41-bis
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L’art.41-bis, il c.d. “carcere duro”, rappresenta una misura che divide opinione pubblica, politica e addetti ai lavori. La decisione della Cassazione sul caso Riina apre nuovi spiragli in un sistema caratterizzato da perentorietà e rigidità. Un provvedimento giustificato da esigenze di ordine pubblico e sicurezza che rischia però di minare alcuni fra i diritti fondamentali dell’individuo. Un articolo su cui si è pronunciata la Corte Europea e che divide la giurisprudenza.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
L’art. 41-bis, o “carcere duro”, è una misura che divide opinione pubblica e politica. La decisione della Cassazione sul caso Riina apre nuovi spiragli su un provvedimento giustificato da esigenze di ordine pubblico e sicurezza che rischia però di minare alcuni fra i diritti fondamentali dell’individuo. Un articolo su cui si è pronunciata la Corte Europea e che divide la giurisprudenza.
La Corte di Cassazione ha affermato quello che semplicemente l’ordinamento giuridico italiano riconosce da anni: il diritto a una vita dignitosa e quindi anche a una morte dignitosa. Nessun riferimento al provvedimento del 41-bis.
La Corte di Cassazione, aprendo al concetto di “morte dignitosa”, ha espresso un giudizio critico verso il regime del 41-bis, che deve, pertanto, essere messo completamente in discussione.
Il 41-bis può rappresentare quella leva che spinge un criminale a pentirsi e a collaborare con la giustizia per fare luce su alcuni tra i più importanti fatti di cronaca dell’ultimo ventennio.
Il provvedimento non produce più collaboratori di giustizia come faceva un tempo. Diverso il periodo, diverse le condizioni, in un sistema mutato inevitabilmente.
Il 41-bis va a colpire le esigenze vitali di ogni individuo e mette in pericolo il concetto di dignità dell’essere umano. Il principio costituzionale della rieducazione della pena cede il passo ad una logica assolutamente repressiva, che non lascia margini o aperture.
Le restrizioni previste dal provvedimento sono giustificate dalla particolarità degli interessi in gioco. Fondamentale limitare e in alcuni casi azzerare i contatti dei boss con l’esterno. Nel regime del 41-bis, l’art. 27 della Costituzione è salvaguardato in tutto e per tutto. Non vengono annullati i contatti con l’esterno ma prevalgono logiche di ordine pubblico e sicurezza nazionale.
Il 41-bis nasce in un periodo caratterizzato dal fallimento del sistema di prevenzione e repressione della criminalità organizzata. Una risposta condizionata dalle ripetute stragi firmate dalla mafia, che non può più trovare spazio nella società moderna.
Il provvedimento presenta profili che non possono e non devono scemare col tempo. Il 41-bis va applicato perché non è venuta meno la pericolosità delle organizzazioni mafiose, sempre più tentacolari e legate al territorio.
Il carcere duro mette a repentaglio il godimento dei diritti fondamentali dell’individuo. Una forte compressione delle libertà e delle esigenze primarie, non equamente bilanciata al pericolo sociale e ad esigenze di ordine pubblico.
Il 41-bis è un regime particolarmente duro perché dura deve essere la risposta dello Stato nei confronti di particolari categorie di criminali. Rispetta appieno i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo, sempre più tutelate e riconosciute dall’ordinamento giuridico italiano ed europeo.
Nella sentenza su Riina, la Corte di Cassazione non ha criticato il 41-bis
La Corte di Cassazione ha affermato quello che semplicemente l’ordinamento giuridico italiano riconosce da anni: il diritto a una vita dignitosa e quindi anche a una morte dignitosa. Nessun riferimento al provvedimento del 41-bis.
La Corte di Cassazione, aprendo al concetto di “morte dignitosa”, ha espresso un giudizio critico verso il regime del 41-bis, che deve, pertanto, essere messo completamente in discussione.
Il 41-bis fallisce nel tentativo di fungere da esca per futuri collaboratori di giustizia
Il 41-bis può rappresentare quella leva che spinge un criminale a pentirsi e a collaborare con la giustizia per fare luce su alcuni tra i più importanti fatti di cronaca dell’ultimo ventennio.
Il provvedimento non produce più collaboratori di giustizia come faceva un tempo. Diverso il periodo, diverse le condizioni, in un sistema mutato inevitabilmente.
Il provvedimento prevede restrizioni opinabili ed è contrario al principio di rieducazione della pena ex art. 27, comma 3, Cost.
Le restrizioni previste dal provvedimento sono giustificate dalla particolarità degli interessi in gioco. Fondamentale limitare e in alcuni casi azzerare i contatti dei boss con l’esterno.
Nel regime del 41-bis, l’art. 27 della Costituzione è salvaguardato in tutto e per tutto. Non vengono annullati i contatti con l’esterno ma prevalgono logiche di ordine pubblico e sicurezza nazionale.
Il 41-bis va a colpire le esigenze vitali di ogni individuo e mette in pericolo il concetto di dignità dell’essere umano. Il principio costituzionale della rieducazione della pena cede il passo ad una logica assolutamente repressiva, che non lascia margini o aperture.
Il 41-bis è una misura di emergenza, pertanto non può stabilizzarsi nel nostro ordinamento giuridico
Il provvedimento presenta profili che non possono e non devono scemare col tempo. Il 41-bis va applicato perché non è venuta meno la pericolosità delle organizzazioni mafiose, sempre più tentacolari e legate al territorio.
Il 41-bis nasce in un periodo caratterizzato dal fallimento del sistema di prevenzione e repressione della criminalità organizzata. Una risposta condizionata dalle ripetute stragi firmate dalla mafia, che non può più trovare spazio nella società moderna.
Il 41-bis comprime i diritti fondamentali dell’individuo
Il 41-bis è un regime particolarmente duro perché dura deve essere la risposta dello Stato nei confronti di particolari categorie di criminali. Rispetta appieno i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo, sempre più tutelate e riconosciute dall’ordinamento giuridico italiano ed europeo.
Il carcere duro mette a repentaglio il godimento dei diritti fondamentali dell’individuo. Una forte compressione delle libertà e delle esigenze primarie, non equamente bilanciata al pericolo sociale e ad esigenze di ordine pubblico.