Bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki
FAVOREVOLE O CONTRARIO?
In una panoramica sulla recente storiografia sul tema, lo storico americano J. Samuel Walker ha avuto modo di scrivere: “La controversia sull’utilizzo della bomba sembra certamente continuare. [...] La questione fondamentale che ha diviso gli studiosi per un periodo di quasi quattro decenni è se l’uso della bomba era necessario per ottenere la vittoria nella guerra nel Pacifico a condizioni soddisfacenti per gli Stati Uniti” (J. Samuel Walker, Recent Literature on Truman’s Atomic Bomb Decision: A Search for Middle Ground, Diplomatic History, p.334). I sostenitori dei bombardamenti affermano che i bombardamenti hanno causato la resa giapponese, prevenendo spargimenti di sangue per le parti in conflitto durante la pianificata operazione Downfall. Coloro che si oppongono ai bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki citano una serie di motivi a supporto della loro posizione, tra i quali: l’idea che un bombardamento atomico è fondamentalmente immorale, che esso dovrebbe essere considerato un crimine di guerra, che il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non era necessario dal punto di vista militare, che rappresenta terrorismo di stato e che implica del razzismo contro e la disumanizzazione del popolo giapponese. Infine, secondo i suoi critici, l’utilizzo della bomba atomica da parte degli Stati Uniti era finalizzato ad intimidire l’Unione Sovietica sul nascere della guerra fredda.
IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:
I bombardamenti hanno scoraggiato i paesi ad usare armi atomiche in futuro.
I bombardamenti hanno scoraggiato i paesi ad usare armi atomiche in futuro, almeno fino ad oggi è stato così. Le bombe su Hiroshima e Nagasaki non hanno dato inizio, ma, al contrario, hanno messo fine al più sconvolgente e cruento conflitto che abbia mai interessato il genere umano. E hanno inaugurato il più lungo periodo di pace, a livello mondiale, della storia.
Vista la situazione in cui si era allora cacciata l’umanità, non certo a causa degli scienziati americani, dovremmo chiederci addirittura: la disgrazia è stata quella che la bomba sia stata costruita o che sia stata costruita troppo tardi?
I bombardamenti atomici hanno migliorato la vita delle persone comuni in Giappone.
La fine del conflitto è stato un bene anche e soprattutto per il popolo giapponese. Il dopoguerra ovviamente è stato durissimo per ogni singolo cittadino di quel disgraziato paese, ma oggi possiamo affermare che la politica di conciliazione di MacArthur ebbe successo: il Giappone è una nazione moderna, democratica e prospera oltre che una potenza economica e tecnologica. Oggi, senza alcun dubbio, il popolo giapponese non è più caratterizzato da pericolose culture militariste fasciste di conquista, basate su presupposti insensati e inammissibili riguardanti la propria superiorità di “razza” dovuta a legami di sangue con l’imperatore.
Le posizioni politiche sulla decisione di bombardare con l’arma nucleare il Giappone cambiano a seconda dei diversi assetti geopolitici.
Il dibattito sull’opportunità e la legittimità della costruzione prima e dell’utilizzo poi della bomba atomica non è destinato ad esaurirsi rapidamente. I giudizi e le posizioni politiche su quella decisione drammatica sono, talvolta, mutati a seconda degli assetti geopolitici.
Piero Ingrao, uno dei più limpidi riferimenti del futuro movimento pacifista, ricordò che in quel frangente storico, quando gli Stati Uniti erano alleati dell’Unione Sovietica nella lotta al nazifascismo, la maggioranza dei comunisti italiani applaudì senza molti dubbi o distinguo al risultato ottenuto con lo sgancio delle bombe: la sconfitta definitiva delle potenze dell’Asse. Solo anni dopo lo sgancio delle bombe, quando l’Unione Sovietica era diventata il principale rivale e nemico potenziale degli Stati Uniti, con l’avvio delle grandi campagne pacifiste, percepì personalmente l’enormità dell’accaduto.
Il bombardamento atomico del Giappone era in accordo con il diritto internazionale poiché i bersagli erano basi militari.
In Germania gli alleati bombardarono indiscriminatamente le città nemiche, senza distinguere tra civili e militari. Similmente fecero gli americani sulle città giapponesi fino a quando bombardarono con armi tradizionali e con le innovative bombe al napalm. Nella selezione dei bersagli delle bombe atomiche furono scelte basi militari anche se gli americani erano perfettamente consapevoli che esse erano parte di città piene di civili. Nondimeno, poiché l’“intento” di causare un danno è moralmente più riprovevole della “previsione” del danno risultante, in quanto esito inevitabile, di un’azione, per altri versi, considerata giustificata, è moralmente più riprovevole bombardare e uccidere deliberatamente dei civili invece che bombardare un sito militare prevedendo che, inevitabilmente, si uccideranno lo stesso numero, o perfino di più, di innocenti.
Truman avrebbe deciso di lanciare la bomba atomica anche se l’Unione Sovietica non avesse rappresentato per gli Stati Uniti un potenziale problema
E’ verosimile che gli americani abbiano tenuto conto del fatto di mostrare ai russi le potenzialità distruttive dell’arma atomica ma in quanto beneficio “incidentale”. Personalmente sono convinto che gli americani siano stati certamente compiaciuti di poter dimostrare ai russi la propria potenza militare, ma altresì che Truman avrebbe deciso di lanciare le bombe anche se l’Unione Sovietica non avesse mai presentato il seppur minimo e potenziale problema per gli Stati Uniti.
Hiroshima e Nagasaki erano obiettivi militari legittimi.
I possibili obiettivi dei lanci di bombe atomiche, tra i quali le città di Hiroshima e Nagasaki, furono individuati dalle forze armate americane sulla base di quattro criteri “militari”. Il primo: “gli obiettivi dovranno essere luoghi per i quali il bombardamento potrà avere come effetto quello di compromettere la volontà dei giapponesi a continuare a partecipare al conflitto”. Il secondo criterio specificava in particolare che tali luoghi dovevano “coincidere con quartier generali o accentramenti di truppe, o centri di produzione di armi o di approvvigionamenti”. Il terzo criterio imponeva che il bersaglio “non doveva essere stato bombardato precedentemente” in modo tale che potesse essere chiaro il suo effetto complessivo. Infine, “il primo bersaglio dovrà essere sufficientemente ampio da contenere l’effetto dell’esplosione in modo tale che sia chiara tutta la sua portata”.
L’arma nucleare era più efficace delle bombe convenzionali.
La bomba atomica non era materialmente più dannosa ma psicologicamente più spaventevole dei vecchi ordigni. Sebbene a Hiroshima e Nagasaki siano rimaste uccise meno persone che nei bombardamenti a tappeto incendiari di Tokyo, nondimeno vennero uccise con una tremenda facilità. Fu un salto qualitativo, non quantitativo. La bomba atomica fu spaventosa non per quello che aveva fatto ma per quello che poteva fare. Fu l’idea di quello che poteva avvenire: che cosa sarebbe accaduto se le centinaia e centinaia di bombardieri che sino ad allora avevano bombardato il Giappone fossero stati armati con i nuovi ordigni?
E’ irrealistico pensare che i giapponesi si sarebbero arresi dopo una semplice dimostrazione
Gli americani volevano scegliere la soluzione per l’utilizzo della nuova arma che avrebbe rapidamente messo fino alla guerra e scongiurato un’inutile massacro dei loro soldati. Vennero esaminate diverse opzioni, tra le quali anche una dimostrazione tecnica del potere distruttivo della bomba da effettuare in un’area isolata o nella Baia di Tokyo.
Questa opzione però apparve subito difficile da sostenere per una serie di motivi tecnici: i giapponesi non avevano esperti per poter misurare e descrivere bene quello che avrebbero visto; al di là del suo notevole costo, la “dimostrazione” avrebbe aiutato i giapponesi ad intercettare un’eventuale missione reale di attacco atomico; infine, fornire ai giapponesi un preavviso sui siti che sarebbero stati colpiti avrebbe sottoposto i prigionieri di guerra americani al pericolo di essere trasferiti nell’area dell’attacco. Poiché i giapponesi non si arresero neppure dopo Hiroshima, è irrealistico pensare che si sarebbero arresi dopo una dimostrazione.
Per ottenere la resa del Giappone era necessario sganciare la seconda bomba su Nagasaki
Con l’apertura degli archivi giapponesi, si può affermare che, pur avendo già conosciuto la forza di un’esplosione atomica a Hiroshima, la maggioranza dei rappresentanti del Consiglio giapponese continuò a rifiutare la resa. Il ministro della guerra Anami, coerente con la visione del mondo del militarismo giapponese, sostenne di non vedere alternative alla continuazione della guerra: o vittoria o martirio.
La notizia della seconda bomba atomica esplosa su Nagasaki cambiò, almeno per alcuni, il quadro della situazione. Nonostante il tentativo disperato degli irriducibili di prendere con la forza il controllo della situazione, il governo giapponese convenne con l’ordine imperiale di accettare l’ultimatum alleato.
L’opinione pubblica americana, in quei mesi, era favorevole al bombardamento atomico del Giappone
Truman si rese perfettamente conto che l’opinione pubblica americana e i rappresentanti del Congresso non avrebbero accettato più le perdite subite a Iwo Jima e Okinawa e avrebbero preteso delle risposte. Per questo, considerando le previsioni di pesanti perdite che l’invasione del Giappone avrebbe comportato, Truman prese la decisione di usare la bomba nucleare. Dopo la resa della Germania l’opinione pubblica americana pretendeva almeno una parziale smobilitazione delle forze armate. D’altro canto, gran parte degli americani riteneva che l’imperatore Hirohito fosse responsabile della guerra nel Pacifico, auspicava la pace ma, al tempo stesso, una resa militare del Giappone e la punizione dell’imperatore come criminale di guerra.
Essendo l'intero progetto di costruzione e sperimentazione delle armi atomiche coperto da un rigorosissimo segreto, l'opinione pubblica statunitense non poteva avere gli strumenti necessari a giudicare la convenienza dell'uso di tali armi. Il giudizio dell'opinione pubblica risulta dunque inevitabilmente compromesso da tale mancanza di informazioni. In seguito alla pubblicazione dei resoconti del cronista John Hersey (sul New Yorker, a partire dal 1946), l'opinione pubblica statunitense si mostrerà infatti fortemente contraria all'uso di tali armi e in favore dell'instaurazione di un sistema internazionale di controllo dell'energia atomica, che Truman proverà a perseguire presentando alle Nazioni Unite il cosiddetto piano Baruch. Questo piano prevedeva il mantenimento pressoché intatto del monopolio statunitense dell'energia atomica, a differenza di una bozza precedente messa a punto dal direttore dell'agenzia atomica statunitense ed ex direttore della TVA, David Lielenthal; per questo motivo gli ex alleati occuperanno sin da subito posizioni critiche e guardinghe nei confronti della politica nucleare statunitense.
I lanci delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki costrinsero i giapponesi alla resa
Il fatto che il Giappone, sin dagli inizi del ’45, fosse virtualmente sconfitto non significa che fosse sul punto di arrendersi. D’altra parte, è indubbio che i lanci delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki costrinsero i giapponesi alla resa.
Personalmente ritengo che l’unico modo con cui gli Stati Uniti avrebbero potuto evitare lo scontro con il militarismo fascista giapponese e far accettare ai giapponesi la resa fu quello di minacciare la completa distruzione di tutto ciò a cui tenevano: le loro case, i loro templi, la storia del loro paese.
Se i capi giapponesi avessero deciso di arrendersi in base alla condizione che l’imperatore fosse lasciato al suo posto, avrebbero dovuto consultare gli Stati Uniti. Ma i veri decisori di Tokyo non cercarono mai, né direttamente né indirettamente, di prendere qualsiasi contatto con il governo degli Stati Uniti per trattare la resa, se non dopo Nagasaki.
Se il Giappone era già sconfitto agli inizi del ’45, e quindi si sarebbe in ogni caso arreso, non dovremmo giudicare immorali anche gli attacchi a Okinawa, che causarono più morti dei bombardamenti atomici?
Tra gli storici è opinione diffusa che il bombardamento atomico sia servito a costringere il Giappone a una resa incondizionata. Proprio l'ostinazione statunitense ad imporre tali termini avrebbe infatti guidato la scelta di Truman di "vendicare" Pearl Harbor attraverso Hiroshima e Nagasaki. Risulta indubbio, quindi, che sotto questo punto di vista, i bombardamenti siano stati efficaci. Meno cristallino è invece il giudizio sulla convenienza di tale mossa o sull'esistenza di possibili alternative - diplomatiche e militari - atte a perseguire i medesimi fini. Anche per questo motivo, la corrente revisionista guidata da Alperovitz legge l'uso delle armi atomiche in chiave di scontro bipolare USA-URSS, ovvero di diplomazia atomica. Argomento forte e mai del tutto confutato.
I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki hanno ridotto il bilancio delle vittime della seconda guerra mondiale
Dopo numerosi rapporti dei suoi consiglieri e tre anni e mezzo di guerra, Truman prese la decisione di usare la bomba nucleare per scongiurare, prima di tutto, la perdita di un milione di soldati americani nella programmata invasione del Giappone. Truman, inoltre, in una memoria redatta alla fine della presidenza, scrisse che vi erano pochi dubbi sul fatto che “i militaristi di Tokio erano pronti a sacrificare 10 o anche 20 milioni di vite giapponesi”.Byrnes, l’assistente di Truman, ebbe a dire: “Le due bombe atomiche provocarono molte perdite, ma neanche lontanamente paragonabili a quelle che vi sarebbero state qualora la nostra aviazione avesse continuato a lanciare bombe incendiarie sulle città giapponesi”.
La tesi secondo la quale i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki avrebbero contribuito a salvare un milione di vite umane è fondata esclusivamente su stime prodotte ad hoc da parte del Dipartimento della Guerra statunitense e sulla successiva memorialistica del segretario alla Guerra USA Stimson e dal presidente Truman. Tali stime non trovano riscontro nella realtá fattuale. Peraltro, mentre altre fonti coeve riducevano la stima a poche decine di migliaia di operativi (a seconda del tipo di operazione richiesta per una eventuale invasione da parte statunitense), molti degli scienziati impegnati nel Progetto Manhattan (soprattutto quelli riunitisi intorno alla cosiddetta Frank Committee) spingevano perché tali numeri fossero letti in maniera comparativa rispetto alle perdite civili che l'eventuale bombardamento avrebbe provocato.
Dato il contesto orribile e eccezionale, il bombardamento atomico sul Giappone, pur rappresentando un fatto terribile, fu moralmente lecito
Diversamente da approcci all’etica che legano il grado di moralità ad una proprietà intrinseca degli atti stessi e basati su principi oggettivi e retoricamente efficaci (es. “non ricorrere mai all’uso della forza”), il concetto di etica che personalmente ritengo più convincente lega il grado di moralità ai motivi che i singoli soggetti, responsabilmente coinvolti, chiamati a decidere in situazioni particolari, sentono di poter approvare e coscienziosamente provare a giustificare. Credo così che sia proprio mettendo da parte principi assoluti e non negoziabili e partendo da intuizioni discutibili e credenze negoziabili, istaurando un confronto non ideologico sui valori, che sia possibile raggiungere risultati concreti e condivisi in ambito etico. C’è così una regola principale: giudicare pensando di mettersi al posto degli altri. Nel caso specifico dei bombardamenti atomici sul Giappone, visto il contesto orribile ed eccezionale di quel momento, l’uso degli ordigni nucleari, pur rappresentando un fatto terribile, fu moralmente lecito. Oggi, per esempio, non lo sarebbe davvero.