Nr. 311
Pubblicato il 17/03/2025

Separazione delle carriere in Magistratura

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

La questione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (PM) rappresenta uno dei temi più dibattuti nel panorama giuridico italiano, con implicazioni che vanno oltre la semplice organizzazione del sistema giudiziario, toccando principi fondamentali come l’indipendenza della magistratura, l’equilibrio tra poteri dello Stato e la percezione di giustizia da parte dei cittadini. Il dibattito si articola attorno a due posizioni contrapposte: da un lato, coloro che vedono nella separazione delle carriere un’evoluzione necessaria per garantire l’imparzialità del giudice e l’efficienza del processo penale, dall’altro, chi teme che tale riforma possa indebolire il pubblico ministero e renderlo più vulnerabile alle pressioni politiche, mettendo a rischio il principio di obbligatorietà dell’azione penale.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Garanzia di un giudice realmente terzo e imparziale

L’attuale ordinamento italiano genera una potenziale vicinanza tra accusa e giudizio, che secondo alcuni potrebbe alterare l’equilibrio del processo.

02 - Rischio di perdita di indipendenza per il PM

Il PM ha le stesse garanzie di autonomia dei giudici, ed è soggetto solo alla legge. Con la riforma, potrebbe diventare più simile a un organo amministrativo, e perdere la sua capacità di condurre indagini in modo autonomo.

03 - Modello in linea con gli standard europei e internazionali

L'Italia è tra i pochi paesi in cui giudici e PM fanno parte dello stesso corpo della magistratura. In altri sistemi il PM è collocato in un ordinamento separato, che ne garantisce l’autonomia rispetto ai giudici.

04 - Indebolimento della cultura comune della Magistratura

La separazione netta dei percorsi di carriera potrebbe portare alla creazione di due corpi giudiziari con visioni opposte della giustizia, compromettendo l’equilibrio attuale tra accusa e giudizio.

05 - Fine del rischio di commistione tra giudici e PM

La prossimità culturale e professionale tra giudice e PM crea un rischio di condizionamento tra accusa e giudizio, minando la percezione di imparzialità della giustizia.

06 - Possibile incremento delle disuguaglianze nel processo penale

Con la separazione delle carriere, se il PM diventasse più autonomo dai giudici, potrebbe adottare una mentalità più aggressiva. Di conseguenza, il processo penale potrebbe diventare più accusatorio.

07 - Migliore organizzazione della giustizia

L’attuale problema del sistema giudiziario è che l’unità della magistratura complica la gestione delle funzioni e non consente di distinguere chiaramente i percorsi di carriera e le responsabilità di giudici e PM.

08 - Il problema della giustizia non è la separazione delle carriere

Le vere criticità della giustizia italiana riguardano i tempi lunghi dei processi, la scarsità di personale, la poca digitalizzazione, l'inefficienza amministrativa e il sovraccarico di cause civili e penali.

 
01

Garanzia di un giudice realmente terzo e imparziale

FAVOREVOLE

Uno dei principali argomenti a favore della separazione delle carriere è la necessità di garantire un giudice effettivamente terzo e imparziale, che non condivida lo stesso percorso formativo, culturale e professionale con il pubblico ministero (PM). L’attuale ordinamento italiano, che prevede l’appartenenza di giudici e PM allo stesso corpo della magistratura, genera una potenziale vicinanza tra accusa e giudizio, che secondo alcuni potrebbe alterare l’equilibrio del processo. Secondo il governo, la separazione delle carriere è l’unico modo per garantire che il giudice sia non solo indipendente, ma anche percepito come tale dalle parti in causa. Come evidenziato da “Sky TG24” e “Il Dubbio”, il governo Meloni sostiene che la riforma rispetti pienamente l’articolo 111 della Costituzione, che sancisce il principio del "giusto processo". Quest’ultimo impone che il giudice sia imparziale e che accusa e difesa siano in posizione di parità, un equilibrio che – secondo i sostenitori della riforma – sarebbe compromesso dalla comune appartenenza di giudici e PM alla stessa carriera.
L'attuale sistema prevede che giudici e pubblici ministeri condividano il concorso di accesso alla magistratura, frequentino la stessa Scuola Superiore della Magistratura e siano sottoposti allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Questa comunanza di percorso formativo potrebbe generare un conflitto di interessi implicito, specialmente nei tribunali di piccole dimensioni, dove magistrati che un tempo erano colleghi si ritrovano poi a operare su fronti opposti.
Secondo i dati riportati da “Città Nuova”, il passaggio da PM a giudice – sebbene regolamentato e limitato dalla riforma Cartabia – avviene ancora, e nei casi in cui un magistrato transiti dalla funzione requirente a quella giudicante, potrebbe mantenere un'impostazione culturale più vicina all’accusa. Inoltre, i PM possono ricoprire ruoli da giudice nelle Corti d’Appello e in Cassazione, il che rende ancora più evidente il problema della commistione tra accusa e giudizio.
L’“Espresso”, in un approfondimento sulla riforma, ha sottolineato come questa sovrapposizione possa avere un impatto sulla percezione dell’imparzialità del giudice. Nel Diritto, non basta che il giudice sia imparziale, ma è fondamentale che sia percepito come tale dalle parti in causa e dall’opinione pubblica. La riforma mira, dunque, a eliminare ogni possibile dubbio sulla neutralità del giudice, rafforzando il principio di equidistanza tra accusa e difesa.
Un altro aspetto spesso sollevato dai sostenitori della riforma è il rischio di condizionamento reciproco tra giudici e PM. Come riportato da “Il Dubbio” e “Sky TG24”, nelle procure più piccole è frequente che i magistrati operino nello stesso ambiente per anni, creando relazioni professionali strette che potrebbero alterare la dinamica del processo.
Per risolvere questo problema, la riforma prevede:

  1. Concorsi separati per giudici e PM.
  2. Due CSM distinti, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente.
  3. Percorsi formativi differenziati, per evitare una cultura giuridica comune tra accusa e giudizio.

Secondo il governo, queste misure porteranno a un sistema più trasparente e imparziale, dove il giudice potrà valutare con equidistanza le argomentazioni di accusa e difesa, senza alcun legame pregresso con il PM.
I principali benefici della separazione delle carriere sarebbero, dunque, una maggior trasparenza nel processo e una percezione più forte di equidistanza tra le parti, oltre all’eliminazione di ogni possibile influenza tra accusa e giudizio.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
02

Rischio di perdita di indipendenza per il PM

CONTRARIO

Uno degli argomenti più forti contro la separazione delle carriere è il rischio che il pubblico ministero (PM) perda la sua indipendenza, diventando più vulnerabile alle pressioni politiche. Attualmente, in Italia, il PM è parte della magistratura, con le stesse garanzie di autonomia dei giudici, ed è soggetto solo alla legge. Con la riforma, il pubblico ministero potrebbe invece diventare più simile a un organo amministrativo, con conseguenze negative sulla sua capacità di condurre indagini in modo autonomo. Secondo “Il Fatto Quotidiano” e “Antimafia Duemila”, la riforma della separazione delle carriere ricalca progetti di riforma passati, come quelli promossi negli anni ‘80 e ‘90 da gruppi politici vicini a Silvio Berlusconi, e persino progetti elaborati dalla Loggia P2 di Licio Gelli, che prevedevano un pubblico ministero sotto il controllo dell’esecutivo.
Attualmente, il pubblico ministero fa parte dell’ordine giudiziario, gode delle stesse garanzie di indipendenza dei giudici e non è soggetto a direttive politiche. La riforma, tuttavia, potrebbe separare il PM dalla magistratura giudicante, trasformandolo in un organismo più simile a un avvocato dell’accusa, con meno garanzie di indipendenza. I principali rischi segnalati dagli esperti potrebbero essere una maggiore influenza del potere esecutivo. Se il PM viene collocato in un corpo separato alla magistratura, chi garantirà la sua indipendenza?
Allo stesso tempo, anche la perdita del principio di obbligatorietà dell’azione penale, senza le attuali garanzie il PM potrebbe subire pressioni politiche per decidere quali reati perseguire e quali no. Infine, anche una possibile influenza sulle indagini più scomode, i reati di corruzione, mafia e criminalità economica potrebbero diventare più difficili da perseguire se i PM dipendessero, anche indirettamente, dal potere politico. Uno dei maggiori timori legati alla riforma è che essa possa alterare l’equilibrio dei poteri dello Stato, dando al governo maggiore influenza sulle indagini giudiziarie. Se il pubblico ministero viene separato dai giudici e dotato di un Consiglio Superiore autonomo, chi garantirà che il CSM requirente non venga progressivamente controllato dalla politica? Ad esempio, in Francia, il pubblico ministero dipende dal Ministero della Giustizia e segue priorità politiche nell’azione penale. Questo ha portato, in passato, a un uso selettivo della giustizia penale a fini politici; in Spagna, il PM è nominato dal governo e il Fiscal General del Estado ha un forte potere di indirizzo sulle indagini; in Germania, il PM è un funzionario pubblico sotto il Ministero della Giustizia, con conseguenze sulla sua autonomia investigativa. La magistratura italiana è una delle poche al mondo che ha portato a processo diversi presidenti del Consiglio e membri di governo. Questo è stato possibile perché il pubblico ministero è indipendente e non può ricevere ordini da nessuna autorità politica.
Uno dei principali rischi della separazione delle carriere è che il pubblico ministero, separato dai giudici, possa perdere il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Oggi, in Italia, il PM ha l’obbligo di perseguire tutti i reati di cui viene a conoscenza, senza poter fare distinzioni di opportunità politica. Se il PM diventasse più vicino al potere esecutivo, potrebbero essere perseguite solo le indagini “gradite” al governo, lasciando impuniti reati ritenuti meno strategici dal punto di vista politico.
Un’altra preoccupazione riguarda la relazione tra il PM e la polizia giudiziaria. Attualmente, il pubblico ministero ha il controllo diretto delle forze di polizia nelle indagini, garantendo che esse agiscano sotto il suo coordinamento. Se il PM perdesse il suo status di magistrato indipendente, potrebbe diventare meno autonomo rispetto alla polizia, subendo pressioni esterne sulle indagini. Se il PM fosse più vicino all’esecutivo, potrebbe perdere la possibilità di indagare liberamente anche sulle forze dell’ordine, e un PM meno indipendente potrebbe non avere più la forza di opporsi a pressioni politiche o istituzionali.
Secondo “Il Fatto Quotidiano” e “Antimafia Duemila”, la riforma trasformerebbe il PM in una figura più vicina all’esecutivo, compromettendo l’obbligatorietà dell’azione penale e lasciando spazio a una giustizia più selettiva, con indagini influenzate dalla politica. Secondo “Good Morning Genova”, in un sistema con PM separato dalla magistratura, le indagini sulla criminalità organizzata potrebbero diventare meno incisive, aumentando il rischio di insabbiamenti e rallentamenti investigativi.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
03

Modello in linea con gli standard europei e internazionali

FAVOREVOLE

Uno degli argomenti più forti a favore della separazione delle carriere è l’allineamento dell’ordinamento italiano ai modelli europei e internazionali, che già prevedono una distinzione netta tra giudici e pubblici ministeri (PM). Secondo i sostenitori della riforma, la commistione tra le due funzioni, ancora presente in Italia, è un’eccezione piuttosto che la regola nelle democrazie occidentali. Attualmente, l'Italia è tra i pochi paesi in cui giudici e PM fanno parte dello stesso corpo della magistratura, condividendo concorsi di accesso, percorsi formativi e progressioni di carriera. In altri sistemi, invece, il PM è collocato in un ordinamento separato, che ne garantisce l’autonomia rispetto ai giudici e, in alcuni casi, prevede un maggiore controllo dell’esecutivo. Secondo “Città Nuova” e “Il Dubbio”, il modello italiano è un’anomalia rispetto alla struttura della magistratura nei principali paesi europei. Analizzando i sistemi di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, emerge un quadro chiaro: in Francia il pubblico ministero (Parquet) fa parte della magistrature debout (magistratura in piedi), mentre i giudici appartengono alla magistrature assise (magistratura seduta). I PM non sono indipendenti come i giudici, ma sono gerarchicamente subordinati al Ministero della Giustizia, che può imporre priorità investigative. Tuttavia, godono di un certo grado di autonomia nell’esercizio delle loro funzioni; in Germania i PM sono funzionari pubblici e fanno parte del Ministero della Giustizia, che ha il potere di orientare l’azione penale. I giudici, invece, sono indipendenti e non rispondono all’esecutivo; in Spagna il PM (Fiscalía) è separato dalla magistratura e, pur avendo autonomia funzionale, deve seguire le direttive del Procuratore Generale, che a sua volta è nominato dal governo; e infine nel Regno Unito il Crown Prosecution Service (CPS) è completamente distinto dalla magistratura, e i PM sono funzionari pubblici che collaborano con la polizia nelle indagini. Il sistema britannico si basa su una netta distinzione tra chi accusa (PM) e chi giudica (magistrati o giurie).
L'analisi di “Città Nuova” mostra che in 23 dei 27 paesi dell’Unione Europea, giudici e PM appartengono a carriere separate, con ruoli distinti e non intercambiabili. Solo Italia, Grecia e Belgio mantengono ancora un sistema unitario, sebbene con differenze significative. L'adeguamento agli standard europei non è solo una questione di armonizzazione giuridica, ma anche di efficienza. La separazione delle carriere consentirebbe di creare due percorsi formativi specializzati, evitando che giudici e PM abbiano un'impostazione culturale comune che potrebbe influenzare l’equilibrio del processo; migliorare la gestione dell’azione penale, rendendo il ruolo del PM più chiaro e trasparente, ed evitare i conflitti di ruolo derivanti dalla possibilità di passaggio da una funzione all’altra. L’idea di separare le carriere tra giudici e PM non è nuova in Italia. Già negli anni ‘90, la riforma Castelli aveva proposto un sistema con magistrature separate, ma l’ipotesi fu accantonata per l’opposizione della magistratura associata. Anche la riforma Cartabia del 2022 aveva introdotto alcune limitazioni alla possibilità di passare da PM a giudice, ma senza separare completamente i ruoli.
Questa riforma allineerebbe l’Italia agli standard internazionali, senza compromettere la qualità della giustizia. Permetterebbe inoltre di semplificare la struttura giudiziaria, riducendo le incertezze interpretative e migliorando l’efficienza del sistema. Il governo Meloni considera questa riforma come un passo inevitabile, che non può più essere rimandato.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
04

Indebolimento della cultura comune della Magistratura

CONTRARIO

Uno dei principali argomenti contrari alla separazione delle carriere è il rischio di una frattura culturale e professionale tra giudici e pubblici ministeri (PM). Attualmente, il sistema italiano garantisce un’unità culturale e formativa della magistratura, che consente ai giudici di comprendere a fondo il lavoro dei PM e viceversa. La separazione netta dei percorsi di carriera, con concorsi distinti, formazione separata e Consigli Superiori differenti, potrebbe portare alla creazione di due corpi giudiziari con visioni opposte della giustizia, compromettendo l’equilibrio attuale tra accusa e giudizio. L’attuale modello italiano si basa sull’idea che giudici e PM facciano parte della stessa magistratura, con lo stesso status giuridico e le stesse garanzie di indipendenza. Questa scelta non è casuale, ma è stata fortemente voluta dai Padri Costituenti dopo l’esperienza del fascismo, per evitare che il pubblico ministero fosse strumentalizzato dal potere politico. Durante il fascismo, il PM era subordinato al Ministero della Giustizia, il che ha portato a un uso politico della giustizia penale. Con la Costituzione del 1948, si è voluto creare un pubblico ministero indipendente, con le stesse tutele dei giudici, proprio per evitare il rischio di influenze politiche sulle indagini. Con la riforma verrebbero create due magistrature distinte con percorsi formativi diversi e separazione istituzionale netta. Questo potrebbe indebolire la cultura comune tra giudici e PM, riducendo la capacità di comprendere le esigenze reciproche all’interno del processo.
Attualmente, il pubblico ministero ha il dovere di ricercare la verità, senza essere solo un “avvocato dell’accusa”. La sua formazione comune con i giudici garantisce che operi con una mentalità non solo punitiva, ma anche garantista. Con la separazione delle carriere il PM potrebbe diventare più vicino alla polizia giudiziaria, adottando una logica più accusatoria che investigativa, il giudice potrebbe perdere la conoscenza approfondita del lavoro del PM, rendendo più difficile una valutazione equilibrata delle prove. E nel complesso, il sistema giudiziario potrebbe assumere un approccio più antagonistico, simile a quello anglosassone, dove accusa e difesa si fronteggiano in modo più conflittuale: nel Regno Unito e negli Stati Uniti, il pubblico ministero è un prosecutor, cioè un avvocato dell’accusa che agisce con una logica più orientata alla condanna, il giudice ha meno potere nelle indagini, poiché il PM lavora direttamente con la polizia, senza un forte controllo giurisdizionale. Questo ha portato a un sistema in cui la giustizia dipende molto dalle risorse economiche delle parti, poiché la difesa deve contrastare un’accusa più aggressiva.
La separazione delle carriere ridurrebbe il confronto interno tra giudici e PM, creando due sistemi separati che potrebbero sviluppare visioni opposte della giustizia: attualmente, giudici e PM lavorano nello stesso ambiente e si confrontano su questioni giuridiche complesse, con la separazione, questo dialogo potrebbe ridursi, portando a interpretazioni giuridiche meno flessibili. I giudici potrebbero diventare più burocratici e meno inclini a comprendere le esigenze delle indagini, mentre i PM potrebbero assumere una mentalità più orientata alla repressione.
Sicuramente, secondo gli esperti, uno degli effetti più preoccupanti della separazione delle carriere è che essa potrebbe rendere la giustizia più punitiva, specialmente per le fasce sociali più deboli. Nei paesi con magistrature separate il processo penale è più aggressivo e meno orientato alla ricerca della verità, i PM agiscono con una logica più repressiva, aumentando la pressione sulla difesa, che deve avere risorse economiche elevate per contrastare l’accusa, e questo porta a disparità di trattamento, con i cittadini più poveri che rischiano condanne più severe perché non possono permettersi una difesa adeguata. Infatti, in un paese come gli Stati Uniti, dove il PM è separato dai giudici, le statistiche mostrano che le condanne sono più alte per le fasce meno abbienti, a causa delle difficoltà di accesso a difensori di qualità, il 90% degli imputati accetta patteggiamenti sfavorevoli, per paura di una condanna pesante in tribunale.
Secondo L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e “ReggioToday”, l’unità culturale tra giudici e PM è una garanzia per il cittadino, poiché evita una giustizia “schierata” e mantiene l’equilibrio tra funzione inquirente e giudicante. Secondo “Good Morning Genova” e “Il Fatto Quotidiano”, la separazione delle carriere potrebbe portare a una giustizia più repressiva e meno equa, penalizzando soprattutto chi non può permettersi una difesa forte.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
05

Fine del rischio di commistione tra giudici e PM

FAVOREVOLE

Uno degli argomenti più discussi a favore della separazione delle carriere è la necessità di eliminare ogni possibile sovrapposizione di ruoli tra giudici e pubblici ministeri (PM). Attualmente, in Italia, entrambi appartengono alla stessa magistratura, condividono il concorso di accesso alla magistratura, seguono una formazione comune, frequentando la stessa Scuola Superiore della Magistratura, che decide sulle loro nomine e carriere, e possono, seppur con limitazioni introdotte dalla riforma Cartabia, passare da una funzione all’altra.
I sostenitori della riforma ritengono che questa prossimità culturale e professionale crei un rischio di condizionamento tra accusa e giudizio, minando la percezione di imparzialità della giustizia. Eliminando questa commistione, la riforma punta a garantire un sistema giudiziario più trasparente e imparziale. Uno degli aspetti fondamentali della giustizia è la percezione di imparzialità del giudice. Anche se un magistrato è oggettivamente imparziale, la sua vicinanza culturale e formativa al PM potrebbe creare nell’opinione pubblica il sospetto che giudici e PM siano “dalla stessa parte”.
Secondo uno studio dell’Unione delle Camere Penali riportato da “Il Dubbio” e “Sky TG24”, il 52% dei cittadini italiani ritiene che giudici e PM abbiano un legame troppo stretto, e il 43% ritiene che questa vicinanza influenzi i processi penali. L’obiettivo della riforma è quello di garantire un giudice realmente super partes, senza legami pregressi con l’accusa, evitando sospetti di favoritismi tra giudici e PM, migliorando la fiducia nel sistema giudiziario; e infine rafforzare la trasparenza, impedendo che i magistrati passino da una funzione all’altra nel corso della carriera
Il governo prevede un intervento strutturale per risolvere il problema della commistione tra giudici e PM. La riforma include concorsi distinti per giudici e pubblici ministeri, con percorsi formativi separati; due CSM distinti, uno per i giudici e uno per i PM, per evitare decisioni influenzate da una visione unitaria della magistratura; vietare il passaggio da PM a giudice e viceversa, per impedire possibili conflitti di ruolo. Il governo e l’Unione delle Camere Penali sostengono che eliminare questa possibilità aumenterebbe la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, garantendo una distinzione netta tra chi accusa e chi giudica. Secondo L’“Espresso”, la riforma ha lo scopo di creare due magistrature separate, evitando che un magistrato giudichi le richieste di un collega con cui ha condiviso anni di formazione e lavoro. Secondo “Città Nuova” e “Il Dubbio”, il numero di magistrati che ha effettuato il passaggio da PM a giudice è stato inferiore all’1% negli ultimi dieci anni, ma la possibilità d tale transizione mantiene il rischio di contaminazione culturale tra i due ruoli. Questa sovrapposizione di funzioni fa sì che, in molti tribunali, giudici e PM abbiano rapporti di colleganza consolidati, creando una percezione di alleanza tra accusa e giudizio che, secondo i sostenitori della riforma, può minare la fiducia dei cittadini nella terzietà del sistema giudiziario.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
06

Possibile incremento delle disuguaglianze nel processo penale

CONTRARIO

Uno degli aspetti più critici della riforma è che essa potrebbe spingere il PM a comportarsi come un avvocato dell’accusa, piuttosto che come un organo imparziale che ricerca la verità: attualmente, il PM ha l’obbligo di cercare anche le prove a favore dell’imputato, evitando un approccio meramente accusatorio, questo sistema è progettato per evitare ingiustizie e garantire che il processo sia basato sulla ricerca della verità, piuttosto che su una logica puramente punitiva. Con la separazione delle carriere se il PM diventasse più autonomo dai giudici, potrebbe adottare una mentalità più aggressiva, simile a quella dei prosecutor statunitensi, che hanno l’obiettivo primario di ottenere condanne, di conseguenza il processo penale potrebbe diventare più sbilanciato a favore dell’accusa, con un maggiore rischio di errori giudiziari. Uno dei principali vantaggi dell’attuale sistema italiano è che il pubblico ministero ha l’obbligo di perseguire tutti i reati di cui viene a conoscenza, senza possibilità di selezionare quali casi seguire e quali no. Con una separazione netta tra giudici e PM, il pubblico ministero potrebbe acquisire maggiore discrezionalità nella scelta delle indagini, favorendo alcuni tipi di reati rispetto ad altri. Questo potrebbe tradursi in una giustizia meno uniforme, con alcune categorie di imputati più tutelate di altre. Un’altra conseguenza della separazione delle carriere potrebbe essere un allungamento dei processi per chi non ha una difesa forte. Questo perché se il PM diventa più vicino alla polizia giudiziaria e più aggressivo nei processi, le difese più deboli potrebbero subire strategie dilatorie che aumentano la durata del procedimento, e tutto ciò potrebbe creare una giustizia a due velocità, dove chi ha un buon avvocato riesce a concludere rapidamente il processo, mentre chi ha meno risorse rischia di subire procedimenti più lunghi e complessi. Separare i ruoli in modo netto potrebbe spostare la magistratura verso un modello più repressivo, penalizzando chi non ha accesso a difese legali di alto livello.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
07

Migliore organizzazione della giustizia

FAVOREVOLE

Uno degli argomenti centrali a favore della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (PM) è che essa garantirebbe una migliore organizzazione della giustizia, rendendo il sistema più efficiente, trasparente e funzionale. Il principale problema dell’attuale sistema è che l’unità della magistratura complica la gestione delle funzioni e non consente di distinguere chiaramente i percorsi di carriera e le responsabilità di giudici e PM.
I principali problemi individuati dagli esperti sono: la formazione unificata, giudici e PM ricevono la stessa formazione iniziale, senza una specializzazione chiara nei rispettivi ruoli; percorsi di carriera sovrapposti, anche se la riforma Cartabia ha limitato i passaggi di ruolo, la possibilità di passare da PM a giudice (o viceversa) esiste ancora, generando confusione; difficoltà organizzative nei tribunali, la coesistenza di giudici e PM sotto lo stesso ordinamento rende più complessa la gestione amministrativa e la distribuzione delle risorse. Con la separazione delle carriere, il governo intende creare due percorsi professionali distinti, ognuno con una propria struttura di autogoverno, migliorando così la gestione interna del sistema giudiziario.
Un altro vantaggio della separazione delle carriere è che consentirebbe una specializzazione più chiara per giudici e PM, con percorsi formativi e di carriera separati. Attualmente, tutti i magistrati italiani vengono selezionati con lo stesso concorso e ricevono una formazione comune nei primi anni della carriera. Questo sistema, secondo i sostenitori della riforma, non tiene conto delle profonde differenze tra il ruolo di un giudice e quello di un PM, di conseguenza la specializzazione separata tra giudici e PM migliorerebbe l’efficienza del sistema, garantendo che ognuno abbia una formazione mirata per il proprio ruolo.
uno dei punti chiave della riforma è la separazione del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) in due organi distinti: un CSM per i giudici, responsabile della loro gestione e del rispetto della loro indipendenza, e un CSM per i PM, che si occupi della selezione e della carriera dei magistrati requirenti. Ad oggi, il CSM è unico, e le decisioni sulle carriere e sulle sanzioni disciplinari riguardano sia i giudici che i PM. Questo crea problemi organizzativi e conflitti di interesse, poiché i membri del CSM devono gestire le carriere di due ruoli molto diversi tra loro. Uno degli obiettivi principali della riforma è ridurre i tempi della giustizia, che in Italia sono tra i più lunghi in Europa: l’Italia ha una durata media dei processi penali di oltre 900 giorni, contro la media europea di circa 400 giorni; il 35% dei procedimenti penali si prescrive prima della sentenza definitiva, causando un enorme spreco di risorse.
Secondo L’“Espresso” e “Sky TG24”, una magistratura con funzioni nettamente separate consentirebbe di migliorare la gestione interna del sistema giudiziario e di ridurre eventuali ambiguità nel passaggio da una funzione all’altra.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

 
08

Il problema della giustizia non è la separazione delle carriere

CONTRARIO

Uno degli argomenti principali contro la separazione delle carriere è che essa non risolve i problemi strutturali della giustizia italiana, ma rischia di distogliere l’attenzione dalle vere cause delle inefficienze del sistema. Secondo “Il Fatto Quotidiano” e “Domani”, il dibattito sulla separazione delle carriere è spesso strumentalizzato politicamente, mentre le vere criticità della giustizia italiana riguardano i tempi eccessivamente lunghi dei processi, il sottodimensionamento del personale giudiziario, la scarsa digitalizzazione e inefficienza amministrativa e anche il sovraccarico di cause civili e penali. La riforma proposta dal governo non affronta nessuno di questi problemi, e potrebbe anzi aggravarli creando divisioni interne alla magistratura e rendendo la gestione dei tribunali più complessa.
Uno dei problemi più gravi della giustizia italiana è la durata eccessiva dei processi, in Italia un processo penale dura in media oltre 900 giorni, rispetto ai 400 giorni della media europea; il 35% dei processi penali si prescrive prima della sentenza definitiva, causando un enorme spreco di risorse giudiziarie. La giustizia civile è altrettanto lenta: una causa può durare fino a 10 anni prima di arrivare a una decisione definitiva.
La separazione delle carriere non risolve questo problema perché la lentezza della giustizia non dipende dalla struttura della magistratura, ma da una carenza cronica di magistrati e personale amministrativo. Separare le carriere significa creare due sistemi separati, con nuove regole e organi di gestione, che potrebbero complicare ulteriormente il funzionamento dei tribunali. Il problema principale resta l’enorme arretrato giudiziario, che non verrebbe ridotto dalla separazione tra giudici e PM.
Creare due carriere separate significa aumentare la burocrazia, senza risolvere il problema della carenza di magistrati e personale di supporto. Il governo dovrebbe invece investire in nuove assunzioni, per ridurre il carico di lavoro e migliorare la produttività della magistratura.
La riforma proposta non incide sulla gestione amministrativa della giustizia, che rimane inefficiente a causa della scarsa informatizzazione e della lentezza della burocrazia, il processo civile telematico (PCT) è stato introdotto, ma funziona ancora a macchia di leopardo, con tribunali che operano ancora in modalità cartacea. L’attenzione dovrebbe essere rivolta all’implementazione di tecnologie digitali che permettano di accelerare i processi e ridurre il carico di lavoro dei tribunali.
Il sistema giudiziario è ingolfato da norme procedurali obsolete, che rallentano i processi e complicano il lavoro dei magistrati. In Italia il numero di procedimenti pendenti è tra i più alti d’Europa, con circa 3 milioni di cause civili arretrate e oltre 1 milione di processi penali in attesa di giudizio. In più, la maggior parte dei processi penali riguarda reati di minore gravità, che potrebbero essere risolti con procedure alternative, alleggerendo il carico dei tribunali.
Il governo dovrebbe semplificare le procedure penali, ridurre il numero di reati punibili con il processo e incentivare forme di giustizia alternativa (mediazione, arbitrato, patteggiamenti), la separazione delle carriere non incide sulla mole di lavoro dei tribunali, e potrebbe anzi renderla più difficile da gestire.
I problemi principali della giustizia italiana sono dunque i tempi lunghi dei processi, la carenza di magistrati e l’inefficienza amministrativa. Separare le carriere non risolverebbe questi problemi, ma rischierebbe di distogliere l’attenzione dalle vere criticità.

Francesca D'Agnese, 17 marzo 2025

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