Nr. 375
Pubblicato il 29/07/2025

L’accordo USA-UE sui dazi penalizza l’industria europea

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

A Turnberry, in Scozia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si sono stretti la mano davanti ai flash dei fotografi. La cornice è quella del golf club di proprietà del tycoon, il momento quello che segna la fine – o almeno la sospensione – di mesi di tensioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Un’intesa che, secondo molti osservatori, rappresenta un “male necessario”, mentre per altri è la fotografia di una resa: dazi fissi al 15% sulle esportazioni europee verso gli USA, in cambio di promesse non vincolanti e impegni economici colossali a favore dell’industria americana.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’accordo sui dazi evita una guerra commerciale devastante per l’Europa

L’accordo tra Stati Uniti e UE è il male minore. L’alternativa era una guerra commerciale totale che avrebbe potuto spazzare via interi settori dell’economia europea.

02 - L’accordo USA-UE sui dazi è un’intesa squilibrata che penalizza l’industria europea

Sul piano strategico, l’Europa esce indebolita dall'accordo con gli USA. Trump ha ottenuto concessioni massicce senza rinunciare a nulla, nemmeno sui servizi digitali e finanziari.

03 - L’accordo sui dazi rilancia il commercio transatlantico e apre nuove opportunità industriali

L'accordo sui dazi è la premessa per una nuova stagione di cooperazione industriale, tecnologica ed energetica, che può portare benefici a lungo termine per le economie europee.

04 - Le nuove clausole dell’accordo compromettono la competitività industriale dell’Europa

Le nuove clausole compromettono la competitività industriale europea. Vincolano la sua capacità di manovra strategica, lasciando interi settori esposti a concorrenza sleale e distorsioni di mercato.

05 - Il compromesso USA-UE protegge occupazione e stabilità sociale in Europa

L'accordo USA-UE sui dazi non è certo una vittoria sul fronte dei dazi, ma aiuta la preservazione del tessuto occupazionale europeo.

06 - Il patto tra USA e UE favorisce delocalizzazioni e indebolisce il mercato interno europeo

Le clausole del compromesso USA-UE sui dazi aprono la strada a una nuova stagione di delocalizzazioni in Europa. Rischia di trasformarsi in un suicidio economico.

 
01

L’accordo sui dazi evita una guerra commerciale devastante per l’Europa

FAVOREVOLE

In un contesto geopolitico sempre più incerto, l’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Unione Europea rappresenta, per molti osservatori, il male minore. L’alternativa era una guerra commerciale totale che avrebbe potuto spazzare via interi settori dell’economia europea. Le minacce dell’amministrazione Trump erano chiare: dazi al 30%, ritorsioni su prodotti strategici, congelamento delle relazioni economiche. In questo quadro, il compromesso raggiunto a Turnberry, quindi, anche se doloroso, ha permesso di evitare scenari peggiori.
Ursula von der Leyen lo ha definito un “accordo quadro”, un punto d’inizio e non di fine del negoziato. Ha sottolineato come l’aliquota del 15% sia inferiore a quanto temuto, e soprattutto applicata in modo uniforme, senza colpire settori specifici, come in passato. Questo garantisce alle imprese europee una maggiore prevedibilità, possono così programmare strategie produttive e logistiche con un minimo di stabilità. In particolare, per settori come l’automotive, che nel 2024 ha esportato verso gli USA veicoli per 39 miliardi di euro, l’abbattimento dal 27,5% al 15% rappresenta un miglioramento, seppur parziale.
L’industria europea – e quella tedesca in particolare – avrebbe potuto subire un colpo fatale. Secondo la federazione industriale tedesca (BDI), dazi superiori al 25% avrebbero comportato una perdita strutturale di competitività per decine di migliaia di imprese. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha riconosciuto che si è trattato di un compromesso, ma ne ha sottolineato il valore strategico: “Evitiamo l’escalation. Otteniamo chiarezza e possiamo costruire su questa base un rapporto transatlantico più stabile”.
Anche l’Italia, seppur colpita, ha tirato un sospiro di sollievo. Il settore della componentistica, con un export diretto verso gli USA di 1,2 miliardi di euro, avrebbe risentito di un’escalation tariffaria. Il compromesso evita danni strutturali e apre alla possibilità di rinegoziare condizioni più favorevoli nel tempo. Inoltre, secondo Confcommercio, evitare la guerra commerciale protegge anche il turismo italiano: il deprezzamento del dollaro, unito a un conflitto commerciale, avrebbe inciso negativamente sui flussi di visitatori statunitensi (52 miliardi nel 2023).
Da un punto di vista geopolitico, l’accordo rafforza l’asse transatlantico in un momento in cui l’Europa ha bisogno di stabilità. Le tensioni con la Russia e l’incertezza asiatica rendono indispensabile un coordinamento con Washington. Come ha detto Apolline Menut, analista di Carmignac: “Non è un successo commerciale, ma è un contenimento del danno. Una scelta strategica razionale, che tiene in piedi l’alleanza euro-atlantica”.

Nina Celli, 29 luglio 2025

 
02

L’accordo USA-UE sui dazi è un’intesa squilibrata che penalizza l’industria europea

CONTRARIO

Dietro l’apparente stabilità garantita dall’accordo USA-UE sui dazi si cela un’intesa che molti definiscono apertamente una “capitolazione”. Non usa mezzi termini la CGIL, parlando di “resa incondizionata”, mentre il primo ministro francese François Bayrou ha definito la giornata della firma “un giorno triste per l’Europa”. Il cuore della critica risiede nel netto squilibrio tra le concessioni europee e quelle statunitensi.
L’UE ha accettato dazi generalizzati del 15% sulle sue esportazioni, mentre gli Stati Uniti manterranno il loro mercato largamente esente. Sulle esportazioni statunitensi verso l’Europa, Bruxelles ha promesso tariffe azzerate su interi comparti (tra cui energia, auto, macchinari), senza ottenere simmetria. Questo si traduce in una distorsione della concorrenza che colpisce in pieno l’industria europea, già alle prese con la svalutazione del dollaro e l’aumento dei costi energetici. Secondo Confindustria, l’impatto sulle imprese italiane potrebbe toccare i 22,6 miliardi di euro solo nel 2025. Coldiretti ha lanciato l’allarme per il comparto agroalimentare, in particolare vino e salumi, penalizzati da un dazio al 15% che mette fuori mercato eccellenze come il prosciutto crudo. Federacciai denuncia costi extra insostenibili per l’acciaio e l’alluminio, sui quali restano in vigore tariffe del 50%.
L’accordo prevede inoltre impegni unilaterali europei per l’acquisto di 750 miliardi di dollari di energia statunitense e 600 miliardi di investimenti in territorio USA. Non si tratta solo di importazioni: sono vincoli che dirottano capitali europei verso l’esterno, sottraendo risorse a investimenti domestici. Il premier francese Macron ha parlato apertamente di “imposizioni geopolitiche” che minano la sovranità energetica dell’UE.
L’intesa non è ancora giuridicamente vincolante, è una “dichiarazione quadro” priva di garanzie concrete. Le clausole più delicate – esenzioni settoriali, standard regolatori, reciproche aperture – sono ancora da negoziare. Nel frattempo, il danno è certo: le tariffe entrano in vigore dal 1° agosto.
Sul piano strategico, l’Europa esce indebolita. Trump ha ottenuto concessioni massicce senza rinunciare a nulla, nemmeno sui servizi digitali e finanziari. In cambio, l’UE ha bloccato ogni possibile misura contro le big tech americane e ha rinunciato alla digital tax. Per molti osservatori, più che un accordo, è un atto di sottomissione. La stessa presidente della Commissione ha ammesso: “È il massimo che siamo riusciti a ottenere”.

Nina Celli, 29 luglio 2025

 
03

L’accordo sui dazi rilancia il commercio transatlantico e apre nuove opportunità industriali

FAVOREVOLE

Al di là dei dazi, l’accordo USA-UE rappresenta un momento di rilancio del commercio transatlantico. È la premessa per una nuova stagione di cooperazione industriale, tecnologica ed energetica, che può portare benefici a lungo termine per le economie europee. Non si tratta solo di tariffe, ma di un’intesa multilivello che mira a ridefinire il rapporto economico tra le due sponde dell’Atlantico.
L’industria aerospaziale europea è tra i vincitori. L’accordo stabilisce l’azzeramento dei dazi su aerei civili e componentistica, chiudendo decenni di tensioni tra Airbus e Boeing. Si tratta di un precedente strategico, come osserva “SkyTG24”, che ha già prodotto effetti tangibili: le borse europee hanno premiato l’intesa con forti rialzi nei titoli del comparto. Settori ad alta intensità tecnologica come l’intelligenza artificiale, la robotica e la meccanica di precisione possono trarre vantaggio da un nuovo clima di cooperazione. Ursula von der Leyen ha esplicitamente parlato di “gigafactory europee per l’IA alimentate da chip statunitensi”, segnalando una strategia di convergenza industriale che rafforza la competitività europea nei settori del futuro.
Anche sul piano energetico, l’accordo offre un’opportunità: diversificare le fonti di approvvigionamento, riducendo la dipendenza da regimi instabili. L’acquisto di 750 miliardi di dollari in gas e combustibili statunitensi – se gestito con flessibilità e senza vincoli rigidi – consente all’UE di rafforzare la propria sicurezza energetica. L’Irlanda, la Svezia e i Paesi baltici vedono in questo un’occasione per rafforzare la loro autonomia e la resilienza economica.
Dal punto di vista regolatorio, l’accordo lancia un segnale importante: UE e USA vogliono avvicinare i propri standard su settori critici come l’automotive, la sanità e il digitale. Non c’è ancora un riconoscimento reciproco, ma l’obiettivo è “facilitare l’accesso ai mercati attraverso una progressiva convergenza tecnica”. In prospettiva, questo potrebbe ridurre enormemente i costi per le imprese europee, che oggi devono sostenere doppie certificazioni per esportare negli USA.
L’accordo, dunque, può essere letto non solo come una tregua tariffaria, ma come l’inizio di un patto industriale strategico. Confrontata con le sfide della Cina, della transizione verde e dell’intelligenza artificiale, l’Europa non può permettersi l’isolamento. Come ha affermato Confcommercio, “bisogna cogliere l’occasione per rafforzare il mercato interno e sviluppare sinergie con partner strategici”. E in questo quadro, gli Stati Uniti restano imprescindibili.

Nina Celli, 29 luglio 2025

 
04

Le nuove clausole dell’accordo compromettono la competitività industriale dell’Europa

CONTRARIO

La narrazione ottimistica sull’accordo USA-UE ignora un dato fondamentale: le nuove clausole, dietro la facciata della cooperazione, compromettono la competitività industriale europea. L’Unione ha accettato una serie di impegni che vincolano la sua capacità di manovra strategica, lasciando interi settori esposti a concorrenza sleale e distorsioni di mercato. Primo fra tutti il settore energetico. L’obbligo di acquistare 750 miliardi di dollari di energia americana in tre anni è presentato come diversificazione, ma nei fatti rappresenta una dipendenza pianificata. Come denuncia Federpetroli, si tratta di “acquisti imposti, non di scelte di mercato”. Il gas naturale liquefatto statunitense è spesso più caro di altre fonti e i rigassificatori europei non sono ancora in grado di reggere volumi così elevati. Inoltre, l’UE rischia di aggravare i costi in bolletta per famiglie e imprese.
Ancora più preoccupanti sono le implicazioni sull’industria automobilistica. Le aziende europee pagheranno dazi al 15%, ma dovranno competere con auto statunitensi che entreranno nel mercato europeo al 2,5%. È una distorsione senza precedenti. La “Gazzetta dello Sport” rivela che l’export italiano di vetture e componentistica vale oltre 4 miliardi di euro, ma è minacciato da un dumping regolamentare e tariffario.
Volkswagen e Volvo hanno già ridotto i margini di profitto, mentre Stellantis ha sospeso alcuni modelli. L’Acea parla di “miliardi di costi aggiuntivi” per l’industria europea e la federazione tedesca VDA avverte che “L’accordo costerà caro non solo all’Europa, ma anche agli Stati Uniti, che subiranno una perdita di innovazione e know-how”.
Anche sul fronte agroalimentare la situazione è critica. Coldiretti denuncia la mancanza di esenzioni per vino e salumi, che rischiano di subire un aumento dei dazi dal 2,5% al 15%. Il Made in Italy, già colpito dalla svalutazione del dollaro, rischia di perdere quote in un mercato cruciale. Come osserva il presidente di Legacoop agroalimentare, Cristian Maretti, “il danno sarà sia economico che culturale”.
Infine, gli investimenti europei in USA (600 miliardi in tre anni) rappresentano una fuga di capitali che l’UE non può permettersi. Invece di finanziare la propria transizione energetica e digitale, l’Europa finanzia infrastrutture e occupazione americana. Il risultato sarà un drenaggio strutturale di risorse che indebolirà la sovranità industriale del continente.
Dietro l’apparente apertura, dunque, l’accordo impone all’Europa una posizione subalterna. Non solo nei numeri, ma nella filosofia: si accetta che il baricentro economico si sposti fuori dal continente. Come si legge sul “Corriere della Sera”, “Trump vince in trasferta. Tocca a Bruxelles spiegare la sconfitta”.

Nina Celli, 29 luglio 2025

 
05

Il compromesso USA-UE protegge occupazione e stabilità sociale in Europa

FAVOREVOLE

Quando si negozia sotto minaccia, ottenere un compromesso può significare salvare milioni di posti di lavoro. È questo il vero valore dell’accordo USA-UE sui dazi: non la vittoria sul fronte dei dazi, ma la preservazione del tessuto occupazionale europeo. Le associazioni di categoria lo sanno bene, anche se preferiscono criticare per ottenere esenzioni future. Dietro le quinte, tuttavia, si tende a preservare la “stabilità”. Nel solo settore automotive, secondo i dati dell’Acea, sono impiegate oltre 14 milioni di persone in Europa, direttamente o nell’indotto. I dazi minacciati da Trump – fino al 30% o più – avrebbero colpito il cuore di queste filiere, innescando ondate di licenziamenti, delocalizzazioni forzate e crollo degli investimenti. Ridurre i dazi al 15% non è una vittoria assoluta, ma un argine utile.
I numeri confermano che il pericolo è stato reale: Stellantis, con stabilimenti in tutta Europa, aveva stimato un impatto da 300 milioni di euro in caso di escalation. Volkswagen ha già tagliato i margini previsti per il 2025, ma senza riduzioni occupazionali, segno che l’accordo ha permesso una continuità produttiva fondamentale. In assenza di intesa, molti modelli prodotti in Italia, Germania e Spagna sarebbero stati spostati negli USA per evitare le tariffe punitive.
Il presidente di Ucimu (macchine utensili), Riccardo Rosa, ha parlato apertamente di un “risultato accettabile”: 600 milioni di euro di vendite verso gli USA nel solo 2024 sarebbero stati a rischio. Gli USA sono il primo mercato extra-UE per moltissime imprese italiane, non solo auto, ma packaging, tecnologia, arredo, meccanica fine. Il compromesso tariffario consente a queste aziende di mantenere la presenza e salvaguardare l’occupazione.
Anche nel settore agricolo, i dazi al 15% su molti prodotti alimentari sono pesanti, ma sono accompagnati da un’accelerazione nei negoziati per l’esenzione su vino e distillati. Il governo italiano ha già attivato una task force, guidata dal ministro Tajani, per difendere i comparti più fragili. La logica, in questo caso, è quella del “male minore”. Senza l’accordo, i pacchetti di contromisure UE (92 miliardi di euro) sarebbero scattati il 7 agosto, provocando una reazione a catena.
Dal punto di vista sociale, evitare una crisi commerciale è un atto di responsabilità. Come ha detto il commissario europeo per il Commercio Maroš Šefčovič, “una guerra commerciale avrebbe messo a rischio 5 milioni di posti di lavoro in Europa, soprattutto nelle PMI”. In un momento in cui la fiducia dei cittadini è fragile, difendere l’occupazione è una priorità politica.
Il compromesso raggiunto, quindi, per quanto doloroso, consente ai governi europei di pianificare, alle imprese di resistere, ai lavoratori di mantenere il reddito. È questo che rende l’accordo non solo tollerabile, ma strategicamente necessario.

Nina Celli, 29 luglio 2025

 
06

Il patto tra USA e UE favorisce delocalizzazioni e indebolisce il mercato interno europeo

CONTRARIO

Il compromesso USA-UE sui dazi è stato presentato come uno scudo per l’occupazione. In realtà, le sue clausole aprono la strada a una nuova stagione di delocalizzazioni. L’industria europea, schiacciata tra tariffe penalizzanti, svalutazione del dollaro e acquisti energetici obbligati, rischia di perdere competitività interna. Il risultato sarà che aziende sposteranno la produzione e gli investimenti fuori dall’Europa. E i posti di lavoro non verranno salvati, ma solo trasferiti. Lo denunciano apertamente i sindacati. La CGIL parla di un “regalo agli USA e un tradimento del lavoro europeo”. L’accordo non solo impone dazi del 15% sulle esportazioni, ma obbliga l’UE a investire 600 miliardi di dollari negli USA. Questo significa, concretamente, costruire fabbriche oltreoceano. Dunque, meno occupazione in Europa, più crescita industriale per l’America.
Secondo il “Corriere della Sera”, l’industria tedesca è già in fase di ristrutturazione: aziende come Siemens, Bosch e persino BMW stanno valutando di ampliare la produzione negli Stati Uniti per aggirare i dazi e sfruttare incentivi locali. Volkswagen ha già spostato parte della produzione del nuovo modello elettrico nello stabilimento di Chattanooga, in Tennessee. Anche Stellantis – meno colpita sul piano doganale – ha annunciato nuovi investimenti negli stabilimenti USA, a scapito delle fabbriche europee.
Nel settore agroalimentare, la situazione è analoga. I dazi del 15% colpiscono vino, salumi, olio, riso. L’Italia ha un surplus commerciale di 3 miliardi con gli USA in questo comparto, ma ora è a rischio. Coldiretti lancia l’allarme: molte imprese, per sopravvivere, potrebbero spostare imbottigliamento e confezionamento sul suolo americano, perdendo lavoro in Italia. Il presidente Prandini chiede “compensazioni immediate”, ma la Commissione tace.
Peggio ancora per l’energia: l’impegno ad acquistare 750 miliardi di dollari di combustibili americani sottrae risorse all’industria verde europea. I fondi destinati alla transizione vengono dirottati verso contratti a lungo termine con Exxon e Chevron. Le aziende italiane del settore rinnovabile, da Enel Green Power a Falck Renewables, denunciano un clima ostile: “Paghiamo per sostenere la concorrenza estera”, dichiara Michele Marsiglia di Federpetroli.
Anche sul piano normativo, il rischio è la colonizzazione regolatoria. La Commissione europea ha rinunciato ad applicare la digital tax, ha garantito esenzioni alle big tech USA e ora discute standard comuni per auto e semiconduttori. Il rischio è che si adotti il modello americano, meno rigoroso su ambiente, sicurezza e diritti del lavoro.
Il mercato interno europeo, invece di essere rilanciato, viene ignorato. Come denuncia Confetra, le barriere interne continuano a costare “il 44% sui beni e il 110% sui servizi”. L’UE avrebbe potuto usare l’occasione per rafforzarsi dall’interno. Invece, ha esternalizzato la propria crescita. E con essa, la propria occupazione. L’accordo, dunque, non protegge il lavoro: lo sposta. Non difende l’industria: la esporta. È un patto di compromesso che rischia di trasformarsi, nel medio periodo, in un suicidio economico. Dietro la retorica della stabilità, c’è un’Europa che arretra.

Nina Celli, 29 luglio 2025

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