detonatori o residui chimici univoci) a Ground Zero, né spiegato come si sarebbero posizionate tonnellate di cariche segretamente in edifici operativi. La tesi delle demolizioni interne nasce quindi da un’illusione ottica comprensibile (i crolli assomigliano visivamente a implosioni), non supportata da alcuna evidenza scientifica.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
Al pentagono è stato un attacco inscenato
I complottisti vedono uno dei punti più deboli della versione ufficiale nell’evento del Pentagono e nella mancata risposta delle difese aeree statunitensi. Secondo loro, le prove che il Pentagono sia stato colpito da un Boeing 757 sono tutt’altro che convincenti. Viene fatto notare che l’unico foro d’impatto iniziale sulla facciata misurava circa 5 metri – “troppo piccolo per un Boeing”, affermano – e che i rottami visibili nelle foto sono pochi e di difficile attribuzione: frammenti di lamiera e componenti minori, ma nessun segno inequivocabile di fusoliera, sedili o motori di un grosso aereo commerciale. Mancano inoltre filmati nitidi dell’impatto: le uniche riprese disponibili (dalle videocamere di sorveglianza del Pentagono) mostrano solo un’esplosione e un oggetto indistinto a velocità, alimentando il dubbio che non fosse un aereo passeggeri. I teorici del complotto sostengono quindi che il Pentagono sia stato colpito da un missile o drone militare e non dal volo American Airlines 77: l’attacco sarebbe stato inscenato e poi spacciato per un atto terroristico, piazzando alcuni rottami di aereo sul prato per depistare. A corroborare questa ipotesi, evidenziano che poco dopo l’11 settembre l’FBI sequestrò i filmati di sicurezza di varie telecamere private nei dintorni (distributori, hotel) che avrebbero potuto riprendere l’incidente. Questi video non furono mai divulgati integralmente, fatto che per i complottisti suggerisce una copertura per nascondere che in video non compariva alcun aereo. Un altro pilastro della narrazione cospirativa è la questione della mancata intercettazione: quattro aerei dirottati hanno volato nello spazio aereo USA per quasi due ore senza essere fermati, una situazione senza precedenti. In particolare, i sostenitori del complotto reputano incredibile che il terzo aereo (che colpì il Pentagono alle 9:37) abbia potuto addirittura tornare verso Washington indisturbato dopo gli attacchi a New York. Ritengono che la US Air Force disponesse del tempo e dei mezzi per intercettarlo (così come il quarto aereo, precipitato in Pennsylvania) e il fatto che nessun caccia sia intervenuto è considerato prova di un ordine impartito dall’alto di tenere a terra i caccia intercettori. Questa teoria del “let it happen on purpose” (lasciar accadere di proposito) si basa anche su alcune coincidenze sospette: proprio l’11/9 erano in corso più esercitazioni militari che simulavano scenari di dirottamento, circostanza che – a detta degli stessi controllori di volo – creò confusione nelle prime fasi dell’emergenza. I complottisti ipotizzano quindi che qualcuno ai vertici abbia deliberatamente disattivato o rallentato la risposta della difesa aerea (NORAD), ordinando di non abbattere i velivoli. Il risultato sarebbe duplice: da un lato permettere al vero ordigno (missile o drone) di colpire indisturbato il Pentagono, dall’altro garantire che tutti e quattro i bersagli (Torri, Pentagono, forse Campidoglio) venissero centrati, aumentando l’impatto emotivo. In pratica – secondo questa visione – l’apparato militare USA avrebbe simulato un’imbarazzante inefficienza mentre in realtà eseguiva dall’interno parte dell’attacco. L’ipotesi del missile sul Pentagono e del stand-down dei caccia è tra le più care ai complottisti perché suggerisce una complicità attiva di settori dello Stato nell’11/9. L’ampia diffusione di questi dubbi è testimoniata dal fatto che, a distanza di anni, una larga fetta di popolazione USA continua a non credere completamente alla versione ufficiale: nel 2017 oltre metà degli americani riteneva di non conoscere ancora tutta la verità su ciò che avvenne l’11 settembre.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
Nessun mistero sull’attacco al Pentagono. Fu il volo AA77
Le ipotesi che al Pentagono non sia caduto un aereo di linea sono state rigorosamente smentite dalle prove e testimonianze disponibili. Subito dopo l’attacco, oltre 100 testimoni oculari – tra cui personale militare, impiegati e passanti – riferirono di aver visto un aereo di linea volare a bassa quota e colpire il Pentagono. In particolare, almeno 55 testimoni chiave confermarono di aver identificato un Boeing American Airlines nell’impatto e nessuno parlò di missile. Queste testimonianze concordanti (raccolte anche dal Washington Post e dagli investigatori ufficiali) da sole demoliscono la teoria alternativa: sarebbe infatti impossibile orchestrare decine di falsi testimoni credibili in pochi istanti. Sul piano materiale, poi, vi sono i rottami: nelle ore successive, squadre forensi recuperarono migliaia di frammenti dall’area d’impatto. Tra essi furono identificati parti del carrello d’atterraggio, segmenti di fusoliera con livrea argento-blu tipica American Airlines, resti di motori Rolls-Royce (compatibili col Boeing 757) e persino la scatola nera di bordo (Flight Data Recorder), il cui contenuto – decodificato – corrisponde al volo AA77. Le analisi strutturali hanno chiarito perché i danni al Pentagono appaiono differenti da quelli delle Torri: il Boeing colpì un edificio rinforzato (muri spessi di cemento armato) volando rasoterra. Le ali e la coda, meno massicce, si sarebbero in gran parte disintegrate all’esterno, mentre la fusoliera e i motori (più densi) penetrarono. Il foro iniziale di circa 5 metri corrisponde alla sezione di fusoliera/motore in ingresso; l’ampia breccia centrale e l’incendio successivo causarono poi il collasso di una porzione di edificio, ampliando il danno. Non c’è nulla di inspiegabile: un rapporto dell’ASCE (Società Americana Ingegneri Civili) del 2003 concluse che “i danni al Pentagono sono interamente consistenti con l’impatto di un Boeing 757, senza alcuna indicazione di uso di esplosivi aggiuntivi”. Altre prove tangibili includono i resti umani: nei giorni seguenti furono rinvenuti e identificati tramite DNA i resti di 184 delle 189 vittime del Pentagono, inclusi i passeggeri e l’equipaggio del volo AA77. È impensabile che tali reperti (compatibili con un disastro aereo) siano stati “piazzati” ad arte. Per quanto riguarda la difesa aerea, le inchieste hanno appurato che nessun caccia fu sulla traiettoria in tempo utile: l’allarme sui dirottamenti fu caotico e il primo caccia su Washington decollò troppo tardi. Non c’è quindi evidenza di un “ordine di stand-down” – al contrario, i piloti militari cercarono di reagire ma non fecero in tempo a intercettare. In definitiva, tutti gli elementi concreti puntano al medesimo scenario: il volo 77 fu dirottato e fatto schiantare sul Pentagono dai terroristi. Le teorie alternative nascono da un ragionamento per assurdo (ci si aspetta di vedere un buco sagomato da aereo, o rottami enormi intatti, cosa poco realistica) e dalla sfiducia alimentata dal segreto sui video di sorveglianza – segreto dovuto semplicemente alle prassi investigative. Persino chi inizialmente dubitava si è ricreduto di fronte alle prove. Ad esempio, il generale Stubblebine, famoso per aver creduto a un missile, più tardi ammise l’errore. Dunque, la comunità internazionale degli esperti e investigatori non ha alcun dubbio: fu un aereo di linea, non un ordigno, a colpire il Pentagono l’11 settembre, e nessun elemento concreto suggerisce un auto-attacco.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
L’Occidente ha ordito un complotto per una Nuova Pearl Harbor
Una delle tesi unificanti dei complottisti è di tipo geopolitico: gli attentati sarebbero stati voluti o permessi dall’élite occidentale (in primis dal governo degli Stati Uniti) per giustificare la successiva agenda di guerra e controllo. Questa teoria parte da un dato storico: nel settembre 2000 il think tank neoconservatore Project for the New American Century pubblicò un rapporto in cui sosteneva che, per accelerare l’accettazione di un rafforzato ruolo militare USA nel mondo, sarebbe servito un evento catastrofico simile a “una nuova Pearl Harbor”. Esattamente un anno dopo, l’11/9 fornì quell’evento shock. I sostenitori del complotto occidentale vedono in ciò la pianificazione deliberata di un auto-attentato: elementi nell’amministrazione Bush (ideologicamente motivati a espandere l’egemonia americana e la presenza in Medio Oriente) avrebbero orchestrato gli attacchi o quantomeno lasciati accadere, così da avere carta bianca per implementare il loro programma. Gli obiettivi strategici sarebbero stati molteplici: giustificare l’invasione dell’Afghanistan e poi dell’Iraq (ricchi di risorse petrolifere), consolidare l’alleanza con Israele contro i comuni nemici islamisti e introdurre negli USA misure di sorveglianza interna senza precedenti (Patriot Act, Homeland Security) sfruttando la paura generata. In sostanza, l’11 settembre sarebbe stato un false flag – un auto-attentato da attribuire a un colpevole fittizio (al-Qaida) – per manipolare l’opinione pubblica occidentale. A supporto, i complottisti citano circostanze come il famoso discorso del Segretario di Stato Colin Powell all’ONU nel 2003 sulle (inesistenti) armi di distruzione di massa irachene: una menzogna di Stato che fu effettivamente usata per legittimare la guerra in Iraq. Se il governo Bush ha potuto mentire al mondo su quel casus belli, perché non avrebbe potuto inscenare anche un attacco per creare il casus belli stesso? Questa linea di pensiero è abbracciata non solo da frange anti-USA interne, ma anche da Paesi antagonisti. Emblematiche furono le parole del presidente iraniano Ahmadinejad all’ONU nel 2010, il quale sostenne che “la maggioranza degli americani e delle nazioni” ritiene che settori del governo USA abbiano orchestrato gli attentati “per rafforzare la loro presa sul Medio Oriente e salvare il regime sionista”. Tali affermazioni rispecchiano un sentimento diffuso in molte opinioni pubbliche medio-orientali, dove i sospetti di un complotto CIA-Mossad rimpiazzano la responsabilità di al-Qaida. Secondo la narrativa pro-complotto, insomma, l’11 settembre fu troppo “utile” per l’Occidente per essere un semplice attentato nemico. Ad esserne avvantaggiati furono proprio gli Stati Uniti e i loro alleati, che ottennero carta bianca per ridisegnare gli equilibri globali. Vengono anche ricordati precedenti in cui gli USA avrebbero contemplato false flag (ad esempio, Operation Northwoods negli anni ’60, un piano poi abortito che prevedeva attacchi simulati per accusare Cuba). In questa ottica, l’11/9 sarebbe stato una operazione cinica interna per manipolare il mondo: una versione estrema ma che, a giudizio dei complottisti, spiegherebbe in modo lineare il “cui prodest” dell’evento e tutti i successivi sviluppi geopolitici. Il mantra spesso ripetuto è: “sono stati gli stessi americani, per poter invadere paesi ricchi di petrolio”. Questa tesi, sebbene respinta come infondata dai governi occidentali, ha attecchito in ampi settori dell’opinione pubblica globale, alimentata dalla generale sfiducia verso le superpotenze e dai reali errori/orrori commessi nelle guerre seguite all’11/9.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
Un complotto di tale portata sarebbe impossibile da tenere segreto
Le teorie del complotto occidentale scontano un problema basilare di credibilità: la logistica di un’operazione così colossale e la sua segretezza prolungata nel tempo. Un principio della sociologia, formulato già da Georg Simmel e ripreso dallo studioso Michael Barkun, afferma che più grande è il complotto, più improbabile è che resti segreto. Nel caso dell’11/9, immaginare un inside job implica coinvolgere centinaia di persone (tra agenti di sicurezza, alti ufficiali, demolitori esperti, funzionari compiacenti ecc.) tutte disposte a tradire il proprio Paese uccidendo civili e, soprattutto, a tacere per sempre. Gli scettici fanno notare che nella storia nessun complotto analogo è mai rimasto ermeticamente chiuso: prima o poi c’è sempre una fuga di notizie, un pentito, un documento trapelato. In 24 anni, nonostante il cambio di varie amministrazioni (Bush, Obama, Trump, Biden) e l’accesso a informazioni riservate di migliaia di persone, nulla è emerso che corrobori la teoria del complotto. Nessun insider del governo USA o di altri Paesi occidentali ha mai fornito prove concrete di una messa in scena (al massimo ci sono insinuazioni o teorie personali, come quelle di ex politici iraniani o venezuelani, ma prive di riscontri). Questo silenzio pressoché totale è eloquente. Gli esperti evidenziano che in casi molto più circoscritti (come lo scandalo Watergate o Abu Ghraib) c’erano moltissimi meno complici; eppure, la verità venne a galla in pochi anni grazie a talpe, fughe di notizie, inchieste giornalistiche. Per l’11/9 nulla di tutto ciò: “se davvero fosse stato un inside job con migliaia di complici, lo avremmo saputo da tempo”. Lo stesso Thomas Kean, co-presidente della Commissione, ha espresso sorpresa per il fatto che dopo decenni non sia saltata fuori alcuna nuova rivelazione. Ciò, a suo avviso, conferma la solidità del rapporto ufficiale. Gli analisti definiscono la teoria del mega-complotto “sociologicamente irrealistica”. Un autorevole studio di Massimo Introvigne spiega che i macro-complotti di cui parlano i complottisti sarebbero “tecnicamente impossibili” da gestire: troppi cospiratori, troppe cose che potrebbero andare storte, troppo alto il rischio di delazione. La narrativa del complotto occidentale, inoltre, implicherebbe una cooperazione segreta fra centinaia di militari, funzionari di intelligence, politici, demolitori, esperti di aviazione, ciascuno disposto a commettere strage di propri concittadini e a non parlare mai. Una simile coesione omertosa contraddice tutto ciò che sappiamo sui comportamenti umani (paure, rimorsi, incentivi a rivelare la verità). Inoltre, dovrebbe esserci stata continuità e complicità anche nelle amministrazioni successive (democratiche e repubblicane) per mantenere il segreto. Chi smonta le tesi complottiste sottolinea come esse si basino su un preconcetto di “fede nel complotto” e tendano a reinterpretare ogni mancanza di prove proprio come prova della cospirazione (il classico “nulla accade per caso”). Questo approccio non è falsificabile: se non escono documenti segreti è perché “li hanno coperti”, se uscissero (come le 28 pagine sui Sauditi) e non contenessero nulla di eclatante, si direbbe che “hanno fatto sparire le prove vere”. In pratica, la teoria si auto-alimenta senza bisogno di riscontri. Ma nessuna evidenza verificabile a carico di un complotto occidentale è mai saltata fuori e, in assenza di prove, l’ipotesi non può essere considerata attendibile. È molto più semplice e plausibile ritenere che il complotto non ci sia stato affatto, piuttosto che credere a una cospirazione perfetta eseguita e mantenuta segreta per decenni. A livello sociale, gli studiosi vedono nel complottismo dell’11/9 un sintomo di paranoia collettiva e sfiducia verso il potere, più che una scoperta basata su fatti. Non è la realtà ad aver fornito indizi di un inside job, ma è la gente che ha voluto vederli lo stesso, perché incapace di accettare che un pugno di jihadisti dall’Afghanistan abbia potuto colpire il cuore dell’Occidente.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
Vi sono indizi di insabbiamento, segreti e omissioni
A rafforzare la convinzione di un complotto interno vi è, secondo i sostenitori, un lungo elenco di stranezze investigative e coperture successive ai fatti. I truthers elencano una serie di aspetti in cui, a loro dire, le autorità occidentali avrebbero agito in modo da nascondere o distruggere prove chiave, alimentando il sospetto di un cover-up. Ad esempio, le macerie del World Trade Center (migliaia di tonnellate di acciaio) furono rapidamente raccolte, rimosse e inviate al riciclaggio in impianti lontani senza permettere un esame indipendente approfondito: un comportamento inspiegabile se non nell’ottica di eliminare tracce di eventuali ordigni. Analogamente, lamentano che non sia mai stata divulgata al pubblico l’intera documentazione video degli attacchi al Pentagono: molte telecamere di sicurezza private nei dintorni registrarono l’esplosione, ma l’FBI requisì tutti i nastri e ne diffuse solo pochi fotogrammi sfocati. Questo alimenta l’idea che vi fosse qualcosa da nascondere (ad esempio, l’assenza effettiva di un aereo). I complottisti sottolineano poi le reticenze iniziali dell’amministrazione Bush nel costituire una Commissione d’Inchiesta indipendente: la Commissione 9/11 fu istituita solo nel novembre 2002, dopo forti pressioni delle famiglie delle vittime, con un budget modesto e tempi stretti (molto inferiori, ad esempio, a quelli dell’inchiesta sullo Space Shuttle Columbia). Inoltre, ricordano come il presidente Bush e il Vice Dick Cheney acconsentirono a testimoniare davanti alla Commissione solo congiuntamente, a porte chiuse e non sotto giuramento, un fatto senza precedenti, interpretato come volontà di controllare la narrazione e non farsi mettere alle strette. Un altro elemento è la questione delle 28 pagine secretate: per oltre un decennio, 28 pagine del Rapporto del Congresso USA sull’11/9 (relative ai possibili collegamenti sauditi) rimasero classificate. Solo nel 2016 furono in parte desecretate e rivelarono contatti finanziari sospetti tra individui vicini al governo saudita e i dirottatori. Per i complottisti ciò suggerisce che il governo USA volesse proteggere interessi alleati (Arabia Saudita) a scapito della verità. Anche nel 2021, vent’anni dopo, è stato necessario un ordine esecutivo di Biden per costringere FBI e Dipartimento di Giustizia ad avviare la declassificazione di molti file investigativi ancora coperti da segreto. Questo perdurante segreto di Stato viene interpretato come la pistola fumante di un insabbiamento deliberato: se non ci fosse nulla da nascondere perché mai dopo così tanti anni parti della documentazione sono ancora inaccessibili? Oltre ai documenti, citano pure possibili conflitti d’interesse. Ad esempio, il fatto che George W. Bush nominò Henry Kissinger (figura controversa) come primo direttore della Commissione 9/11, salvo poi dovervi rinunciare per le polemiche e nominare Kean al suo posto. Oppure il fatto che nel periodo immediatamente successivo agli attacchi, con gli spazi aerei chiusi, fu autorizzato un volo charter speciale che prelevò e portò fuori dagli USA decine di cittadini sauditi, tra cui familiari di Osama bin Laden, senza che venissero interrogati dall’FBI. Un episodio reale che alimenta tuttora sospetti di connivenze ai massimi livelli. Insomma, secondo i sostenitori del complotto, i comportamenti opachi delle istituzioni dopo l’11/9 (pochi dati divulgati, prove rimosse in fretta, indagini condotte a porte chiuse) confermerebbero che vi fosse una verità scomoda da insabbiare. Ogni anomalia viene inserita nel puzzle: i sostenitori del complotto ne deducono che chi ha gestito la risposta agli eventi voleva evitare qualunque spiraglio che potesse svelare il coinvolgimento interno.
Nina Celli, 24 ottobre 2025
La verità storica è l’attacco jihadista, non un auto-attentato
Per i contrari alla teoria del complotto, l’11 settembre non fu altro che ciò che sembra: un devastante attentato terroristico compiuto da al-Qaida, sfruttando le vulnerabilità occidentali. Le prove della responsabilità di Osama bin Laden e soci sono schiaccianti e ben documentate, mentre non esiste alcuna prova concreta di un coinvolgimento occidentale. Le indagini ufficiali, condotte da FBI, CIA e commissioni parlamentari, hanno ricostruito la trama in modo capillare: 19 terroristi islamisti (quasi tutti originari dell’Arabia Saudita, membri della cellula di Khalid Sheikh Mohammed) si infiltrarono negli USA, si addestrarono su simulatori di volo e attuarono il piano suicida. I loro nomi erano sui manifesti di imbarco, le loro facce sulle telecamere di sorveglianza in aeroporto, le loro voci nelle registrazioni dalle cabine di pilotaggio. Vi furono anche le rivendicazioni di al-Qaida: già nel 2002 venne diffuso un video in cui bin Laden allude compiaciuto agli attacchi e nel 2004 lo stesso leader, in un messaggio pubblico, rivendicò esplicitamente l’11/9, spiegandolo come ritorsione per le politiche USA in Medio Oriente. Dunque, l’autore ideologico si è pure auto-identificato. I complottisti scartano questi elementi come falsificazioni, ma allora dovrebbero spiegare come mai gli affiliati catturati di al-Qaida (KSM e altri) avrebbero confessato dettagli del piano in sedi processuali. A livello di intelligence, inoltre, sappiamo che furono intercettati messaggi di esultanza in ambienti jihadisti immediatamente dopo gli attacchi e che fonti collegate ad al-Qaida ne parlarono come di un proprio successo. L’attribuzione ad al-Qaida, lungi dall’essere precipitosa, fu corroborata da evidenze convergenti: tracce finanziarie (bonifici da agenti di bin Laden ai dirottatori), tracce elettroniche (e-mail, navigazioni web dei terroristi collegati a siti islamisti), testimonianze di complici arrestati ecc. Nulla di simile è mai emerso a carico di CIA, Mossad o altri attori “interni”. Gli esperti fanno inoltre notare che la matrice jihadista combacia perfettamente con il contesto storico: al-Qaida aveva già compiuto attentati contro obiettivi americani (embassies nel 1998, USS Cole nel 2000) e l’11/9 fu l’apice di una campagna terroristica in corso. Pensare che dietro ci fosse invece l’Occidente richiede di ignorare tutti i segnali pregressi, come se al-Qaida non fosse mai esistita se non come fantoccio. Gli analisti militari sottolineano anche che, se fosse stata un’operazione orchestrata dagli USA, difficilmente sarebbero stati scelti 19 esecutori arabi (rischio alto di errori); avrebbero potuto inscenare un attacco più pulito (ad esempio una bomba nucleare rubata), invece di orchestrare quattro dirottamenti simultanei sperando che tutto andasse come previsto. La spiegazione più lineare è che fu un’operazione nemica, approfittando del fattore sorpresa e della impreparazione delle difese americane di fronte a quell’inedito scenario. Le presunte “stranezze” della risposta USA sono in realtà ben spiegabili: perché i caccia non hanno intercettato? Perché nessuno si aspettava di dover abbattere aerei di linea pieni di civili. Fino all’11/9, la procedura standard nei dirottamenti era di assecondare i dirottatori e contrattare; si era addirittura smantellato in parte il dispositivo di allarme aereo dopo la Guerra Fredda. Quella mattina, i controllori di volo tardarono a capire che i transponder spenti non erano semplici guasti ma segni di dirottamento. Quando fu chiaro, i caccia decollati non fecero in tempo a raggiungere gli obiettivi. Nessun piano segreto, dunque: solo errore umano e mancanza di protocolli adatti. Allo stesso modo, altre anomalie addotte dai complottisti trovano spiegazioni logiche: il passaporto di un terrorista rinvenuto tra le macerie – per quanto fortuito, non è impossibile (sopravvivono documenti leggeri in molti disastri aerei, trasportati dall’onda d’urto); gli insider trading sui titoli aerei prima dell’11/9 – indagati dall’SEC – si rivelarono frutto di coincidenze o movimenti innocenti (nessun collegamento coi terroristi fu trovato). Insomma, “correlation is not causation”: i complottisti collegano punti che in realtà non hanno nesso causale. Le commissioni d’inchiesta hanno ammesso errori e omissioni colpose da parte di CIA e FBI (che non condivisero informazioni vitali prima dell’11/9), ma nulla di intenzionale: semplice burocrazia e sottovalutazione del pericolo. Da queste falle i teorici del complotto costruiscono castelli di malizia, ma senza basi solide. In conclusione, la tesi ufficiale, che l’11 settembre fu un attacco terroristico riuscito, figlio di fanatismo e sottostima del nemico, resta l’unica che regga all’analisi. Come ha sottolineato un fact-checker, in due decenni i complottisti “non sono riusciti a fornire una versione alternativa valida” rispetto a quella da loro chiamata “versione ufficiale”. Il movente di al-Qaida era chiaro, i mezzi impiegati noti, le responsabilità accertate in tribunale. Dietro non c’è alcun Occidente ombra: solo la cruda realtà di un attacco riuscito da parte di un gruppo terrorista e il successivo comprensibile (ma non giustificato) bisogno, per alcuni, di negare che una superpotenza possa essere stata colpita così duramente da nemici asimmetrici. La storia, tuttavia, conferma proprio questo: il 9/11 fu un “evento epocale e sconvolgente” ma non una cospirazione governativa.
Nina Celli, 24 ottobre 2025