Green Pass
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Il certificato COVID digitale dell'UE, entrato in vigore il 1º luglio 2021, attesta che una persona è stata vaccinata contro il COVID-19, è risultata negativa al test, oppure è guarita dalla patologia. Tale misura rappresenta un tema divisivo, centro di un acceso dibattito. Da una parte c’è chi la ritiene un illegittimo strumento coercitivo che lede la libertà dei cittadini, un surrogato all’obbligo vaccinale. Dall’altra i suoi sostenitori, che la considerano efficace nell’arginare l’epidemia ed evitare il sovraccarico del sistema sanitario.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Incentivando la vaccinazione, grazie alla quale la malattia si presenta con effetti meno gravi, il Green Pass permette al sistema sanitario di funzionare più agevolmente, poiché il personale medico non deve concentrarsi unicamente sui pazienti affetti da COVID-19.
Pur non presentandosi formalmente come un obbligo vaccinale, il Green Pass, di fatto, impedisce a chi non lo possiede di accedere ad una serie di attività, limitando indirettamente la libertà del singolo. Questo vale soprattutto per i contesti lavorativi, in cui vi è l’obbligo della Certificazione, pena la sospensione. Coloro che non possiedono la Certificazione sono allontanati ed esclusi dalla maggior parte dei contesti sociali e, ancor peggio, lavorativi. Inoltre, eseguire ripetutamente tamponi comporta dei costi che sono a carico del singolo cittadino. Questi aspetti sono fonte di discriminazione sia sociale sia economica.
Non esiste disaccordo tra i principi presenti nella Costituzione e l’introduzione del Green Pass.
L’introduzione della Certificazione verde lede alcuni principi costituzionali fondamentali, in primo luogo libertà e uguaglianza, oltre ad imporre – anche se indirettamente – un trattamento sanitario.
Lo strumento della Certificazione verde permette di limitare il contagio, essendo previsto in quei contesti dove il rischio di infettarsi o infettare è maggiore.
Nemmeno uno strumento come la Certificazione verde riesce a bloccare il contagio, dal momento che anche chi è vaccinato può infettarsi e infettare. Anche nel caso dell’esito negativo di un tampone, l’attendibilità è relativa: è infatti possibile infettarsi durante il periodo di validità del test. Il Green Pass si rivela inoltre una misura inutile: nei paesi in cui il Green Pass è stato abolito – come Danimarca e Inghilterra – la curva epidemiologica non ha subito variazioni; questo dimostrerebbe che il Green Pass è inutile, oltre che nocivo, e una sua proroga non sarebbe motivata.
La Certificazione verde, attestando la protezione tramite i vaccini e la negatività tramite tampone, permette una ripresa delle relazioni interpersonali in maggior sicurezza. È possibile tornare a vivere la socialità in quei luoghi e contesti che prima di questa misura erano fortemente limitati o addirittura preclusi. Proprio tramite la ripresa e la riapertura di vari servizi, luoghi e attività, la Certificazione comporta anche il beneficio della ripresa economica del Paese.
Le ricadute negative sull’economia sono di duplice natura: da un lato, le aziende subiscono una perdita a livello di personale, dovendo escludere chi non possiede la Certificazione; dall’altro, limitando l’accesso a quasi la totalità delle attività sociali per coloro che non la possiedono, la Certificazione ha una ricaduta negativa sulla ripresa economica.
Il Green Pass non viola la privacy, poiché l’applicazione di verifica consente unicamente di verificare l’autenticità, la validità e l’integrità del Green Pass e di conoscere le generalità del titolare. Il Ministero dell’Interno chiarisce che i responsabili della verifica del Green Pass devono richiedere un documento di riconoscimento solamente nella situazione in cui vi sia una palese differenza tra la fisionomia della persona che presenta il certificato e i dati riportati nella stessa.
I dipendenti possono fornire copia del Green Pass al datore di lavoro ed essere così esentati dai controlli giornalieri, ma ciò non consente di rilevare l’eventuale positività sopravvenuta dopo il rilascio della certificazione. Inoltre, la conservazione di una copia del Green Pass da parte di terzi per scopi non medici contrasta con il Considerato 48 del Regolamento (UE) 2021/953.
Il Green Pass evita il sovraccarico del sistema sanitario nazionale
La pandemia ha colto impreparati tutti i Paesi che ha travolto, mettendo a dura prova i sistemi sanitari nazionali, e quello italiano non ha fatto eccezione. Lo scenario a cui si è assistito durante prima ondata (primavera 2020) è stato quello di ospedali al collasso, con il 95% dei posti letto occupati da malati di COVID-19. Mancavano strutture, spazi, strumenti, macchinari per curare i malati più gravi e presidi per proteggere gli operatori sanitari (Coronavirus, i letti in terapia intensiva sono finiti: “Il Sistema Sanitario è al collasso”, “La Stampa”, 4 Marzo 2020).
Durante la seconda ondata (autunno 2020-inverno 2021), il sistema sanitario era più preparato e disponeva di mezzi sufficienti. Nonostante ciò, gli ospedali hanno continuato a focalizzarsi sulla cura di malati di COVID-19, essendo molti i contagi e ancora significativi i malati gravi.
Ciò ha determinato una minor attenzione e prontezza nella cura e nella gestione di tutte le altre patologie: esami e operazioni rimandati, lunghe liste di attesa e meno posti letto disponibili.
Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, ha dichiarato che “secondo l'Istat, l'Italia nel 2020 ha avuto circa 30mila morti in più rispetto a quelli attribuiti a Covid e a quelli attesi per le altre patologie. In cima naturalmente ci sono i tumori. Dati diffusi dall'associazione Salutequità mostrano come per esempio gli screening oncologici siano letteralmente crollati” (Covid, “30 mila i morti per altre malattie trascurate", “Adnkronos”, 6 febbraio 2021).
L’ISS, a dicembre 2021, ha constatato che, a fronte di un numero maggiore di contagiati, gli ospedalizzati erano meno della metà: 10.866 contro i 23.566 dello scorso anno. Dati analoghi si riscontrano per le terapie intensive. Il 30 dicembre 2020 erano ricoverati 2.528 persone, mentre nelle rianimazioni di tutta Italia 1.126 (Gianluca De Rosa, I numeri di ospedalizzazione e terapie intensive ci dicono che i vaccini funzionano, “Il Foglio”, 30 dicembre 2021).
La misura del Super Green Pass, rafforzando l’idea che il vaccino sia la strada migliore per prevenire effetti gravi della malattia, ha permesso un minor peso di quest’ultima sul sistema sanitario e una graduale ripresa della sua ordinaria attività.
Alice Fontana, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass limita la libertà dei cittadini e causa di discriminazioni di varia natura
In un primo momento, il Green Pass Rafforzato veniva richiesto per viaggi europei, mezzi di trasporto, scuola e università, strutture sanitarie, attività e servizi. A partire dal 15 febbraio 2022 la Certificazione è stata resa obbligatoria anche sui luoghi di lavoro, sia pubblico sia privato, e per i cittadini over 50. Pur non configurandosi, formalmente, come un obbligo vaccinale, di fatto tale misura impedisce a chi non è in possesso della Certificazione di accedere alle attività sopra citate.
Ciò costituisce una forte limitazione della libertà personale: la scelta di non procedere alla vaccinazione può essere condotta, ma questa implica l’impossibilità di accedere liberamente a tutte quelle attività per cui è richiesto il Super Green Pass.
Non si tratta soltanto di contesti ricreativi, ma anche lavorativi e di istruzione. A tal proposito, è stato firmato un appello, già nell’autunno del 2021, a favore dell’abolizione della Certificazione per l’accesso alle università italiane: in particolare, tra i firmatari compare Alessandro Barbero, professore di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale, il quale ha denunciato una “ingiusta e illegittima discriminazione ai danni di una minoranza” (Alessandro Barbero contro il Green Pass: “E’ discriminatorio, meglio l’obbligo vaccinale”, “La Stampa”, 6 Settembre 2021).
Tale discriminazione, per lo storico, è ingiustificata, dal momento che si rivolge a soggetti che non hanno violato alcuna legge, scegliendo in modo legittimo e libero di non sottoporsi alla vaccinazione.
Il Green Pass, fin dalla sua prima formulazione (nella versione del Green Pass “base”) è stato fonte di discriminazione non soltanto sociale, ma anche economica. Chi non era disposto a vaccinarsi, infatti, aveva a disposizione l’alternativa di eseguire dei tamponi. Questo, però, doveva avvenire a spese del singolo cittadino, e con scadenze molto ristrette.
Nella forma del Super Green Pass, poi, le cose sono peggiorate, a seguito dell’introduzione della sua obbligatorietà anche in sede lavorativa: questo è diventato fonte di una ancora maggiore discriminazione economica, oltre che una limitazione della libertà personale. Se il cittadino decide di non vaccinarsi (e non ha mai contratto il COVID) non può lavorare e dunque ricevere il sostegno economico necessario (Gabriella Lax, Super Green Pass: Amnesty denuncia le discriminazioni dell’Italia nei confronti dei non vaccinati, “Studio Cataldi”, 17 gennaio 2022).
La divisione all’interno della società a causa della certificazione verde è stata rilevata anche da uno studio britannico condotto da Alexandre de Figueiredo, professore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, insieme ai due colleghi, Heidi J. Larson e Stephen Reicher. Una delle conclusioni dello studio, condotto tra il 9 e il 27 aprile 2021 su un campione costituito da 17.611 adulti del Regno Unito eterogeneo per sesso, età, grado di educazione, religione, impiego, lingua madre, etnia e provenienza geografica, è che l’introduzione di passaporti vaccinali potrebbe portare a quello che è stato definito dagli esperti come il “paradosso del passaporto vaccinale”, ovvero che i passaporti “potrebbero mascherare processi che alienano le minoranze e potrebbero portare a un generale decremento dell’interesse a vaccinarsi” (Alexandre de Figueiredo, Heidi J. Larson, Stephen Reicher, The potential impact of vaccine passports on inclination to accept COVID-19 vaccinations in the United Kingdom: Evidence from a large cross-sectional survey and modeling study, “The Lancet”, I giugno 2021).
In Italia, in merito a questa situazione, il 12 agosto 2021 Olga Milanese, avvocato civilista, e lo scrittore Carlo Cuppini, hanno lanciato sulla piattaforma “avaaz.org” la petizione Green Pass: Le ragioni del no diretta a Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana, per dimostrare che la certificazione varata dal governo Draghi compie una serie di violazioni rispetto alla Costituzione italiana e ai quadri normativi nazionali e internazionali, richiedendone pertanto la rimozione. Il documento, che in dieci giorni ha raggiunto le 36.000 sottoscrizioni, è stato firmato da avvocati, docenti universitari, filosofi, giornalisti, giuristi, medici, scrittori e sociologi, tra cui Giorgio Agamben, filosofo, Ugo Mattei, docente di Diritto Internazionale e Comparato all'Hastings College of the Law dell'Università della California a San Francisco, e Paolo Sceusa, giudice penale, civile e del lavoro, all’attenzione dei quali è stato posto il documento prima della sua pubblicazione.
Sceusa, in particolare, riassume il senso della petizione affermando che “Il Green Pass è uno strumento di discriminazione tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha” (Francesco Servadio, In punta di diritto: l’illustre giurista Paolo Sceusa lancia un appello contro la deriva democratica, “bgs.news”, 16 agosto 2021).
Secondo il parere dei firmatari della petizione “Il governo ha approvato una misura – il green pass – che implica l'esclusione in radice dell’accesso ad attività, servizi e luoghi pubblici […] a una specifica categoria di persone, ovvero coloro che non si sono vaccinati o non hanno prenotato la vaccinazione […]” pur permanendo la libertà della scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario della vaccinazione in accordo all’articolo 32 comma 2 della Costituzione. L’obbligo del Green Pass colpirebbe quindi “una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita, che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta” (Carlo Cuppini, Green Pass: le ragioni del no, “avaaz.org”, 12 agosto 2021).
Le “ragioni del no” al Green Pass dei firmatari della petizioni si basano sulla violazione dell’articolo 1 della Convenzione ONU, dell’articolo 2 e dell’articolo 3 della Costituzione italiana, dell’articolo 21 e dell’articolo 23 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, dell’articolo 2 e dell’articolo 7 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, dell’articolo 14 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, dell’articolo 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, del punto 7.3 della Risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa approvata il 27/01/2021, del Considerato 36 dei Regolamenti UE 953/2021 e 954/2021. Si tratta, nello specifico, di norme che riconoscono i diritti inviolabili e la dignità sociale dell’uomo, la parità tra uomini e donne in tutti i campi, e che vietano qualsiasi forma di discriminazione, sia diretta che indiretta, fondata su sesso, orientamento sessuale, razza, colore, etnia, lingua, età, religione, disabilità, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, ricchezza, nascita e ogni altra condizione.
Il documento si conclude motivando che “Le ragioni emergenziali non possono essere utilizzate come uno scudo per sospendere e annullare diritti considerati intangibili dai Padri Costituenti e dalla comunità internazionale” (Ibidem).
I filosofi Giorgio Agamben e Massimo Cacciari ribaltano la prospettiva, scrivendo su “Istituto Italiano per gli Studi Filosofici” che “Tutti sono minacciati da pratiche discriminatorie. Paradossalmente, quelli ‘abilitati’ dal green pass più ancora dei non vaccinati (che una propaganda di regime vorrebbe far passare per ‘nemici della scienza’ e magari fautori di pratiche magiche), dal momento che tutti i loro movimenti verrebbero controllati e mai si potrebbe venire a sapere come e da chi. Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire” (Giorgio Agamben, Massimo Cacciari, A proposito del decreto sul “green pass”, “Istituto Italiano per gli Studi Filosofici”, 26 luglio 2021).
Alice Fontana, Veronica Scudieri, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass è una misura legittima
L’introduzione della Certificazione rappresenta una misura legittima e pienamente costituzionale, per più di una ragione. La Costituzione italiana, innanzitutto, prevede la tutela della salute sia del singolo sia della collettività, prevedendo inoltre la limitazione delle libertà in caso di motivi sanitari. Inoltre, il Green Pass è in accordo con il principio di uguaglianza: la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre precisato che il principio di uguaglianza non impone di trattare tutti nello stesso modo. Come fa notare Francesco Pallante, professore associato di Diritto Costituzionale presso l’Università di Torino, il principio di uguaglianza “impone di trattare nello stesso modo coloro che sono, tra loro, simili e di trattare diversamente coloro che sono, tra loro, diversi. In questo senso, i vaccinati non sono uguali ai non vaccinati, perché, se è vero che possono anch’essi positivizzarsi, ammalarsi di Covid-19 e contagiare gli altri, è altresì vero che, per loro, è meno probabile che ciò accada e, se anche dovesse accadere, comunque la malattia per loro produce conseguenze meno pericolose. Dunque, indirettamente, i vaccinati proteggono i non vaccinati sia perché si ammalano di meno, sia perché, se anche si ammalano, sono meno contagiosi, (c) sia perché, se anche si ammalano, hanno minore necessità di cure sanitarie, lasciando le risorse del Sistema Sanitario Nazionale libere di intervenire a tutela degli altri malati (di Covid-19 o altre patologie): per tutti questi motivi, dunque, il green pass consente ai vaccinati di partecipare in relativa sicurezza – e comunque mantenendo sempre attive tutte le precauzioni relative a mascherine, distanziamento fisico, ecc. – ad alcune attività sociali dalle quali è, invece, meglio che siano esclusi i non vaccinati” (Francesco Pallante, Pandemia, sicurezza, democrazia, relazione (aggiornata) al convegno “Parole di Giustizia 2021 – In-sicurezza: giustizia, diritti, informazione”, Urbino-Pesaro, 22-24 ottobre 2021).
Infine, in quanto sancita da un decreto-legge, l’entrata in vigore del Green Pass e poi del Super Green Pass, secondo la Corte costituzionale, è in accordo con la Costituzione: “Il decreto-legge è un atto definito dalla stessa Costituzione ‘avente forza di legge’ e, dunque, è perfettamente idoneo a operare in sostituzione della legge” (Ibidem).
D’accordo sulla perfetta costituzionalità della misura è anche Giovanni Maria Flick, docente emerito di Diritto Penale all'Università Luiss di Roma ed ex ministro della Giustizia, il quale sostiene che la Costituzione consenta l’adozione della certificazione verde come provvedimento eccezionale per la lotta pandemica: “l’attuale ordinamento costituzionale consenta di rendere obbligatoria la vaccinazione, in base agli articoli 16 e 32 della Costituzione che tutelano rispettivamente la libertà di circolazione (quindi la possibilità di socializzazione) e la salute intesa come diritto fondamentale di tutti i cittadini e come interesse di tutta la collettività, soltanto attraverso una legge. È quindi giuridicamente consentita l’introduzione del Green Pass” (Covid, Flick: “Green pass obbligatorio giuridicamente consentito. Occorre salvaguardare la salute della collettività”, “Orizzontescuola.it”, 19 luglio 2021).
Per il giurista, il riconoscimento del diritto alla salute individuale e collettiva presente nella Costituzione giustifica, di conseguenza, anche la limitazione della libera circolazione finalizzata alla socializzazione su tutto il territorio nazionale, come enunciato dall’articolo 16 comma 1. Pertanto, poiché la salvaguardia della salute collettiva è essenziale in una situazione di emergenza sanitaria, in cui l’obiettivo da raggiungere è quello di reprimere l’epidemia, la tutela del suo interesse prevale sul diritto alla libera circolazione e giustifica le limitazioni predisposte dall’articolo.
La Costituzione riconosce, all’articolo 17 comma 1, il diritto alla riunione dei cittadini ma al comma 3 ne determina anche le limitazioni, che possono avvenire da parte delle autorità “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” (La Costituzione, Senato della Repubblica).
Giovanni Maria Flick si pronuncia anche su questo punto, ritenendo che “Occorre salvaguardare non solo la salute del singolo, ma anche degli altri e della collettività ed è compito della politica subordinare la socializzazione al vaccino. Solo le persone che per motivi di salute non possono vaccinarsi debbono essere esentate. La libertà del singolo in questi aspetti va coordinata con il principio della solidarietà e dei suoi doveri inderogabili, come ricorda l’articolo 2 della Costituzione” (Covid, Flick: “Green pass obbligatorio giuridicamente consentito. Occorre salvaguardare la salute della collettività”, “Orizzontescuola.it”, 19 luglio 2021).
La Costituzione italiana prevede che la legge possa imporre limiti e condizioni a ogni diritto riconosciuto per rispondere a esigenze pubbliche di varia natura secondo il principio di bilanciamento dei diritti tra la tutela dei diritti individuali e gli interessi pubblici. Dalla lettura congiunta degli articoli menzionati si evince che la legge può limitare (ma non comprimere) la libertà di movimento e di riunione di chi, potendo vaccinarsi, non l’ha fatto, esercitando il pieno diritto della libera scelta personale.
L’articolo 2 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” ma prosegue richiedendo “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” da parte dei cittadini per assicurare la convivenza civile e un equilibrio volto a garantire l’interesse comune accettando parziali ed equilibrate limitazioni, per sostenere, di riflesso, anche il funzionamento della Costituzione stessa (La Costituzione, Senato della Repubblica).
Il dovere di solidarietà espresso dall’articolo 2 è stato sottolineato anche da Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana, all’inizio dello stato di emergenza: “Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni […] La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse” (Coronavirus. Mattarella: “Le risposte siano frutto di un impegno comune fra tutti”, “Presidenza della Repubblica”, 27 marzo 2020).
Anche Giovanni Maria Di Lieto, avvocato amministrativista, ribadisce che “Lo stato può imporre, ricorrendone i presupposti e le condizioni, sacrifici al godimento da parte del singolo del diritto di autodeterminarsi in ordine alle scelte che investono la propria salute, al fine di perseguire quegli interessi superindividuali che — senza tale compressione dei diritti individuali — verrebbero messi in pericolo. La facoltà dello Stato di imporre limitazioni siffatte trova fondamento, innanzitutto, nel principio solidaristico enunciato dall’articolo 2 Costituzione (doveri di solidarietà politica, economica e sociale)” (Giovanni Maria Di Lieto, Obbligo vaccinale: quando è possibile secondo la Costituzione, “lavoce.info”, 10 novembre 2021).
In relazione all’obbligo Green Pass per l’accesso nei luoghi di lavoro pubblici e privati, Laura Papa, avvocato giuslavorista, ricorda che “Con riferimento all’HIV, la Corte Costituzionale […] ha già avuto modo di esprimersi” precisando “che ‘situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo’. In altre parole, la Corte prospetta il diritto alla salute da un lato come diritto dell’individuo ma anche (e soprattutto) come dovere dell’individuo nei confronti della collettività. In linea con tale orientamento, è oggi possibile richiedere il green pass per svolgere attività lavorative” (Diana Alfieri, Il green pass rispetta la Costituzione, “ilGiornale.it”, 19 settembre 2021).
Alice Fontana, Veronica Scudieri, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass è una misura incostituzionale
L’introduzione della Certificazione verde ha motivo di essere accusata, su più fronti, di incostituzionalità. Innanzitutto, limitando la libertà personale e causando discriminazioni di varia natura, tale misura lede i diritti fondamentali del cittadino, quali la libertà e l’uguaglianza.
In secondo luogo, si tratta di un provvedimento lesivo dell’art. 32, comma 2 della Costituzione, ai sensi del quale solo la legge può imporre un trattamento sanitario obbligatorio. Tramite il Super Green Pass non si procede formalmente all’introduzione dell’obbligo vaccinale, ma indirettamente i cittadini vengono indirizzati verso la vaccinazione, con scarso margine di scelta (Francesco Pallante, Pandemia, sicurezza, democrazia, relazione (aggiornata) al convegno “Parole di Giustizia 2021 – In-sicurezza: giustizia, diritti, informazione”, Urbino-Pesaro, 22-24 ottobre 2021).
A tal proposito, gli accademici italiani firmatari dell’appello contro la Certificazione verde (tra cui il professor Alessandro Barbero) hanno dichiarato: “Molti tra noi hanno liberamente scelto di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid-19, convinti della sua sicurezza ed efficacia. Tutti noi, però […] reputiamo ingiusta e illegittima la discriminazione introdotta ai danni di una minoranza, in quanto in contrasto con i dettami della Costituzione (art. 32: ‘Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana’) e con quanto stabilito dal Regolamento UE 953/2021, che chiarisce che ‘è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono state vaccinate” per diversi motivi o “che hanno scelto di non essere vaccinate” (Alessandro Barbero contro il Green Pass: “È discriminatorio, meglio l’obbligo vaccinale”, “La Stampa”, 6 settembre 2021).
Le istituzioni europee hanno concepito il Green Pass in prima istanza come uno strumento utile per “agevolare la libera circolazione all’interno dell’UE” specificando inoltre che “non costituisce un prerequisito per la libera circolazione, che è un diritto fondamentale nell’UE” poiché, per continuare a garantire il rispetto del diritto di libera circolazione nell’Unione Europea ed evitare discriminazioni nei confronti di chi non è vaccinato, è previsto anche l’assoggettamento a restrizioni come un test o un periodo di quarantena/autoisolamento (Commissione europea, Certificato COVID digitale dell’UE).
Il 21 luglio 2021 l’Osservatorio per la Legalità Costituzionale (OLC), composto da giuristi costituzionalisti, civilisti e internazionalisti, ha diffuso un documento in cui si decreta l’illegittimità costituzionale del Green Pass e la sua contrarietà al Diritto europeo ipotizzandone la disapplicazione giudiziaria. I firmatari del documento ritengono che “Il DL 105/2021 sembrerebbe conferire al Green pass natura di norma cogente a effetti plurimi di discriminazione e trattamento differenziato. […] Sorgono pertanto plurimi ordini di problemi, perché diverse sono le dimensioni giuridiche coinvolte: 1) sotto il profilo generale, possibile violazione dell’ordinamento giuridico europeo, poiché mentre in ambito europeo il Green pass ha valenza informativa, assume viceversa nel nostro ordinamento valenza obbligatoria e prescrittiva; 2) presunta violazione del dato costituzionale, laddove, pur in assenza di un obbligo vaccinale e di un serio dibattito parlamentare come accaduto in Francia, s’introducono forme di discriminazione e di trattamento differenziato nei confronti dei soggetti non titolari del Green pass” (Osservatorio per la Legalità Costituzionale, Sul dovere costituzionale e comunitario di disapplicazione del cd decreto Green Pass, 31 luglio 2021).
In relazione al primo punto, l’OLC afferma che il decreto “andrebbe disapplicato dal giudice ovvero, in subordine, attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia […] saremmo in presenza della configurazione di un altro modello di governance della pandemia, fondato su forme discriminatorie, piuttosto che estensive dell’esercizio dei diritti”.
Per gli esperti firmatari del documento, “la certificazione verde finirebbe per costituire l’imposizione, surrettizia e indiretta, di un obbligo vaccinale per quanti intendano circolare liberamente e/o usufruire dei […] servizi o spazi. Ne conseguirebbe la violazione della libertà personale, intesa quale legittimo rifiuto di un trattamento sanitario non obbligatorio per legge […]” (Ibidem).
Il richiamo evidente è all’articolo 32 della Costituzione, che sancisce che nessun individuo può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge, poiché non può essere violato in nessun caso il limite imposto dal rispetto della persona umana.
In riferimento all’articolo 32 il documento aggiunge che “La copertura dell’art 32 della Costituzione ammette l’imposizione di un sacrificio al singolo ma solo a fronte di un beneficio collettivo certo ed anche a condizione che il sacrificio sia certamente vantaggioso, in termini di salute, anche per il singolo stesso: requisito che non può dirsi soddisfatto laddove il farmaco sia ancora in fase sperimentale” (Ibidem). “Non lascia indifferenti”, è la conclusione del documento, “il fatto che il Consiglio d’Europa, nella risoluzione del 27 gennaio 2021, stante l’attuale non obbligatorietà del vaccino e la contestuale necessità di rispettare il pieno esercizio della libertà di autodeterminazione degli individui […] abbia risolutamente affermato la necessità di assicurare che nessuno venga discriminato per non essersi fatto vaccinare” (Ibidem).
Anche l’Unione per le Cure i Diritti e le Libertà (UCDL) ha inviato, il 6 agosto 2021, al presidente del Consiglio, ai ministri della Salute, dell’Economia, della Cultura, dell’Istruzione e ad altri enti una comunicazione-diffida, sottoscritta da numerosi avvocati. Secondo il parere dei legali firmatari, il decreto “nella parte in cui limita diritti e libertà a determinate categorie di persone è contrario ai principi generali di democrazia dello Stato italiano nonché a trattati di diritto internazionale a tutela delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo oltre che a norme comunitarie” (Unione per le Cure i Diritti e le Libertà, Diffida alla regolare prestazione di servizi e attività, senza discriminazioni di sorta avverso persone non vaccinate, ai sensi di quanto dispone la legge vigente e da applicare, 6 agosto 2021).
Erich Grimaldi, avvocato e presidente di UCDL, dichiara che “Lo strumento, per come è stato concepito dalle istituzioni italiane, di fatto viola la disposizione europea secondo la quale nessun provvedimento può essere adottato per condurre all’obbligatorietà del vaccino.” Dunque, il governo avrebbe violato nello specifico “l’ultimo capoverso dell’art 32 della Costituzione che rappresenta aspetto inderogabile e assoluto […]” dal momento che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, pertanto “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (Ibidem).
In relazione all’articolo 16 della Costituzione, si legge: “[…] il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto […]”.
Inoltre, continua la diffida, “l’articolo n. 36 del Regolamento UE 953/2021 precisa sia necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate […]”.
La conclusione, anche per gli avvocati firmatari della diffida UCDL, è che il Green Pass di fatto costringerebbe alla vaccinazione per poter svolgere qualsiasi attività: “La continua estensione del novero delle limitazioni fino a svuotare il diritto di circolare o di riunione se non si è in possesso di un lasciapassare, alla fine si traduce surrettiziamente, in un condizionamento alla vaccinazione, che diventa di fatto un obbligo […]” (Ibidem).
Alice Fontana, Veronica Scudieri, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass è uno strumento a tutela della salute sia collettiva sia individuale
La Certificazione verde (o Green Pass) è uno strumento che vari governi europei hanno adottato per arginare la curva del contagio. Essa prevedeva l’avvenuta somministrazione del vaccino anti-SARS-Cov-2, con almeno una dose, oppure l’esecuzione di un test molecolare o antigenico con esito negativo (il primo valido 72 ore, mentre il secondo 48 ore), o ancora l’attestata guarigione.
Secondo questa duplice alternativa, secondo i sostenitori della misura essa garantirebbe una protezione e una tutela a due livelli, sia individuale sia collettivo.
Da una parte, chi è in possesso della Certificazione verde avendo eseguito un tampone con esito negativo sa di non essere affetto dal virus e quindi di non poter essere causa di contagio.
Dall’altra, chi ha ricevuto la vaccinazione ha meno probabilità di sviluppare sintomatologia grave a seguito all’eventuale infezione, e soprattutto si ritiene sia meno contagioso. In particolare, il professor Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’IRCCS dell’Ospedale San Raffaele afferma che la probabilità di un vaccinato di contagiare altre persone si riduce di almeno il 70% rispetto a quella di un non vaccinato (Covid-19: chi è vaccinato può contagiare come un non vaccinato?, “Fondazione Umberto Veronesi Magazine”, 23 novembre 2021).
Questi fattori garantiscono una efficace tutela per la salute collettiva, in quanto diminuiscono il rischio di contagio in contesti sociali dove questo è più alto, e per la salute individuale, in quanto garantiscono al singolo soggetto una minore esposizione al virus.
Per tale ragione, a partire dal 15 ottobre 2021, nel rispetto di quanto stabilito dal D. L. 21/09/2021, n. 127 successivamente modificato dalla L. 19/11/2021, n. 165, è scattato l’obbligo Green Pass per accedere nei luoghi di lavoro per i dipendenti pubblici e privati. Il lavoratore che si presentava sul luogo di lavoro sprovvisto di certificazione era considerato assente ingiustificato senza diritto alla retribuzione, passibile di una sanzione amministrativa da 600 a 1.500 euro.Il provvedimento sull’estensione dell’obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro pubblici e privati, ha affermato Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, era “necessario per continuare ad aprire il Paese” (Green pass obbligatorio, Draghi: decreto per continuare ad aprire Paese, “Adnkronos”, 17 dicembre 2021).
Roberto Speranza, ministro della Salute, ritiene l’estensione del Green Pass sui luoghi di lavoro “un tassello molto importante nella strategia di contenimento del Covid […] Estendiamo con questo decreto l’utilizzo del green pass a tutto il mondo del lavoro pubblico e privato per due ragioni fondamentali: rendere questi luoghi più sicuri, perché il green pass è strumento di libertà, e rendere ancora più forte la nostra campagna di vaccinazione che ha numeri sempre più incoraggianti. […] Siamo convinti che questo decreto possa contribuire a dare ulteriore spinta a questa fase di ripartenza” (Ibidem).A fronte dell’innalzamento dei casi di COVID-19 nella variante Omicron, ritenuta più contagiosa delle precedenti, il governo italiano ha predisposto, a partire dal 6 dicembre 2021, un rafforzamento della Certificazione verde, denominandola Super Green Pass o Green Pass Rafforzato. Esso certifica l’avvenuta somministrazione con seconda dose di vaccino (valida per sei mesi) oppure con terza dose, mantenendo la propria validità in caso di avvenuta guarigione.
Se in un primo momento il Green Pass Rafforzato veniva richiesto per viaggi europei, mezzi di trasporto, scuola e università, strutture sanitarie, attività e servizi, a partire dal 15 febbraio 2022 la Certificazione è stata resa obbligatoria anche sui luoghi di lavoro, sia pubblico sia privato, e per i cittadini over 50. Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato, il giorno precedente l’entrata in vigore della misura, che grazie alla campagna vaccinale “i tanti casi di Omicron non si sono trasformati in ospedalizzazioni”. Proprio a fronte di tali risultati dovuti all’aumentare di soggetti vaccinati, il governo ha deciso di incentivare ulteriormente la campagna vaccinale e di farlo tramite un rafforzamento delle misure, rendendo obbligatoria la Certificazione anche nei luoghi di lavoro per i cittadini over 50, considerati soggetti più a rischio (Covid. Speranza: “Green pass obbligatorio sui luoghi di lavoro è la strategia giusta”. E su medici e infermieri: “No alla retorica degli eroi, rompere tetti di spesa”, “quotidianosanità.it”, 21 marzo 2022).La Certificazione verde incentiva la vaccinazione, pur non obbligando i cittadini a ricorrere ad essa. È il risultato di una collaborazione con la comunità scientifica, che riconosce nella vaccinazione l’arma più efficace contro il contagio e gli effetti più gravi della malattia. A conferma della validità di tale politica, risulta significativa l’indagine svolta dall’Istituto Superiore di Sanità datata 11 febbraio 2022: “Tra il 27 dicembre 2020 e il 9 febbraio 2022, sono state somministrate 131.548.249 dosi. Il tasso di ospedalizzazione standardizzato per età relativo alla popolazione di età ≥ 12 anni nel periodo 24/12/2021-23/01/2022 per i non vaccinati risulta circa sei volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da ≤ 120 giorni e circa dieci volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster. Il tasso di ricoveri in terapia intensiva standardizzato per età, relativo alla popolazione di età ≥ 12 anni, nel periodo 24/12/2021-23/01/2022 per i non vaccinati risulta circa dodici volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da ≤ 120 giorni circa venticinque volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster. Il tasso di mortalità standardizzato per età, relativo alla popolazione di età ≥ 12 anni, nel periodo 17/12/2021-16/01/2022, per i non vaccinati risulta circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da ≤ 120 giorni e circa ventitré volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster” (Istituto Superiore di Sanità, Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale, 9 febbraio 2022, p.4).
Alice Fontana, Veronica Scudieri, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass non rappresenta uno strumento efficace di tutela sanitaria ed è una misura inutile
La Certificazione verde (o Green Pass) è uno strumento che vari governi europei hanno adottato per arginare la curva del contagio. Essa prevedeva l’avvenuta somministrazione del vaccino anti-SARS-Cov-2, con almeno una dose, oppure l’esecuzione di un test molecolare o antigenico con esito negativo (il primo valido 72 ore, mentre il secondo 48 ore), o ancora l’attestata guarigione.
A fronte dell’innalzamento dei casi di COVID-19 nella variante Omicron, ritenuta più contagiosa delle precedenti, il governo italiano ha predisposto, a partire dal 6 dicembre 2021, un rafforzamento della Certificazione verde, denominandola Super Green Pass o Green Pass Rafforzato.
Esso certifica l’avvenuta somministrazione con seconda dose di vaccino (valida per sei mesi) oppure con terza dose, mantenendo la propria validità in caso di avvenuta guarigione.
Se in un primo momento il Green Pass Rafforzato veniva richiesto per viaggi europei, mezzi di trasporto, scuola e università, strutture sanitarie, attività e servizi, a partire dal 15 febbraio 2022 la Certificazione è stata resa obbligatoria anche sui luoghi di lavoro, sia pubblico sia privato, e per i cittadini over 50. Questa misura restringe, di fatto, il campo della gestione della salute personale, perché, a differenza della prima forma di Certificazione, obbliga indirettamente alla vaccinazione, se si intende continuare a partecipare alla vita pubblica e lavorativa. Si tratta, quindi, di un’imposizione “soft” per indurre le persone alla vaccinazione. A questo proposito, Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e Diagnostica delle Bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano, dichiarava: “Il Green pass per me, ma anche per altri tecnici, rimane una manovra politica per indurre alla vaccinazione anziché passare attraverso la spiegazione, la persuasione […] Il Governo probabilmente non vuole prendersi la responsabilità dell’obbligo, almeno per le fasce più deboli e ricorre alla via di rendere impossibile la vita ai non vaccinati attraverso il Green pass” (Green pass Italia, “estensione è manovra politica per indurre alla vaccinazione”, “Adnkronos”, 11 settembre 2021).
Oltre a costituire un ostacolo alla libertà del singolo cittadino, l’introduzione del Super Green Pass si è rivelata una misura inefficace e inutile dal punto di vista del contenimento pandemico e della creazione di ambienti sicuri. Per Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Padova, l’obbligatorietà del Green Pass è un argomento molto complesso e, rinunciando a posizioni troppo estreme e divisive che non favorirebbero il dialogo, chiarisce che “il Green pass serve per indurre le persone a vaccinarsi, non è una misura di sanità pubblica. E così va bene”. In merito all’obbligo di Green Pass per recarsi sui posti di lavoro, spiega che “in molti ambienti e in molte fabbriche usano le mascherine e non ci sarebbe bisogno del Green pass, perché le mascherine sono più sicure del Green pass, se usate correttamente. Quindi, dipende da situazione a situazione. Se il Green pass è proposto come uno strumento per far vaccinare le persone va bene, ma non è uno strumento per creare ambienti sicuri” (Green pass Italia, Crisanti: “No vax paghino tamponi ma non chiamiamoli evasori”, “Adnkronos”, 20 settembre 2021).
A conferma della scarsa efficaci del Green Pass Rafforzato nel contenimento dei contagi da Covid-19, giunge uno studio pubblicato su “The Lancet” (Carlos Franco-Paredes, Transmissibility of SARS-CoV-2 among fully vaccinated individuals, “The Lancet”, vol. 1, issue 1, p. 16, I gennaio 2022), nel quale si dimostra che “l’impatto della vaccinazione sulla trasmissione del Sars-CoV-2 e delle sue varianti non sembra essere significativamente diverso da quello tra persone non vaccinate”. Non vi sarebbero, dunque, differenze sostanziali tra individui vaccinati e non vaccinati in termini di carica virale, pertanto, “le attuali politiche di vaccinazione obbligatoria e che lo stato di vaccinazione non dovrebbe sostituire pratiche di mitigazione, come indossare maschere, distanziamento fisico e indagini di tracciamento dei contatti, anche all’interno di popolazioni altamente vaccinate” (Silvia Mari, Covid, studio the Lancet: “Vaccino salva la vita ma non ferma contagi, obbligo da rivalutare”, “Dire”, 29 gennaio 2022).
L’evidenza della sua inutilità, inoltre, risiede nei dati raccolti durante il periodo compreso tra ottobre 2021 e gennaio 2022, che hanno visto un vertiginoso innalzamento della curva epidemiologica, direttamente proporzionale al numero di vaccini somministrati (e quindi di Super Green Pass rilasciati). Il bollettino dell’OMS relativo al periodo dal 15 al 21 novembre 2021 segnala quasi 3,6 milioni di nuovi casi e oltre 51mila morti in 7 giorni, con un aumento del 6% rispetto alla settimana precedente. Tra questi, l’Europa ha mostrato un aumento dei nuovi casi settimanali pari all’11%, mentre le altre regioni hanno riportato una diminuzione o un'incidenza simile alla settimana precedente. Il calo più significativo è stato quello del Sudest asiatico (-11%), seguita dalla regione del Mediterraneo orientale (-9%) (Covid quarta ondata, Oms: "Europa epicentro pandemia", “Adnkronos”, 24 novembre 2021). In Europa, invece, i nuovi contagi sono saliti a 2,4 milioni in una settimana (67% del totale mondiale). I morti sono stati 29.465, il 3% in più rispetto alla settimana precedente, pari al 57% del totale settimanale.
Il continente europeo, dunque, nonostante vantasse il maggior numero percentuale di cittadini vaccinati, è stato investito, più degli altri, dall’ondata epidemica (Quarta ondata, ecco il quadro Paese per paese: dalla Francia alla Romania, “Il Sole 24 Ore”, 13 novembre 2021). Alcuni Paesi si sono resi conto dell’inutilità della Certificazione, abolendo tale misura: ci si riferisce, in particolare, a Danimarca e Inghilterra, dove, a seguito dell’abolizione, la curva epidemiologica non ha subito variazioni degne di nota (Leonardo Clausi, Via tutte le restrizioni, il primato dell’Inghilterra, “Il Manifesto”, 22 febbraio 2022).
Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, ha dichiarato: “Non c’è stato un aumento dei morti in Danimarca e in Inghilterra, che torna alla mortalità pre-covid. Lo stesso avviene per altri paesi che tolgono le restrizioni e non hanno visto un effetto devastante dopo la rimozione del Green Pass, che non è uno strumento di sicurezza ma uno strumento per far vaccinare le persone” (Green Pass, Bassetti “Danimarca lo ha tolto, niente boom di contagi, “Adnkronos”, 18 febbraio 2021).
Di fronte a tali dati e dirigendosi verso l’abolizione dello stato di emergenza, anche il governo italiano sta valutando di allentare gradualmente le misure di restrizione, tra cui il Super Green Pass (Monica Guerzoni, Fiorenza Sarzanini, Green pass e mascherine: il calendario del governo la fine delle restrizioni, “Corriere della Sera”, 14 marzo 2022).
Alice Fontana, Veronica Scudieri, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass agevola il ritorno alla vita sociale e rivitalizza l’economia
Tenendo salda l’idea che il Super Green Pass rappresenti un mezzo di tutela sanitaria individuale e collettiva, esso costituirebbe, per i suoi promotori, anche uno strumento per permettere un ritorno più sicuro alla vita sociale.
La Certificazione viene infatti richiesta in luoghi di aggregazione e incontro, tra cui scuola, università, ristoranti, cinema, teatri, mezzi di trasporto, attività commerciali.
Tra gli effetti desiderati di questa misura c’è l’incentivo al ritorno alla socialità a cui si era abituati prima della pandemia: la maggiore protezione garantita da questo strumento rende meno rischiosi i contatti sociali, anche nei luoghi di maggiore aggregamento. I cittadini tendono ad essere meno spaventati di fronte alla possibilità di coltivare nuovamente i rapporti interpersonali, consci della tutela che viene loro garantita dal Green Pass Rafforzato.
Il ritorno alla socialità implica la frequentazione di luoghi e attività che sono anche e soprattutto di natura commerciale: bar, ristoranti, negozi, cinema, e così via.
Questo comporta una ripresa economica auspicata dall’inizio della pandemia, quando molte attività sono state costrette alla chiusura per arginare il contagio durante le fasi acute dell’emergenza sanitaria.
A tal proposito, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta ha dichiarato: “Il Green Pass è stata la più grande manovra di politica economica del governo Draghi. Il Green pass ha permesso di riaprire le nostre città, di far ripartire l’economia e i consumi in tutti i settori. L’Italia sta crescendo oltre il 6 %. Chiuderà quest’anno tra il 6.2 %, 6.3 %, forse 6.4/6.5 %. Il doppio della Germania” (Cristiano Ghiotti, Green Pass come strumento economico, non sanitario, “Punto-informatico.it”, 22 novembre 2022).
Alice Fontana, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass ostacola la ripresa economica
La fondazione GIMBE ha recentemente riportato che 7.027.147 persone in Italia non hanno ricevuto nessuna dose di vaccino (tra queste, 2,27 milioni sono guarite da meno di 180 giorni) (Giulia Alfieri, Lo sapete quanti non vaccinati ci sono in Italia? Il report Gimbe, “Start Magazine”, 3 marzo 2022).
Date le misure riguardanti il Super Green Pass, più di cinque milioni di persone non possono accedere a tutti quei servizi e attività lavorative, ricreative e culturali incluse nel decreto-legge, e, di conseguenza, non possono essere soggetti economici attivi e partecipare alla vita economica del Paese. Molti di questi hanno rinunciato al proprio lavoro o sono stati sospesi perché si sono rifiutati di ricevere il vaccino. Questi dati hanno una evidente rilevanza dal punto di vista economico, oltre che sociale e culturale. Si tratta di cinque milioni di persone che non possono accedere a bar, ristoranti, mezzi di trasporto, cinema, teatri, palestre.
Un altro aspetto della questione da non trascurare: un’azienda con un dipendente che non sia in possesso di Super Green Pass, ad esempio, è costretta a sospenderlo e fare a meno di parte del suo organico.
Alice Fontana, Emma Traversi - 5 aprile 2022
Il Green Pass tutela la privacy dei cittadini
L’introduzione del Green Pass su tutto il territorio nazionale ha suscitato forti perplessità in merito a questioni relative al rispetto della privacy, soprattutto in relazioni a chi sia autorizzato a effettuare i controlli previsti dalla normativa.
Dal 15 ottobre tutti gli impiegati pubblici e privati sono obbligati a esibire il Green Pass per accedere al luogo nel quale si svolgono l’attività lavorativa. Il D. L. 21/09/2021, n. 127 contenente le “Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening” prevede l’esecuzione dei controlli in fase di ingresso o a campione da parte del datore di lavoro, che all’interno della propria struttura può delegare uno o più soggetti autorizzati al controllo e debitamente istruiti. Gli stessi soggetti autorizzati al controllo hanno il compito di verificare il Green Pass del datore di lavoro, il quale a sua volta ha il compito di controllare quello degli autorizzati (Gazzetta Ufficiale, D. L. 21/09/2021, n.127).
Il 20 novembre 2021 viene pubblicata la L. 19/11/2021, n. 165 che converte, con modificazioni, il D. L. 21/09/2021, n. 127. La legge presenta delle importanti novità in relazione alle verifiche del Green Pass da eseguire in ambito lavorativo. Si legge, infatti: “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro” (Gazzetta Ufficiale, L. 19/11/2021, n. 165).
Si tratta di una misura adottata su segnalazione di Guido Scorza, componente del Garante per la Protezione dei Dati Personali, dal momento che l’iniziativa di richiedere una copia del Green Pass si era diffusa tra i titolari di alcune palestre e centri sportivi: “La richiesta, quale condizione per la frequentazione del centro sportivo o della palestra, di copia del documento e di indicazione della data di scadenza e la successiva conservazione di tali elementi […] rappresenta una violazione della vigente disciplina in materia di protezione dei dati personali giacché il titolare del trattamento — palestra, centro sportivo o qualsiasi altro analogo soggetto — non ha titolo per acquisire la data di scadenza del Green Pass e conservare gli altri dati personali contenuti nel medesimo documento” (Guido Scorza, Green Pass, le palestre non possono conservarne copia né registrare la data di scadenza, “GPDP. Garante per la protezione dei dati personali”, 3 settembre 2021).
La conservazione di una copia della certificazione, infatti, contrasta con il Considerato 48 del Regolamento (UE) 2021/953, che sancisce: “Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l’accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento” (Regolamento (UE) 2021/953, “Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea”, 14 giugno 2021).
Poiché la L. 19/11/2021 prevede il solo diritto dei lavoratori di consegnare il Green Pass al proprio datore di lavoro ma non la possibilità di quest’ultimo di richiederne la consegna, il datore di lavoro deve osservare un duplice impegno per poter trattare lecitamente i dati relativi ai controlli del Green Pass e tutelare la privacy dei lavoratori e dei collaboratori esterni che accedono ai luoghi di lavoro: da una parte deve continuare ad assicurare le procedure di verifica per i lavoratori che non intendono consegnare il Green Pass, dall’altra deve rispondere alle esigenze di coloro che invece scelgono di usufruire della possibilità di consegnare la certificazione.
In riferimento a questa seconda situazione, il datore di lavoro ha il compito di:
- modificare la procedura di gestione dei controlli e informare gli eventuali responsabili dei controlli dei nominativi dei lavoratori che hanno scelto di consegnare il Green Pass (in base all’articolo 28 del GDPR);
- predisporre l’informativa sul trattamento dei dati personali in sede di accesso sul luogo di lavoro affinché l’interessato possa prenderne opportunamente visione (ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679);
- aggiornare il Registro dei trattamenti e menzionare le misure di sicurezza a difesa del trattamento, che può essere effettuato in formato cartaceo o elettronico (in base all’articolo 30 del GDPR) (Luca Iadecola, Green pass e privacy: si cambia di nuovo, “Altalex”, 25 novembre 2021).
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali, inoltre, ribadisce che l’unico strumento utilizzabile per effettuare il controllo dei Green Pass e per garantire la protezione dei dati personali, in conformità con i principi stabiliti dal Regolamento Europeo 679/2016, è l’applicazione VerificaC19: “Tale app infatti è l’unico strumento in grado di garantire l’attualità della validità della certificazione verde, in conformità ai principi protezione dei dati personali, garantendo inoltre che i verificatori possano conoscere solo le generalità dell’interessato, senza visualizzare le altre informazioni presenti nella certificazione (guarigione, vaccino, esito del tampone)” (Certificazioni verdi: via libera del Garante, con adeguate garanzie, “GPDP. Garante per la protezione dei dati personali”, 10 giugno 2021).
L’utilizzo del codice QR presente nella certificazione e la relativa verifica sono disciplinati dal Decreto del Presidente del Consiglio Ministri 17 giugno 2021. L’articolo 3 specifica che sono considerati dati generali comuni “cognome e nome, data di nascita, malattia o agente bersaglio, soggetto che ha rilasciato la certificazione verde COViD-19: Ministero della salute, identificativo univoco della certificazione verde Covid-19”, mentre sono considerate informazioni specifiche quelle relative all’avvenuta vaccinazione, guarigione o all’effettuazione di test antigenico rapido o molecolare con esito negativo. Inoltre, al comma 5 sancisce che “L’attività di verifica delle certificazioni non comporta, in alcun caso, la raccolta dei dati dell’intestatario in qualunque forma” (Gazzetta Ufficiale, Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri).
Pertanto, l’applicazione di verifica consente unicamente di verificare l’autenticità, la validità e l’integrità del Green Pass e di conoscere le generalità del titolare. A questo proposito, per mezzo della circolare del 10 agosto 2021, il Ministero dell’Interno chiarisce che coloro che sono responsabili della verifica del Green Pass devono richiedere un documento di riconoscimento solamente nella situazione in cui vi sia una palese differenza tra la fisionomia della persona che presenta il certificato e i dati riportati nella stessa: “Si tratta, ad ogni evidenza, di un’ulteriore verifica che ha lo scopo di contrastare casi di abuso o di elusione delle disposizioni in commento”. La persona non può pertanto opporsi alla richiesta se a fargliela è uno dei soggetti menzionati nell’articolo 13 comma 2, ovvero pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni, vettori aerei, marittimi e terrestri, gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie ecc. (Bruno Frattasi, Circolare del Viminale sulla verifica delle certificazioni verdi Covid-19, Ministero dell’Interno, 10 agosto 2021).
La circolare del 2 dicembre 2021 del Ministero dell’Interno dissipa infine le ultime perplessità relative a chi spetti effettuare i controlli sui mezzi di trasporto, come disposto dal D.L. 26/11/2021, n. 172: “[…] appare opportuno rammentare la decisiva rilevanza del contributo degli enti gestori, in particolare attraverso il proprio personale addetto alle verifiche, in possesso della qualifica di incaricato di pubblico servizio” (Bruno Frattasi, Circolare 2 dicembre 2021. Decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, Ministero dell’Interno, 2 dicembre 2021).
Veronica Scudieri - 5 aprile 2022
Il Green Pass presenta delle criticità per la tutela della privacy dei cittadini
A seguito dell’introduzione del Green Pass su tutto il territorio nazionale con D. L. 23/07/2021, n. 105 e le successive estensioni in ambito lavorativo con D. L. 21/09/2021, n. 127 e D.L. 26/11/2021, n. 172, che istituisce anche il Green Pass rafforzato e il Green Pass base per usufruire dei mezzi pubblici da parte di chi abbia più di 12 anni, sono emersi dei punti di criticità messi in evidenza da Pasquale Stanzione, presidente del Garante per la Protezione dei Dati Personali, il quale ribadisce che “La protezione dei dati è sempre più importante, soprattutto con riferimento alla sicurezza sul lavoro. L’Autorità si è sempre preoccupata di coniugare il profilo della salute pubblica con la privacy, un segno emblematico è rappresentato anche dal Green pass, il cui obiettivo è la tutela della sicurezza individuale e della collettività” (Garante Privacy, Stanzione: “Necessario tutelare la persona dall’invasività delle nuove tecnologie”, “la Stampa”, 16 novembre 2011).
Riguardo agli emendamenti approvati dal Senato alla L. 19/11/2021, n. 165 che converte il D. L. 21/09/2021, n. 127, Stanzione indirizza una segnalazione al Parlamento e al governo in cui “presenta talune criticità, sulle quali è auspicabile un approfondimento ulteriore” in relazione alla possibilità da parte dei lavoratori dei settori pubblico e privato di fornire una copia del Green Pass al datore di lavoro, con la conseguente esenzione dai controlli per tutta la durata della validità del certificato. Nello specifico, il Garante per la protezione dei dati personali segnala che:
- l’esenzione dai controlli rischierebbe di causare “la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del ‘green pass’. Esso è, infatti, efficace a fini epidemiologici nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità […] L’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe, di contro, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato […]”;
- la conservazione di una copia del Green Pass da parte di terzi contrasta con il Considerato 48 del Regolamento (UE) 2021/953 (“Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l'accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento”), che esprime un divieto funzionale a garantire la riservatezza dei dati sulla condizione clinica del soggetto e le scelte compiute in relazione alla profilassi vaccinale. La consegna spontanea del Green Pass da parte del lavoratore al datore di lavoro, quindi, non dovrebbe avvenire poiché “dovrebbe essere preclusa la conoscenza di condizioni soggettive peculiari dei lavoratori come la situazione clinica e convinzioni personali” nel rispetto delle “garanzie sancite sia dalla disciplina di protezione dati, sia dalla normativa giuslavoristica (artt. 88 Reg. Ue 2016/679; 113 d.lgs. 196 del 2003; 5 e 8 l. n. 300 del 1970; 10 d.lgs. n. 276 del 2003)”;
- la conservazione della certificazione non si ritiene legittima nemmeno “sulla base di un presunto consenso implicito del lavoratore che la consegni, ritenendo il diritto sottesovi pienamente disponibile. Dal punto di vista della protezione dei dati personali (e, dunque, ai fini della legittimità del relativo trattamento), il consenso in ambito lavorativo non può, infatti, ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso (C 43 Reg. UE 2016/679)”;
- e infine che “la conservazione dei certificati imporrebbe l’adozione, da parte datoriale, di misure tecniche e organizzative adeguate al grado di rischio connesso al trattamento, con un non trascurabile incremento degli oneri (anche per la finanza pubblica, relativamente al settore pubblico)” (Pasquale Stanzione, Segnalazione al Parlamento e al Governo sul Disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 127, GPDP. Garante per la protezione dei dati personali, 11 novembre 2021).
Veronica Scudieri, 5 aprile 2022