Veganismo
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Negli ultimi anni, il veganismo si è affermato come una delle tendenze alimentari più influenti, capace di ridefinire non solo il modo in cui le persone si nutrono, ma anche le politiche ambientali, economiche e sanitarie. Da una parte, vi sono evidenze scientifiche che ne sostengono i benefici per la salute e l’ambiente, oltre a un impatto economico in crescita. Dall’altra, emergono preoccupazioni legate ai rischi nutrizionali, alla reale sostenibilità della produzione su larga scala di alimenti plant-based e alle ripercussioni socioeconomiche di un eventuale abbandono dell’allevamento tradizionale.
Il veganismo è una scelta complessa che offre benefici significativi, ma anche sfide concrete. Forse la soluzione più realistica non è un passaggio radicale al veganismo, ma una riduzione graduale del consumo di carne e latticini, promuovendo un’alimentazione più equilibrata e sostenibile.

IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
La dieta occidentale, ricca di grassi saturi e zuccheri raffinati, è un fattore di rischio per molte malattie croniche. Il veganismo si è affermato come un’alternativa salutare.
Il veganismo può portare carenze nutrizionali. Eliminare i prodotti animali rende necessario trovare fonti alternative per alcuni nutrienti. Può portare conseguenze neurologiche, muscolari e sul sistema immunitario.
La dieta vegana è vista come una soluzione efficace per ridurre l’inquinamento globale e gestire le risorse naturali in modo più sostenibile.
Non tutti i prodotti vegetali sono realmente sostenibili. La produzione su larga scala di alimenti plant-based presenta criticità ambientali, tra cui monocolture , deforestazione, consumo idrico.
La crescente domanda di prodotti vegani ha spinto l’industria alimentare a investire in alternative vegetali, guidata da motivazioni etiche, ambientali e salutistiche.
Il settore plant-based sta crescendo rapidamente. Emergono dubbi sulle ripercussioni per milioni di lavoratori nel settore agroalimentare e sull’accessibilità economica dei prodotti vegani.
Il veganismo è un alleato della salute
Negli ultimi decenni, la ricerca ha evidenziato il legame tra alimentazione e salute, mostrando come la dieta occidentale, ricca di grassi saturi e zuccheri raffinati, sia un fattore di rischio per molte malattie croniche. In questo contesto, il veganismo si è affermato come un’alternativa salutare, supportata da studi che ne dimostrano i benefici per il sistema cardiovascolare, il metabolismo e la longevità.
Uno degli effetti più documentati riguarda la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, principale causa di morte a livello globale. Una ricerca pubblicata su MDPI (2025) ha rilevato che chi segue una dieta vegana ha un rischio inferiore del 24% di sviluppare patologie cardiache rispetto agli onnivori, grazie alla minore assunzione di grassi saturi, noti per aumentare il colesterolo LDL. L’Università di Harvard ha confermato che i vegani hanno livelli di LDL inferiori del 30%, riducendo significativamente il rischio di infarti e ictus.
Il veganismo è associato anche a un miglior controllo del peso e del metabolismo. Secondo la British Dietetic Association (2025), chi segue una dieta vegetale ha un BMI inferiore di 2-3 punti rispetto agli onnivori. L’alto contenuto di fibre e l’assenza di carni lavorate favoriscono il senso di sazietà, riducendo il rischio di obesità. Uno studio dell’“American Journal of Clinical Nutrition” ha seguito 10.000 persone per cinque anni, scoprendo che i vegani avevano in media un peso inferiore di 4,3 kg rispetto agli onnivori.
La dieta vegana è associata anche a una minore incidenza del diabete di tipo 2. Il Diabetes Prevention Program Research Group ha osservato che i vegani hanno una maggiore sensibilità all’insulina e un rischio ridotto del 50% di sviluppare il diabete. Questo effetto è legato all’elevato consumo di fibre, che regolano i livelli glicemici e riducono l’infiammazione. Inoltre, l’assenza di grassi trans e l’alto contenuto di acidi grassi insaturi aiutano a migliorare il metabolismo degli zuccheri.
Anche la salute intestinale trae beneficio dal veganismo. Secondo “Nature Reviews Gastroenterology”, chi segue questa dieta presenta una maggiore diversità batterica nel microbiota intestinale, con un aumento di batteri produttori di acidi grassi a catena corta, noti per le loro proprietà antinfiammatorie e protettive contro il cancro al colon.
Numerosi studi indicano anche una correlazione tra dieta vegana e minore incidenza di tumori. L’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha classificato il consumo eccessivo di carne rossa e lavorata come “probabile cancerogeno”, mentre il consumo di frutta e verdura è associato a un minor rischio di tumori gastrointestinali.
La longevità è un altro aspetto legato alla dieta vegana. Uno studio della University of California, pubblicato su “Aging Cell”, ha evidenziato che i vegani hanno un’attività telomerasica più alta, suggerendo effetti anti-aging. L’Adventist Health Study-2, che ha monitorato 96.000 persone per oltre vent’anni, ha rilevato che i vegani vivono 3-6 anni in più rispetto agli onnivori e presentano un tasso di mortalità inferiore per malattie degenerative.
Tuttavia, è essenziale pianificare attentamente questa dieta per evitare carenze nutrizionali. La vitamina B12, presente solo in alimenti animali, è fondamentale per il sistema nervoso e la produzione dei globuli rossi. Secondo la British Dietetic Association, i vegani devono assumere alimenti fortificati o integratori per evitare deficit.
Il veganismo non è solo una scelta etica e ambientale, ma anche un’opzione alimentare con comprovati benefici per la salute. La riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, diabete e cancro, insieme a un miglior controllo del peso e della salute intestinale, dimostra che questa dieta può essere un potente strumento di prevenzione. Tuttavia, come qualsiasi regime alimentare, richiede consapevolezza e una corretta pianificazione per garantire un apporto nutrizionale equilibrato.
Nina Celli, 15 marzo 2025
Il veganesimo porta carenze nutrizionali e rischi per la salute
Sebbene il veganismo offra benefici per la salute, una delle principali critiche riguarda il rischio di carenze nutrizionali. Eliminare completamente i prodotti animali rende necessario trovare fonti alternative di vitamina B12, ferro, zinco, calcio, omega-3 e proteine complete. Se non ben pianificata, una dieta vegana può portare a deficit con conseguenze su sviluppo neurologico, funzione muscolare, metabolismo e sistema immunitario.
La vitamina B12 è tra i nutrienti più critici, essenziale per la produzione dei globuli rossi e la funzione nervosa. Si trova quasi esclusivamente in carne, pesce, latticini e uova. Secondo “MDPI” (2025), fino al 55% dei vegani presenta carenze di B12, con un maggior rischio di anemia, affaticamento e danni neurologici irreversibili. L’American Journal of Clinical Nutrition riporta che i vegani hanno livelli elevati di omocisteina, biomarcatore associato a malattie cardiovascolari. Per prevenire carenze, sono necessarie integrazioni o cibi fortificati, ma questo solleva interrogativi sulla naturalezza della dieta vegana.
Anche il ferro, essenziale per l’emoglobina, è meno biodisponibile nelle fonti vegetali. Uno studio dell’European Journal of Clinical Nutrition (2024) ha rilevato che i vegani hanno livelli di ferritina inferiori del 35% rispetto agli onnivori, aumentando il rischio di anemia sideropenica, soprattutto per le donne in età fertile.
Il calcio, fondamentale per la salute ossea, è meno assimilabile nei vegetali a causa della presenza di ossalati e fitati, che ne limitano l’assorbimento. Secondo il Journal of Bone and Mineral Research (2025), i vegani hanno una densità ossea inferiore del 4-6% e un rischio maggiore di fratture, specialmente nelle donne in menopausa. La vitamina D, presente in pesce e latticini, è un altro nutriente critico, e i vegani devono esporsi adeguatamente alla luce solare o assumere integratori.
Gli omega-3, essenziali per la salute cerebrale e cardiovascolare, sono prevalentemente presenti in pesci grassi. Le fonti vegetali forniscono ALA, che il corpo converte inefficientemente in EPA e DHA. Nutrition Reviews (2024) evidenzia che i vegani hanno livelli di DHA inferiori del 60%, con possibili ripercussioni su memoria e salute neurologica. L’integrazione con olio di alghe può ovviare a questa carenza, ma i costi e la disponibilità rappresentano una sfida.
Le proteine vegetali sono meno complete rispetto a quelle animali, mancando di alcuni aminoacidi essenziali. La FAO (2025) riporta che il valore biologico medio delle proteine vegetali è inferiore del 25%, il che richiede ai vegani un maggiore consumo proteico per ottenere gli stessi benefici fisiologici. Ciò è particolarmente rilevante per atleti e anziani, che necessitano di un apporto proteico adeguato per mantenere la massa muscolare.
Dal punto di vista digestivo, l’alto consumo di fibre nei vegani favorisce la salute intestinale, ma può causare disturbi gastrointestinali. Secondo l’American Gastroenterological Association (2025), il 20% dei vegani soffre di disturbi intestinali cronici, come gonfiore e crampi, a causa dell’elevato consumo di FODMAPs presenti nei legumi e nei cereali integrali.
L’impatto della dieta vegana sulla crescita infantile è un altro punto critico. La British Dietetic Association (2025) sottolinea che una dieta vegana ben pianificata può essere adeguata, ma richiede monitoraggio costante. Uno studio pubblicato su “Pediatrics” (2024) ha rilevato che i bambini vegani hanno un’altezza inferiore di 1,2 cm rispetto agli onnivori e una massa muscolare ridotta, segno che la crescita potrebbe essere influenzata da un’insufficiente assunzione di nutrienti essenziali.
Infine, l’alimentazione vegana può portare a un eccessivo consumo di alimenti ultra-processati, come burger vegetali e latte fortificato. Il “Pittsburgh Post-Gazette” (2025) ha evidenziato che il 40% degli alimenti vegani venduti nei supermercati contiene alte quantità di zuccheri, sale e grassi idrogenati, aumentando il rischio di diabete e malattie cardiovascolari.
Il veganismo presenta benefici per la salute, ma comporta anche rischi nutrizionali concreti. Sebbene la pianificazione attenta e l’integrazione possano ridurre alcuni problemi, la necessità di monitorare costantemente alcuni nutrienti solleva dubbi sulla sostenibilità biologica di una dieta completamente vegetale.
Nina Celli, 15 marzo 2025
Il veganismo riduce l’impatto ambientale
Negli ultimi anni, l’emergenza climatica ha portato a una crescente attenzione sull’impatto ambientale dell’alimentazione, con l’allevamento intensivo tra le principali cause di deforestazione, spreco di risorse idriche, emissioni di gas serra e perdita di biodiversità. La dieta vegana è vista come una soluzione efficace per ridurre l’inquinamento globale e gestire le risorse naturali in modo più sostenibile.
Uno dei problemi ambientali più rilevanti legati alla produzione di carne è l’elevata emissione di gas serra. Secondo un rapporto pubblicato su “Newsweek” (2025), il settore della zootecnia è responsabile del 14,5% delle emissioni globali di gas serra, un valore comparabile a quello dell’intero settore dei trasporti. Gli allevamenti di bovini producono grandi quantità di metano (CH₄), un gas serra 28 volte più potente della CO₂ nel trattenere il calore nell’atmosfera. Le emissioni di metano derivanti dagli allevamenti rappresentano il 37% del totale mondiale. Secondo il Plant-Based Treaty (2024), un passaggio globale al veganismo potrebbe ridurre del 49% le emissioni alimentari, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
L’allevamento è anche una delle principali cause di deforestazione e perdita di biodiversità. Il World Resources Institute riporta che ogni anno vengono distrutti 6,7 milioni di ettari di foresta tropicale per creare pascoli o coltivare soia destinata all’alimentazione animale. In Amazzonia, l’80% della superficie disboscata è utilizzata per il bestiame. Poiché le foreste assorbono CO₂ e regolano il clima, la loro distruzione accelera il riscaldamento globale.
Un altro fattore critico è il consumo d’acqua. Per produrre 1 kg di manzo servono fino a 15.400 litri d’acqua, mentre per 1 kg di lenticchie ne bastano 1.250. Il Water Footprint Network stima che l’allevamento consumi il 27% delle risorse idriche globali, aggravando la scarsità d’acqua. Anche l’uso del suolo è inefficiente: secondo il Plant-Based Treaty, l’83% dei terreni agricoli è destinato alla produzione di carne e latticini, ma questi alimenti forniscono solo il 18% delle calorie globali. Se la produzione animale fosse ridotta, vaste aree potrebbero essere destinate a coltivazioni più efficienti o alla riforestazione.
L’adozione di una dieta vegana potrebbe inoltre contribuire a combattere la fame nel mondo. La FAO (2025) stima che il 36% dei cereali prodotti globalmente venga destinato al bestiame, anziché al consumo umano. Se queste colture fossero usate per l’alimentazione diretta, potrebbero nutrire circa 3,5 miliardi di persone in più.
L’allevamento industriale è anche una delle principali fonti di inquinamento idrico. I rifiuti organici prodotti dagli allevamenti finiscono spesso nei fiumi e negli oceani, provocando eutrofizzazione e la formazione di “zone morte” marine prive di ossigeno. Nel Golfo del Messico, ad esempio, una delle più grandi zone morte è causata dal deflusso di fertilizzanti e rifiuti degli allevamenti industriali negli Stati Uniti.
Il cambiamento verso un’alimentazione più sostenibile è già in atto. Il Plant-Based Treaty (2024) ha riportato che Amsterdam ha avviato una riduzione del 60% del consumo di proteine animali entro il 2030, con incentivi economici per i cibi vegetali. Anche il settore privato sta investendo nelle alternative alla carne: aziende come Impossible Foods e Beyond Meat stanno sviluppando prodotti plant-based che imitano il sapore e la consistenza della carne con un impatto ambientale minore. Secondo “WICZ News” (2025), il mercato globale delle proteine vegetali ha raggiunto un valore di 14,23 miliardi di dollari e continuerà a crescere del 5,4% annuo fino al 2033.
Nonostante questi dati favorevoli, alcuni studiosi sottolineano che il veganismo non è privo di impatti ambientali. La coltivazione intensiva di alcuni alimenti vegani, come soia, avocado e mandorle, sta generando problemi ecologici. Il Water Footprint Network ha evidenziato che per produrre 1 litro di latte di mandorla sono necessari 6.000 litri d’acqua, contribuendo alla siccità in California. Tuttavia, è importante considerare che il 77% della soia mondiale viene utilizzata per nutrire gli animali da allevamento, e solo una minima parte è destinata al consumo umano.
Ridurre il consumo di carne e latticini a favore di un’alimentazione plant-based è una delle strategie più efficaci per contrastare il cambiamento climatico e ridurre lo spreco di risorse naturali. L’evidenza scientifica mostra che questa transizione potrebbe portare a una drastica riduzione delle emissioni di gas serra, del consumo d’acqua e dell’uso del suolo agricolo, garantendo al contempo maggiore sicurezza alimentare. Sebbene una transizione completa al veganismo possa non essere immediata, il futuro dell’alimentazione sembra sempre più orientato verso una riduzione della dipendenza dai prodotti di origine animale.
Nina Celli, 15 marzo 2025
Dubbi sulla reale sostenibilità ambientale del veganismo
Il veganismo è spesso considerato una scelta ecologica, ma non tutti i prodotti vegetali sono realmente sostenibili. La produzione su larga scala di alimenti plant-based presenta criticità ambientali, tra cui monocolture intensive, deforestazione, consumo idrico e trasporti globali.
Uno dei problemi più rilevanti riguarda la coltivazione della soia, tra le principali fonti proteiche per i vegani. Secondo la FAO (2025), il 77% della soia mondiale è destinato al bestiame, ma la crescente domanda per il consumo umano ha portato a un aumento della deforestazione in Brasile, Argentina e Paraguay. Negli ultimi cinque anni, la deforestazione dell’Amazzonia è aumentata del 21%, soprattutto per la produzione di soia e olio di palma, largamente utilizzati negli alimenti vegani.
Anche la produzione di avocado, molto apprezzati nelle diete plant-based, ha un forte impatto ambientale. In Messico e Cile, la coltivazione intensiva sta contribuendo alla desertificazione e alla scarsità d’acqua. Secondo “Nature Sustainability” (2024), servono 2.000 litri d’acqua per produrre 1 kg di avocado, un consumo paragonabile a quello della carne bovina. Inoltre, la crescente domanda ha favorito il coinvolgimento della criminalità organizzata nella gestione delle piantagioni.
Il latte vegetale non è esente da problemi. Il latte di mandorla, tra le alternative più diffuse, richiede 6.000 litri d’acqua per litro prodotto, aggravando la crisi idrica in California, che fornisce l’80% della produzione globale di mandorle (Water Footprint Network, 2024).
Un’altra criticità riguarda i processi industriali e le emissioni di CO₂. La produzione di carne vegetale altamente lavorata, come il Beyond Burger, utilizza tecnologie avanzate che consumano molta energia. Secondo il “Journal of Cleaner Production” (2025), alcuni hamburger vegani producono emissioni di CO₂ comparabili a quelle della carne tradizionale, considerando il trasporto e la lavorazione delle materie prime.
L’impatto ambientale del trasporto globale è un altro fattore critico. Molti alimenti chiave per la dieta vegana, come quinoa, anacardi e banane, provengono da Sud America, Africa e Asia, aumentando le emissioni di CO₂. Secondo il Plant-Based Hub (2025), il trasporto di alcuni prodotti vegani genera emissioni fino a 15 volte superiori rispetto a quelle dei prodotti animali locali. Ad esempio, 1 kg di quinoa importata dal Perù produce 5,5 kg di CO₂, contro i 4,2 kg della carne di pollo locale.
Dal punto di vista della biodiversità, le monocolture necessarie per soddisfare la domanda plant-based hanno conseguenze negative. La coltivazione intensiva di soia e mais è spesso associata a un uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici, che contaminano il suolo e le falde acquifere, riducendo la diversità genetica delle colture e aumentando la vulnerabilità agli eventi climatici estremi.
Lo spreco alimentare è un altro problema sottovalutato. A causa degli standard estetici della grande distribuzione, circa il 30% della frutta e verdura prodotta per i mercati occidentali non viene mai consumata (Organizzazione Mondiale del Commercio, 2025). Questo vanifica parte dei benefici ambientali legati alla dieta vegana.
Dal punto di vista socioeconomico, un passaggio totale al veganismo potrebbe avere conseguenze devastanti per molte economie rurali. Secondo la FAO (2025), oltre 1,3 miliardi di persone dipendono dall’allevamento per il loro sostentamento. La riduzione del consumo di carne potrebbe distruggere interi settori economici, penalizzando le comunità agricole nei paesi in via di sviluppo.
Sebbene il veganismo riduca alcuni problemi ambientali legati all’allevamento, non è privo di impatti negativi. La crescente domanda di prodotti plant-based sta contribuendo a deforestazione, consumo eccessivo di acqua e aumento dell’inquinamento da trasporto e lavorazione industriale.
Una soluzione più equilibrata potrebbe essere ridurre il consumo di carne senza eliminarlo del tutto, promuovendo al contempo agricoltura rigenerativa e allevamento sostenibile. Adottare una dieta basata su prodotti locali e stagionali potrebbe offrire benefici ambientali e sociali più concreti rispetto a una transizione totale al veganismo.
Nina Celli, 15 marzo 2025
Il mercato vegano sta crescendo economicamente
Il veganismo, da scelta alimentare di nicchia, si è trasformato in un fenomeno economico globale. La crescente domanda di prodotti vegani ha spinto l’industria alimentare a investire in alternative vegetali, guidata da motivazioni etiche, ambientali e salutistiche. Questo trend ha innescato una trasformazione strutturale del mercato, creando nuove opportunità di business, innovazione e occupazione.
Secondo “WICZ News” (2025), il mercato globale dei prodotti vegani ha raggiunto i 14,23 miliardi di dollari nel 2024, con una crescita annua prevista del 5,4% fino al 2033. Il settore delle proteine alternative, che comprende carne vegetale, latte e formaggi plant-based, è tra i più dinamici. Il successo di aziende come Beyond Meat e Impossible Foods dimostra che il plant-based non è una moda passeggera, ma una rivoluzione dell’industria alimentare.
Le alternative alla carne sono in rapida espansione. Secondo il Good Food Institute Europe (2025), le vendite di carne vegetale sono aumentate del 42% negli ultimi cinque anni, grazie a prodotti sempre più simili alla carne tradizionale in gusto e consistenza. Giganti come Nestlé, Unilever e Barilla stanno investendo miliardi di euro in ricerca per creare alternative competitive.
Il latte vegetale è un altro settore in crescita. Secondo la FAO (2024), le vendite hanno superato il 15% del mercato globale dei latticini, con latte d’avena e di mandorla tra i preferiti. In Italia, “Il Sole 24 Ore” (2025) riporta un aumento del 35% del consumo di latte vegetale negli ultimi tre anni, a scapito del latte vaccino. Anche il settore caseario tradizionale si sta adattando, con l’introduzione di nuove linee di formaggi plant-based.
Il fast food e la ristorazione stanno rispondendo alla crescente domanda. McDonald's ha lanciato il McPlant, Burger King ha registrato un aumento del 30% delle vendite nei ristoranti con il Whopper vegetale, mentre catene italiane come Pizzium e Berberè hanno inserito opzioni vegane nei loro menu.
L’innovazione tecnologica sta giocando un ruolo chiave nella crescita del settore. Startup come Beyond Meat e Impossible Foods hanno raccolto milioni di dollari per sviluppare alternative sempre più avanzate, utilizzando tecnologie come la fermentazione di precisione per replicare la struttura della carne senza prodotti animali. In Italia, il Plant-Based Hub, nato dalla collaborazione tra Università di Milano-Bicocca e il Good Food Institute Europe, sta studiando nuove fonti proteiche, con 500 brevetti registrati nel 2024.
Il boom del veganismo ha avuto un impatto positivo anche sull’occupazione. Secondo la European Plant-Based Food Association (2025), negli ultimi cinque anni il settore ha creato 120.000 nuovi posti di lavoro in Europa, con una crescita prevista di 50.000 occupati entro il 2030.
Nonostante l’espansione, il mercato plant-based deve affrontare alcune sfide. Il costo elevato di molti prodotti rispetto alle loro controparti tradizionali è ancora un ostacolo, anche se il divario si sta riducendo grazie alla produzione su larga scala. Il gusto e la texture di alcuni alimenti devono ancora migliorare per conquistare definitivamente i consumatori onnivori.
Anche la regolamentazione rappresenta un problema. In Francia, una legge del 2023 vieta l’uso di termini come “bistecca” per prodotti a base vegetale, mentre in Italia alcune associazioni agricole chiedono regole più restrittive sulle etichette plant-based.
Nonostante queste difficoltà, l’industria alimentare sembra destinata a ridurre progressivamente la dipendenza dai prodotti di origine animale. L’aumento della consapevolezza ambientale, l’innovazione tecnologica e il cambiamento delle abitudini alimentari stanno rendendo le alternative vegetali sempre più accessibili e competitive.
Il settore plant-based non è più una nicchia, ma una delle industrie in più rapida crescita. Il boom delle alternative alla carne e ai latticini, unito agli investimenti miliardari delle aziende alimentari, dimostra che il veganismo è destinato a diventare una parte fondamentale del sistema alimentare futuro. Se le sfide legate ai costi e alla regolamentazione saranno superate, il mercato vegano potrebbe rappresentare una delle più grandi opportunità economiche dei prossimi decenni.
Nina Celli, 15 marzo 2025
La transizione verso un’alimentazione vegana può avere impatti economici e sociali
Il veganismo solleva questioni economiche e sociali cruciali, soprattutto per le conseguenze di una transizione su larga scala verso un’alimentazione completamente vegetale. Se da un lato il settore plant-based sta crescendo rapidamente, dall’altro emergono dubbi sulle ripercussioni per milioni di lavoratori nel settore agroalimentare, sull’accessibilità economica dei prodotti vegani e sulle implicazioni culturali di questa dieta.
Uno degli aspetti più rilevanti è l’impatto sulla filiera agroalimentare. Secondo la FAO (2025), l’allevamento impiega 1,3 miliardi di persone nel mondo, di cui 600 milioni in piccole aziende agricole nei paesi in via di sviluppo. Per molte comunità, l’allevamento non è solo una fonte di reddito, ma anche di sicurezza alimentare. La carne, il latte e le uova forniscono nutrienti essenziali difficili da sostituire con un’alimentazione completamente vegetale.
Un passaggio radicale al veganismo potrebbe causare gravi danni economici. Settori chiave come l’industria della carne e dei latticini, pilastri delle economie di Argentina, Brasile, Stati Uniti e Australia, vedrebbero la perdita di milioni di posti di lavoro. In Europa, la filiera della carne genera 200 miliardi di euro all’anno e impiega 4 milioni di persone tra agricoltori, macellai e ristoratori. In Italia, il comparto zootecnico vale 30 miliardi di euro, rappresentando il 20% dell’agricoltura nazionale (Coldiretti, 2025). La diminuzione della domanda di prodotti animali potrebbe penalizzare migliaia di aziende agricole, favorendo le multinazionali del plant-based.
Un altro problema è l’accessibilità economica degli alimenti vegani. Se è vero che legumi e cereali sono più economici della carne, molti sostituti vegetali – come hamburger plant-based, latte di mandorla e formaggi vegani – hanno costi più elevati. Secondo il Consumer Reports (2025), un hamburger vegano costa il 37% in più rispetto a uno tradizionale, mentre il latte vegetale è più caro del 50% rispetto al latte vaccino. Nei paesi in via di sviluppo, dove 820 milioni di persone soffrono di malnutrizione cronica (World Bank, 2024), il veganismo potrebbe non essere una scelta praticabile senza interventi strutturali per rendere gli alimenti vegetali accessibili.
Le implicazioni culturali del veganismo rappresentano un’altra sfida. In molte parti del mondo, carne e latticini sono parte integrante delle tradizioni alimentari. In Italia, Francia e Spagna, il formaggio e i salumi sono considerati simboli della cultura gastronomica, mentre in Asia il pesce è essenziale per molte diete millenarie.
Nelle culture indigene, la caccia e l’allevamento hanno anche un valore spirituale e comunitario. Imporre un modello alimentare vegano potrebbe essere percepito come colonialismo culturale, ignorando il diritto delle popolazioni a mantenere il proprio stile di vita. Anche in Occidente, il veganismo ha generato divisioni sociali e politiche, con proteste tra attivisti e allevatori. In Francia, nel 2024, agricoltori hanno manifestato contro le nuove politiche a favore delle alternative vegetali, denunciando il rischio di un collasso economico per le piccole aziende.
Dal punto di vista della sicurezza alimentare globale, una drastica riduzione della produzione di carne e latticini potrebbe alterare il mercato agricolo, facendo aumentare il costo di alcune materie prime. Se la domanda di prodotti vegetali aumentasse improvvisamente, i prezzi potrebbero salire al punto da rendere impossibile l’accesso a questi alimenti per alcune popolazioni vulnerabili.
Un’altra criticità riguarda il controllo del mercato da parte delle multinazionali. Le grandi aziende del food-tech stanno dominando il settore delle proteine alternative, con investimenti miliardari in carne coltivata e proteine vegetali brevettate. Il rischio è che il futuro dell’alimentazione vegana venga monopolizzato da pochi colossi industriali, con potenziali speculazioni sui prezzi e una dipendenza economica sempre maggiore.
La transizione verso una dieta più sostenibile è un obiettivo importante, ma un mondo interamente vegano potrebbe causare perdite di posti di lavoro, crisi economiche nei settori agricoli e alimentari, problemi di accessibilità e impatti culturali rilevanti. Inoltre, la crescente influenza delle multinazionali del plant-based solleva dubbi sulla reale equità di questo modello alimentare.
Piuttosto che promuovere un cambiamento radicale, una soluzione più sostenibile potrebbe essere ridurre gradualmente il consumo di carne, promuovendo pratiche di agricoltura rigenerativa e allevamento sostenibile, garantendo un equilibrio tra produzione vegetale e animale. Questo approccio potrebbe offrire vantaggi ambientali e sociali, senza gli impatti negativi di una transizione totale al veganismo.
Nina Celli, 15 marzo 2025