Nr. 363
Pubblicato il 29/06/2025

L’ascesa dei BRICS è una minaccia all’equilibrio globale

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Nel 2001, un economista della Goldman Sachs, Jim O’Neill, coniò l’acronimo BRIC per designare un gruppo di quattro economie emergenti — Brasile, Russia, India e Cina — che, secondo le sue proiezioni, sarebbero diventate protagoniste del XXI secolo. Nessuno, all’epoca, avrebbe immaginato che quella suggestione teorica sarebbe diventata, nel giro di pochi anni, un progetto geopolitico concreto. L’aggiunta del Sudafrica nel 2010 ha trasformato il gruppo in BRICS. Un forum informale di cooperazione Sud-Sud che, pur privo di statuto vincolante, ha acquisito un peso crescente sulla scena internazionale.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - La de-dollarizzazione dei BRICS mina la stabilità finanziaria globale

Si teme che i BRICS creino una nuova valuta, ma manca un’unione bancaria, una convergenza macroeconomica e una visione politica condivisa, lontane dall’essere realizzate.

02 - I BRICS non costituiscono una minaccia, ma un riequilibrio necessario del sistema multipolare

Non solo i BRICS ma anche analisti denunciano la scarsa rappresentanza del Sud globale, privilegi coloniali nelle istituzioni economiche e l’inefficacia degli attori dominanti.

03 - L’espansione geopolitica dei BRICS amplifica la frammentazione dell’ordine internazionale

L’espansione del blocco BRICS da cinque a undici membri è uno dei segnali più tangibili di un tentativo di costruire un ordine alternativo a quello occidentale.

04 - L’eterogeneità interna ai BRICS ne limita l’efficacia come blocco destabilizzante

I BRICS non sono un attore unitario, né dal punto di vista ideologico, né da quello strategico. La loro frammentazione costituisce un limite alla loro capacità di agire come blocco destabilizzante.

05 - La convergenza autoritaria nei BRICS legittima regimi repressivi e indebolisce la democrazia globale

Con l’inclusione di paesi come Iran, Russia, Cina, Etiopia, Egitto, il blocco si è trasformato in un consorzio di Stati che sfidano il liberalismo democratico.

06 - La crescita dei BRICS favorisce la cooperazione Sud-Sud e migliora la resilienza globale

L'affermazione dei BRICS è un’opportunità per una maggiore resilienza e cooperazione internazionale, soprattutto tra i paesi del Sud globale, di fronte a un sistema dominato da potenze occidentali.

 
01

La de-dollarizzazione dei BRICS mina la stabilità finanziaria globale

FAVOREVOLE

Negli ultimi anni, i BRICS hanno promosso con crescente determinazione un’agenda di de-dollarizzazione, con l’obiettivo dichiarato di ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense nelle transazioni internazionali. Questo progetto include non solo l’incremento dell’uso delle valute nazionali negli scambi, ma anche l’ambizione – ancora embrionale – di una valuta comune BRICS. Secondo un’analisi pubblicata dal “Council on Foreign Relations”, la creazione di una nuova valuta richiederebbe un’unione bancaria, una convergenza macroeconomica e una visione politica condivisa, condizioni oggi lontane dall’essere realizzate. Eppure, l’effetto simbolico e strategico di questo tentativo ha già prodotto conseguenze geopolitiche. Paesi come Iran, Russia e Cina hanno aumentato gli scambi in yuan o rubli, aggirando i circuiti dominati dal dollaro e cercando rifugio da sanzioni occidentali. Come nota David Krakauer su “Mercer Advisors”, “sebbene la nuova valuta non sia una minaccia immediata per il dollaro, rappresenta una sfida ideologica e sistemica all’attuale ordine monetario”.
Il problema non è tanto il successo immediato di questa alternativa, quanto il suo effetto destabilizzante sull’attuale architettura finanziaria. Il dollaro rappresenta oltre l’80% delle transazioni globali ed è la valuta di riserva principale nel sistema internazionale. Un suo indebolimento – anche solo percepito – può causare turbolenze nei mercati, aumento dei costi di indebitamento per gli Stati Uniti e instabilità nei paesi in via di sviluppo con debito denominato in dollari.
Inoltre, come sottolineato nel documento di Chris Crowe su “IbaNet”, la creazione di sistemi alternativi di pagamento, come BRICS Pay, rafforza questa strategia di erosione dell’egemonia occidentale. Tali strumenti, sebbene ancora rudimentali, stanno trovando spazio proprio tra i paesi esclusi dal sistema SWIFT o soggetti a sanzioni internazionali. Il rischio non è solo economico ma anche strategico. Se sempre più nazioni decidono di aggirare le regole dell’attuale ordine finanziario globale, si apre uno scenario di anarchia monetaria, in cui nessuna valuta ha la forza di garantire stabilità sistemica. Un equilibrio globale privo di un ancoraggio monetario condiviso rischia di diventare terreno fertile per instabilità, speculazione e conflitti commerciali.
La tesi secondo cui la de-dollarizzazione promossa dai BRICS costituisca una minaccia all’equilibrio globale trova dunque conferma tanto nei fatti in atto, quanto nei dati strutturali e negli avvertimenti degli analisti. Lungi dall’essere un processo puramente tecnico, si tratta di una sfida diretta all’ordine costruito nel secondo dopoguerra, con implicazioni profonde sulla sicurezza economica internazionale.

Nina Celli, 29 giugno 2025

 
02

I BRICS non costituiscono una minaccia, ma un riequilibrio necessario del sistema multipolare

CONTRARIO

L’affermazione che l’ascesa dei BRICS rappresenti una minaccia all’equilibrio globale presuppone che l’attuale assetto internazionale sia equilibrato e funzionale. Tuttavia, molte delle critiche mosse dagli stessi BRICS trovano eco anche tra analisti occidentali, che da tempo denunciano la scarsa rappresentanza del Sud globale, la persistenza di privilegi coloniali nelle istituzioni economiche multilaterali e l’inefficacia degli attori dominanti nell’affrontare sfide transnazionali.
Il Council on Foreign Relations, nella sua analisi più recente sul gruppo, evidenzia come l’origine dei BRICS risieda nel desiderio condiviso di “riequilibrare la governance globale, dominata da pochi paesi occidentali”. Non si tratta, quindi, di minare l’ordine esistente, bensì di ampliarlo, correggendo squilibri strutturali. Un esempio: il G7, con poco più del 10% della popolazione mondiale, ha storicamente influenzato oltre il 50% delle decisioni globali in materia economica.
La richiesta di una maggiore rappresentanza non è un’esclusiva BRICS. Anche voci istituzionali, come il Segretario Generale dell’ONU António Guterres, hanno criticato la struttura del Consiglio di Sicurezza o della Banca Mondiale come “residui di un mondo postbellico ormai superato”. I BRICS propongono, in risposta, strumenti complementari – come la New Development Bank – non per sostituire l’FMI, ma per dare credito e flessibilità a paesi emergenti, spesso penalizzati dalle condizioni imposte dalle istituzioni di Bretton Woods.
Anche l’accusa di de-dollarizzazione è parzialmente infondata. Come riconosce David Krakauer, “una valuta BRICS è ancora un’ipotesi teorica, e il dollaro resta saldamente al centro del commercio e delle riserve globali”. Le iniziative in corso mirano a diversificare, non a destabilizzare. La possibilità per paesi soggetti a sanzioni di effettuare scambi in valute locali rappresenta più una valvola diplomatica che una minaccia sistemica.
Dal punto di vista politico, i BRICS hanno spesso svolto funzioni di mediazione in contesti di crisi. Durante il conflitto Russia-Ucraina, ad esempio, India e Brasile hanno mantenuto posizioni equilibrate, promuovendo il dialogo e non appoggiando incondizionatamente Mosca. L’assenza di un’identità ideologica coesa nel blocco è spesso citata come debolezza, ma potrebbe essere letta anche come potenziale virtù: un forum eterogeneo che obbliga al compromesso piuttosto che all’allineamento ideologico.
La crescente adesione al gruppo – con più di trenta domande formali presentate nel 2024 – mostra come molti paesi percepiscano i BRICS non come minaccia, ma come opportunità. Indonesia, Malesia e Nigeria, ad esempio, vi vedono una piattaforma per proteggere i propri interessi senza dover scegliere tra le due superpotenze globali. I BRICS, quindi, non sono un blocco monolitico antioccidentale. Sono un tentativo di creare uno spazio multilaterale più inclusivo, capace di correggere storture storiche senza per forza sostituirle. L’equilibrio globale non è messo in pericolo dalla loro ascesa; piuttosto, è reso più rappresentativo e sostenibile.

Nina Celli, 29 giugno 2025

 
03

L’espansione geopolitica dei BRICS amplifica la frammentazione dell’ordine internazionale

FAVOREVOLE

L’espansione del blocco BRICS da cinque a undici membri – avvenuta nel biennio 2023–2024 – è uno dei segnali più tangibili di un tentativo deliberato di costruire un ordine alternativo a quello occidentale. Con l’ingresso di paesi come Iran, Etiopia, Egitto, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, il gruppo ha assunto una forma nuova, più eterogenea, ma anche più ambiziosa e carica di tensioni geopolitiche potenzialmente destabilizzanti.
Secondo l’approfondita analisi di Mariel Ferragamo per il “Council on Foreign Relations”, l’obiettivo strategico dei BRICS ampliati è chiaro: “costruire una voce unica del Sud globale che si opponga all’egemonia occidentale nelle istituzioni internazionali”. Tuttavia, questa missione cozza con contraddizioni strutturali. Il blocco accoglie democrazie e autocrazie, economie di mercato e rentier states, rivali storici come Arabia Saudita e Iran, e paesi con relazioni opposte con l’Occidente.
Le conseguenze di questa eterogeneità forzata non sono solo interne. Come segnalato da “Reuters”, la crescente influenza del blocco in America Latina – attraverso alleanze con CELAC e investimenti cinesi – ha scatenato una competizione regionale tra modelli: da un lato l’integrazione BRICS-cinese, dall’altro l’approccio tradizionale USA.
In Asia, la competizione è ancora più evidente. Il Brookings Institute mostra come Malaysia, Indonesia e persino Singapore stiano valutando BRICS come piattaforma di diversificazione strategica, soprattutto in risposta alle tensioni con Washington. Questo fenomeno, lungi dall’essere un gesto simbolico, frammenta il sistema multilaterale e rende sempre più difficile una risposta coordinata su questioni globali come il clima, la sicurezza alimentare o le pandemie.
Ma la frammentazione si estende anche alla diplomazia di pace. Diversi membri BRICS – Russia, Cina, Iran – sono direttamente coinvolti in conflitti o in sostegno a regimi sanzionati. La loro presenza in un blocco che si dichiara paladino della riforma dell’ONU crea ambiguità e dissonanza: come può un’entità chiedere più voce in un sistema multilaterale che contesta apertamente? Persino all’interno del gruppo, le divisioni sono profonde. Il “Carnegie Endowment” evidenzia come Brasile e India abbiano espresso scetticismo sull’espansione, temendo una “diluizione del peso specifico” e una “sinizzazione della leadership”. Questa dinamica interna al gruppo rischia di produrre più instabilità che equilibrio, dando vita a un blocco incapace di mediare efficacemente nelle crisi ma abile a bloccare e paralizzare il consenso globale.
L’espansione dei BRICS, quindi, è più che un fenomeno numerico: è un tentativo dichiarato di cambiare l’ordine delle priorità della governance globale. Ma nel farlo, il blocco non propone un’alternativa funzionante, bensì un mosaico eterogeneo che rompe più di quanto costruisca. In questa ottica, la tesi che l’ascesa dei BRICS rappresenti una minaccia all’equilibrio geopolitico mondiale si rafforza, mostrando i BRICS non come agenti di riforma, ma come catalizzatori di polarizzazione e conflitto di visioni.

Nina Celli, 29 giugno 2025

 
04

L’eterogeneità interna ai BRICS ne limita l’efficacia come blocco destabilizzante

CONTRARIO

Una delle principali critiche rivolte ai BRICS è che la loro ascesa rappresenterebbe un tentativo coordinato di minare l’ordine globale esistente. Tuttavia, un’analisi attenta delle dinamiche interne al gruppo suggerisce una realtà molto diversa: i BRICS non sono un attore unitario, né dal punto di vista ideologico, né da quello strategico. Al contrario, la loro frammentazione interna costituisce un limite strutturale alla loro capacità di agire come blocco destabilizzante.
Come sottolinea Mariel Ferragamo del Council on Foreign Relations, i BRICS “non sono un’organizzazione formale”, non hanno statuti vincolanti né meccanismi decisionali centralizzati. Si tratta di un forum informale, basato sul consenso e privo di un’autorità permanente. Questa mancanza di coesione istituzionale si riflette nella difficoltà di formulare posizioni comuni su temi cruciali come le riforme ONU, le crisi internazionali o le politiche climatiche.
L’analisi di “Reuters” e quella del “Carnegie Endowment” mostrano come gli stessi membri fondatori siano divisi. India e Brasile si sono opposti – seppur in modo tacito – all’espansione incontrollata promossa da Cina e Russia. L’India, in particolare, teme che l’ampliamento dei BRICS rafforzi l’influenza geopolitica cinese nell’Asia meridionale e nei consessi multilaterali, a discapito del suo peso strategico. La rivalità sino-indiana è uno degli ostacoli principali all’efficacia del blocco. Come evidenziato da Ashley J. Tellis, l’India mantiene una posizione ambigua: partecipa ai BRICS, ma al tempo stesso rafforza la cooperazione militare con gli Stati Uniti, in chiave di contenimento proprio della Cina. Questa duplicazione strategica mina qualunque tentativo del gruppo di formulare una politica estera coerente e autonoma.
Anche sul piano economico, le divergenze sono notevoli. Il progetto di una valuta BRICS è ostacolato da strutture macroeconomiche profondamente diverse: tassi d’inflazione, regimi fiscali, politiche monetarie e livelli di convertibilità delle valute rendono impossibile una convergenza reale, come nota “CFR”. Inoltre, la Cina concentra oltre il 70% del PIL del gruppo, creando una asimmetria di potere che genera diffidenza tra gli altri membri.
Sul fronte diplomatico, infine, la capacità dei BRICS di presentarsi come alternativa credibile all’Occidente è compromessa da conflitti d’interesse evidenti: il Brasile mantiene forti legami commerciali con l’Unione Europea, l’India è alleata strategica degli USA, e il Sudafrica cerca di mediare tra le due sponde. Questa eterogeneità, lungi dall’essere una forza, è spesso un freno all’azione collettiva.
Anche nei consessi multilaterali, come sottolinea Stuenkel, i BRICS faticano a formulare posizioni unitarie su temi come la guerra in Ucraina o la crisi israelo-palestinese, adottando linee disomogenee che riflettono le priorità nazionali piuttosto che una strategia comune.
I BRICS, quindi, non hanno oggi la coerenza, la visione e gli strumenti per agire come una forza destabilizzante unitaria. Piuttosto, sono un tavolo di confronto in cui potenze emergenti cercano spazio in un sistema che percepiscono squilibrato. La loro ascesa, più che una minaccia, è una manifestazione delle transizioni complesse e pluraliste del mondo multipolare contemporaneo.

Nina Celli, 29 giugno 2025

 
05

La convergenza autoritaria nei BRICS legittima regimi repressivi e indebolisce la democrazia globale

FAVOREVOLE

Uno degli aspetti più trascurati ma profondamente destabilizzanti dell’ascesa dei BRICS è la sua funzione di piattaforma legittimante per regimi autoritari. Con l’inclusione di paesi come Iran, Russia, Cina, Etiopia, Egitto, e la prospettiva di future adesioni da parte di regimi illiberali in Asia e Africa, il blocco si è progressivamente trasformato in un consorzio di Stati che sfidano apertamente il liberalismo democratico come fondamento dell’ordine globale.
L’analisi di Ashley J. Tellis, pubblicata su “Foreign Affairs”, mette in luce come l’India stessa, pur formalmente democratica, stia vivendo un’involuzione autoritaria sotto la guida nazionalista di Narendra Modi, rendendola sempre più vicina ai partner autocratici del blocco. Il paradosso è che il principale sostenitore del “Sud globale democratico” è sempre più allineato a un’alleanza che promuove interessi politici e strategici in conflitto con i valori dell’ordine liberale.
Questa convergenza autoritaria ha effetti diretti sul sistema internazionale. Come si legge su “Foreign Policy”, l’erosione dei principi di trasparenza, libertà di stampa, diritti civili e rule of law non è solo un fenomeno interno ai BRICS: è diventata parte del loro export ideologico. Le iniziative per costruire “alternativi standard normativi” in ambiti come cybersicurezza, finanza, intelligence e persino diritti digitali sono veicolate attraverso alleanze parallele che affiancano l’infrastruttura BRICS.
Nel documento del “Carnegie Endowment”, Sustainability, Climate, and Geopolitics, emerge un altro elemento allarmante: paesi membri dei BRICS tendono a subordinare anche le politiche climatiche e ambientali agli interessi geopolitici, rendendo le alleanze internazionali sul clima più deboli e meno vincolanti. In particolare, la Cina ha utilizzato il suo potere economico per “comprare silenzi” nei consessi multilaterali da parte di partner BRICS minori.
L’effetto sistemico di questa convergenza è un indebolimento della coesione morale dell’ONU, del G20, della Banca Mondiale e dell’OMC. Gli standard sui diritti umani, sullo stato di diritto e sulla governance trasparente vengono contestati da una narrazione alternativa: quella della “sovranità assoluta”, cara ai BRICS, secondo cui ogni ingerenza esterna è un atto neocoloniale. Questo discorso, ben radicato in alcuni paesi africani e asiatici, sta trovando eco sempre più forte nei fori internazionali, normalizzando pratiche repressive e svuotando di senso le clausole condizionali per l’accesso agli aiuti multilaterali.
Inoltre, come sottolineato da Alia Brahimi, l’alleanza strategica tra Russia, Iran e Cina in seno ai BRICS ha di fatto impedito la formulazione di risoluzioni ONU unitarie su crisi come quelle in Ucraina, Siria o Sudan. La legittimazione politica reciproca che si sviluppa tra questi paesi blocca la responsabilizzazione internazionale e compromette il funzionamento delle istituzioni multilaterali.
L’ascesa dei BRICS, lungi dal promuovere un multipolarismo equilibrato, sta creando una nuova egemonia ideologica fondata sull’autoritarismo e sull’impunità. La sua forza crescente non rappresenta semplicemente una sfida economica, ma una vera e propria minaccia ai principi democratici e ai diritti fondamentali su cui si fonda l’equilibrio globale.

Nina Celli, 29 giugno 2025

 
06

La crescita dei BRICS favorisce la cooperazione Sud-Sud e migliora la resilienza globale

CONTRARIO

Contrariamente alla tesi secondo cui l’ascesa dei BRICS rappresenterebbe una minaccia all’equilibrio globale, è possibile sostenere che la loro affermazione costituisce un’opportunità per una maggiore resilienza e cooperazione internazionale, soprattutto tra i paesi del Sud globale. In un sistema spesso percepito come ingiusto, dominato da potenze occidentali che impongono condizioni economiche, politiche e normative, i BRICS si configurano come un alternativo spazio di negoziazione, inclusione e partenariato.
Un esempio emblematico è la New Development Bank (NDB), fondata nel 2014, che ha già finanziato oltre 96 progetti per oltre 32 miliardi di dollari. A differenza delle istituzioni tradizionali come FMI o Banca Mondiale, la NDB non impone condizionalità legate a riforme strutturali, evitando pressioni che in passato hanno compromesso la sovranità politica ed economica dei beneficiari. Questa modalità alternativa di cooperazione consente a paesi come Etiopia, Bangladesh o Indonesia di finanziare progetti di infrastrutture, energia o sviluppo urbano senza dover sottostare a criteri occidentali spesso percepiti come neocoloniali.
Il Brookings Institute conferma che molti paesi asiatici, pur mantenendo rapporti con gli Stati Uniti, stanno rafforzando i legami con i BRICS per diversificare i propri partner strategici e garantire una maggiore autonomia economica. Questo pluralismo delle alleanze non mina l’equilibrio globale, ma ne rafforza la flessibilità e la capacità di assorbire shock sistemici. In Africa, l’ingresso di paesi come Egitto ed Etiopia nei BRICS ha rafforzato la visibilità del continente nel dibattito internazionale. Non si tratta di una mera cooptazione, ma di un vero e proprio processo di redistribuzione della centralità geopolitica. Le discussioni promosse dai BRICS su temi come la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la giustizia climatica e la regolazione dell’intelligenza artificiale offrono piattaforme concrete di voce e agency a paesi che spesso non siedono nei consessi decisionali globali.
Inoltre, i BRICS stanno promuovendo forme di cooperazione Sud-Sud che superano l’ottica bilaterale “donatore-ricevente”. I programmi di investimento condiviso tra Brasile e Sudafrica nel campo dell’agricoltura sostenibile, o la collaborazione Cina-India-Africa sulle tecnologie energetiche a basse emissioni, dimostrano che la cooperazione multilaterale tra paesi in via di sviluppo può produrre soluzioni adatte a contesti locali, culturalmente e climaticamente differenti.
Un altro elemento chiave è la resilienza sistemica. In un mondo segnato da crisi climatiche, pandemiche e tecnologiche, l’esistenza di più poli – capaci di coordinare risposte locali e regionali – riduce la dipendenza da singole istituzioni o potenze, evitando effetti domino in caso di fallimenti (come accaduto con la distribuzione diseguale dei vaccini nel 2021). I BRICS, attraverso strumenti paralleli ma non concorrenti, ampliano le capacità di risposta collettiva.
Il successo diplomatico dei BRICS, quindi, nell’attrarre più di 30 candidature all’ingresso (tra cui Argentina, Nigeria, Thailandia, Malesia, Turchia) dimostra che la loro proposta risponde a un bisogno reale: non di contrapposizione, ma di co-progettazione di un mondo meno centrato su gerarchie post-coloniali. I BRICS, in definitiva, non sono una minaccia, ma un complemento necessario all’ordine globale, che promuove inclusione, cooperazione orizzontale e pluralismo. Il loro successo non indebolisce la stabilità internazionale: la rafforza, distribuendola.

Nina Celli, 29 giugno 2025

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