Nr. 388
Pubblicato il 11/09/2025

Eugenetica moderna

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Il termine “eugenetica”, coniato da Francis Galton nel 1883, evoca la selezione intenzionale dei tratti genetici umani. Storicamente ha assunto connotazioni inquietanti: nel primo Novecento movimenti eugenetici in vari paesi occidentali promuovevano sia la cosiddetta “eugenetica positiva” (incoraggiare la riproduzione dei “migliori”) sia l’“eugenetica negativa” (limitare o impedire quella ritenuta “degenerata”). Tali idee coinvolsero scienziati eminenti e persino riformatori sociali dell’epoca, da suffragette a premi Nobel. Negli Stati Uniti e in Europa vennero introdotte politiche pubbliche ispirate a queste teorie: ad esempio, oltre 30 Stati USA approvarono leggi per la sterilizzazione forzata dei “non idonei”. Queste pratiche trovarono tragica estremizzazione nella Germania nazista, dove la dottrina dell’“igiene razziale” giustificò sterilizzazioni coatte ed eutanasia su larga scala, preludio allo sterminio di massa. Dopo gli orrori dell’Olocausto, l’eugenetica fu screditata e condannata a livello internazionale: i processi di Norimberga misero al bando esperimenti medici disumani e l’idea stessa di “migliorare” la popolazione su base genetica divenne tabù. Convenzioni come quella di Oviedo del 1997 sanciscono il divieto di interventi sul genoma ereditabile finalizzati a modificare discendenze umane.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’eugenetica terapeutica libera le future generazioni dalle malattie ereditarie

Eliminare un gene letale non equivale a discriminare vite. Con regole etiche si può sfruttare la scienza senza derive disumane.

02 - Il nuovo eugenismo aggraverebbe le ingiustizie sociali

Si rischia una società divisa in “migliori” e “scartati”, discriminando disabili e gruppi vulnerabili come in un apartheid genetico.

03 - La libertà di scelta genetica è un diritto dei genitori e un’evoluzione della società

Coloro che adotteranno il miglioramento genetico avranno un vantaggio; bloccarlo significherebbe rallentare il progresso e lasciare indietro cure potenziali.

04 - Limiti etici invalicabili: dignità umana, diritti fondamentali e memoria storica

Rischiamo una deriva etica: la vita può diventare oggetto di progettazione, contraria ai diritti fondamentali e al rispetto dell’unicità di ciascuno.

05 - Rischi e incertezze scientifiche: un salto nel buio sull’evoluzione umana

La complessità genomica è enorme e tuttora ignota. Agire sul DNA germinale oggi potrebbe causare nuove malattie o squilibri genetici domani.

06 - L’eugenetica è una risposta sproporzionata e dannosa

Inseguire il “bebè perfetto” è superfluo e pericoloso. Meglio investire nel supporto ai già nati e nelle cure accessibili a tutti.

 
01

L’eugenetica terapeutica libera le future generazioni dalle malattie ereditarie

FAVOREVOLE

I sostenitori dell’eugenetica moderna in chiave terapeutica sostengono che abbiamo un’opportunità senza precedenti di eliminare sofferenze umane, prevenendo le malattie genetiche prima della nascita. Secondo questa posizione, l’editing del genoma e la selezione embrionale possono salvare milioni di vite da patologie ereditarie gravi, realizzando in pieno il mandato morale della medicina. “Se possiamo curare o prevenire una malattia in un futuro bambino, non dovremmo farlo?” – chiedono i proponenti. Essi evidenziano che già oggi la diagnosi genetica preimpianto (PGD) consente a coppie portatrici di malattie come la fibrosi cistica o la talassemia di avere figli sani, evitando loro un destino di dolore. Questa pratica, affermano, è ampiamente accettata e non viene percepita come immorale perché il fine è terapeutico, non discriminatorio. Allo stesso modo, l’editing genetico degli embrioni con CRISPR si configura come una sorta di “chirurgia molecolare” preventiva: invece di curare dopo, si corregge il gene difettoso prima che causi danni. In prospettiva, ciò potrebbe eradicare migliaia di malattie monogeniche (distrofie muscolari, malattie metaboliche letali ecc.) e ridurre drasticamente l’incidenza di malattie poligeniche predisponenti (ad es. abbassare il rischio ereditario di diabete o Alzheimer).
I pro-eugenetica terapeutica sottolineano il valore umano di queste tecnologie attraverso storie concrete: genitori che hanno perso figli per malattie genetiche oggi sperano che, grazie all’editing embrionale, in futuro nessuno debba più subire tali tragedie. Françoise Baylis, bioeticista, pur cauta su altri fronti, ammette che prevenire malattie devastanti sin dall’embrione potrebbe essere considerato un obiettivo eticamente positivo, a condizione di garantirne l’accesso equo. Secondo questo punto di vista, impedire la nascita di un bambino condannato a soffrire per una grave patologia genetica non è discriminazione, ma atto di compassione: significa far nascere al suo posto un bambino sano, liberando quella famiglia e la società dal peso di una malattia in più. Il paragone spesso citato è con la vaccinazione: così come si prevengono malattie infettive per dare ai figli una vita migliore, si potrebbe prevenire una malattia genetica con un “vaccino” genetico (CRISPR).
Altro tema a favore è l’inevitabilità scientifica: le tecnologie di gene editing stanno avanzando rapidamente (già oggi terapie geniche somatiche curano HIV e anemia falciforme), per cui è realistico pensare che la sicurezza dell’editing germinale migliorerà. Quando ciò avverrà, dicono i sostenitori, sarebbe eticamente ingiustificabile non usarlo: “Se avessero scoperto l’insulina e poi l’avessero vietata perché ‘innaturale’, quante vite avremmo perso?” – analogamente, vietare in assoluto l’editing embrionale equivarrebbe a “condannare deliberatamente migliaia di persone a malattie evitabili”. Questa linea di ragionamento sposa un principio di utilitarismo medico: massimizzare la salute collettiva riducendo il carico di malattie genetiche. Studi economici aggiungono che prevenire tali malattie allevierebbe anche i costi sanitari a lungo termine (meno terapie costose, meno ricoveri), generando benefici per la collettività. Ad esempio, un rapporto citato dai favorevoli calcola che eliminare l’anemia falciforme tramite editing germinale in regioni ad alta incidenza potrebbe liberare risorse sanitarie ingenti da reinvestire altrove.
I sostenitori rispondono alle paure eugenetiche richiamando la differenza tra fine e mezzi: “Non c’è intenzione di creare una ‘razza perfetta’”, sostengono, ma solo di “rendere i nostri figli più sani”. Nei panel etici internazionali molti scienziati argomentano che l’associazione con la vecchia eugenetica è fuorviante: la motivazione attuale non è eliminare i “meno adatti” per migliorare la società, bensì curare individui e famiglie. “Prevenire la malattia genetica di un bambino non è diverso dal curarlo dopo che è nato, anzi è più misericordioso”, ha dichiarato ad esempio il genetista George Church, noto pioniere del genome editing (pur conscio dei rischi, Church sostiene che l’uso terapeutico – non discriminatorio – di CRISPR potrebbe essere eticamente accettabile). Questa posizione, insomma, presenta l’eugenetica moderna “buona” come continuità del giuramento di Ippocrate: se il medico deve agire per alleviare la sofferenza, perché non farlo ancor prima che inizi?
Naturalmente, si riconoscono la necessità di cautela, come limitare l’editing germinale solo alle condizioni gravissime e senza alternative (lasciando fuori la selezione di tratti non medici), ma il divieto assoluto sarebbe immorale e miope. In linea con le raccomandazioni dell’OMS, si auspica una regolamentazione che consenta sperimentazioni cliniche controllate per validare la sicurezza e poi l’applicazione clinica sotto stretto monitoraggio, piuttosto che ignorare o bandire a priori la tecnica. La premessa è che la tecnologia di gene editing non sparirà (è “disponibile in ogni laboratorio, benintenzionato o no”), quindi conviene svilupparla in modo responsabile per scopi benefici, prima che qualcuno la usi clandestinamente per scopi discutibili. L’eugenetica terapeutica lungi dall’essere un incubo distopico, sarebbe l’espressione massima della capacità umana di prendersi cura dei propri simili, liberando le generazioni future dal fardello di malattie oggi incurabili.
Gli esperti interpellati dal “The Guardian” evidenziano il potenziale di genomic therapies per malattie cardiovascolari, neurodegenerative e oculari entro questo decennio, e prevedono che l’editing di embrioni per prevenire malattie letali potrà diventare tecnicamente fattibile in 5-10 anni. La filosofa Françoise Baylis riconosce che tali progressi sollevano speranze, tanto da affermare che l’enhancement genetico potrebbe essere “inevitabile” perché molti “sono crassamente disposti ad abbracciare il biocapitalismo” pur di avere figli più sani e dotati. Documenti dell’OMS ammettono i possibili benefici: diagnosi più rapide, trattamenti mirati e prevenzione di disordini genetici sono menzionati come “potenziali vantaggi dell’editing genomico umano”. L’articolo di Pietro Greco, pur sollevando quesiti etici, riconosce che CRISPR ha mostrato “tutte le sue potenzialità sul campo” correggendo embrioni con un tasso di successo del 72,4%: un risultato promettente che potrebbe offrire “una vita sana a milioni di persone che nasceranno” esenti da patologie ereditarie.

Nina Celli, 11 settembre 2025

 
02

Il nuovo eugenismo aggraverebbe le ingiustizie sociali

CONTRARIO

Una delle obiezioni più forti e immediate all’eugenetica moderna è che essa condurrebbe a nuove forme di disuguaglianza e discriminazione, amplificando i divari già esistenti nella società. I critici avvertono che l’accesso alle tecnologie di editing genetico e selezione embrionale sarebbe inevitabilmente determinato dal potere economico: “solo i ricchi potrebbero permettersele”, quantomeno nelle fasi iniziali, creando una classe privilegiata geneticamente ottimizzata contrapposta a una maggioranza di persone “non potenziate”.
Questo scenario da incubo è stato definito come società degli “haves and have-nots genetici”: i “genetic have-nots” (coloro i cui genitori non hanno potuto o voluto usare i miglioramenti genetici) rischierebbero di essere considerati cittadini di serie B, tagliati fuori da opportunità. “Immaginate un mondo in cui i colloqui di lavoro o le ammissioni universitarie tengano conto del tuo corredo genetico”, scrivono con preoccupazione attivisti anti-eugenetici. Già oggi esistono disparità enormi nell’accesso alla sanità e all’istruzione; l’eugenetica liberale potrebbe “congelarle” a livello biologico, rendendole virtualmente insormontabili. Un esempio spesso citato è quello delle compagnie di assicurazione e datori di lavoro: se la modifica genetica diventasse diffusa, assicuratori sanitari potrebbero penalizzare chi non l’ha fatta (perché considerato a rischio malattie) o le aziende top potrebbero richiedere indirettamente certe “caratteristiche ottimali” (es. resistenza allo stress) presenti solo in candidati geneticamente selezionati. Verrebbe così meno il principio che tutti nascono uguali in dignità e diritti: verrebbe rimpiazzato da un “geneticismo” spietato, dove il valore di una persona (o almeno la percezione sociale di esso) dipende dal suo genoma. Questo ricalca pericolosamente il concetto di “fitness” biologica tanto caro ai primi eugenisti, sebbene mascherato da libera scelta. Claire Robinson di “GMWatch” enfatizza che legalizzare l’editing ereditario porterebbe inevitabilmente a una società eugenetica di privilegiati vs svantaggiati, con i primi in grado di “acquistare” per i figli IQ più alto, resistenza fisica, bellezza ecc., e i secondi destinati a essere superati in ogni ambito competitivo – un sistema che lei paragona a un’apartheid genetica.
Inoltre, questa tesi evidenzia come l’eugenetica moderna finirebbe per alimentare discriminazioni su base sanitaria e abilistica. Le persone con disabilità o malattie genetiche potrebbero essere viste sempre più come “errori evitabili”, invece che come individui da integrare e valorizzare. Il timore espresso da numerose associazioni di disabili è che l’adozione diffusa di screening genetici ed editing mandi il messaggio sociale che “certe vite non meritano di essere vissute”, perché se ne preferisce la non nascita. Stop Designer Babies e altre coalizioni per i diritti dei disabili parlano di “velvet eugenics”: una eugenetica soffice, non violenta come nel passato, ma ugualmente decisa a “eliminare la diversità umana considerata indesiderabile”. Ad esempio, la pressoché totale scomparsa delle nascite di bambini con sindrome di Down in alcuni paesi (come l’Islanda), grazie allo screening prenatale, è vista da molti attivisti non come un successo medico, ma come un segnale allarmante di abilismo istituzionalizzato: una società che, invece di accogliere e supportare le persone con trisomia 21, preferisce che non nascano affatto. La scrittrice e attivista disabile Rosemarie Garland-Thomson avverte che questo atteggiamento crea un “futuro in cui la disabilità sarà concepita solo come qualcosa da cancellare”, e quindi i disabili esistenti possono essere ancora più stigmatizzati.
Anche sul fronte delle discriminazioni etniche e di classe, i critici intravedono pericoli concreti. Se le tecniche di miglioramento genetico diventassero la norma in società ricche, le popolazioni dei paesi poveri – che non potrebbero accedervi – verrebbero percepite come geneticamente inferiori. “L’eugenetica, con il suo postulato di una diseguaglianza ontologica tra individui, sarebbe incastonata nel pensiero dello Stato moderno”, si legge in uno studio francese critico (ANR), che sottolinea come l’universalismo dei diritti verrebbe sostituito da un approccio neoselettivo. In fondo, osservano i detrattori, la maggior parte dei target della vecchia eugenetica erano proprio i poveri, i malati, le minoranze etniche. Oggi il linguaggio è cambiato (si parla di “prevenzione”, “scelta informata” ecc.), ma il risultato rischia di essere lo stesso: ridurre la presenza di categorie considerate problematiche (se non dal governo, quantomeno dal mercato e dal bias sociale). Ad esempio, un documento del National Council on Disability USA ha messo in guardia che il discorso sull’editing embrionale è intriso di pregiudizi abilisti e “scientifici” simili a quelli che portarono alle leggi eugenetiche del Novecento.
Questa visione richiama poi l’attenzione su un meccanismo subdolo: l’apparente libera scelta può portare a pressioni sociali implicite. Se l’editing diventasse tecnicamente sicuro e accettato, potrebbe sorgere un “imperativo sociale” a farlo. “Come, tu non correggi il tuo embrione pur potendo? Vorresti un figlio malato?”. I genitori potrebbero sentirsi costretti, per il bene del figlio o per evitare giudizi, ad aderire al trend. La filosofa Alta Charo, pur non contraria a priori al genome editing, ha avvertito che “il rischio più grande è che la discussione continui a presentare visioni così distopiche come realistiche che la gente si sentirà quasi obbligata a ricorrere all’editing per stare al passo”. Questo creerebbe un ciclo per cui la norma culturale diventa quella di avere figli geneticamente ottimizzati. Con la conseguenza che chi nasce “alla vecchia maniera” (via concezione naturale, senza selezioni) viene compatito o visto come figlio di genitori irresponsabili. Si concretizzerebbe così quella “instabilità strutturale” evocata dagli esperti: un mercato genetico dove per garantire un futuro competitivo al figlio devi investire in editing, un po’ come oggi ci si sente obbligati a dare un’istruzione costosa. Solo che qui non tutti avrebbero i mezzi, cementando la stratificazione socio-genetica.
Per tutti questi motivi, si può predire che l’eugenetica 2.0 non sarebbe affatto un affare privato innocuo, ma ridisegnerebbe i rapporti sociali in modo iniquo. Oltre alle disuguaglianze, violerebbe l’idea stessa di inclusione e pari dignità su cui si fondano le democrazie moderne. Invece di accogliere la diversità umana (di capacità, di costituzione, di differenze innate), la nuova eugenetica la vivisezionerebbe e la valuterebbe con un metro di efficienza. In un commento sull’“AMA Journal of Ethics”, Eric Juengst nota che proprio l’ombra dell’Olocausto ci rende ancor oggi ansiosi all’idea di controllare i geni umani, perché temiamo di rifare l’errore di “creare gerarchie genetiche da pregiudizi sociali”, tentando di rifare la specie secondo una visione distorta di salute e normalità. Questa visione, in sostanza, suona un campanello d’allarme: l’eugenetica moderna porterebbe ingiustizia – i vulnerabili (poveri, disabili, minoranze) ne pagherebbero il prezzo maggiore e i privilegiati consoliderebbero il loro vantaggio a livello biologico ereditario.
L’OMS sottolinea che l’editing va guidato per non “alimentare ulteriori iniquità di salute tra e dentro i paesi”, riconoscendo dunque che il rischio di disuguaglianza c’è. Il gruppo Stop Designer Babies ha apertamente dichiarato: “legalizzare l’HGM condurrà inevitabilmente a una società eugenetica di ‘genetic haves and have-nots’, immaginando addirittura in worst-case che “chi non può permettersi enhancement possa venire bandito dalla riproduzione”. La recensione di “Control” cita come Rutherford mostri che già nell’eugenetica storica “spesso a essere colpite erano minoranze e poveri (USA prebellici, nazismo) e che sebbene il termine scomparve, la scienza e la politica che la sfruttava persistettero”. Infine, il saggio di Agnese Codignola evidenzia come anche stati “virtuosi” come la Danimarca abbiano attuato controlli riproduttivi su una minoranza (Inuit) fino a pochi anni fa, “dimostrando che la tentazione di uniformare certe popolazioni a un modello ‘migliore’ è sempre viva”, segno di quanto le dinamiche di potere possano facilmente scivolare nell’eugenetica.

Nina Celli, 11 settembre 2025

 
03

La libertà di scelta genetica è un diritto dei genitori e un’evoluzione della società

FAVOREVOLE

I favorevoli pongono enfasi sulla libertà individuale e sul pluralismo dei valori in ambito riproduttivo. Secondo questa tesi, decidere “come” far nascere i propri figli – inclusa la facoltà di scegliere embrioni con certe caratteristiche genetiche o di modificarli per il loro bene – rientra nella sfera di autonomia che genitori e famiglie dovrebbero avere in una società libera. L’argomento centrale è: “chi può stabilire dall’esterno quali motivi di avere un figlio sano o “migliore” siano validi o no?”. Se una coppia, in coscienza, desidera fare tutto il possibile per garantire al nascituro la vita migliore, la legge non dovrebbe impedirglielo a priori.
Questa visione viene spesso definita “eugenetica liberale” o “liberal eugenics”, concetto introdotto da filosofi come Nicholas Agar e ampliato da altri bioeticisti. L’idea è che, rimossa la coercizione statale, la pratica di migliorare geneticamente la prole su base volontaria non abbia l’ombra morale dell’eugenetica storica. Si tratterebbe, per citare l’evoluzionista Diana Fleischman, di “dare ai genitori la scelta sui tratti che più valorizzano”. Fleischman, nella sua intervista su “Reason”, sostiene che consentire la selezione embrionale per capacità cognitive o resistenza a malattie aumenta la libertà: alcune famiglie potrebbero farlo, altre no, secondo i propri valori, e questo è compatibile con una società pluralista. Ad esempio, una coppia molto propensa alle arti potrebbe voler selezionare l’embrione con predisposizione musicale; un’altra coppia con storie familiari di depressione potrebbe sceglierne uno con punteggio genetico di minor rischio psichiatrico. Queste scelte, in sé, non nuocciono a terzi e riflettono preferenze legittime, analoghe a quelle che i genitori già esprimono nell’educazione (c’è chi iscrive i figli a scuola di musica per svilupparne il talento, chi li incoraggia nello sport per migliorarne salute e disciplina). La genetica riproduttiva diverrebbe un ulteriore strumento a disposizione delle famiglie per plasmare, nel limite del possibile, il futuro dei propri figli secondo il loro concetto di bene.
I sostenitori di tale teoria fanno anche notare che già oggi esistono forme di selezione accettate: per esempio, in molti paesi è permesso scegliere il sesso del bambino tramite PGD per bilanciare la composizione familiare, o selezionare un embrione immunocompatibile per curare un fratellino malato (i cosiddetti “saviour siblings”). Nonostante inizialmente sollevassero dubbi morali, queste pratiche sono state integrate nella bioetica mainstream in quanto espressione di scelte parentali comprensibili e non arbitrarie. Analogamente, i sostenitori chiedono: perché disapprovare tanto l’idea di scegliere un embrione con QI potenzialmente più alto o con minore rischio di cancro, se tale scelta nasce dall’amore genitoriale e dal desiderio di dare un vantaggio al figlio? “In fondo, tutti i genitori cercano di fare il meglio per i propri figli. La differenza è che ora la scienza offre strumenti più potenti per farlo”, argomentano.
Questa lettura insiste sul concetto di responsabilità genitoriale positiva: avere un figlio implica l’obbligo morale di garantirgli le migliori condizioni possibili. Il filosofo Julian Savulescu ha formulato il principio della “procreative beneficence”, secondo cui i genitori dovrebbero scegliere, tra i possibili figli che potrebbero avere, quello con le prospettive di vita migliori (in termini di salute, abilità ecc.), se ne hanno la possibilità tecnologica. Non farlo, secondo questa visione, sarebbe come “rinunciare volontariamente a prevenire un male”. Savulescu e colleghi sostengono che, lungi dall’essere un capriccio, selezionare geneticamente il proprio figlio migliore è un atto di responsabilità etica verso di lui. Anche sul piano dei diritti, alcuni giuristi liberali iniziano a parlare di un potenziale “diritto alla scelta genetica” nel quadro più ampio dei diritti riproduttivi. Analogamente a come difendiamo il diritto di procreare o di non procreare, in futuro potrebbe essere riconosciuto il diritto di plasmare geneticamente la propria prole in certe misure, se ciò rientra nelle convinzioni e nei progetti di vita dei genitori. Un esempio pratico a supporto: molte persone portatrici di malattie ereditarie letali (come la Corea di Huntington) attualmente rinunciano ad avere figli naturali o affrontano gravidanze con forte angoscia. La possibilità di correggere l’embrione o selezionarne uno sano darebbe a queste persone la libertà di formare famiglie senza la spada di Damocle genetica. Dunque, la genetica riproduttiva amplierebbe anche la platea di chi può avere figli senza timori, realizzando in pieno il diritto alla genitorialità.
Questa tesi vede come arbitro legittimo il consenso informato dei genitori e il libero mercato regolamentato. Se una tecnologia è sicura e disponibile, spetterà alle famiglie decidere se usarla in base ai propri valori. Gli autori libertari criticano il paternalismo statale o bioetico che, in nome di astratti rischi sociali, vorrebbe negare a tutti uno strumento potenzialmente benefico. Portano ad esempio il caso della sentenza dell’Alabama del 2021 (che equiparava gli embrioni congelati a minori, minacciando la legalità dell’IVF), poi neutralizzata da leggi statali, è citata come “intromissione illiberale” nella vita privata e come monito di ciò che avviene quando “la politica impedisce la tecnologia sanitaria”. Al contrario, esponenti di area radicale come l’Associazione Luca Coscioni in Italia invitano a non strumentalizzare i casi controversi per limitare la legge 194 o la fecondazione assistita, difendendo la libertà di scelta delle donne anche di fronte al tema dell’aborto selettivo.
Sul piano sociale più ampio, i favorevoli affermano che una graduale adozione dell’eugenetica liberale potrebbe portare benefici condivisi: se più bambini nascono sani e dotati, la società nel suo insieme ne trae vantaggio (meno oneri sanitari, più innovatori ecc.). Sam Altman, CEO di OpenAI e investitore in un’azienda di screening embrionale, vede questa come una risposta al timore del “declino della civiltà”: se la natalità cala, almeno assicuriamoci che i nati abbiano quante più chance di prosperare. Alcuni arrivano a dire che non applicare queste migliorie sarebbe antimeritocratico verso i figli, quasi un atto di negligenza. Una citazione emblematica è quella del prof. Stephen Hsu: “I potenziali benefici per la salute pubblica sono enormi”, con riferimento allo screening poligenico esteso, suggerendo che prevenire predisposizioni a cancro, diabete e altre malattie mediante scelta embrionale potrebbe innalzare il benessere di intere generazioni.
Le posizioni pro-libertà genetica, dunque, pongono al centro l’autonomia decisionale e la fiducia nel fatto che individui razionali faranno scelte nel miglior interesse delle loro famiglie. Non ignorano i rischi di abuso, ma li considerano gestibili tramite linee guida e consenso, piuttosto che con divieti rigidi. Nei forum pubblici, i fautori talvolta adottano toni provocatori per sfidare il tabù: “siamo tutti eugenetisti” afferma Fleischman, intendendo che tutti vorremmo naturalmente figli sani e bravi. La tecnologia semplicemente ci aiuta in ciò. L’importante, aggiunge, è abbracciare consapevolmente questa possibilità e guidarla con etica, invece di demonizzarla e lasciare che agisca clandestinamente.
Nell’intervista su “Reason”, Fleischman ribadisce di essere “pro-IVF come modo per i genitori di selezionare tratti genetici desiderabili”, segno di un atteggiamento positivo verso l’enhancement riproduttivo. Il sociologo Malcolm Collins, citato nel saggio di Emily R. Klancher Merchant, difende la selezione poligenica dicendo che “non è eugenetica di Stato, ma uso della tecnologia per dare ai genitori la scelta sui tratti che valutano di più”, come riportato in un convegno pronatalista del 2023. La stessa Diana Fleischman, su un suo blog, ha affermato: “Eliminare un allele nocivo o scegliere un figlio con più alte capacità non viola alcun diritto di altri – siamo coerenti: in quanti modi già plasmiamo i nostri figli? La genetica è un altro mezzo”.

Nina Celli, 11 settembre 2025

 
04

Limiti etici invalicabili: dignità umana, diritti fondamentali e memoria storica

CONTRARIO

Un’altra argomentazione contraria all’eugenetica moderna afferma che essa calpesta principi etici e giuridici fondamentali, minacciando di farci perdere la nostra umanità condivisa. Questa tesi mette al centro valori come la dignità intrinseca di ogni vita, l’uguale diritto di esistere di tutti gli esseri umani e il rifiuto morale di trasformare i figli in prodotti su misura. Sostiene che manipolare o selezionare la discendenza umana, oltre una certa soglia, costituisce un’offesa alla dignità, perché tratta il nascituro non come fine in sé, ma come mezzo per soddisfare criteri di perfezione stabiliti da altri.
La Chiesa Cattolica e molte confessioni religiose incarnano questa obiezione etica. Come affermato da Papa Francesco, “‘ogni bambino è un dono’”, indipendentemente dalle sue condizioni di salute, e l’uso delle tecniche prenatali a fini selettivi è un atto profondamente disumano”. Parlava di “mentalità eugenetica” per definire quell’atteggiamento utilitaristico che vorrebbe sopprimere – o potremmo dire, “aggiustare” – vite che non corrispondono a certi standard. Dal punto di vista cattolico, la vita umana ha valore incondizionato dal concepimento. Scegliere chi nasce in base alla qualità genetica è moralmente equivalente a giudicare che alcuni esseri umani valgono meno di altri. Mons. Mauro Cozzoli, teologo morale, commentando un caso di aborto selettivo in Italia, affermò che il vero elemento inquietante non era l’errore tecnico (avevano eliminato il feto sano anziché quello con sindrome di Down), ma “la mentalità utilitaristica che lo ha originato: sopprimere vite che non rispondono alle attese”. Questa mentalità viene considerata un ritorno dell’eresia eugenetica: implica che la vita deve soddisfare un criterio di “perfezione” per essere benvenuta.
In ambito laico, il concetto di dignità umana è consacrato in documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta di Oviedo, che all’art. 1 afferma la primazia dell’essere umano sulle sole esigenze della società o della scienza. L’art. 13 della stessa convenzione (ratificata da molti Stati) proibisce interventi sul genoma ereditabile quando non siano a scopo diagnostico/terapeutico diretto, riflettendo proprio l’esigenza di evitare manipolazioni che possano alterare l’identità di un individuo e dei suoi discendenti. I critici osservano che l’eugenetica liberale per enhancement – e in parte anche quella “terapeutica” – viola questo principio, perché cerca di adattare l’essere umano a un modello ideale (per quanto definito dai genitori e non dallo Stato). Jürgen Habermas, ad esempio, nel suo saggio Il futuro della natura umana, sostiene che l’editing genetico dei nascituri lede l’autonomia futura di quegli individui: li priva in qualche misura dell’apertura indeterminata della vita, perché qualcuno ha deciso in anticipo come dovrebbero essere. Questa è una ferita alla dignità e alla libertà costitutiva dell’essere umano, che dovrebbe poter dire di sé di non essere “fabbricato” da altri.
La tesi enfatizza anche il fattore storico e simbolico: dopo l’orrore dell’eugenetica nazista, l’umanità ha tracciato linee rosse etiche molto chiare, dichiarando che “mai più” si sarebbe permesso di selezionare vite su basi biologiche. I trattati internazionali, come ricordato da Pavone, riflettono questa memoria. E proprio perché l’editing genetico rende possibile ciò che prima era fantascienza, la comunità globale ha reagito chiedendo almeno una moratoria (nel 2019 oltre 30 scienziati di fama, tra cui Doudna, Lancet e altri, chiesero una sospensione temporanea di qualsiasi sperimentazione clinica di editing germinale). La ragione non è solo la sicurezza, ma “la consapevolezza che dietro l’angolo c’è il rischio di rivivere un incubo morale”. Eric Juengst argomenta che la “lunga ombra dell’Olocausto” incombe su queste discussioni, perché in fondo l’aspirazione di “prevenire malattie” può rapidamente scivolare nella volontà di “migliorare” l’umanità secondo pregiudizi di valore – esattamente ciò che fecero gli eugenisti, partendo dall’idea di migliorare la salute pubblica. I confini tra cura e potenziamento possono sembrare chiari a tavolino (curare la talassemia vs aumentare il QI), ma in pratica c’è ambiguità: prevenire una predisposizione all’obesità è cura o “miglioramento” estetico? E aumentare la resistenza immunitaria (un enhancement) potrebbe essere spacciato per prevenzione. Juengst nota infatti che molti rapporti oggi considerano etico l’editing per prevenzione di malattie, ma che “prevenzione può significare 3 cose diverse che spesso si confondono” (prevenzione fenotipica, prevenzione genotipica e “rafforzamento preventivo”. La terza accezione è enhancement puro e rischia di scivolare nel primo concetto senza che ce ne accorgiamo, normalizzando ciò che volevamo evitare.
I critici affermano dunque che accettare l’eugenetica moderna minerebbe i fondamenti morali su cui abbiamo ricostruito le società post-belliche: l’eguaglianza fondamentale e la non strumentalizzazione della persona. Con toni accorati, diversi accademici e attivisti gridano di non ripetere l’errore di pensare di poter “giocare a Dio” senza conseguenze. Vandana Shiva, ambientalista e filosofa indiana, ha dichiarato in un webinar del 2021: “C’è il tentativo di far dimenticare alla gente l’eugenetica… per questo il vostro lavoro [Stop Designer Babies] è così importante. Perché se dimentichiamo, la rifaremo”. Questa frase incarna il timore che, togliendo lo stigma alla parola eugenetica perché ora la chiamiamo “scienza genetica”, finiamo per togliere freni morali vitali.
Un altro concetto chiave è la difesa di ciò che ci rende umani nella nostra variabilità e imperfezione. Il filosofo Michael Sandel, nel libro Contro la perfezione, ha sostenuto che rinunciare all’accettazione del dato naturale – accettare, cioè, i figli come dono, non come progetto – può portare a una società fredda dove tutto è performance e controllo e non c’è spazio per la gratitudine verso la vita come viene. L’eccesso di controllo biotecnologico può generare “genitori tiranni della genitorialità” e figli sotto pressione di essere all’altezza di un design. In altre parole, c’è un valore etico nel lasciare margini all’imprevedibilità della procreazione, al non-optimal.
Questa visione, quindi, lancia un monito: l’eugenetica moderna scivola su una china scivolosa (slippery slope) per cui, iniziando magari con le migliori intenzioni (curare malattie), si finisce per mercificare la vita umana, distruggendo quei tabù che invece ci proteggono dall’arbitrio. Un segnale è il linguaggio economico che già appare: riviste come “The Economist” o “MIT Tech Review” parlano di “designer baby market”, con tanto di prezzi (50k $ per screening IQ). In un mondo del genere, i valori di solidarietà, accoglienza del debole, rispetto del mistero della vita rischiano di cedere il passo a un homo economicus genetico: “investo tot per figlio potenziato sperando nel rendimento”; “scarto l’embrione ‘difettoso’ come un prodotto”. Tutto ciò, secondo i contrari, è etnicamente ripugnante e va rigettato per fedeltà alla nostra storia e ai nostri principi costituzionali.
Le affermazioni di Papa Francesco esprimono esattamente questa linea etica: “l’utilizzo della diagnosi prenatale per fini selettivi va scoraggiato con forza, perché espressione di una disumana mentalità eugenetica”. Quando dice: “l’aborto non è mai la risposta, [questa mentalità] sottrae alle famiglie la possibilità di amare i loro bambini più deboli”, trasmette il principio che ogni vita, anche fragile, ha dignità e senso. Sopprimerla per standard di qualità è disumano. Similmente, il Manifesto di Oviedo (1997) che vieta la selezione a scopo eugenetico riflette la risposta giuridica basata su diritti fondamentali. Autorevoli bioeticisti come Jürgen Habermas e Michael Sandel hanno scritto opere chiave contro l’eugenetica, sottolineando il concetto di “dono dell’indisponibilità” del patrimonio genetico per preservare la libertà e l’uguaglianza.

Nina Celli, 11 settembre 2025

 
05

Rischi e incertezze scientifiche: un salto nel buio sull’evoluzione umana

CONTRARIO

Oltre alle considerazioni sociali ed etiche, gli oppositori dell’eugenetica moderna puntano l’attenzione sui rischi scientifici e sanitari connessi alla manipolazione del genoma ereditario. Questa tesi sostiene che intraprendere modifiche genetiche trasmissibili è prematuro e potenzialmente catastrofico, perché non comprendiamo ancora a fondo la complessità del DNA e delle sue interazioni. Intervenire su embrioni con tecnologie come CRISPR comporta la possibilità di errori irreversibili e conseguenze imprevedibili su individui e linea germinale.
Innanzitutto, c’è la questione degli off-target: CRISPR-Cas9 funziona tagliando il DNA in punti specifici, ma può tagliare anche in posizioni non volute. Studi hanno mostrato che in embrioni umani CRISPR può causare grandi delezioni o riarrangiamenti cromosomici invisibili a un controllo superficiale. Ciò significa che un embrione apparentemente “corretto” potrebbe in realtà aver subito danni genomici che porterebbero magari a cancro o altre malattie anni dopo. Ad esempio, un articolo dell’Osservatorio Terapie Avanzate del 2020 riportava un esperimento in cui l’editing di embrioni per correggere una mutazione ha creato in alcuni casi la perdita di interi segmenti di cromosoma – un effetto collaterale gravissimo. Finché questi rischi non potranno essere totalmente esclusi, l’editing germinale espone i futuri nati a divenire essi stessi “pazienti geneticamente modificati” con problemi nuovi.
Un altro limite è la conoscenza incompleta dei geni: i favorevoli parlano di eliminare un gene “malato” per prevenire la malattia, ma in realtà la funzione di molti geni è poliedrica. Togliere una variante che causa una malattia può avere altri effetti. Nel già citato esperimento del 2017 sulla cardiomiopatia ipertrofica, i ricercatori notarono con sorpresa che correggendo l’allele mutato il gene sano dell’altro genitore prendeva il sopravvento in modo inaspettato. Questo mostra che non sappiamo ancora come il genoma reagisce alle modifiche. Il timore è che “curando” un tratto se ne danneggi un altro. Ad esempio, alcuni geni che predispongono a malattie hanno anche effetti benefici (il classico è il gene della anemia falciforme che in eterozigosi protegge dalla malaria). Rutherford nota che “quegli studi sensazionalistici sul ‘gene di’ quasi mai hanno ragione: i tratti complessi sono dovuti a migliaia di varianti, e le varianti non determinano nulla da sole”. Se i proponenti dicono di aver “trovato il gene X” per un difetto e di volerlo editare, i critici rispondono che la genetica reale è più intricata – “non esistono geni buoni o cattivi isolati, ma reti”. Intervenire su queste reti potrebbe produrre “effetti farfalla” inattesi nel fenotipo. Persino abbassare del 10% il rischio di una patologia potrebbe aumentare il rischio di un’altra.
Vi è poi un rischio evoluzionistico di lungo termine: alterare l’eredità umana in maniera deliberata infrange quel meccanismo di selezione naturale e casualità che, pur crudele a volte, ha bilanciato il pool genetico. Possibili modifiche potrebbero diffondersi nella popolazione con esiti incalcolabili. Ad esempio, se tutti decidessero di preferire embrioni con certe varianti (mettiamo, quelle correlate a un QI leggermente più alto), si ridurrebbe la diversità genetica su quell’aspetto, con possibili vulnerabilità emergenti (magari quelle varianti correlate al QI correlano negativamente con la fertilità o l’immunità a qualche patogeno ancora sconosciuto). Un gruppo di scienziati su “Nature” avvertiva già nel 2015 che “manipolare la linea germinale inciderà sul percorso evolutivo umano in modi difficili da prevedere”. Questo argomento pragmatico dice: non giochiamo all’apprendista stregone con l’evoluzione perché potremmo introdurre un errore che resterà per sempre. Pietro Greco sottolinea proprio che intervenire oggi su un embrione significa potenzialmente “riscrivere il DNA di tutta la sua prole a venire” e “se commetti un errore, quell’errore è per sempre per i suoi figli e i figli dei figli”. A differenza di un trattamento somatico, che riguarda solo un paziente e se va male finisce con lui, un errore germinale si propaga generazionalmente ed eliminarlo richiederebbe a sua volta generazioni di correzioni (sempre ammesso di accorgersene in tempo).
Un altro aspetto è che finora la scienza medica ha un principio cardine: primum non nocere. Finché l’editing non è robustamente sicuro, applicarlo su embrioni destinati a nascere viola quel principio perché i “pazienti embrionali” non possono dare consenso e si assumono rischi al loro posto quando esistono metodi alternativi meno rischiosi (come la semplice selezione di un embrione sano tra più concepiti). Molti ricercatori e istituzioni – inclusa la commissione dell’International Summit 2023 – hanno affermato che “gli standard di sicurezza ed efficacia necessari non sono attualmente soddisfatti” e quindi l’editing ereditabile rimane inaccettabile al momento. Qualcuno spinge oltre, come David King (biologo e attivista di Stop Designer Babies), dicendo: “non c’è alcun bisogno medico insoddisfatto per l’HGM, quindi perché questo summit ne discute?” – evidenziando che per ogni malattia esistono alternative (PGD, adozione, ovodonazione o terapie somatiche). Quindi l’editing germinale esporrebbe a rischi non necessari.
Gli oppositori fanno notare l’inganno delle aspettative: i fautori dell’eugenetica moderna spesso sovrastimano i benefici possibili. Si promettono “figli più intelligenti, più sani, perfetti”, ma come evidenzia Rutherford e la letteratura, “l’idea di poter rimodellare tratti complessi è politicamente pericolosa e fuorviante”. Ad esempio, la risonanza mediatica di cliniche che offrono screening per IQ appare quasi truffaldina, perché la scienza concorda che un polygenic score alto per intelligenza aumenta di poco la probabilità di punteggi scolastici migliori – tanto che, in media, scegliendo l’embrione col punteggio più alto tra 10 fratelli, la differenza attesa è forse di un paio di punti di QI. Ne vale la pena alterare il genoma per simili minuzie? Ciò che resta certo, invece, sono i rischi. Anche su tratti come la longevità o l’aspetto fisico, la genetica agisce in modi intricati e pleiotropici: come ammonisce Rutherford, “selezionare per centinaia di varianti di intelligenza potrebbe significare selezionare contro la fertilità o la gentilezza e nessuno lo sa”.
Alla luce di tutto ciò, i critici concludono che procedere sulla via dell’eugenetica sarebbe “un salto nel buio sulla nostra evoluzione”. La prudenza impone di attendere certezze scientifiche e di forse rinunciare del tutto a modifiche ereditabili. Molti abbracciano il principio di precauzione: se qualcosa può recare danno irreversibile e non è indispensabile, meglio evitarlo. La storia della scienza è piena di esempi di innovazioni adottate con entusiasmo prima di comprenderne i danni (dall’amianto al DDT). Qui il potenziale danno investe il patrimonio genetico dell’umanità.
La Commissione del 3° Summit 2023 ha affermato che “heritable human genome editing rimane inaccettabile in questo momento” e che i dibattiti pubblici e le policy dovrebbero decidere se e quando usarlo, ma intanto “gli standard di sicurezza ed efficacia non sono soddisfatti”. Pietro Greco ha rimarcato che “non sappiamo né se né quando potrà essere usato clinicamente; occorre assicurarsi che tutto vada davvero bene e ridurre quel 27,6% di insuccessi” prima di pensare a far nascere bambini editati. Le riviste “STAT” e “NEJM” hanno pubblicato articoli nel 2021 segnalando che i benefici dello screening embrionale poligenico sono molto piccoli e ancor minori per persone di ascendenze genetiche non europee (introducendo anche bias razziali). Infine, Rutherford nella sua intervista ha detto che “l’idea che possiamo rimodellare i tratti ereditari è tuttora fantasiosa e pericolosa”, invitando a concentrare risorse su soluzioni più sicure e giuste.

Nina Celli, 11 settembre 2025

 
06

L’eugenetica è una risposta sproporzionata e dannosa

CONTRARIO

Un’ulteriore linea argomentativa dei contrari sostiene che l’eugenetica moderna sia in realtà inutile e fuorviante, perché i suoi presunti benefici possono essere ottenuti con mezzi meno controversi e cercare di perseguirla distoglie risorse ed energie da soluzioni più concrete e inclusive. Questa tesi afferma che non abbiamo davvero bisogno di manipolare la genetica umana per migliorare la salute o il benessere; esistono già strumenti e politiche efficaci senza gli enormi rischi etici e sociali che l’eugenetica comporta.
Per evitare la nascita di bambini con malattie ereditarie gravi non serve l’editing embrionale. La diagnosi genetica preimpianto (PGD), utilizzata da decenni, consente di selezionare un embrione sano (privo della mutazione) da impiantare con la fecondazione in vitro, quando i genitori sono portatori di una malattia monogenica. Questa tecnica, pur con limiti e costi, ha già prevenuto la nascita di migliaia di bimbi affetti da patologie letali o invalidanti, senza alterare geneticamente nulla. Dunque, l’HGE (Human Germline Editing) è in gran parte superfluo per scopi medici: se una coppia ha embrioni tutti portatori di malattia (caso rarissimo), può ricorrere a donazione di gameti; oppure si può espandere la ricerca sulle terapie geniche somatiche per curare la malattia dopo la nascita. In altre parole, “dov’è la necessità stringente?”. David King, come citato prima, afferma che “non c’è un bisogno medico insoddisfatto che richieda l’editing ereditario”, poiché PGD, adozione, donazione e terapie somatiche coprono già il campo. Anche la rivista “Nature” nel 2019 pubblicò una lettera di scienziati cinesi ricordando che “l’editing embrionale non offre benefici rispetto al PGD per evitare malattie genetiche, e comporta rischi aggiuntivi”.
Per migliorare la salute pubblica e le capacità umane ci sono vie socio-ambientali assai più efficaci e giuste. Ad esempio, se l’obiettivo è avere meno persone con predisposizione al diabete, invece di cercare di eliminarle geneticamente, si può investire in nutrizione, attività fisica diffusa, educazione sanitaria. Se l’obiettivo è “avere più geni dell’intelligenza”, molto più immediato e sicuro è migliorare le scuole, l’accesso alla cultura, la lotta alla povertà educativa. I critici osservano che l’ossessione genetica rischia di farci medicalizzare problemi sociali e di offrirci false scorciatoie tecnocratiche. Emily Merchant, nel suo saggio, sottolinea che l’eugenetica storicamente ha sempre offerto soluzioni sbagliate a problemi complessi (ad esempio, attribuiva la povertà a bassi geni e quindi sterilizzava i poveri, anziché combattere l’ingiustizia sociale). Oggi succederebbe lo stesso: invece di garantire inclusione e supporto a disabili o malati, si investirebbe per farli scomparire, ignorando le radici ambientali di molte questioni. Un documento del Center for Genetics and Society afferma che promuovere l’editing ereditario “rafforza le convinzioni eugenetiche secondo cui i nostri problemi siano biologici, distogliendo dall’affrontare le cause sociali”.
Per i critici, ogni euro speso nel rincorrere il “bambino perfetto” potrebbe essere meglio speso nel migliorare le cure per i bambini imperfetti che già nascono. Ad esempio, la sindrome di Down non si “cura” col gene editing, ma con terapie abilitative e inclusione scolastica: la spinta eugenetica a eliminare i Down ha fatto sì che scarsi fondi siano destinati alla ricerca di cure per migliorare la vita di chi c’è. Si sostiene che sarebbe meglio investire per sconfiggere l’Alzheimer o il cancro negli adulti, anziché per evitare ogni nascituro predisposto. Data la limitatezza di risorse, l’eugenetica è un impiego inefficiente e moralmente dubbio di risorse scientifiche. L’OMS stessa, pur emanando linee guida sull’editing, afferma che “il pieno impatto [positivo] si realizzerà solo se lo impieghiamo a beneficio di tutti, invece di alimentare inequità di salute”. Quindi reputa prioritario l’uso equitable e orientato a bisogni reali di salute, non a fantasie di miglioramento.
I contro evidenziano che la natura spesso presenta compensazioni ed eccezioni. Molte persone con quella che la genetica definirebbe predisposizione a X, non svilupperanno mai X e avranno vite lunghe e felici, grazie a fattori ambientali o casuali. Altre senza predisposizioni incorreranno in sfortune. La vita è più del genoma, insomma, e investire troppo su quest’ultimo rischia di distrarci da interventi più olistici (ad esempio, la prevenzione ambientale delle malattie). Un editoriale su “Chemistry World” fa notare come slogan tipo “fermiamo le malattie genetiche” ignorino che la maggior parte dei problemi sanitari globali – malnutrizione, infezioni, malattie croniche legate a stili di vita – non si risolveranno con CRISPR ma con politiche economiche e di istruzione.
C’è, inoltre, l’argomento dell’accettazione della condizione umana: i critici affermano che cercare di eliminare ogni rischio e imperfezione genetica è non solo illusorio, ma potenzialmente dannoso per la resilienza e la diversità della specie. Molte invenzioni, arti e progressi sono nati da persone con caratteristiche “difformi” (si pensi ad alcuni autori autistici, a geni creativi con disturbi bipolari ecc.). Uniformare e normalizzare geneticamente potrebbe privarci di contributi unici. Come scrive la storica Alison Bashford, “l’eugenetica riduce la variabilità e con ciò la capacità di adattamento e sorpresa della nostra specie”. Dunque, invece di ricorrere all’eugenetica, dovremmo forse lavorare su come convivere con le differenze e le fragilità – attraverso supporto medico, tecnologico ed empatico – senza eliminarle alla radice. Questo approccio sociale vede l’eugenetica come soluzione sbagliata a problemi affrontabili in modo più umano e saggio. Dunque, perché rischiare di aprire il vaso di Pandora eugenetico quando possiamo ottenere ugualmente una società più sana e giusta con strumenti etici convenzionali? L’eugenetica appare come un rimedio sproporzionato, che crea problemi peggiori di quelli che risolve. L’evidenza storica aggiunge peso: dove si è cercato di applicare eugenetica (dalle sterilizzazioni di massa ai tentativi di clonazione), i risultati sono stati orrendi o nulli. D’altro canto, politiche di sanità pubblica semplici (vaccinazioni, igiene, alimentazione) hanno allungato enormemente la vita media senza toccare i geni. Perché allora incaponirsi su quest’ultima frontiera?
Il biologo Hank Greely di Stanford, citato dal “The Guardian”, mette in dubbio l’utilità dello screening poligenico chiedendo: “Se un test riduce il rischio di diabete dal 30% al 27%, vale la pena di investire tempo, soldi ed emozioni? E per chi?”, suggerendo che i benefici sono minuscoli rispetto allo sforzo. Stop Designer Babies insiste: “non c’è alcun bisogno medico insoddisfatto per l’HGM”, elencando alternative come PGD, adozione, terapie somatiche. E Alta Charo, sul “The Guardian”, afferma di non prevedere un uso diffuso dell’editing germinale neppure per prevenire malattie, perché “esistono quasi sempre alternative come screening IVF, adozione o gameti donati”. Anche i già menzionati Habermas e Sandel sottolineano che accettare i limiti e dare supporto sociale è preferibile a tentar di eliminarli biologicamente. In definitiva, l’eugenetica è una overkill solution, un rimedio eccessivo e moralmente costoso a problemi risolvibili altrimenti.

Nina Celli, 11 settembre 2025

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