Nr. 240
Pubblicato il 13/04/2022

Energia Nucleare

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

In Italia, la storia dell'uso del nucleare per scopi civili è scandita da due referendum: il primo, nel 1987, a seguito della catastrofe di Chernobyl, il secondo, nel 2011, appena dopo il disastro alla centrale di Fukushima. Entrambi i risultati hanno sancito la diffusa diffidenza sul tema e dettato l'arresto definitivo delle centrali aperte negli anni Sessanta. Eppure, più di un decennio dopo, il dibattito pubblico torna ancora sul tema. 


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - Il nucleare ha un minor impatto ambientale rispetto alle fonti fossili

Da un paragone diretto tra le diverse risorse energetiche, il nucleare risulta avere un impatto minore sull'ecosistema rispetto alle fonti fossili, poiché ha una più bassa emissione di anidride carbonica.

02 - Il nucleare ha un maggior impatto ambientale rispetto alle fonti rinnovabili

L'energia nucleare ha un basso impatto ambientale se comparata con le fonti fossili, ma risulta sconveniente se paragonata alle fonti energetiche rinnovabili, come l'eolico e l'idroelettrico.

03 - Il nucleare è una fonte sicura e affidabile

Il numero di decessi causati dall’energia nucleare è quasi interamente legato all’eventualità di un disastro nucleare, tuttavia poco probabile e, in ogni caso, causerebbe un numero esiguo di vittime.

04 - Esiste il rischio, seppur piccolo, di un disastro nucleare

I disastri nucleari non avvengono mai solo per cause esterne, l’errore umano è sempre cruciale nel determinare l’entità del danno e questo fattore non è eludibile.

05 - I costi e la gestione delle centrali nucleari sono sempre più competitivi

La forza del nucleare sta principalmente nei bassissimi costi di mantenimento, una volta superata la spesa iniziale, poiché l’uranio è il combustibile più economico sul mercato.

06 - Il nucleare è molto costoso

Si stima che occorrano 20 anni per raggiungere il punto di pareggio di una centrale nucleare, ossia il momento in cui l’energia prodotta permette di compensare tutte le spese sostenute. Si tratta di un tempo molto lungo per un settore in rapida espansione.

07 - La gestione delle scorie radioattive è sicura

Tanti materiali vengono stoccati nelle discariche, in attesa che i processi naturali facciano il loro corso, altrettanto si può fare con le scorie nucleari. Lo stoccaggio è facilitato dal fatto che il nucleare produce una quantità ridotta di materiali di scarto.

08 - La gestione delle scorie radioattive è ancora un problema

La gestione delle scorie radioattive è problematica: significa costruire impianti di stoccaggio che restino isolati e inalterati per migliaia di anni, i quali necessitano di monitoraggio e manutenzione continui.

 
01

Il nucleare ha un minor impatto ambientale rispetto alle fonti fossili

FAVOREVOLE

Tutto ha un costo, soprattutto per l’ambiente. Per valutare l’entità dell’impatto che un’attività ha sull’ecosistema, tra i vari indicatori che si utilizzano c’è anche la CO2 prodotta; e proprio questo è utile per fare un paragone diretto tra le varie risorse energetiche e valutare quanto siano “pulite”. Manfred Lenzen, PhD in fisica nucleare all’università di Bonn e ricercatore alla Sydney University, nel suo studio Life cycle energy and greenhouse gas emission of nuclear energy: A review, ha calcolato che le fonti fossili emettono tra i 600 e 1200 grammi di CO2eq/KWh (CO2 equivalente per kiloWattora elettrico) mentre il nucleare rimane tra i 10 e i 130 grammi di CO2eq/KWh (Manfred Lenzen, Life cycle energy and greenhouse gas emission of nuclear energy: A review, “sciencedirect.com”, 8 agosto 2008). La forbice tra i valori riportati è molto ampia perché sono tante le variabili da tenere in considerazione, dalla modalità di estrazione delle materie prime alla loro lavorazione. Per le fonti fossili ad esempio le centrali a gas naturale sono le “meno” inquinanti, mentre il carbone è quello con l’impatto maggiore. Per il nucleare invece si raggiunge il minimo usando come combustibile uranio poco arricchito e senza riprocessarlo. L’arricchimento dell’uranio e il recupero dei prodotti della fissione che possono essere riutilizzati, infatti, sono processi molto costosi da un punto di vista ambientale (Energia nucleare e CO2: quanto è verde l'atomo?, “Focus”, 1 agosto 2010). 

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 

 
02

Il nucleare ha un maggior impatto ambientale rispetto alle fonti rinnovabili

CONTRARIO

L’impatto ambientale del nucleare sembra davvero conveniente se comparato con quello di fonti come il carbone o il gas naturale, ma per avere un quadro completo della sua efficacia è necessario il confronto anche con le fonti rinnovabili. Nello studio condotto da Manfred Lenzen (Life cycle energy and greenhouse gas emission of nuclear energy: A review, “sciencedirect.com”, 8 agosto 2008) è emerso che l’energia solare (fotovoltaica o termica) produce circa 90 grammi di CO2eq/KWh, valore comparabile con quello del nucleare. Il dato può sorprendere, ma in realtà i materiali necessari per la costruzione dei pannelli solari (come Silicio e Germanio) non sono di facile estrazione e hanno tempi di utilizzo piuttosto brevi. Il confronto però diventa molto più sbilanciato a favore delle rinnovabili se consideriamo l’eolico e l’idroelettrico, che producono tra i 15 e 25 grammi di CO2eq/KWh. A questo punto il nucleare sembra avere un impatto comparabile con quello delle rinnovabili, c’è però un fattore in più che lo sfavorisce: il tempo. Costruire una centrale nucleare, soprattutto quelle di grandi dimensioni, è una sfida ingegneristica che richiede anni di progettazione e anni di costruzione. Per le centrali di terza generazione, ad esempio, si stimano tra i 10 e i 14 anni per iniziare a produrre energia a pieno regime. Ciò significa che i primi risultati di una transizione energetica nella direzione nucleare non si vedranno prima di qualche decennio. A ciò va aggiunto che la vita media di attività di una centrale è stimata tra i 50 e i 60 anni, al termine dei quali saranno necessari difficili e costosi interventi per il suo smantellamento. Per le rinnovabili i tempi di costruzione si riducono sensibilmente. A parità di impatto ambientale le rinnovabili possono iniziare prima a risparmiare emissioni inquinanti (Elisa Terenghi, Energia Nucleare: pro e contro. Emissioni, costi e tempi, “iconaclima.it”, 17 marzo 2021). 

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 
03

Il nucleare è una fonte sicura e affidabile

FAVOREVOLE

Quando si parla di nucleare la narrazione è quasi sempre filtrata dalla lente della paura, afferma Sabino Gallo, ingegnere specializzato in reattori nucleari, commentando il risultato del  referendum del 2011 (dopo Fukushima) (Sabino Gallo, Gli organi d’informazione nascondono ai cittadini le verità scientifiche sulla sicurezza e la convenienza del nucleare civile, “Pro\Versi”, 19 novembre 2016). Egli afferma infatti che la percezione del rischio può essere manipolata a tal punto da influenzare le scelte dei cittadini.

Ma il nucleare è davvero così pericoloso come sembra? Per rispondere a questa domanda James Hansen e Pushker A. Kharcha del Goddard Institute for Space Studies di New York (laboratorio della Earth Sciences Division del Goddard Space Flight Center della NASA affiliato al Columbia University Earth Institute) hanno condotto vari studi per calcolare il numero di morti causato da ogni kilowattora (KWh) di energia prodotto dalle varie fonti. Successivamente hanno confrontato i possibili scenari analizzando i dati della produzione energetica tra il 1971 e il 2009. Il numero di decessi è calcolato tenendo in considerazioni tutta la catena di produzione, dall’estrazione della materia prima fino allo smaltimento di scorie e rifiuti. La cosa sorprendente che è emersa è che aver utilizzato il nucleare in quegli anni ci ha permesso di risparmiare quasi 2 milioni di morti premature rispetto all’eventualità di usare il carbone come suo sostituto. I ricercatori hanno fatto delle stime anche sui prossimi 40 anni: sostituire il nucleare con il gas naturale causerebbe 420 mila morti in più, cifra che sale a quasi 7 milioni, considerando il carbone come alternativa (Francesca Mancuso, Col nucleare 2 milioni di morti in meno rispetto alle fonti fossili, “Greenme.it”, 4 aprile 2013).

Il numero di decessi causati dall’energia nucleare sembra controintuitivo, ma in realtà è corroborato dal fatto che il rischio di morte è quasi interamente legato all’eventualità di un disastro nucleare, eventualità però che è molto poco probabile e, in ogni caso, sarebbe responsabile di un numero esiguo di vittime. Basti pensare che a Fukushima il terremoto e lo tsunami hanno causato da soli circa 25 mila morti, mentre la centrale nucleare non ha causato morti dirette. Analogamente, nel 1979 a Three Mile Island, negli Stati Uniti, un malfunzionamento nel sistema di raffreddamento ha causato una parziale fusione del nocciolo del reattore, ma la cupola di cemento armato ha impedito la fuoriuscita di radiazioni e il territorio circostante non è stato contaminato (Energia nucleare pulita e sicura, “ecofantascienza.it”, consultato il 5 aprile 2022). 

 Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 
04

Esiste il rischio, seppur piccolo, di un disastro nucleare

CONTRARIO

La probabilità che si verifichino eventi simili a Chernobyl, Fukushima o Three Mile Island è molto bassa, seppur difficile da stimare. Essa, infatti, è legata a tutti gli imprevisti che possono verificarsi nel percorso di vita delle centrali e delle loro scorie. Calcolare ogni eventualità per ogni centrale attiva o da attivare richiederebbe uno studio infinito. Per quanto i parametri di sicurezza che le centrali devono soddisfare siano sempre più stringenti e la tecnologia sia sempre più raffinata, molte accortezze si possono avere solo dopo l’insorgere di un problema. Ad esempio, la centrale di Fukushima era stata pensata per resistere a tsunami fino a 9 metri di altezza, poiché si pensava che quella fosse l’entità massima che avrebbe potuto dover sopportare la centrale, ma nel 2011 lo tsunami che ha colpito la costa del Giappone era di 13 metri e assieme al terremoto, ha superato la soglia di tolleranza. I disastri nucleari però non avvengono mai solo per cause esterne, l’errore umano è sempre cruciale nel determinare l’entità del danno e questo fattore non è eludibile. Errore umano che non riguarda solo la gestione della catastrofe in corso, ma anche la sua prevenzione. Spesso in fase di costruzione e di mantenimento si tende a sottostimare il rischio o addirittura a falsificare i documenti per ridurre i costi legati alla gestione della centrale. Nel 1981, a seguito delle indagini sull’incidente di Three Mile Island, lo scienziato Daniel Ford scrisse per il “The New Yorker”: “Viste le scorrettezze regolamentari prima dell’incidente e i numerosi avvertimenti sui punti deboli nella sicurezza degli impianti, a lungo disponibili per le autorità federali, resta qualche dubbio sul fatto che l’episodio a Three Mile Island debba, in senso stretto, essere chiamato davvero ‘incidente” (Giovanni Zagni, L’incidente di Three Mile Island, “ilpost.it”, 29 marzo 2014).
Ciò accadde perché la sicurezza degli impianti era lasciata largamente all’iniziativa delle società di gestione, mentre le autorità di controllo si erano dimostrate molto spesso inclini a minimizzare i rischi. Ancora oggi la produzione di energia è legata a doppio filo con il guadagno a cui può portare e spesso gli interessi economici si scontrano con le richieste ingegneristiche e non sempre si raggiunge il giusto compromesso. 

 Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 

 
05

I costi e la gestione delle centrali nucleari sono sempre più competitivi

FAVOREVOLE

Uno dei principali detrattori dell’utilizzo dell’energia nucleare è sicuramente il costo iniziale della costruzione delle centrali. Il capitale iniziale necessario è dell’ordine della decina di miliardi di euro, denaro che è in genere fornito dagli Stati (si parla quindi di centrali pubbliche) o dalle banche, con finanziamenti e prestiti. In ogni caso, il costo è soggetto al tasso d’interesse, che rispecchia l’affidabilità del progetto. La cattiva fama del nucleare si riflette anche sul suo tasso d’interesse, che spesso finisce per gravare eccessivamente sul costo dell’energia. Nonostante questo, il costo di produzione dell’energia nucleare resta competitivo rispetto alle altre fonti energetiche. Facendo una media tra costo iniziale, costo operativo di mantenimento e costo di decommisioning, otteniamo un valore di LCOE (Levelized cost of energy) di circa 56$/KWh per il nucleare (con riferimento all’EPR francese) da confrontare con gli 87$/KWh del carbone o i 40 del fotovoltaico onshore (Costi, “ENEA”, consultato il 5 aprile 2022). 

La forza del nucleare, infatti, sta proprio nei bassissimi costi di mantenimento. Una volta superata la spesa iniziale, l’uranio è il combustibile più economico sul mercato, grazie al fatto che un chilo di uranio-235 sviluppa 18,7 milioni di KWh in forma di calore (Energia nucleare, “news-uchicago.edu”, consultato il 5 aprile 2022). Per produrre la stessa quantità di energia con dei pannelli fotovoltaici ne servirebbero circa 60 milioni da 1,7 metri quadri di superficie, al massimo della loro funzionalità. Il costo del fotovoltaico e delle rinnovabili in generale è più alto di quanto si potrebbe pensare perché, oltre ad essere fonti poco efficienti, si paga anche il prezzo dell’aleatorietà. L’energia rinnovabile, infatti, non viene prodotta in maniera costante, ma segue l’abbondanza delle risorse come il vento e il sole, che non sono correlate alla effettiva necessità di energia. Si rendono quindi necessari ingenti sforzi per gestire gli accumuli e le carenze di energia, e lo stoccaggio resta uno dei limiti principali di questo tipo di fonti energetiche. Il nucleare al contrario è una fonte costante e controllabile, come afferma il Think Tank Tortuga, in un contributo in tre parti pubblicato su “Linkiesta”: “Il nucleare è efficiente per il raggiungimento degli obiettivi climatici, ma anche in termini di affidabilità dei sistemi energetici nazionali. L’energia nucleare garantisce una stabilità delle reti elettriche che difficilmente altre fonti rinnovabili riescono a offrire, e permette inoltre di ridurre la dipendenza di un dato paese dalle importazioni energetiche necessarie per soddisfare il proprio fabbisogno energetico (es. importazioni di energia elettrica da paesi confinanti, combustibili fossili da paesi terzi, etc.)” (Tortuga, Perché l’energia nucleare serve (e perché serve oggi), “linkiesta.it”, 23 ottobre 2022). 

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 
06

Il nucleare è molto costoso

CONTRARIO

20 sono gli anni stimati per raggiungere il break even (punto di pareggio) di una centrale nucleare, ossia il momento in cui l’energia prodotta permette di compensare tutte le spese sostenute. Si tratta di un tempo molto lungo, soprattutto per un settore come quello energetico che è in rapida espansione, un investimento che oggi sembra promettente, tra 20 anni potrebbe essere obsoleto e ridurre ancora le possibilità di guadagno (Elisa Terenghi, Energia Nucleare: pro e contro. Emissioni, costi e tempi, “iconaclima.it”, 17 marzo 2021).
In effetti, nel mondo, solo il 4.1% dell'energia viene prodotta da fissione nucleare. Secondo Gian Piero Godio, questo è un segnale della scarsa convenienza anche economica di questa fonte di energia. Questa opinione è corroborata dai dati: secondo l’International Energy Agency e le stime della banca d’affari Lazard, il solare e l’eolico hanno costi più bassi rispetto al nucleare, addirittura competitivi con quelli dei combustibili fossili (Laura Franceschi, Perché si dovrebbe continuare ad essere contro il nucleare. Intervista a Gian Piero Godio, “ibicocca.unimib.it”, 24 marzo 2022).

Questa convenienza è legata soprattutto ai costi di smantellamento degli impianti. Gli investimenti necessari a produrre energia nucleare non si esauriscono con l’attivazione della centrale, per i quali servono 20 anni di attività della stessa per essere riassorbiti, ma dopo altri 30/40 anni si va incontro a spese altrettanto ingenti per terminare l'attività in sicurezza. A sostegno della convenienza del nucleare si fa spesso riferimento alla bolletta francese che costa circa il 30% in meno di quella italiana, grazie alla grande fetta di energia prodotta dal nucleare, ma quello che ci si dimentica di sottolineare è che la Francia non ha ancora dovuto sostenere le spese di smantellamento dei suoi impianti ed è difficile stimare quanto questo impatterà sul prezzo dell’energia in futuro. 

Un altro aspetto da considerare per valutare l'opportunità o meno di tornare al nucleare è il fatto che l’Italia non ha abbastanza risorse per estrarre l’uranio senza dipendere dall’importazione estera, ciò significa che un’eventuale transizione in questa direzione sposterebbe la nostra dipendenza energetica da una fonte all’altra, risolvendo questo problema solo in parte. 

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 
07

La gestione delle scorie radioattive è sicura

FAVOREVOLE

La gestione delle scorie radioattive può essere affrontata nello stesso modo con cui si affronta lo smaltimento di moltissimi altri tipi di rifiuti: con l’approccio del confinamento. Infatti, così come tanti materiali vengono stoccati nelle discariche, in attesa che i processi naturali facciano il loro corso, altrettanto si può fare con le scorie nucleari.
Il rifiuto nucleare ha però una caratteristica speciale rispetto ad altri tipi di rifiuti: la sua pericolosità diminuisce con il trascorrere del tempo, fino ad esaurirsi raggiungendo i livelli dell’uranio presente in natura. A seconda dell’elemento considerato, questo intervallo di tempo può variare dalle poche ore alle decine di migliaia di anni. Oltre alla riduzione dell’attività radioattiva, a rendere gestibile lo stoccaggio dei rifiuti nucleari è il fatto che si tratta di una quantità ridotta di materiali. Secondo un inventario della IAEA (International Atomic Energy Agency), a livello globale fino al 2013 sono state prodotte circa 370 mila tonnellate di rifiuto ad alta attività e lunga emivita, di cui circa 120mila sono state riciclate. Ogni anno una centrale nucleare da 1GW di potenza produce 25-30 tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta intensità. Per confronto, una centrale a carbone di pari potenza produce ogni anno 200mila tonnellate di ceneri, 200mila tonnellate di zolfo e 7 milioni di tonnellate di CO2 (La gestione dei rifiuti nucleari, “Associazione italiana nucleare”, 20 dicembre 2020). Come riporta “Geopop” “anche se l’intero mix energetico mondiale contasse solo sul nucleare, queste avrebbero le dimensioni di una lattina per persona, all’anno” (Luca Romano, La gestione di scorie nucleari e rifiuti radioattivi è possibile?, “geopop.it”, 6 gennaio 2022).

Occorre anche precisare che le scorie nucleari non sono il solo tipo di rifiuto radioattivo prodotto dai normali processi civili. Esistono, infatti, altri rifiuti, a radioattività meno intensa, provenienti da vari comparti industriali, che necessitano le stesse particolari attenzioni di smaltimento, anche se su tempi più brevi.
L’Italia, in questo senso, è particolarmente arretrata: tutti i rifiuti radioattivi da noi prodotti, di qualunque intensità, sono stati finora gestiti da Francia e Regno Unito e il progetto, in cantiere da anni, di un Deposito Unico Nazionale è allo stallo. Un comportamento che ha poco di razionale, dato che “fino ad ora non si sono mai verificati casi di contaminazioni ambientali o di danni alla salute di persone dovute a scorie nucleari” (Ibidem).

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

 
08

La gestione delle scorie radioattive è ancora un problema

CONTRARIO

Gestire le scorie radioattive significa costruire degli impianti di stoccaggio che restino isolati e inalterati per migliaia di anni, impianti che anche nella migliore delle ipotesi non possono essere abbandonati a loro stessi, ma dovranno continuare ad essere monitorati e manutenuti. Per le generazioni future sarebbe come se noi oggi ci trovassimo a gestire i rifiuti prodotti dagli antichi egizi. Oltre ad essere un debito che stiamo lasciando a chi ci succederà, si tratta di una sfida tutt’altro che semplice, quella di gestire i rifiuti nucleari.
Come spiega l’AIN (Associazione Italiana Nucleare), una volta che il combustibile esausto si è raffreddato ci sono due possibilità: il condizionamento con conseguente stoccaggio, oppure il riciclo come nuovo combustibile. La prima strada è la più comune, essendo gran parte dei reattori commerciali esistenti inadatti al combustibile riciclato. Il condizionamento consiste nel separare il combustibile in base al livello di radioattività per isolare quello ad alta intensità e stoccarlo in matrici di cemento e contenitori multistrato sigillati.  Questi contenitori passano prima dai depositi temporanei nei pressi dei reattori per poi raggiungere la destinazione finale nei siti geologici. Di siti geologici identificati ce ne sono davvero pochi, dal momento che la scelta di un sito centralizzato dove ogni Paese smaltisca i rifiuti nucleari è un processo lungo e complesso, che richiede oculate scelte tecniche e un deciso supporto politico e sociale all’infrastruttura. In Europa la prima a completarne la realizzazione sarà la Finlandia, nel 2024, con un deposito a lungo termine che si troverà a circa 500 metri di profondità sotto la città di Onkalo. L’alternativa al condizionamento sarebbe il riprocessamento, che sembrerebbe la via da preferire dato che, oltre a ridurre di molto la quantità e l’attività di rifiuti da smaltire, l’energia contenuta nel combustibile esausto è ancora molto elevata (oltre il 95% dell’energia iniziale).
Nonostante ciò, solo una piccola parte dei reattori commerciali ad oggi impiegati sono in grado di riciclare combustibile, ma non per una limitazione tecnologica. Da una parte, infatti, l’abbondanza dell’uranio minerario ha reso questa tecnica svantaggiosa dal punto di vista economico, in più il riprocessamento suscita preoccupazione in merito alla proliferazione di materiale di potenziale uso bellico (uno dei prodotti del riprocessamento è il plutonio, che può essere utilizzato a scopi militari).
Ad oggi esistono solo sette impianti di riprocessamento al mondo e il più grande di essi si trova in Francia, a La Hague, dove vengono lavorati anche parte dei rifiuti prodotti in Italia. Altri Paesi come la Russia e gli Stati Uniti hanno visioni differenti su questo tema, la prima ha come obiettivo per il 2030 riciclare tutte le scorie prodotte, mentre i secondi hanno deciso di puntare tutto sullo stoccaggio.
Esistono anche altre ipotesi alternative al deposito centralizzato, come l’idea della Deep Isolation, ma per il momento si tratta ancora di ipotesi in cantiere ben lontane dall’essere realizzate (La gestione dei rifiuti nucleari, “Associazione italiana nucleare”, 20 dicembre 2020). 

Arianna Armanetti - 13 aprile 2022

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