Uscita della Gran Bretagna dall'UE
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
L’idea di un’unione dei paesi europei nasce nell’immediato dopoguerra, dalla volontà di uscire dalla violenza, in nome di una stabilità politica ed economica. Il primo politico a proporre una confederazione europea è l’inglese Winston Churchill. Tuttavia, il rapporto tra il Regno Unito e l’Europa, fin dall’iniziale adesione alla CEE, è caratterizzato da incertezze e ripensamenti. Appare evidente che i britannici, favorevoli al mercato unico, mal sopportano ingerenze nella politica interna. Negli anni della Thatcher c’è forte tensione: la “lady di ferro”, convinta euroscettica, non approvava i contributi che la Gran Bretagna era costretta a versare. Dopo le sue dimissioni, John Major firma il trattato di Maastricht del 1992, che trasforma la CEE in UE. Con il governo laburista di Tony Blair e, poi, di Gordon Brown, sembra aprirsi un periodo di distensione, ma le pressioni antieuropeiste interne tornano alla ribalta negli anni seguenti, con il Partito Conservatore al potere. David Cameron, dopo aver negoziato, nel febbraio del 2016, un nuovo accordo con Bruxelles, è costretto ad indire un referendum popolare. Si formano, così, due fronti che danno inizio a una battaglia elettorale: il “Remain”, pro UE, formato dalla metà dei conservatori guidati da Cameron, dai laburisti, dai socialdemocratici, dai verdi e dal Partito Indipendentista scozzese; e il “Leave”, favorevole all’uscita dall’UE, capeggiato da Boris Johnson, del Partito Conservatore, e dall’UKIP di Nigel Farage.
MEDIATECA
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
Il rapporto tra la Gran Bretagna e L’Unione Europea è caratterizzato da incertezze e ripensamenti. I britannici ritengono conveniente il mercato unico, ma mal sopportano ingerenze politiche. Le pressioni euroscettiche portano, dopo decenni di indecisioni, il premier Cameron a indire un referendum, dopo aver negoziato nuovi accordi con Bruxelles.
Gli europeisti temono, in caso di sconfitta, un periodo di instabilità politica e di pericolo per la sicurezza. Cameron, radicalizzando i toni, parla di una possibile guerra sul continente. Sawyers, Evans e Manningham-Buller, ex dirigenti dei servizi segreti, sono preoccupati per la sicurezza interna e per la lotta al terrorismo. Obama ritiene indispensabile la collaborazione tra i servizi dei vari paesi.
L’uscita dall’UE, come sostiene l’ex 007 Dearlove, gioverebbe alla sicurezza interna e alla lotta al terrorismo, con una maggiore libertà dei servizi segreti. Considerazioni negative sui sistemi di sicurezza comunitari, dopo gli attentati di Bruxelles, sono arrivate da Trump, candidato repubblicano in USA, da Katz, ministro israeliano, e dal presidente turco Erdogan.
La campagna per restare in Europa si incentra sull’aspetto economico e sulla paura di un salto nel buio in caso di Brexit. Cameron, difendendo i nuovi accordi, prospetta il rischio di una forte crisi economica. Lagarde, del Fondo Monetario Internazionale, prevede una contrazione del PIL fino al 5,6% in pochi anni e Mendelson sositene la necessità del mercato unico per l’economia del paese.
I sostenitori della Brexit ritengono insostenibile economicamente la permanenza nell’UE. Per Johnson e Fox è, inoltre, anti democratico spedire gli ingenti contributi richiesti ai politici di Bruxelles, non direttamente eletti dal Regno Unito. Reckless, politico nazionalista, insiste sui costi dell’immigrazione per il paese e prospetta addirittura il rimpatrio in caso di uscita.
Il tema centrale della campagna elettorale del fronte per l’uscita dall’UE è l’immigrazione. Il conservatore Johnson, il ministro della Giustizia Gove e l’ex ministro della Difesa Fox propongono, in caso di Brexit, un sistema a punti come quello australiano per controllare l’immigrazione. Farage, leader nazionalista, dice di voler blindare i confini e limitare all’estremo gli ingressi.
Il fronte europeista tranquillizza l’elettorato sull’immigrazione. Cameron difende i negoziati di Bruxelles, che permetteranno di applicare un freno di emergenza ai sussidi, e definisce positiva l’immigrazione dai paesi dell’UE. Khan, sindaco di Londra, difende i valori di accoglienza britannici. Gli economisti Dustmann e Frattini ritengono consistente l’apporto fiscale dei lavoratori stranieri.
L'uscita dall'Unione Europea metterebbe a rischio gli equilibri politici, la pace nel continente e la sicurezza interna
Gli euroscettici sono del parere che una uscita del Regno Unito dall’UE porterebbe vantaggi anche sul piano della sicurezza interna e della lotta internazionale al terrorismo. I servizi segreti britannici potrebbero lavorare con più libertà, senza dover subire il controllo e la supervisione di quelli comunitari. Richard Dearlove, ex capo dell’agenzia di servizi segreti britannici MI6, considera la Brexit positiva per la sicurezza del paese per due ragioni: la maggior libertà che ci sarebbe nel deportare i terroristi e indagare i sospetti; e la possibilità di controllare i confini e l’immigrazione. Boris Johnson si è mostrato in linea con le idee di Dearlove, sostenendo che la Corte Europea di Giustizia rallenta le indagini sui potenziali terroristi nel paese. Dopo gli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016, sono arrivate diverse critiche alla gestione belga e comunitaria della minaccia. Contro i sistemi di sicurezza di Bruxelles si sono schierati: Donald Trump, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali statunitensi, Yisrael Katz, ministro dell’intelligence israeliana, e Recep Tayyip Erdogan, presidente turco.
Una delle ragioni del fronte “Remain” è quella della paura di un possibile periodo di instabilità politica in Europa. David Cameron, radicalizzando i toni in campagna elettorale, è arrivato a prospettare la minaccia di una guerra sul continente in caso di Brexit. Secondo il primo ministro, infatti, proprio l’UE ha fatto sì che, dopo decenni di conflitti, si raggiungesse una pace duratura tra le principali potenze europee. Preoccupazioni per la sicurezza interna e per la lotta al terrorismo arrivano, invece, da tre esperti del settore: Sir John Sawyers, Lord Evans e Eliza Manningham-Buller, ex capi delle agenzie di servizi segreti militari britannici. Infine, anche Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, dichiaratosi in più di un’occasione contrario all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, in un editoriale scritto per il “Telegraph”, ha messo in evidenza la pericolosità di una Brexit per la sicurezza interna del paese e per la gestione della lotta al terrorismo. Secondo Obama, andrebbe persa la cooperazione e condivisione di informazioni che c’è stata fino ad oggi.
L’uscita dall’Unione Europea è un salto nel vuoto dal punto di vista economico
Per gli euroscettici pro Brexit l’uscita dall’UE per la Gran Bretagna non è affatto un salto nel buio. Tutto al contrario, è proprio la permanenza dell’Unione a mettere in seria difficoltà le casse del Regno Unito. L’immigrazione senza freni, imposta dalle leggi UE, grava pesantemente sull’economia del paese. Inoltre, come sostenuto da Boris Johnson e da Liam Fox, il contributo da versare a Bruxelles, per pagare politici non eletti direttamente, è troppo alto e soprattutto maggiore di quanto l’UE dà in cambio. Sempre secondo l’ex sindaco di Londra, chi trae vantaggio dall’appartenenza all’Europa non sono le aziende e i lavoratori britannici, ma solo i top manager interessati a mantenere alta e incontrollabile l’immigrazione per tenere i salari bassi, sfruttare la manodopera e aumentare i guadagni personali. Per l’ex ministro della Difesa, Liam Fox, è necessario liberarsi dalla burocrazia asfissiante e dalle ingerenze politiche dell’Unione Europea, per riconsegnare alla Gran Bretagna l’indipendenza e la sovranità, punto di partenza per uno sviluppo economico futuro.
Il fronte “Remain”, favorevole alla permanenza della Gran Bretagna nell’UE, ha incentrato la propria campagna elettorale per il referendum sull’aspetto economico. David Cameron, in più interventi, ha messo in guardia i cittadini dai pericoli di un salto nel buio in caso di Brexit e ribadito, con insistenza, la necessità di continuare ad essere uno dei paesi più influenti all’interno di un’Unione riformata. Un primo decisivo passo verso il cambiamento è rappresentato dall’accordo di febbraio strappato da Londra a Bruxelles, con le relative concessioni anche sul piano economico.
Anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI), attraverso le parole del direttore Christine Lagarde, ha dato opinione negativa riguardo la Brexit. Si rischierebbe, infatti, secondo l’organizzazione, un’improvvisa recessione che si ripercuoterebbe sul PIL (Prodotto Interno Lordo) del paese, con una contrazione che in pochi anni potrebbe raggiungere, secondo le stime, il 5,6%. Altra voce autorevole che si è alzata in difesa dei vantaggi economici legati all’Unione Europea è quella di Peter Mendelson, laburista ed ex ministro del governo Gordon Brown.
Il Regno Unito deve uscire dall'Unione Europea per arginare un'immigrazione divenuta ormai incontrollabile
Il tema dell’immigrazione è risultato essere il cardine della campagna elettorale per il referendum del 23 giugno, promossa dal fronte del “Leave”. Boris Johnson, ex sindaco di Londra ed esponente del Partito Conservatore, insieme al ministro della Giustizia Michael Gove, ha creato un clima di paura incentrato sulla minaccia di un incontrollabile afflusso di cittadini dell’UE in cerca di lavoro in Gran Bretagna e sulla necessità di porre un controllo e un freno al fenomeno. I due politici propongono, in caso di vittoria, un sistema a punti, simile a quello australiano, per rendere efficace il controllo sugli ingressi nel paese, cosa impossibile se si rimane soggetti alle leggi dell’Unione Europea. Anche Liam Fox, ex ministro della Difesa, si è dichiarato favorevole a un modello australiano di gestione dei flussi migratori. Nigel Farrage, leader del partito nazionalista UKIP, ha cavalcato l’onda del malcontento popolare, sfruttando anch’egli la paura dell’immigrazione. Farrage si è spinto oltre, sostenendo la necessità, per la Gran Bretagna, di blindare i confini e limitare al massimo i nuovi ingressi.
Il fronte del “Remain” ha cercato di tranquillizzare l’elettorato, di fronte agli scenari apocalittici prospettati dagli avversari, abili a sfruttare un tema caldo come quello dell’immigrazione per attirare consensi. David Cameron ha difeso l’accordo rinegoziato a Bruxelles, che concede al Regno Unito l’attivazione di un “freno di emergenza” per i cittadini europei che arrivano in cerca di lavoro e che dovranno attendere quattro anni per accedere ai vantaggi del welfare britannico. Il premier ha precisato, inoltre, la professionalità e la preparazione di molti lavoratori arrivati dai paesi dell’UE. Anche il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha sottolineato l’apporto positivo, in termini sociali e culturali, dei popoli giunti in Gran Bretagna dall’Europa e dagli altri continenti, e ha definito l’immigrazione positiva anche dal punto di vista economico, visto l’alto contributo in tasse. A sostegno di quest’ultima tesi ci sono autorevoli studi. Il più famoso tra questi è la ricerca The Fiscal Effects of Immigration to the UK [Gli effetti fiscali dell’immigrazione nel Regno Unito, TdR] di Christian Dustmann e Tommaso Frattini, studiosi di economia allo University College di Londra.