Regolamento UE sull'indicazione d'origine dell'ingrediente primario
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
A gennaio 2018 è stato pubblicato lo schema di regolamento di attuazione del “Food Information Regulation”, stilato il 25 ottobre 2011 dalla Commissione europea (UE 1169/11), che prevede l’obbligo di indicare in etichetta l’origine dell’ingrediente primario (ovvero presente in percentuale maggiore del 50%) quando essa non coincida con il luogo d’origine dichiarato o suggerito da simboli o nomi presenti sul prodotto.
Lo scopo dichiarato è quello di garantire maggior trasparenza al consumatore e contrastare fenomeni quali l'italian sounding, (lo stesso dicasi per il french sounding ecc.) ovvero l'utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per commercializzare prodotti non riconducibili al nostro paese.
Tuttavia, molte critiche sono state sollevate dalle deroghe inserite dalla Commissione nel 2018, che rischiano di rendere vano il tentativo di fornire maggior chiarezza al consumatore. L’obbligo di indicare la diversa origine dell’ingrediente primario, infatti, non si applicherà a prodotti DOP, IGP, STG e saranno esentati anche i marchi registrati esistenti e futuri. Quest’ultimo punto potrebbe avvantaggiare le cosiddette lobby del “Big food”.
Il regolamento UE 1169/11 diverrà esecutivo a partire dal I aprile 2019 e toglierà efficacia ai decreti emanati in materia dall’Italia, da molti considerati più efficaci in materia di tutela del Made in Italy. È necessario capire se sia più opportuno emanare un regolamento unico, sulla base dell'UE 1169/11, e valido per tutti gli Stati europei, oppure se sia preferibile che ogni paese emani i propri decreti su base nazionale.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il Regolamento UE sull’obbligo di indicare in etichetta l’origine dell’ingrediente primario quando diversa da quanto dichiarato o suggerito da simboli o nomi presenti sul prodotto, ha lo scopo è di garantire maggior trasparenza e contrastare fenomeni quali l'italian sounding. Tuttavia, le deroghe inserite dalla Commissione rischiano di renderlo vano e avvantaggiare le lobby del “Big food”.
In materia di etichettatura degli alimenti bisogna favorire una normativa europea, uguale per tutti gli Stati membri. Inoltre, bisogna contrastare le “derive nazionalistiche” che produrrebbero distorsioni nelle leggi comunitarie. La Commissione europea doveva definire in modo dettagliato i criteri di applicazione dell'UE 1169/11 e l’armonizzazione delle legislazioni dei 28 Paesi dell’Ue.
La normativa UE 1169/11 non è in grado di tutelare le diverse necessità in materia di etichettatura degli alimenti degli Stati membri. La Commissione europea non sembra in grado di trovare una soluzione di tipo globale. È necessario che l'Italia, esposta al fenomeno dell'italian sounding, si tuteli in modo autonomo.
È necessario definire un Regolamento in grado di armonizzare le varie legislazioni dei paesi dell’Ue in materia di etichettature degli alimenti
In materia di etichettatura degli alimenti bisogna favorire una normativa a livello europeo, uguale per tutti gli Stati membri, a partire dal regolamento UE 1169/11 emanato il 25 ottobre 2011 dalla Commissione europea, necessario al fine di fornire maggiori informazioni ai consumatori europei e fare in modo che tutte le aziende dell’Ue possano vendere i propri prodotti con le stesse regole. Allo stesso tempo bisogna contrastare qualsiasi “deriva nazionalistica” che produrrebbe solo distorsioni delle leggi comunitarie e, quindi, complicazioni.
Un chiaro esempio in questo senso sono decreti italiani varati in materia durante il governo Gentiloni, tra cui il decreto del 26 luglio 2017 (norme sull'indicazione dell'origine del grano duro per paste di semola di grano duro), che non fanno altro che male informare i consumatori e andare a duplicare (se non, a volte, a contrastare) i provvedimenti a livello europeo.
Era necessaria un'accelerazione da parte della Commissione europea per definire in modo dettagliato i criteri di applicazione dell'UE 1169/11 e l’armonizzazione delle legislazioni dei 28 Paesi dell’Ue in materia di etichettatura degli alimenti.
La normativa UE 1169/11 presenta enormi problematiche e non è in grado di tutelare le diverse necessità e urgenze in materia di etichettatura degli alimenti degli Stati membri dell'Unione.
L'errore più grave sta nel fatto che la norma impone solo al soggetto che commercializza un prodotto composto in misura superiore al 50% da un ingrediente primario (e che sceglie volontariamente di indicare anche la provenienza di quest’ultimo) di indicarne il luogo di origine.
A distanza di molti anni dall'emanazione del regolamento, la Commissione europea non sembra in grado di trovare una soluzione di tipo globale al problema. È perciò necessario che l'Italia, esposta al fenomeno dell'italian sounding (l'utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozionare e commercializzare prodotti non riconducibili al nostro paese), si tuteli in modo autonomo.
In questo senso, i decreti ministeriali emanati dal governo Gentiloni, in particolare il decreto del 26 luglio 2017 (norme sull'indicazione dell'origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro) rappresentano un primo passo importante per la tutela del consumatore e dei produttori.