Diritto di voto agli stranieri
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La questione dell’estensione del diritto di voto agli stranieri residenti è un argomento complesso, poiché interessa innumerevoli ambiti, tocca molteplici sensibilità e si ricollega a ulteriori importanti interrogativi, quali il significato di democrazia e la legittimità democratica, il valore storico e odierno dello Stato e dell’istituto della cittadinanza, o quali siano i fondamenti dell’appartenenza a una comunità politica e al corpo elettorale. Da una parte, c’è chi sostiene che l’allargamento del suffragio sia imprescindibile per il rispetto del principio di legittimità democratica, favorendo contestualmente l’integrazione degli stranieri e portando benefici all’intera collettività; dall’altra, chi ritiene legittima l’esclusione degli stranieri dal voto, concependo viceversa la loro inclusione nel corpo elettorale come rischiosa e problematica.
L’ampio dibattito sul tema, peraltro, si inserisce in una cornice di crescenti mutamenti a livello globale, dalla perdita di sovranità degli Stati nazione all’internazionalizzazione, dai crescenti flussi migratori che negli ultimi decenni hanno plasmato le realtà delle società occidentali alla sempre crescente integrazione europea.
Pertanto, interrogarsi sull’estensione del diritto di voto agli stranieri significa sia porsi delle domande sul nostro presente sia comprendere la nostra storia, ma anche, in ultima istanza, provare a concepire quello che sarà il nostro futuro e quello della democrazia.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Nessuno può essere sottoposto per lungo tempo a un’autorità statale senza che gli venga concesso il diritto di poter orientare l’azione della medesima autorità a cui è soggetto.
Il diritto di voto non è il diritto individuale di un soggetto sottoposto a un’autorità statale, ma il diritto di una collettività sociale con legami etnici, culturali, linguistici, sociali e religiosi prepolitici.
Dai Trattati internazionali non risultano obblighi sull’estensione del diritto di voto agli stranieri.
La Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica ha previsto l’allargamento del diritto di voto e di essere eletti alle elezioni locali agli stranieri residenti.
Estendere il diritto di voto agli stranieri residenti porta benefici all’intera comunità nella quale risiedono.
L’estensione del diritto di voto agli stranieri non porta benefici alla società.
L'istituto della Cittadinanza risulterebbe svalutato se gli stranieri potessero esprimersi alle urne.
L’essere in possesso della cittadinanza non è mai stata una condizione né necessaria né sufficiente per poter votare.
Negare il voto a una vasta parte della popolazione pone una questione di legittimità democratica, poiché spetta a ogni individuo parte di una comunità politica
Il diritto di voto rappresenta la possibilità per ogni individuo, parte di una comunità politica, di dire la propria rispetto alle decisioni che vengono prese da parte delle istituzioni e dei rappresentanti politici, in linea con il principio democratico secondo cui nessuno può essere sottoposto per lungo tempo a un’autorità statale senza che gli venga concesso il diritto di poter orientare l’azione della medesima autorità a cui è soggetto.
Agli stranieri deve dunque essere data la possibilità di esprimere in sede elettorale e di potersi candidare in quanto sono parte di una comunità politica e, pertanto, soggetti a un’autorità statale, la quale non può considerarsi in ultima istanza legittima, e legittimamente democratica, nella misura in cui esclude sistematicamente dai processi elettorali una vasta parte della popolazione.
Una nazione non è tanto, o semplicemente, una comunità politica, quanto piuttosto una comunità prepolitica: prima ancora di rappresentare un costrutto politico, una nazione è una comunità i cui membri sono legati non dal comune risiedere all’interno di un medesimo territorio, ma da vincoli di natura etnica, culturale, linguistica, sociale o religiosa, oppure di altra natura, storicamente formati.
Da questo punto di vista, il diritto di voto non è il diritto individuale di un soggetto sottoposto a un’autorità statale sovrana, ma il diritto di una collettività sociale i cui legami etnici, culturali, linguistici, sociali e/o religiosi prepolitici prescindono da quella stessa autorità, allorché quest’ultima, al contrario, trae fondamento proprio a partire dai legami che definiscono la comunità medesima.
Non esistono vincoli legali a livello internazionale che impongano l’estensione del suffragio agli stranieri
Se è vero che nessuno dei trattati internazionali pone degli specifici obblighi rispetto all’allargamento del diritto di voto agli stranieri residenti all’interno di un territorio, è altrettanto chiaro che alcuni testi, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, all’articolo 21, la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, all’articolo 42, e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 3, fissano dei principi che potrebbero fungere da base per un intervento legislativo sul tema. Anche considerando la clausola a fattispecie aperta dell’articolo 2 della Costituzione italiana.
Alcuni trattati europei hanno inoltre esteso ai cittadini dell’Unione l’elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo e anche per le elezioni comunali; la Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica ha previsto anche l’allargamento del diritto di voto e di essere eletti alle elezioni locali agli stranieri residenti, ancorché l’Italia non abbia ratificato questa parte della Convenzione.
Se alcuni trattati internazionali e comunitari si propongono di riconoscere e garantire i diritti fondamentali, compresi quelli relativi alla possibilità di votare ed essere eletti, è anche vero che questi testi fissano dei principi universalistici, i quali spesso aprono, se non prevedono, vere e proprie limitazioni ai predetti principi. Un caso emblematico è rappresentato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che fissando all’articolo 10 il diritto alla libertà di espressione, all’articolo 11 il diritto di riunione e associazione e all’articolo 14 il divieto di non discriminazione, all’articolo 16 precisa che nessuno dei precedenti diritti enunciati “può essere interpretato nel senso di proibire [e] di imporre restrizioni all’attività politica degli stranieri”.
Analizzando dunque alcuni dei principali trattati internazionali, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ed europei, come Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, non risultano obblighi all’estensione del diritto di voto agli stranieri.
L’estensione del diritto di voto porta benefici all’intera collettività e riduce il rischio di politiche discriminatorie
Estendere il diritto di voto agli stranieri residenti porta benefici all’intera comunità nella quale risiedono, in quanto condividono con la popolazione locale autoctona i medesimi interessi ad avere politiche efficaci e servizi efficienti. Inoltre, l’allargamento del suffragio agli stranieri impedisce che le élite politiche, e non solo, attuino dei provvedimenti giustificanti, se non addirittura atti a esacerbare, la separazione della popolazione tra cittadini e stranieri.
Inoltre, estendere il diritto di voto ai gruppi che non lo hanno impedisce l’attuazione di politiche o campagne razziste e xenofobe, sia perché le forze politiche tendono a ignorare le richieste e i bisogni delle comunità escluse dalla vita politica ed elettorale, sia perché, pur portando loro dei consensi, azioni a tutela degli stranieri non votanti causerebbe il costo politico di allontanare dalla propria offerta una parte più o meno vasta dell’elettorato.
L’estensione del diritto di voto agli stranieri non porta benefici all’intera società, poiché gli individui parte di una comunità politica sono portatori di interessi divergenti e spesso in opposizione gli uni con gli altri; desiderano l’attuazione di politiche differenti e risultano quindi, in ultima istanza, in competizione ai fini dell’allocazione delle risorse pubbliche.
Nondimeno, conferire il diritto di voto agli stranieri residenti all’interno di un determinato territorio risulta problematico nella misura in cui si corre il rischio di favorire la nascita di formazioni politiche di natura etnica, oltre che di facilitare la possibilità per le autorità statali di paesi stranieri di insinuarsi nella vita democratica e nei processi elettorali di altri Stati, distorcendo la volontà popolare.
L’allargamento del diritto di voto agli stranieri indebolisce l’istituto della cittadinanza e non favorisce l’integrazione
Storicamente, l’essere in possesso della cittadinanza non è mai stata una condizione né necessaria né sufficiente per potersi esprimere alle urne; viceversa, in alcuni casi proprio l’aver potuto esprimersi alle urne ha portato a essere considerati cittadini di un paese. Originariamente, la cittadinanza è stata un potente strumento di integrazione, ma oggi, con il modificarsi delle società, del ruolo dello Stato nel contesto internazionale e a causa di alcuni fenomeni globali, innanzitutto i crescenti flussi migratori, costituisce una fonte di squilibrio democratico, che separa residenti che possono e quelli che non possono votare, rispettivamente i cittadini e gli stranieri. Il principio di esclusione dalla vita politica quale incentivo alla naturalizzazione affonda le proprie radici in una situazione discriminatoria ed è dunque tutt’altro che rafforzativo dell’istituto della cittadinanza.
Inoltre, non solo alcuni studi hanno dimostrato che l’estensione dei diritti di voto a livello locale ai non cittadini non ha portato a una diminuzione delle richieste di naturalizzazione, ma la possibilità di esprimersi democraticamente, prima di ottenere la cittadinanza, favorisce una maggiore integrazione nella società.
L’istituto della cittadinanza affonda le proprie origini nell’idea che sia una prerogativa dei cittadini di uno Stato eleggere democraticamente i propri rappresentanti, escludendo di conseguenza gli stranieri residenti. Pertanto, essendo il possesso della cittadinanza la conditio sine qua non per l’esercizio del voto, ne discende che lo stesso istituto risulterebbe svalutato se gli stranieri, pur residenti, potessero esprimersi alle urne su di un piano di parità rispetto ai cittadini di tale paese.
L’estensione del suffragio agli stranieri non ancora cittadini, anche per questo, porterebbe a una minore richiesta di naturalizzazione. Non solo. Se la possibilità di votare fosse garantita prematuramente, prima cioè dello sviluppo di un forte legame o di una profonda conoscenza dello Stato di residenza potrebbe comportare una minore propensione al voto e, più in generale, una minore e più difficile integrazione all’interno della società.