Schwa
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
La proposta di introdurre lo schwa (ǝ) ha acceso un forte dibattito su giornali e tra gli accademici. Per chi sostiene la proposta, questo fonema permetterebbe di introdurre nella lingua italiana il genere neutro, rendendola più inclusiva e sensibile alle questioni di genere. Invece, chi la contesta si mostra scettico sulla reale efficacia di questa introduzione, di cui ne risentirebbe la grammatica e la tradizione storica dell’italiano.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Utilizzare un linguaggio più inclusivo permetterebbe di superare una visione del mondo in cui l’uomo è parametro del nostro modo di pensare e rappresentare la realtà, aprendo a nuove prospettive.
Lo schwa presenta alcune difficoltà in termini di pronuncia e scrittura che altre proposte non comportano.
L’italiano non possiede un genere neutro e il maschile sovraesteso, quando utilizzato, non è in grado di rappresentare adeguatamente le diverse espressioni di genere.
La lingua italiana prevede l’utilizzo del genere grammaticale maschile in funzione di neutro, per questo è una forma inclusiva. La proposta di utilizzo dello schwa sarebbe per questo solo un atto di “perbenismo”.
Lo schwa è una risposta a esigenze espresse dalla società in generale e da alcune minoranze, in particolare da quelle sottorappresentate.
Chi propone lo schwa dà le spalle a secoli di evoluzione linguistica spontanea.
Lo schwa viene in aiuto degli individui non binari che, soprattutto nelle lingue flessive come l’italiano, faticano a trovare rappresentazione.
Eliminare le desinenze grammaticali significa disconoscere la parte femminile della popolazione, che ancora lotta per la parità di diritti.
Il linguaggio plasma la nostra visione del mondo
Quando nel 1987 Alma Sabatini presenta le sue raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (Alma Sabatini, Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Il sessismo nella lingua italiana, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma, 1993), il suo scopo principale è quello di mostrare che le scelte linguistiche che i parlanti compiono non sono mai neutre né neutrali. Non è neutrale la scelta di utilizzare il maschile sovraesteso. Se inizialmente proposte come quelle avanzate da Sabatini si sono concentrate esclusivamente sul problema dell’invisibilizzazione del genere femminile, negli ultimi anni il dibattito attorno alla necessità di creare un linguaggio neutro si è affiancato, grazie alle istanze portate avanti dalle comunità queer, alla volontà di trovare una soluzione che sappia riconoscere anche l’esistenza di persone non binarie, cioè individui che non si riconoscono né come uomini né come donne. Le espressioni di genere alternative a quella maschile non possono essere ridotte all’interno del termine “uomo”, perché in questo modo si rischia di incorrere in quello che viene chiamato male bias: quando noi sentiamo e leggiamo parole declinate al maschile siamo portati a pensare che queste rappresentino soprattutto uomini (Janice Moulton, The myth of the neutral “man”, in Mary Vetterling-Braggin, Sexist Language: A Modern Philosophical Analysis, Littlefield, Adams, pp. 100-16, 1981). L’introduzione, nella lingua parlata e scritta, dello schwa (ǝ) permetterebbe di aggirare questo problema costruendo un linguaggio che crei rappresentazioni di soggetti e del mondo più aperte e inclusive.
Il linguaggio, infatti, non è soltanto il frutto della storia e cultura dei suoi parlanti, ma ha anche il potere di plasmare le nostre rappresentazioni e il mondo sociale in cui viviamo. La pragmatica contemporanea e gli studi femministi hanno messo in discussione l’idea che il linguaggio abbia un ruolo puramente descrittivo (Claudia Bianchi, Le parole dell’odio, “treccani.it/magazine”, 22 marzo 2022). La lingua non serve solo a descrivere gli oggetti del mondo che osserviamo, ma è in grado di agire su questo. Secondo il filosofo e linguista John Austin (John L. Austin, How to do things with words, Oxford University Press, 1962) quando parliamo, produciamo effetti sul mondo che sono socialmente validi. L’utilizzo dello schwa permetterà di uscire da una prospettiva androcentrica, dove l’uomo rimane il parametro per definire ogni persona umana, e interverrà positivamente sulla nostra società influendo su aspetti come diritti, leggi e libertà (Fabrizio Acanfora, In altre parole. Dizionario minimo di diversità, effequ, Firenze, 2021, p. 42). La lingua italiana marca la differenza tra i generi, quindi usare lo schwa diventa un utile antidoto al sessismo della lingua (Alessandro Chetta, Murgia e Tagliaferri: “Lo schwa? È come il vaccino per il Covid, non cura definitiva ma anticorpo contro il sessismo”, “corriere.it”, 7 dicembre 2021). Questa scelta aiuterebbe i parlanti a vivere in un mondo che non sia più declinato solo al maschile, facendo proliferare ed esistere anche le altre prospettive, femminili e non binarie. Afferma Ella Marciello in una intervista per la rivista Cosmopolitan: “più siamo esposti a determinati messaggi più avremo strumenti per parlare, comunicare e vivere la complessità. E questo si tradurrà nelle nostre azioni, nel modo che abbiamo di approcciare il mondo e le persone che lo abitano” (Gaia Giordano, Il linguaggio sta cambiando con schwa e asterischi, cosmopolitan.com”, I gennaio 2021). Decidere di utilizzare un linguaggio rispettoso del genere significa riconoscere che la comunicazione ha un ruolo fondamentale nella costruzione di una realtà equa e orientata a una reale eguaglianza.
Margherita Grassi, 2 maggio 2022
Lo schwa non è l’unica soluzione, ci sono altri modi per usare il linguaggio neutro
Tra coloro che si sono schierati contro l'utilizzo dello schwa (ǝ) vi è chi ritiene che esso non costituisca la soluzione migliore per rendere l’italiano più inclusivo. Vi sono alternative diverse, alcune agiscono direttamente sulle desinenze o le vocali finali che tendenzialmente designano il genere di una parola: l’omissione dell’ultima lettera, il segno di asterisco (*) che coincide con una mancata pronuncia della vocale alla fine della parola, oppure la chiocciola (@), la “u” (ad esempio usata come sostituta per la “i” di tutti che diventa tuttu), la “x” (soprattutto nella lingua inglese), la “y”, il trattino basso (_), e infine l’apostrofo (‘). Inoltre, nelle situazioni in cui ci si ritrova ad interloquire con un pubblico vario - volendolo fare nella maniera più inclusiva possibile - si può ricorrere, al maschile sovraesteso (il “cari tutti”, per fare un esempio), alla doppia forma (“care tutte e cari tutti”), alla circonlocuzione (“a tutte le persone presenti”), al femminile sovraesteso, entrambe le desinenze assieme (“carei”), ad entrambe le desinenze divise dal punto (“care.i”), ad entrambe le desinenze divise con barra (“care/i”). (Vera Gheno, Lo Schwa tra fantasia e norma, “lafalla.cassero.it”,29 luglio 2020). Queste forme, da usare in alternativa allo schwa, sembrano presentare alcuni vantaggi. Innanzitutto, in termini di praticità: fanno tutti capo ad una simbologia già in uso, al contrario, lo schwa appartiene all’alfabeto fonetico internazionale e andrebbe inserito nelle lingue già formate e dotate di una precisa grammatica. Ciò fa pensare che utilizzare lo schwa possa essere vissuto dai parlanti come una sorta di forzatura, come un suono difficile da riprodurre: “Lo Schwa, infatti, viene identificato come una vocale centrale media all’interno dell’alfabeto. Questo significa che, nella sua pronuncia, si pone esattamente a metà tra tutte le vocali esistenti perché è un suono non arrotondato, senza accento o tono e di scarsa sonorità” (Gerardina Di Massa, Schwa: pro e contro del nuovo simbolo linguistico, “Eroica Fenice”, 25 Febbraio 2022).
A febbraio 2022 è stata indetta una vera e propria petizione contro l’uso dello schwa - firmata da molti intellettuali italiani - nel cui testo l’ideatore, Massimo Arcangeli, sosteneva che il suono (ǝ) “Peculiare di diversi dialetti italiani, e molto familiare alla lingua inglese [...] stante la limitazione posta al suo utilizzo (la posizione finale), trasformerebbe l'intera penisola, se lo adottassimo, in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l'Abruzzo, il Lazio meridionale e il calabrese dell'area di Cosenza”. Sostanzialmente il suo utilizzo creerebbe un suono simile ad accenti italiani già esistenti ma solo territorialmente, penalizzando l’accentazione corretta della lingua italiana (Massimo Arcangeli, Schwa (ǝ)? No, grazie! Pro Lingua nostra, “Change.org”).
A seguito dell’utilizzo dello schwa in alcuni verbali redatti dalla Commissione per l’Abilitazione Scientifica Nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia, Massimo Arcangeli ha inoltre pubblicato un piccolo volume dal titolo La lingua scəma (contro lo schwa e altri animali) (Castelvecchi, 2022). Nel volume si legge: “Una cosa è chiedere al nostro interlocutore di venirci in qualche modo incontro, con le forme e le parole più adatte e rispettose possibili, se ci siamo scoperti portatori di un'identità incerta o fluttuante, un'altra cosa è pretendere che le norme linguistiche di un'intera comunità nazionale soggiacciano alla prepotenza di pochi, intenzionati a scardinarle con la generalizzazione di inammissibili usi teratologici” (Massimo Arcangeli, La lingua scəma (contro lo schwa e altri animali), Castelvecchi, Roma, 2022, capitolo 2, versione Kindle).
Inoltre, sembra che lo schwa sia inutilizzabile da persone dislessiche, che già generalmente vivono i cambiamenti alla norma ortografica con difficoltà (Schwa, asterisco e linguaggio inclusivo: proviamo a rispondere alle critiche più frequenti, “Valigia Blu”, 4 marzo 2022). È stato soprattutto il ministro dell’educazione francese Jean-Michel Blanquer a utilizzare questo argomento contro l’utilizzo dello schwa, dichiarando che la sua introduzione nelle scuole sarebbe un ostacolo per l’apprendimento della lingua (Écriture inclusive: Jean-Michel Blanquer exclut l’utilisation du point médian à l’école, “Le Monde”, 7 marzo 2021).
Emma Traversi, 2 maggio 2022
La neutralità a livello grammaticale non significa neutralità nella rappresentazione
La lingua italiana non ha a disposizione elementi morfologici che possano indicare generi alternativi a quello femminile e maschile (Paolo D’Achille, Un asterisco sul genere, “accademiadellacrusca.it”, 24 settembre 2021). L’italiano è una lingua flessiva: non esistono flessioni neutre. In alternativa, è possibile utilizzare il maschile in modo non marcato per indicare individui il cui genere non è chiaro o conosciuto, oppure per indicare gruppi misti: “Giovanna e Giorgio sono studenti”. Il fatto che sia offerta solo questa possibilità a livello grammaticale non vuol dire che il maschile sia davvero in grado di rappresentare in maniera adeguata anche persone di generi diversi: “il maschile sovraesteso, che è ovviamente convenzionale, ha il difetto di far scomparire le donne ed eventualmente anche le persone non binarie” (Vera Gheno, intervista a, Il linguaggio sta cambiando con schwa e asterischi, “cosmopolitan.com”, I gennaio 2021).
Sulla questione si è discusso anche fuori dall’Italia: il maschile sovraesteso può davvero rappresentare in maniera adeguata anche altre espressioni di genere? Utilizzare il maschile come un paradigma della condizione umana neutrale è, secondo diversi punti di vista (Perché, “Italiano Inclusivo”, consultato il 26 aprile 2022), problematico, perché invisibilizza nella rappresentazione comune l’esistenza delle donne e delle persone non binarie. Janice Moulton, nel suo articolo The Myth of the Neutral “Man” (Janice Moulton, The myth of the neutral “man”, in Mary Vetterling-Braggin, Sexist Language: A Modern Philosophical Analysis, Littlefield, Adams, pp. 100-16, 1981), porta un interessante esempio di invisibilizzazione del genere attraverso il linguaggio, in questo caso del genere femminile. Consideriamo il sillogismo aristotelico “Tutti gli uomini sono mortali. Socrate è un uomo. Socrate è mortale”. Un sillogismo è una sorta di ragionamento deduttivo concatenato in cui, date due premesse vere, si giunge a una conclusione necessariamente vera. Il primo sillogismo che abbiamo riportato è un sillogismo necessariamente vero. Se proviamo a sostituire “Socrate” con un nome femminile vedremo che sembrerebbe venir meno la validità logica del sillogismo: “Tutti gli uomini sono mortali. Sofia è un uomo. Sofia è mortale”. Le conclusioni che si possono trarre da questo esempio sono due: o “Sofia” non può essere considerata un membro della specie umana, oppure l’utilizzo del maschile non consente di parlare davvero di donne in maniera appropriata. Naturalmente, una riflessione applicabile anche al caso di persone non binarie.
Nella nostra lingua sembra attualmente impossibile non parlare del genere delle persone cui facciamo riferimento, a meno di evitare articoli, pronomi, participi passati ecc… (Alessio Giordano, Genere sociale e lingua italiana. Davvero un capitolo chiuso?, “treccani.it/magazine”, 16 ottobre 2021). Utilizzare soluzioni come la schwa (ǝ) permetterebbe di creare una nuova flessione effettivamente neutra e semplice, garantendo una rappresentazione più inclusiva e aperta all’esistenza delle diversità.
Margherita Grassi, 2 maggio 2022
Il maschile esteso è un neutro di fatto
Contro l’utilizzo di formule diverse da quelle esistenti per rendere il linguaggio inclusivo, ci sono coloro che ritengono il maschile plurale come già sufficiente a questo scopo.
Moltissime lingue sono caratterizzate dalla divisione dei propri termini in generi. Alcune, invece, non presentano distinzioni di questo tipo. La lingua italiana, per esempio, è una lingua che si è strutturata con un uso estensivo del maschile, rendendolo, in specifici casi, una sorta di neutro. In particolare, il maschile plurale viene adoperato quando si vuole fare riferimento a elementi universali (“l’uomo”, “gli uomini”, cioè esseri umani, tra cui donne e bambini), o gruppi eterogenei come “cari spettatori”, “tutti voi”, “i figli”.
Se dunque esiste una distinzione di genere grammaticale, ha chiarito l’Accademia della Crusca, questa non coincide con il genere naturale. Per questo motivo sarebbe possibile utilizzare il maschile nella maniera sopra citata, senza creare alcuna discriminazione (Paolo D’Achille, Un asterisco sul genere, “Accademia della Crusca”, 24 settembre 2021). Inoltre, rispetto alle espressioni dove si distingue la componente maschile da quella femminile (“cari telespettatori e care telespettatrici”), utilizzare solo il maschile plurale permette di includere anche i soggetti che non si sentono appartenenti a nessuno dei due generi in questione.
Scalzare l’uso corrente del maschile plurale, con l’introduzione dello schwa, è apparso ad alcuni intellettuali e ai firmatari della petizione Schwa (ǝ)? No, grazie! Pro Lingua nostra come una sorta di azione animata dal perbenismo più che da uno spirito di reale cambiamento. Si legge nella petizione: “Lo schwa e altri simboli […] non sono motivati da reali richieste di cambiamento. Sono invece il frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività” (Massimo Arcangeli, Schwa (ǝ)? No, grazie! Pro Lingua nostra, “Change.org”).
Emma Traversi, 2 maggio 2022
Lo schwa non è imposto dall’alto, e la sperimentazione linguistica non è vietata
Secondo la linguista Vera Gheno, lo schwa è un atto di sperimentazione linguistica tutt’altro che elitista: “[...] questa proposta non è nata nella mente solitaria di qualche linguista annoiata chiusa nella sua Torre d’Avorio per ‘imporre dall’alto’ le sue fisime. Al contrario: la prima volta che mi è venuta in mente l’idea dello schwa (che poi ho scoperto essere una proposta che già circolava, per cui in verità non ho inventato proprio nulla) è stato in risposta a una persona che mi ha espresso il suo disagio nell’uso del maschile e del femminile a cui l’italiano la costringeva. Questa persona non si sentiva a suo agio perché non pensava a se stessa né come maschio né come femmina. Altro che imposizione dall’alto: questi ragionamenti vengono da esigenze espresse dal basso” (Cinzia Sciuto, Gheno: “Lo schwa è un esperimento. E sperimentare con la lingua non è vietato”, “MicroMega”, 26 aprile 2021).
Tuttavia, sempre secondo Vera Gheno, è bene che la sperimentazione si limiti a specifici contesti militanti, già maturi ad accoglierla. Si tratterebbe di un passo propedeutico a un’adozione su scala più ampia, che ad oggi è poco realistica: la linguista fa riferimento alle difficoltà di lettura per le persone anziane o per i dislessici (Ibid.).
Angela Zanoni, 2 maggio 2022.
I cambiamenti linguistici non possono essere imposti da un’élite
Secondo i promotori della petizione Schwa? No, grazie! Pro Lingua nostra, un gruppo ristretto ha l’intenzione di “imporre la sua legge a un'intera comunità di parlanti e di scriventi”, pur consapevole dell’impossibilità pratica dell’adozione dello schwa inclusivo nella lingua italiana. La proposta sarebbe, quindi, intenzionata ad “azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell'inclusività” (Massimo Arcangeli, Schwa (ǝ)? No, grazie! Pro Lingua nostra, “Change.org”).
Il punto cruciale della petizione è, quindi, la rivendicazione della lingua come un fenomeno naturale, che si sviluppa in risposta a fenomeni culturali diffusi e prolungati nel tempo. Nel trattare il tema dello schwa neutro, Paolo d’Achille, dell’Accademia della Crusca, fa riferimento a un fenomeno di “dirigismo linguistico”, ovvero di un’introduzione forzata di una riforma ortografica che ha poco a che fare con il comune sentire popolare e con il suo sistema normativo condiviso (Paolo D’Achille, Un asterisco sul genere,, “Accademia della Crusca”, 24 settembre 2021).
Di toni più miti, ma comunque critici, è Cristiana De Santis. In un intervento firmato per Treccani, la grammatica offre un punto di vista a metà tra i due estremi: un linguaggio che evita le marcature di genere, senza ricorrere a simboli estranei all’alfabeto italiano. Secondo De Santis, questa impostazione meno autoritativa potrebbe meglio e più realisticamente veicolare quell’“emancipazione grammaticale” che i promotori dello schwa ricercano (Cristiana De Santis, L’emancipazione grammaticale non passa per una e rovesciata,, “treccani.it”, 9 febbraio 2022).
Angela Zanoni, 2 maggio 2022
Lo schwa permette la rappresentazione di chi si identifica come “non binario”
Luca Boschetto è il fondatore del portale “Italiano inclusivo”. Qui si spiegano le ragioni dietro la proposta dell’uso dello schwa neutro e si danno suggerimenti d’uso pratico del carattere. In un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa “Dire”, Boschetto spiega come la sua proposta nasca da un'esigenza personale: quella di trovare una rappresentazione linguistica adeguata a chi si identifica come non binario.
Secondo i sostenitori del movimento “Italiano Inclusivo”, i costrutti sociali forzano alla categorizzazione binaria una consistente parte della popolazione mondiale, composta sia da individui fisiologicamente non binari (che costituiscono comunque il 2% della popolazione, più delle persone che hanno i capelli rossi, o più dell’intera popolazione della Russia [in realtà questo dato è un arrotondamento per eccesso della percentuale 1,7%, dall’articolo The five sexes di Anna Fausto-Sterling (1993)]) che da individui che percepiscono un disallineamento tra il sesso biologico e l’identità di genere. Tutte queste persone, allo stato attuale della lingua, sono costrette a una condizione di “invisibilizzazione dell’identità”.
Questa condizione è più evidente nei contesti in cui la lingua è molto connotata in senso di genere. L’italiano, una lingua flessiva in cui quasi ogni parte del discorso ha una connotazione di genere o maschile o femminile è particolarmente problematico.
Altre soluzioni, secondo Boschetto, non sono praticabili: l’asterisco ha il vulnus di non poter essere pronunciato, mentre l’uso di -u neutrale si avvicina troppo alla terminazione maschile per alcuni dialetti italiani (Annalisa Ramundo, La sfida dello Schwa al maschile-femminile della lingua italiana, “Dire”, 12 febbraio 2021).
Angela Zanoni, 2 maggio 2022
L’uso dello schwa rischia di impedire la rappresentazione del genere femminile
Secondo Cecilia Robustelli, professoressa ordinaria di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, occorre prestare particolare attenzione ai contraccolpi della sperimentazione linguistica sullo schwa. Infatti, se questa innovazione venisse imposta o adottata su grande scala, ci sarebbe il rischio di togliere rilevanza al genere femminile, che ancora lotta contro il “sessismo linguistico”. Robustelli, che pure ritiene che le istanze di rappresentazione linguistica della minoranza non binaria siano legittime, esprime preoccupazione riguardo la soppressione delle connotazioni di genere: “eliminare le desinenze grammaticali significa impedire la rappresentazione di metà della popolazione italiana, quella di sesso femminile” (Cecilia Robustelli, Lo schwa? Una toppa peggiore del buco, “Micromega.net”, 30 aprile 2021).
Angela Zanoni, 2 maggio 2022