App Immuni
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
Tra le misure in procinto di essere adottate per la gestione della cosiddetta fase 2 dell’emergenza Covid-19 quella maggiormente controversa pare essere Immuni, una App di tracciamento di prossimità tra persone che dovrebbe essere disponibile a partire da fine maggio 2020.
La software house milanese Bending Spoons è stata scelta dal governo italiano per lo sviluppo dell’applicazione di contact tracing, che – come annunciato dal governo stesso – sarà open source, basata sul sistema Bluetooth e non sulla geolocalizzazione. L’App, messa a punto in partnership con il Centro Diagnostico Santagostino, prevede un sistema di tracciamento anonimo, volontario e utilizzerà il protocollo proposto da Google e Apple, che consente la decentralizzazione dei dati.
La proposta dell’introduzione di un’App di tracciamento dei contatti tra le misure ritenute necessarie per l’allentamento delle restrizioni legate all’emergenza sanitaria è stata accompagnata da subito da accese polemiche. Tra l’opinione pubblica si è diffusa l’idea di una App che mette a rischio la privacy degli utenti, con un dibattito animato dai favorevoli al tracciamento da un lato e da coloro che vi si oppongono dall’altro, incardinando la discussione su una improbabile scelta tra salute e privacy.
È necessario adottare un’App di tracciamento dei contatti
Sulla necessità di adottare un’App di tracciamento si è espresso Gianfranco Giardina, che nota come sia un supporto utile per individuare i più meritevoli di essere sottoposti a test diagnostici, non avendo, il nostro sistema sanitario, una capacità diagnostica totale. Tuttavia, risulta necessario potenziare parallelamente la capacità del SSN di effettuare tamponi, altrimenti la stessa App sarebbe inutile.
Favorevole all’utilizzo della tecnologia per il tracciamento dei contatti è il prof. Stefano Epifani, il quale evidenzia, tuttavia, come questa non debba essere intesa come soluzione a tutti i problemi. L’App è solo una parte degli interventi necessari a contenere l’emergenza sanitaria, ma bisogna dare risposta anche alle emergenze economica e sociale attraverso strategie differenziate e non limitarci a un approccio epidemiologico.
Le App di tracciamento di prossimità tra persone – si legge sulla rivista “Nature” – possono integrare le strategie di controllo della pandemia, ma non possono sostituire il tracciamento effettuato da operatori sanitari.
In tutta Europa, ma in particolare in Italia, si riscontra un forte divario digitale legato soprattutto a fattori culturali e generazionali. Ciò depotenzia notevolmente l’utilità di una App di tracciamento, dal momento che i cittadini meno abili nell’utilizzo delle tecnologie sono proprio i più vulnerabili al virus.
Il prof. Gianluca Briguglia chiede al governo che si valuti con serietà e in modo pubblico se il rapporto tra benefici e rischi dell’adozione di un’App di tracciamento sia davvero favorevole, poiché si rischia che i dispositivi tecnologici apportino cambiamenti profondi e decretino “una nuova antropologia della libertà”, tutt’altro che condivisibile dai fautori della libertà tout court.
Pieno rispetto della Privacy, con la decentralizzazione dei dati e il sistema Bluetooth
Rispetto alle attività tradizionali di contenimento del contagio, la App Immuni permette una maggiore tutela della privacy.
La scelta di decentralizzare i dati è una notevole garanzia, poiché i codici anonimi crittografati vengono generati e archiviati dai dispositivi degli utenti e non da server esterni. Non c’è quindi un server che contenga sia i codici dei cellulari sia le chiavi crittografiche, in tal modo è impossibile re-identificare gli utenti tracciati. Così come garantisce una maggiore privacy l’utilizzo della connettività Bluetooth in luogo della geolocalizzazione. Gli sviluppatori, inoltre, stanno lavorano per ridurre il rischio di falsi positivi, calibrando meglio l’algoritmo di rilevazione della distanza e dei tempi di esposizione e intervenendo sulla potenza del segnale Bluetooth.
L’utilizzo della tecnologia Bluetooth presenta notevoli controindicazioni, in primo luogo la sua vulnerabilità in termini di attacchi informatici. Inoltre, è meno affidabile, poiché non è grado di fare una valutazione “qualitativa” del contatto e potrebbe generare casi di “falsi positivi”.
Nell’optare per un modello decentralizzato, il governo italiano ha ceduto di fronte alle polemiche politiche. Il modello centralizzato – che prevede la conservazione dei dati su un server – pur essendo più invasivo della privacy, è più utile, perché i dati sul server possono essere a disposizione del servizio sanitario per ricostruire un grafo sociale dei contagi, in forma anonima e aggregata.
Nonostante l’impostazione volta alla tutela della privacy, Bruno Mastroianni ricorda la necessità di minimizzare i dati condivisi, poiché i dati sulla salute possono determinare una maggiore o minore libertà dell’individuo.
La non obbligatorietà può rendere inutile l’App Immuni
Tra i principali aspetti positivi dell’App Immuni c’è la volontarietà di utilizzo, che, unitamente alla mancanza di restrizioni nel caso non la si installasse, garantisce il rispetto delle libertà individuali. D’altronde, come ricorda il prof. Francesco Paolo Micozzi, l’obbligatorietà d’utilizzo sarebbe contro i criteri giuridici.
In riferimento polemiche circa l’impossibilità di raggiungere una soglia utile per l’efficacia dell’App con un’adesione solo volontaria, la ministra Paola Pisano sottolinea che Immuni avrebbe una buona resa anche con un’adesione del 25-30% degli utenti.
Precondizione necessaria all’efficacia dell’App Immuni, sottolinea il giornalista Fabio Chiusi, non è la coercizione ma la fiducia dei cittadini.
Affinché un’App di tracciamento dei contatti possa fermare l’epidemia è necessario che venga utilizzata dal 60% dei cittadini, come dimostrato da uno studio condotto dalla Oxford University. Percentuali difficilmente raggiungibili con un'applicazione volontaria.
Secondo Gianfranco Giardina, è imprescindibile l’obbligatorietà del consenso alla divulgazione anonima del dato in caso di diagnosi di positività, poiché non c’è violazione delle norme sulla privacy.
Il prof. Luciano Floridi sottolinea come la volontarietà dell’App dovrebbe essere accompagnata da incentivi positivi, ma che tengano conto di un fenomeno come il digital divide che, se non considerato, potrebbe generare un sistema ingiusto e porre un problema di natura etica.
La volontarietà dell’App – scrive Isabella Corradini – potrebbe generare comportamenti sociali discriminatori, dati dalla diffidenza di chi ha installato l’App verso chi non l’ha fatto.
Ombre sulla scelta di Bending Spoons
Le polemiche che hanno accompagnato la scelta della società Bending Spoons per lo sviluppo dell’App sono mosse da motivazioni puramente politiche, poiché è evidente dalla relazione della task force che la App Immuni è quella che presenta maggiori punti di forza rispetto alle concorrenti.
Privi di fondamento anche i timori riguardo alla possibilità che la Bending Spoons possa divulgare o vendere i dati dei cittadini italiani, poiché:
- la software house non ha accesso ai dati, questi saranno gestiti da un ente pubblico nazionale;
- il software è open source per garantire gli standard di trasparenza;
- azionisti, quali la NUO Capital e la H14, non hanno alcuna influenza sulla direzione societaria, in virtù della quota minima di azioni che detengono.
Quando è stato scelto il modello Immuni per la App italiana, esso presentava un approccio centralizzato. In seguito, Google e Apple hanno proposto un nuovo protocollo, che consentiva la decentralizzazione dei dati, al quale la Bending Spoons ha aderito, modificando sostanzialmente il modello iniziale di Immuni. È, quindi, lecito chiedersi – secondo il prof. Stefano Epifani –, vista l’adozione di un modello completamente diverso, perché dovrebbe essere ancora la Bending Spoons a sviluppare l'App?
Tra le motivazioni che hanno scatenato polemiche intorno alla scelta della Bending Spoons, la presenza nell’azionariato dell’azienda di nomi come i fratelli Berlusconi o la società cinese NUO. Inoltre, la stessa ministra per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano, ha creato confusione riguardo a chi abbia compiuto la scelta della società. Dopo aver affermato che l’App era stata scelta dalla task force, e dopo essere stata smentita dalla stessa, davanti al Copasir ha affermato che la task force aveva individuando due App da testare in parallelo, ma poi la scelta definitiva sarebbe stata fatta dall’intelligence. Dichiarazione poi smentita dal direttore del Dis.