Non furono le BR a decidere la sorte di Aldo Moro
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il sequestro dell’on. Aldo Moro avvenne il 16 marzo 1978 a Roma, durante un periodo turbolento della storia italiana, conosciuto come "Anni di Piombo". Aldo Moro, uno degli uomini politici più influenti dell'Italia del dopoguerra e presidente della Democrazia Cristiana, fu rapito da un gruppo di terroristi delle Brigate Rosse.
Il suo sequestro ebbe conseguenze politiche, sociali e culturali durature sull'Italia. Fece emergere la violenza politica perpetrata dai gruppi di estrema sinistra come le Brigate Rosse, che cercavano di destabilizzare lo Stato italiano attraverso azioni violente. Portò a una riflessione profonda sull'efficacia delle politiche di contrasto al terrorismo e sulla sicurezza nazionale. Le indagini rivelarono connessioni tra i sequestratori e alcuni settori della società italiana, aprendo il dibattito su presunte collusioni tra politica, servizi segreti e organizzazioni criminali.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Ci fu una convergenza di interessi nazionali e internazionali volti a mantenere gli equilibri della Guerra fredda. La figura di Moro destabilizzava tali equilibri.
Non ci sono prove sufficienti per determinare se le Brigate Rosse siano state utilizzate come strumento dai servizi segreti per uccidere Moro.
Mentre persistono lacune e contraddizioni nella narrazione del caso, è importante riconoscere che la verità su molte sfaccettature dell’evento è meno oscura di quanto si pensi.
Sia la Commissione Parlamentare che il procuratore della Repubblica di Roma, Ciampoli, hanno evidenziato la presenza di uomini della Banda della Magliana in via Fani.
La versione ufficiale è il risultato di un accordo tra lo Stato e le Brigate Rosse, tra la Democrazia Cristiana e tutti i brigatisti, senza alcuna distinzione.
Non esiste una verità ufficiale monolitica. I partecipanti al sequestro hanno fornito le loro versioni dei fatti attraverso libri, interviste e in sede processuale.
Le ingerenze internazionali nella vicenda Moro sono accertate
L'operazione Moro rappresentò un momento cruciale nella storia italiana, dove si osservò una convergenza di interessi sia a livello internazionale che nazionale. Sul piano internazionale, il blocco orientale e quello occidentale condividevano l'interesse a mantenere l'equilibrio della Guerra fredda stabilito a Yalta, che non permetteva cambiamenti radicali. A livello nazionale, si crearono alleanze tra un fronte reazionario legato all'oltranzismo atlantico, alla destra anticomunista e a ambienti massonici vicini alla P2, e i gruppi rivoluzionari del "partito armato". Queste forze, sebbene operassero autonomamente, condividevano una matrice sovversiva comune. L'obiettivo principale era destabilizzare l'Italia per stabilizzarla in senso centrista e moderato, prevenendo qualsiasi cambiamento significativo nell'ordine politico. L'operazione Moro, culminata nel rapimento e nell'assassinio di Aldo Moro, è considerato il momento più drammatico della strategia della tensione in Italia, rappresentando l'apice degli scontri tra queste forze contrapposte (Miguel Gotor, Mirandola, 7/10 Giugno 2018 / L'unica verità del sequestro Moro, “doppiozero.com”, 7 giugno 2018).
Il ruolo della P2 ai vertici dei servizi segreti italiani rappresenta un elemento inquietante, ma non consente di individuare automaticamente i mandanti dell'assassinio di Aldo Moro. È probabile che i servizi segreti di diversi Paesi abbiano avuto un ruolo nella vicenda, e in alcuni casi ci sono anche prove documentarie a supporto di questa ipotesi. Tuttavia, queste prove non sono sufficienti per determinare se le Brigate Rosse siano state utilizzate come strumento dai servizi segreti per uccidere Moro o per impedirne la liberazione, né attraverso quali contatti o modalità ciò possa essere avvenuto. È certo che la classe politica non è riuscita a salvare Moro, ma questo non implica necessariamente che non ci siano stati tentativi di salvarlo né che i partiti abbiano deliberatamente voluto la sua morte (Diego Gabutti, Dietro l'assassinio di Moro c'era un complotto internazionale? C'è chi lo dice e c'è chi lo nega. Nonostante i tanti libri sul tema, “italiaoggi.it”, 20 giugno 2018).
La criminalità organizzata non ha avuto un ruolo significativo nel sequestro Moro
Nell'ultimo rapporto della Commissione Fioroni, un intero capitolo è dedicato alle diverse linee investigative relative al rapimento e alla morte di Aldo Moro. Una di queste si concentra sui legami tra le Brigate Rosse e la malavita romana, rappresentata dalla Banda della Magliana, così come con la 'ndrangheta calabrese.
Sia la Commissione Parlamentare che il procuratore della Repubblica di Roma, Ciampoli, hanno evidenziato la presenza di uomini della Banda della Magliana in via Fani.
Nonostante siano trascorsi più di quattro decenni, il caso dell’on. Moro, una delle stragi politiche più significative per l'Italia, continua a essere oggetto di teorie del complotto che cercano di colmare presunti vuoti giudiziari e misteri irrisolti. Tuttavia, mentre persistono lacune e contraddizioni nella narrazione del caso, è importante riconoscere che molti degli elementi cruciali sono stati stabiliti da tempo. La verità su molte sfaccettature dell’evento è meno oscura di quanto si voglia far credere.
La narrativa ufficiale sul sequestro e la morte di Moro è una narrativa confezionata a tavolino
La verità ufficiale sancita dalle sentenze giudiziarie (quattro processi con relativi gradi di giudizio, oltre a cinque inchieste) e integrata dal “memoriale” dei dissociati-collaboranti Morucci-Faranda, è stata adottata come unica ricostruzione della vicenda. Questa versione è il risultato di un accordo, un patto di omertà reciproca tra lo Stato e le Brigate Rosse, tra la Democrazia Cristiana e tutti i brigatisti, senza alcuna distinzione. Ciò dimostra che lo Stato avrebbe scelto di non approfondire ulteriori piste o complicità per mantenere una versione ufficiale che mettesse fine alla vicenda senza ulteriori destabilizzazioni politiche o sociali. Mentre i brigatisti avrebbero avuto pene ridotte o trattamenti favorevoli senza rivelare ulteriori dettagli sulla vicenda.
Non esiste una verità ufficiale monolitica. Il cosiddetto memoriale Morucci-Faranda è stato costruito attraverso un collage delle varie deposizioni fornite durante l'istruttoria e nei diversi gradi di giudizio, con l'aggiunta finale dei nomi, laddove in precedenza erano stati indicati solo numeri (per ottenere ulteriori vantaggi nel trattamento penitenziario). Questo memoriale rappresenta la ricostruzione di Morucci e Faranda, non delle Brigate Rosse. I partecipanti al sequestro, infatti, hanno fornito nel tempo le loro versioni dei fatti attraverso libri, interviste e, in alcuni casi, anche in sede processuale.