Nr. 362
Pubblicato il 28/06/2025

L’intelligenza artificiale deve essere vincolata a limiti etici

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Nel 2025, il dibattito sull’intelligenza artificiale non riguarda più soltanto “cosa” l’IA sia in grado di fare, ma “se” debba farlo, “come” farlo e “a quali condizioni morali”. La questione etica, una volta relegata agli specialisti di filosofia della tecnologia, è oggi al centro di forum internazionali, legislazioni emergenti e controversie pubbliche. Il nodo cruciale non è tecnico ma politico, culturale, perfino esistenziale: l’intelligenza artificiale deve essere vincolata da limiti etici? E, se sì, chi stabilisce tali limiti?


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’etica è garanzia di sicurezza e affidabilità dell’intelligenza artificiale

Senza limiti etici chiari, i sistemi IA possono diventare strumenti pericolosi. La necessità di vincolare l’IA a principi etici non è un freno all’innovazione, ma una condizione di sicurezza.

02 - Con le imposizioni etiche c’è il rischio di frenare l’innovazione e la competitività

Un eccesso di regolamentazione etica potrebbe bloccare l’agilità richiesta a imprese e centri di ricerca, spingendo l’innovazione verso mercati meno restrittivi e favorendo la fuga di cervelli.

03 - È necessario vincolare l’IA ai diritti umani e alla giustizia sociale

L’intelligenza artificiale non è un’entità neutra. Per questo , ogni applicazione dell’IA dovrebbe essere vincolata a un corpus etico che protegga i diritti umani e promuova la giustizia sociale.

04 - La soggettività etica è un ostacolo alla normazione globale

Ogni società ha propri principi etici. Cercare di standardizzarli per una tecnologia che opera a livello globale rischia di produrre norme culturalmente sbilanciate.

05 - L’etica è una condizione necessaria per l’adozione diffusa dell’IA

In assenza di vincoli etici chiari, l’adozione dell’IA rischia di arenarsi nel sospetto, nella resistenza culturale e in una crisi di legittimità.

06 - Esiste il pericolo di etichette etiche usate come greenwashing tecnologico

L’etica applicata all'IA rischia di diventare un’operazione di facciata, una strategia di marketing più che un principio operativo.

07 - La regolamentazione etica è una leva di competitività e fiducia pubblica

Le aziende e gli Stati che sapranno dimostrare di aver implementato IA secondo principi etici condivisi avranno vantaggi strategici in termini di reputazione, investimenti, attrattività.

08 - L’autonomia dell’IA sfida i limiti umani ed etici tradizionali

Pretendere di imporle vincoli etici concepiti dall’uomo all'IA rischia di essere non solo inefficace, ma concettualmente anacronistico: come se si volesse addestrare un alieno con le regole morali dell'uomo.

 
01

L’etica è garanzia di sicurezza e affidabilità dell’intelligenza artificiale

FAVOREVOLE

L’intelligenza artificiale, nella sua evoluzione accelerata, sta dimostrando un potenziale straordinario ma anche un’inquietante vulnerabilità: senza limiti etici chiaramente stabiliti, i sistemi IA possono diventare strumenti tanto potenti quanto pericolosi. La necessità di vincolare l’IA a principi etici non è un freno all’innovazione, ma una condizione di sicurezza. A partire da questa consapevolezza si sviluppa una delle più solide argomentazioni a favore della regolamentazione etica: garantire che l’IA operi in modo affidabile, spiegabile e sicuro, in particolare nei contesti ad alto rischio.
Come ha sottolineato il AI Act europeo, il primo quadro normativo globale sull’intelligenza artificiale, la classificazione dei sistemi in base al rischio (da “minimo” a “inaccettabile”) riflette un principio etico fondamentale: più un sistema può incidere su diritti, salute e sicurezza, più deve essere soggetto a vincoli rigidi. L’atto vieta, ad esempio, l’uso dell’IA per il social scoring o la sorveglianza biometrica in tempo reale, pratiche che hanno già mostrato tendenze oppressive in alcuni contesti autoritari.
Questa esigenza di “contenimento etico” non è solo teorica. Come documentato da Bao Tran su “PatentPC”, l’85% dei progetti IA ha mostrato bias nei dati o nei risultati, mentre i sistemi giudiziari IA possono amplificare discriminazioni razziali, con un aumento del 45% delle pene per gli imputati neri rispetto ad altri. Questi numeri non sono anomalie, ma indicatori di un sistema che, se lasciato senza guida morale, può diventare ingiusto e pericoloso.
In ambito medico, Jamie Robertson dell’Harvard Medical School ribadisce che l’IA deve rimanere uno strumento a supporto del giudizio umano, non un sostituto. L’autrice mette in guardia dai rischi dell’overfitting, dell’opacità decisionale e della responsabilità diffusa: solo con una governance etica è possibile garantire che l’IA clinica non comprometta la sicurezza del paziente.
Anche a livello geopolitico, come illustrato dal World Economic Forum, l’assenza di regole condivise aumenta la probabilità di incidenti gravi, dal controllo algoritmico dei droni militari alla manipolazione elettorale tramite deepfake. Il rischio non è solo tecnologico ma sistemico: la mancanza di vincoli etici è una minaccia globale alla stabilità. A confermare tutto ciò, il trend crescente degli investimenti in software di “AI governance”, stimato in 15,8 miliardi di dollari entro il 2030, dimostra che la regolazione etica non è solo una necessità sociale, ma anche una priorità di mercato.
La regolamentazione etica dell’IA è quindi una condizione imprescindibile per garantire sicurezza, affidabilità e fiducia. Senza un quadro normativo che rifletta valori umani fondamentali, l’IA rischia di diventare un’arma a doppio taglio. E in un mondo dove le decisioni algoritmiche influenzano libertà personali, accesso ai diritti, diagnosi mediche e persino la sicurezza internazionale, rinunciare all’etica equivale a rinunciare al controllo.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
02

Con le imposizioni etiche c’è il rischio di frenare l’innovazione e la competitività

CONTRARIO

Introdurre vincoli etici rigidi allo sviluppo dell’intelligenza artificiale può apparire una scelta prudente, ma rischia di tradursi in un freno strutturale all’innovazione tecnologica. L’IA è una tecnologia in rapida evoluzione, il cui sviluppo richiede sperimentazione, flessibilità e tempi decisionali brevi. In questo contesto, un eccesso di regolamentazione etica potrebbe bloccare l’agilità richiesta a imprese e centri di ricerca, spingendo l’innovazione verso mercati meno restrittivi e favorendo una pericolosa fuga di cervelli.
Come osservato da Toni Nasif su “Bizpreneur Middle East”, l’etica applicata all’IA non è un campo universale e univoco: ogni cultura ha i suoi principi e le sue sensibilità. Tentare di codificare un’etica standardizzata per guidare una tecnologia globale rischia di produrre norme generiche e inefficienti, oppure regole tanto rigide da limitare l’autonomia di innovatori e sviluppatori. Il risultato sarebbe un rallentamento dell’adozione, marginalizzazione degli outsider e perdita di competitività.
Il caso del settore finanziario analizzato da Beth Braverman conferma che le imprese temono vincoli troppo severi. Le banche e le società di consulenza che adottano IA per migliorare efficienza e customer experience devono affrontare barriere normative crescenti, che spesso rallentano il time-to-market delle soluzioni. La preoccupazione, condivisa da molti esperti del settore, è che si creino “zone rosse” d’uso vietato che impediscano l’evoluzione di strumenti promettenti.
Anche nel contesto della governance internazionale, il World Economic Forum segnala che la frammentazione normativa tra USA, UE e Asia sta già penalizzando la scalabilità dei modelli IA. L’assenza di regole condivise e l’esistenza di codici etici contrastanti comportano difficoltà nell’integrazione dei sistemi e nella collaborazione tra partner globali. Questo ostacola la ricerca e produce un effetto “chiusura”, in cui gli attori preferiscono operare in silos nazionali piuttosto che in ecosistemi aperti.
La OECD avverte che l’adozione di normative troppo anticipatorie può risultare prematura: molte delle preoccupazioni etiche associate all’IA sono ancora ipotetiche. Regolare oggi strumenti non ancora pienamente compresi rischia di sterilizzarne il potenziale senza prevenire rischi reali, ma solo immaginati.
L’etica, dunque, è importante, ma non può diventare una prigione normativa. Imporre limiti senza una chiara valutazione di costi e benefici può soffocare la creatività, ritardare le scoperte scientifiche e relegare le economie più attente ai margini del progresso tecnologico.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
03

È necessario vincolare l’IA ai diritti umani e alla giustizia sociale

FAVOREVOLE

L’intelligenza artificiale non è un’entità neutra. Le sue decisioni influenzano il diritto al lavoro, la libertà di espressione, la privacy e l’accesso ai servizi essenziali. Per questo motivo, ogni applicazione dell’IA dovrebbe essere vincolata a un corpus etico che protegga i diritti umani e promuova la giustizia sociale. È una responsabilità collettiva – di sviluppatori, governi e cittadini – assicurare che gli algoritmi non diventino veicoli di esclusione, discriminazione o controllo sociale.
Una delle denunce più dirette arriva da Sarah Lee, che nel suo articolo su “Number Analytics” sottolinea come l’IA, se non correttamente regolata, può amplificare disuguaglianze strutturali e perpetuare bias razziali e di genere. Gli algoritmi usati per il reclutamento del personale o per il credito al consumo mostrano frequentemente pregiudizi nascosti, derivanti da dati storici distorti. L’etica, sostiene Lee, deve essere parte del design, e non un’appendice.
Anche Molly Kinder del Brookings Institution si concentra sull’impatto sociale dell’IA sul mondo del lavoro. Citando il caso delle professioni entry-level minacciate dalla sostituzione algoritmica, sostiene che “la dignità del lavoro” è parte della condizione umana e deve essere tutelata da normative attente. Le sue parole – “lavorare è diventare umani” – riecheggiano la dottrina sociale della Chiesa e richiamano l’urgenza di una riflessione morale sull’IA che vada oltre l’efficienza tecnica.
Nel contesto delle applicazioni in sanità, anche l’AI Governance Playbook promosso da Berkeley e dal World Economic Forum sottolinea la necessità di trasparenza, responsabilità e inclusività come elementi fondamentali per un’IA equa. Il documento raccomanda audit etici e incentivi concreti per premiare l’uso responsabile dell’IA. La giustizia sociale, in questo caso, si concretizza nella protezione delle categorie vulnerabili dai rischi sistemici.
Una prospettiva filosofica più ampia viene offerta da Hinesh Jaswani, che propone l’introduzione di “checkpoints etici” nelle interazioni IA-utente. Quando un algoritmo riceve una richiesta potenzialmente sensibile, dovrebbe essere in grado di chiedere: “perché me lo stai chiedendo?”. Questa capacità, ancora assente nei sistemi attuali, rappresenterebbe un salto evolutivo verso una IA davvero responsabile e consapevole del contesto umano.
L’etica, dunque, non è solo una cornice per evitare abusi. È una lente che permette di orientare lo sviluppo dell’IA verso il bene comune. Regolare l’IA per proteggere i diritti fondamentali non significa frenare l’innovazione, ma renderla compatibile con la democrazia, la dignità e l’uguaglianza.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
04

La soggettività etica è un ostacolo alla normazione globale

CONTRARIO

Una delle principali obiezioni all’imposizione di vincoli etici universali all’intelligenza artificiale risiede nella natura intrinsecamente soggettiva dell’etica stessa. Ogni società interpreta concetti come giustizia, libertà, equità o responsabilità in modi diversi, a seconda del contesto storico, culturale e politico. Cercare di standardizzare principi etici per una tecnologia che opera a livello globale rischia quindi di produrre norme culturalmente sbilanciate, ideologicamente parziali o addirittura impraticabili.
Questo problema è emerso chiaramente nell’analisi di Toni Nasif, che sottolinea come le divergenze culturali nella percezione dei “valori” ostacolino la definizione di standard etici condivisi. In Asia, ad esempio, l’uso dell’IA per la sorveglianza è spesso giustificato in nome della stabilità; in Europa, lo stesso approccio sarebbe considerato inaccettabile. Tentare di imporre un’etica globale all’IA significa, di fatto, proiettare un sistema di valori localizzato su una tecnologia universale.
Anche il Brookings Institution, attraverso le riflessioni di Molly Kinder, mette in luce questa tensione. Nell’intervista sulla “dimensione morale del lavoro”, Kinder osserva che l’idea di “dignità del lavoro” è centrale nella dottrina cattolica, ma potrebbe non essere prioritaria in sistemi culturali dove la produttività o il collettivismo prevalgono sul riconoscimento individuale. In un mondo multipolare, imporre limiti etici all’IA significa anche entrare in conflitto con visioni alternative della società e della tecnologia.
La stessa Commissione Europea, promotrice dell’AI Act, ha dovuto rivedere più volte la definizione di “uso inaccettabile” dell’IA. Alcuni Paesi membri contestavano il divieto assoluto del riconoscimento facciale in spazi pubblici, mentre altri ne richiedevano un’applicazione più estensiva. Questo dimostra come persino all’interno di una comunità politica integrata come l’UE, l’etica applicata all’IA resti controversa e divisiva.
L’articolo di Shrutika Poyrekar, su “Medium”, analizza un esperimento condotto su Reddit in cui chatbot IA hanno interagito con utenti umani all’insaputa di questi ultimi. Mentre alcuni studiosi ne hanno lodato il valore sperimentale, altri lo hanno bollato come “manipolazione”. Chi decide dove si trova il confine tra ricerca e violazione? Chi stabilisce quando una simulazione diventa inganno? L’etica non è un algoritmo. Non può essere programmata né applicata in modo neutro e univoco. La sua soggettività la rende inadatta a fungere da fondamento per regolamentazioni globali della tecnologia. Meglio affidarsi a framework flessibili, adattabili e localizzati, piuttosto che tentare di codificare una morale artificiale per un mondo troppo complesso per accoglierla.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
05

L’etica è una condizione necessaria per l’adozione diffusa dell’IA

FAVOREVOLE

Il futuro dell’intelligenza artificiale non dipenderà solo dalla sua potenza computazionale, ma dalla fiducia che riuscirà a instaurare tra cittadini, consumatori e istituzioni. In assenza di vincoli etici chiari, l’adozione dell’IA rischia di arenarsi nel sospetto, nella resistenza culturale e in una crisi di legittimità. Al contrario, se regolata secondo principi di trasparenza, responsabilità e inclusione, l’IA potrà generare innovazione partecipata e sostenibile. Questo concetto è ampiamente sviluppato da Genevieve Smith nel suo articolo per il World Economic Forum, dove documenta un’indagine su oltre 300 product manager di aziende tech. Solo il 19% di essi ha ricevuto incentivi per implementare IA in modo etico, mentre la maggioranza lamenta la mancanza di linee guida, vocabolari condivisi e trasparenza sui modelli utilizzati. Ne deriva una crescente incertezza che ostacola l’adozione pratica dei modelli IA, anche in aziende leader. Lo stesso studio rivela un dato illuminante: i modelli IA corredati da “artefatti di trasparenza” (es. spiegazioni su dati di addestramento e metriche di sicurezza) vengono scaricati 2-3 volte più spesso rispetto a quelli opachi. Ciò dimostra che l’etica non è una zavorra ma un acceleratore dell’adozione, perché genera fiducia negli utenti e nei decisori aziendali.
A livello geopolitico, il World Economic Forum ha rilevato che le tecnologie IA impiegate in contesti elettorali, giornalistici o militari suscitano diffidenza se non accompagnate da norme etiche robuste. Il rischio di manipolazione, disinformazione e sorveglianza di massa genera una “sfiducia di sistema” che ostacola lo sviluppo stesso del mercato IA. Come scrive Elana Banin, “la governance non è burocrazia, ma l’infrastruttura dell’innovazione”.
La Commissione europea, con l’IA Pact, ha lanciato un programma volontario che anticipa le regole dell’AI Act, invitando imprese e istituzioni ad aderire in anticipo ai principi di trasparenza e sicurezza. L’adesione ha superato le aspettative, dimostrando che l’industria percepisce l’etica come vantaggio competitivo e non come obbligo calato dall’alto.
Anche in ambito giornalistico, l’articolo di “OpenTools” rivela che le testate che hanno adottato IA senza controlli etici hanno subito crisi reputazionali, perdita di abbonati e richiami da parte degli organismi di vigilanza. L’etica, in questo contesto, diventa prerequisito per la sostenibilità economica e per la continuità editoriale.
L’etica non è quindi solo un principio filosofico, ma una condizione concreta per la scalabilità dell’IA. Dove mancano trasparenza e responsabilità, aumenta la diffidenza. Dove queste esistono, l’adozione si amplia, la produttività cresce e la tecnologia entra in simbiosi con la società.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
06

Esiste il pericolo di etichette etiche usate come greenwashing tecnologico

CONTRARIO

Uno degli argomenti più insidiosi contro l’imposizione di limiti etici all’intelligenza artificiale riguarda la loro reale efficacia. In un contesto di ipercompetizione tra aziende e Stati, l’etica rischia di diventare un’operazione di facciata, una strategia di marketing più che un principio operativo. In questo scenario, le “etichette etiche” – come “fair”, “responsible AI” o “AI for good” – possono trasformarsi in forme di greenwashing tecnologico, ovvero in strumenti per legittimare comportamenti discutibili dietro una patina di responsabilità morale.
Un’analisi lucida di questo fenomeno è offerta da Robert Prentice nel suo saggio pubblicato dall’Università del Texas. L’autore evidenzia come la retorica sull’etica dell’IA venga spesso manipolata da aziende e stakeholder per mascherare finalità commerciali o politiche. Citando la teoria dell’“illusione di profondità esplicativa”, Prentice dimostra che la maggioranza degli utenti e dei policy maker crede di comprendere l’etica dell’IA molto più di quanto sia effettivamente vero, alimentando così una narrazione rassicurante ma superficiale.
Anche Bao Tran, nell’analisi sui bias algoritmici, denuncia che molte aziende dichiarano di avere meccanismi etici senza dimostrarne la reale applicazione. Solo il 20% dei modelli IA esaminati ha processi decisionali spiegabili e molti sistemi impiegati nel settore pubblico – come il riconoscimento facciale o l’analisi predittiva – operano senza supervisione effettiva. L’etica, in questi casi, è un adesivo posto sopra modelli opachi e difficilmente auditabili.
La stessa dinamica si riscontra nell’ambito giornalistico, come documentato da “OpenTools”. Alcune testate hanno presentato come “etica” la sostituzione dei redattori con IA generativa, salvo poi dover ritirare articoli per errori gravi, allucinazioni informative o casi di plagio. L’etichetta etica è servita a sedare le critiche iniziali, ma non ha prevenuto le conseguenze reputazionali e legali.
Secondo l’OECD, il moltiplicarsi di codici di condotta privati – non vincolanti e spesso autoreferenziali – sta creando un panorama frammentato e poco credibile. Le imprese dichiarano di rispettare “principi etici” ma raramente rendono pubblici i criteri, i test o le sanzioni previste in caso di violazione. Questo mina la fiducia e crea un effetto boomerang: l’uso dell’etica come strumento comunicativo finisce per delegittimare l’etica stessa.
In un contesto dove la velocità dell’innovazione supera la capacità normativa, la rincorsa a “certificare” la bontà dei modelli rischia di creare una burocrazia dell’etica incapace di incidere realmente sulle pratiche di sviluppo. Se l’etica dell’IA viene trasformata in una vetrina e non in un impegno verificabile, rischia di alimentare una pericolosa ipocrisia. Meglio pochi vincoli chiari e controllabili che una selva di dichiarazioni morali prive di sostanza.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
07

La regolamentazione etica è una leva di competitività e fiducia pubblica

FAVOREVOLE

In un mercato globale sempre più interconnesso, l’etica dell’intelligenza artificiale non è solo una questione di giustizia o umanità: è un vero e proprio asset competitivo. Le aziende e gli Stati che sapranno dimostrare di aver implementato IA secondo principi etici condivisi – trasparenza, equità, responsabilità – godranno di un vantaggio strategico in termini di reputazione, investimenti, attrattività di talenti e accesso ai mercati. La regolamentazione etica, quindi, non è solo un dovere: è una leva di sviluppo.
Questo approccio è emerso con forza nel report di Mahmood Anwar pubblicato dalla “California Management Review”. L’autore propone l’adozione di una “bussola etica” per le decisioni aziendali basate sull’IA, che includa audit regolari, integrazione dei valori aziendali nei modelli e formazione alla lettura critica degli output IA. Le aziende che adottano questi strumenti – secondo i dati citati – mostrano una maggiore fidelizzazione del cliente e minori controversie legali.
Un’analisi simile viene presentata nel Responsible Use of Generative AI Playbook promosso da UC Berkeley e dal World Economic Forum. Il documento, frutto di un’indagine su centinaia di product manager, indica che le imprese dotate di principi etici formalizzati e leadership proattiva sono 2,4 volte più propense a implementare meccanismi di salvaguardia rispetto a quelle che non li hanno. Questo si traduce in una maggiore resilienza reputazionale e in una migliore capacità di attrarre capitale umano qualificato.
Anche il mercato lo conferma: secondo un report Forrester citato dal World Economic Forum, gli investimenti in software di governance etica per IA quadruplicheranno entro il 2030, raggiungendo 15,8 miliardi di dollari. Questo trend rivela che l’etica non è più una scelta ideale ma una necessità operativa, destinata a definire gli standard di accesso a mercati complessi come quello europeo.
Nel settore pubblico, il Brookings Institution sottolinea come la fiducia della popolazione verso l’uso dell’IA nei servizi pubblici – dalla sanità al lavoro – dipenda dalla trasparenza e dal coinvolgimento etico delle comunità. Molly Kinder, nel suo studio sul rapporto tra IA e lavoro, mette in evidenza il rischio di una “crisi di senso” se la tecnologia viene percepita come imposta, elitaria e disumanizzante. Al contrario, un’IA eticamente guidata può rafforzare il patto sociale e diventare uno strumento di equità.
Il World Economic Forum propone un’interpretazione strategica della governance etica: creare istituzioni e standard comuni è una condizione per la cooperazione globale. In un’epoca segnata da frammentazione geopolitica e sfiducia transnazionale, la trasparenza e l’affidabilità diventano moneta di scambio per stringere accordi e accedere a reti di innovazione multilaterali. Chi adotta standard etici oggi, dunque, sarà leader domani. Non c’è sviluppo dell’IA senza fiducia pubblica.

Nina Celli, 28 giugno 2025

 
08

L’autonomia dell’IA sfida i limiti umani ed etici tradizionali

CONTRARIO

Uno degli argomenti più controversi contro l’imposizione di limiti etici all’intelligenza artificiale riguarda la natura stessa della tecnologia. A differenza di qualsiasi altra innovazione del passato, l’IA – specialmente nelle sue forme generative – evolve in modo non sempre prevedibile. Pretendere di imporle vincoli etici concepiti dall’uomo rischia di essere non solo inefficace, ma concettualmente anacronistico: come se si volesse addestrare un organismo alieno con le regole morali di un umano.
L’articolo pubblicato dal Brookings Institution pone questa questione in termini profondamente filosofici. In un passaggio suggestivo, Molly Kinder si chiede: “Cosa perdiamo se l’IA ci priva del lavoro che ci rende umani?”. La sua domanda si colloca in una prospettiva esistenziale, secondo cui l’IA non minaccia solo i posti di lavoro, ma la concezione stessa della dignità umana. Ma proprio da questa riflessione emerge il limite della risposta etica: se l’IA cambia ciò che significa “essere umani”, allora anche l’etica umana potrebbe non essere più sufficiente a contenerla. Questo paradosso è ben espresso anche da Elana Banin, che nel suo saggio per il World Economic Forum sottolinea come molte delle applicazioni IA nel campo militare, politico ed economico stiano già operando in una zona grigia tra umano e non umano, tra controllabile e non controllabile. La linea tra uso civile e uso coercitivo dell’IA si sta dissolvendo. In questo scenario, l’etica tradizionale – fondata su intenzionalità, consapevolezza e responsabilità – mostra i suoi limiti: come attribuire colpa o merito a un sistema che agisce senza intenzione, ma con conseguenze significative?
Un altro esempio viene dall’uso di IA generativa nei contesti creativi, come descritto da Shrutika Poyrekar. L’esperimento condotto su Reddit, dove bot IA hanno interagito in segreto con utenti reali, ha scatenato un dibattito acceso: era un’azione immorale o un’innovazione legittima? La risposta non è univoca, proprio perché l’IA opera al di fuori delle intenzioni umane classiche. Il concetto di “consenso informato”, cardine dell’etica tradizionale, vacilla quando l’interazione è tra uomo e macchina camuffata da uomo.
Secondo Hinesh Jaswani, i modelli linguistici come ChatGPT e Claude potrebbero trarre vantaggio da una forma di “etica interattiva” – una capacità di porsi domande morali durante la conversazione – piuttosto che da vincoli esterni. Ma questa proposta conferma implicitamente che l’etica, per essere efficace, deve evolversi insieme alla tecnologia, non essere imposta dall’esterno con strumenti giuridici nati per società statiche.
L’IA non è una macchina nel senso tradizionale: è un’entità semi-autonoma, che apprende, simula intenzionalità e genera contenuti in modo non deterministico. In questo contesto, l’etica umana rischia di diventare un linguaggio obsoleto, incapace di regolare un sistema che opera al di fuori delle sue premesse. Serve forse una nuova epistemologia dell’etica, non un’imposizione di codici morali costruiti per un altro tempo e per soggetti profondamente diversi.

Nina Celli, 28 giugno 2025

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