Gli artisti degli Stati in guerra non dovrebbero essere censurati
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L'arte è considerata universale perché attraverso di essa si esprimono e comunicano esperienze, emozioni, idee e culture che possono essere comprese e apprezzate da persone in tutto il mondo, superando barriere linguistiche e culturali. Negli ambienti di conflitto o guerra, l'arte diventa un potente mezzo per esplorare, criticare e documentare gli eventi legati al conflitto. La censura degli artisti in contesti di guerra solleva quindi una serie di questioni etiche, politiche e pratiche.
Gli argomenti a favore della censura interna degli artisti in Stati in guerra si basano sulla difesa della sicurezza nazionale, la protezione dei valori culturali e nazionali e il controllo delle informazioni sensibili. Tuttavia, ci sono anche argomenti contrari che sostengono il valore della libertà di espressione e la necessità di documentare e criticare le atrocità dei conflitti anche attraverso l’arte.
La censura degli artisti provenienti da Stati in guerra da parte di altri Stati solleva ulteriori questioni, come il rispetto della sovranità degli Stati e la libertà di espressione. Limitare l'accesso all'arte prodotta da artisti degli Stati in guerra, per coloro che difendono la libera circolazione dell’espressione artistica, alimenta, inoltre, la disinformazione e il conflitto, e ostacola la comprensione reciproca e la pace che le arti invece promuovono. Attualmente, “Mentre l'esercito russo invasore distrugge e saccheggia il patrimonio culturale dell'Ucraina, l'Occidente boicotta gli artisti russi e Mosca stringe la presa sui settori artistici e culturali della Russia”, dove “La censura di Stato su film, opere teatrali e libri ritenuti ‘filo-occidentali’ è in aumento”[TdR], (Stéphane Baillargeon, Censure et propagande: la culture comme champ de bataille en Russie postsoviétique, “ledevoir.com”, 25 gennaio 2023). L’opinione a favore della libera circolazione delle opere degli artisti di un altro Stato in guerra sostiene anche che, pur essendo la scelta della censura un atto di sovranità dello Stato censore, essa danneggi le relazioni diplomatiche e violi la libertà di espressione e artistica del Paese censurato.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il controllo della cultura previene la divulgazione di informazioni sensibili.
L'arte è libera, permette di documentare e criticare le atrocità della guerra.
La censura artistica degli Stati in guerra non penalizza gli Stati, ma i singoli artisti esclusi.
Ospitare in manifestazioni culturali artisti provenienti da Stati aggressori può essere letto come approvazione dell'operato di quello Stato.
Il boicottaggio culturale permette di esercitare pressioni politiche o morali sullo Stato d'appartenenza degli artisti.
E' sbagliato identificare la cultura di un Paese con il suo regime politico.
La censura dell’arte in uno Stato in guerra ne garantisce la sicurezza interna
Temuta dai regimi autoritari che cercano di controllarla, l'arte rappresenta la libertà di creare e pensare, permette di documentare e criticare le atrocità di guerra ed è un valore della libertà di espressione. La musica, la pittura, la poesia e la letteratura hanno sempre unito i popoli nel corso della Storia. Censurare l'arte ci impoverisce e rende ignoranti, demonizzare la cultura di uno Stato in guerra, danneggia l'intera comunità, demolisce la solidarietà. Criticare un conflitto non implica ignorare la cultura del Paese coinvolto, e identificarla con il governo minaccia i valori intrinseci dell’arte.
La censura artistica in uno Stato in guerra viene utilizzata per garantire la sicurezza interna attraverso la propaganda e il controllo delle opere d'arte. La propaganda è fondamentale per influenzare l'opinione pubblica e condizionare i processi politici, mentre il controllo culturale previene la divulgazione di informazioni sensibili e la critica al governo. Questo strumento è stato impiegato storicamente per motivi politici, religiosi o morali, specialmente dai regimi totalitari del XX secolo, al fine di mantenere l'ordine sociale e reprimere l'espressione critica. I regimi totalitari, come le dittature fasciste e comuniste, hanno spesso usato la censura per controllare il messaggio artistico ed eliminare qualsiasi forma di espressione critica nei confronti del potere.
Gli artisti esclusi sono penalizzati ingiustamente
Essere esclusi da eventi artistici per il fatto di essere cittadini di uno Stato aggressore ha molteplici conseguenze negative per un artista. Perdendo l'occasione di esibirsi davanti a un pubblico più ampio, infatti, l’artista compromette la crescita della propria carriera, il proprio reddito e la propria reputazione, essendo le opportunità e la percezione del pubblico fortemente influenzate dalla sua assenza sulla scena internazionale. L’artista isolato socialmente e professionalmente ha difficoltà nel mantenere rapporti con altri artisti e operatori del settore, subisce pressioni pubbliche per prendere posizioni politiche, mettendo così a rischio anche la propria libertà di espressione e integrità artistica.
Non si può sostenere che gli artisti cittadini di Stati in guerra, se esclusi dalla scena internazionale, lo siano ingiustamente, poiché ospitare agli eventi culturali artisti provenienti da uno Stato coinvolto in atrocità solleva gravi questioni etiche e politiche. Tale partecipazione può, infatti, essere interpretata come un tacito sostegno alle violazioni dei diritti umani, minando i valori di pace, giustizia e solidarietà promossi dagli eventi stessi. Inoltre, può comportare un affronto alle vittime della guerra e rischiare di legittimare politicamente lo Stato responsabile. Tale scelta può anche causare controversie, danneggiando la reputazione e la credibilità dell'evento culturale.
Il lavoro di un artista è infatti un potente strumento per promuovere il proprio Paese d'origine, diffondendone la cultura, aumentandone l'attrattiva turistica, migliorando la proiezione internazionale e rafforzando il senso di orgoglio nazionale: per questo la loro esclusione dalla scena artistica è doverosa.
È lecito boicottare la cultura di un paese a causa di un conflitto bellico
Boicottare la cultura di un Paese a causa di un conflitto bellico è controproducente e ingiusto, poiché generalizza e identifica erroneamente tutta la cultura di quel Paese con il regime politico al potere. È importante distinguere tra la politica e la cultura, permettendo alle voci critiche e diverse di continuare a essere ascoltate e apprezzate indipendentemente dalle azioni del governo.
Inoltre, se uno Stato censura gli artisti di un altro Stato in guerra filtrando la sua produzione artistica interferisce nei suoi affari interni. Questa scelta, pur derivando da un legittimo esercizio di sovranità dello stato censuratore, può comunque portare a conseguenze diplomatiche che danneggiano le relazioni tra i due Stati coinvolti. Mentre il primo Stato potrebbe infatti affermare di agire per il proprio interesse nazionale, tale censura potrebbe invece essere vista come un'ingerenza negli affari interni dello Stato censurato oltre che una violazione della libertà di espressione e artistica.
Il boicottaggio culturale è un mezzo per esercitare pressioni politiche o morali su un governo che viene così condannato per le proprie azioni in un conflitto armato. Può essere visto come un modo per esprimere solidarietà alle vittime del conflitto e per promuovere valori come la pace, i diritti umani e la giustizia. Il rifiuto dell’arte di uno Stato in guerra esprime un impegno morale e politico nei confronti delle vittime del conflitto ed esercita una pressione internazionale per il cambiamento e la pace.