La soluzione dei due stati è morta

La soluzione dei due Stati non è ancora fallita

 

Nel novembre del 2012, in un'intervista a cura di Andrea Dessì pubblicata sul sito web resetdoc.org dal titolo Presto sarà troppo tardi per sperare in due stati: e poi cosa faremo?, Khalil Shikaki, saggista e accademico palestinese, direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR) a Ramallah, noto per aver condotto dozzine di sondaggi a Gaza e in Cisgiordania, ha affermato: “La formula dei due Stati sta fallendo. Non è ancora fallita del tutto perché finché c’è una maggioranza di israeliani e palestinesi che la sostengono, non si può dire che essa è fallita. A questo punto nessun’altra soluzione gode di simile supporto e questo è un dato senza precedenti; non si è mai verificato un simile sostegno per l’idea dei due Stati tra israeliani e palestinesi. Proprio per questo è impensabile liquidare del tutto questa proposta, anche se forse sta fallendo perché – nonostante goda di un sostegno veramente ampio – in pratica circa due terzi dei palestinesi e degli israeliani la ritiene difficile da implementare, dubita che verrà messa in atto nel corso dei prossimi cinque anni, e sempre più persone su entrambi i fronti la ritengono poco fattibile”.

 

Compromesso imprescindibile

Anche Joel Braunold, londinese, formatosi alla Kennedy School of Government di Harvard e attualmente US Director for the Alliance for Middle East Peace, editorialista di Ha'aretz e membro dello staff del movimento OneVoice, non condivide il crescente atteggiamento di sfiducia nei confronti della praticabilità della soluzione two states for two peoples.
Nel 2012 Joel Braunold ha vinto il concorso bandito dall'Avi Schaefer Peace Innovation Fund sul tema: "Qualora tu disponessi di risorse illimitate, come colmeresti l'abissale distanza che separa la società israeliana da quella palestinese?".
Joel Braunold è anche l'autore di un blog dove raccoglie le sue opinioni in merito alla questione israelo-palestinese.
Per Joel Braunold condizione essenziale per far uscire il processo di pace del conflitto israelo-palestinese dallo stallo in cui riversa è promuovere un atteggiamento di fiducia reciproca tra le parti: vi è la necessità che ogni parte, perseguendo propri interessi, compia azioni unilaterali che rendano concretamente possibile l'implementazione della soluzione a due stati (CfR: Bruno Segre, Israele/Palestina: la soluzione “due Stati per due popoli” non è morta, “qdR.it”, 10 luglio 2012).

 

Positiva evacuazione degli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania

La proposta di Joel Braunold è quella per cui il Governo israeliano dovrebbe imporre ai coloni israeliani in Cisgiordania il trasferimento in blocco nel territorio d'Israele. In questo quadro, il primo passo che Israele dovrebbe fare è quello di dare inizio nel Nord e nel Sud del proprio territorio alla costruzione di new towns dotate di buone infrastrutture per i trasporti e per i servizi sociali ed educativi al fine di consentire lo sviluppo dell'economia locale. Ciò perché, i gruppi umani abituati a vivere in comunità superano più facilmente il trauma dello sradicamento se ritrovano nelle zone in cui vengono trapiantati il medesimo tessuto sociale della comunità d'origine.
Contrariamente ai massimalisti per cui la soluzione dei due Stati è morta e che considerano che il conflitto si potrà risolvere unicamente con il prevalere della forza bellica, per Joel Braunold, la soluzione two states for two peoples è più viva che mai in quanto, se si vuol cercare una conclusione pacifica del conflitto, non ha alternative praticabili, realistiche. Poiché la soluzione a uno Stato garantirebbe, all'interno di una medesima entità istituzionale, una guerra permanente tra i due nazionalismi in lotta per un territorio che entrambi considerano la propria patria, la soluzione dei due Stati è un compromesso imprescindibile in cui gli israeliani devono rinunciare al controllo militare dei territori per garantire la propria sicurezza e in cui i palestinesi devono rinunciare in parte al diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.

 

Israele ha portato al fallimento la soluzione a due Stati

Secondo quanto affermato in un'intervista ad Aki-Adnkronos International pubblicata il 30 settembre 2014 col titolo Erekat contro il discorso di Netanyahu all’Onu, ha seppellito la soluzione dei due stati, Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese, commenta il discorso pronunciato il giorno precedente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu di fronte all'Assemblea Generale dell'ONU in questi termini: “ha seppellito la soluzione dei due Stati secondo i confini del 1967 […] Netanyahu non ha pronunciato una sola volta la parola Stato palestinese” e nemmeno “la soluzione dei due Stati secondo i confini del 1967”, opzione che “non collima con la politica di sicurezza israeliana”.
Nel suo discorso, Netanyahu ha dichiarato, tra l'altro: “Isis e Hamas sono rami dello stesso albero velenoso, l’Islam militante. [...] Come negli Anni 30 c’era una razza padrona che voleva dominare il mondo, ora c’è una fede – l'Islam militante - che vuole essere padrona. […] Per Hamas la distruzione di Israele è solo l’obiettivo più immediato, quello più generale è lo stesso di Isis […]”. Netanyahu ha chiesto all’Onu di non farsi ingannare dalle “spudorate accuse di genocidio lanciate contro Israele dal presidente palestinese” Abu Mazen. Per smentirlo, Netanyahu ricorda che durante il conflitto di Gaza “l’esercito israeliano avvertiva in anticipo i civili degli attacchi mentre Hamas usava i civili come scudi umani. [...] Israele ha usato i propri missili per difendere i suoi figli, mentre Hamas ha usato i propri figli per proteggere i suoi missili” (Maurizio Molinari, “Israele genocida? Hamas è come l’Isis”, “La Stampa”, 30 settembre 2014).
In concomitanza con il discorso di Netanyahu, il suo ministro degli esteri Avigdor Lieberman ha dichiarato che “Abu Mazen ha perso il contatto con la realtà, non abbiamo più un interlocutore per la pace e fino a quando ciò continuerà tutti i piani di pace resteranno nel cassetto”.
Secondo Mustafa al-Barghouti, segretario generale del Movimento di iniziativa nazionale palestinese, il discorso di Netanyahu è “molto pericoloso” in quanto "rivela le vere intenzioni di Israele, ossia liquidare la causa palestinese […] Netanyahu ha inferto il colpo mortale al processo dei negoziati e a tutto il processo di Oslo e ha confermato che Israele non accetta il diritto dei palestinesi alla libertà e alla creazione di un loro Stato indipendente" (Erekat contro il discorso di Netanyahu all'Onu, ha seppellito la soluzione dei due Stati, “Adnkronos”, 30 settembre 2014).

 

Hamas ha posto fine alla soluzione a due Stati

In un articolo, pubblicato il 22 luglio 2014 per il “Gateston Institute”, dal titolo Has Hamas ended the prospects for a two state solution?, Alan M. Dershowitz, professore presso la Facoltà di giurisprudenza di Harward e commentatore politico statunitense, ha sostenuto che “il proposito di Hamas di sparare razzi nella direzione dell'aeroporto Ben Gurion può aver posto fine alla prospettiva di una soluzione dei due stati” (TdR). La tesi di Dershowitz è che la tattica di Hamas è quella di incoraggiare l'azione militare israeliana al fine di esibire all'opinione pubblica internazionale ulteriori vittime civili: “È tutto parte della strategia di Hamas: colpendo i civili israeliani, e i voli internazionali dalle sue aree abitate, Hamas non lascia altra scelta ad Israele, che adottare un'azione militare che mette a repentaglio le vite di innocenti palestinesi. Ci saranno nuovi lutti, con Hamas che aumenta la posta” (ibidem).A ogni modo, la soluzione a due Stati non può essere perseguita da Israele se non mantenendo la pressione militare nella West Bank [Cisgiordania, NdR.], almeno fino a quando l'autorità palestinese non sarà in grado di controllare le attività delle organizzazioni terroristiche. Scrive Dershowitz: “Qualora Israele dovesse cessare l'occupazione militare della West Bank, subirebbe il rischio di un'assunzione di potere da parte di Hamas. D'altro canto, è quanto successo [nel 2005-2006, NdR] quando Israele abbandonò gli insediamenti civili e la presenza militare a Gaza: Hamas assunse il controllo, e iniziò a sparare migliaia di missili nei confronti delle comunità israeliane meridionali; al punto ora da essere riuscito a bloccare il traffico aereo da e per Israele.
Israele non può accettare l'eventualità di un'ascesa al potere da parte di Hamas nella West Bank, nonché l'attacco da parte di questi nei confronti dell'aeroporto Ben Gurion. Può anche essere che Israele acconsenta ad una soluzione di due stati, con la quale smantelli gli insediamenti civili in buona parte della West Bank, acconsentendo a scambi territoriali per mantenere aree dove gli insediamenti sono più consistenti. Ma Israele non potrà che mantenere il controllo militare dei confini di sicurezza, che si estendono fino al fiume Giordano. E non potrà che mantenere una sufficiente presenza militare nell'area, onde assicurarsi che ciò che accade oggi a Gaza, non possa accadere domani nella West Bank. Queste necessità militari non dureranno all'infinito: la presenza militare di Israele potrà essere ridotta se l'autorità palestinese eserciterà un effettivo controllo del territorio, impedendo ai terroristi di usare queste aree per spedire missili e terroristi in Israele” (ibidem)

 

Una situazione di impasse

In un articolo pubblicato il 29 agosto 2012 su “Haaretz” dal titolo Requiem for a two-state solution to the Israeli-Palestinian conflict, il filosofo e psicanalista esistenzialista Carlo Strenger, professore all'Università di Tel Aviv, sosteneva sostiene che il programma politico che vedeva la soluzione del conflitto tra Israele e Palestina nella costituzione di due Stati è ormai impraticabile.
L'articolo di Carlo Strenger inizia analizzando un articolo di Nahum Barnea, “considerato uno dei giornalisti più influenti di Israele, indipendente nel suo giudizio, equo ed equilibrato nei suoi report e nelle sue analisi”, un articolo in cui, riportando la propria visita a Migron [insediamento israeliano che la Corte Suprema israeliana ha stabilito di evacuare, poiché il proprietario palestinese afferma di non aver mai venduto la terra NdR] – spiega Carlo Strenger - “si giunge alla conclusione che il processo di colonizzazione ha raggiunto il suo obiettivo: la situazione sul terreno è irreversibile e la soluzione dei due stati non è più possibile”(TdR).
Secondo Nahum Barnea, infatti, la Corte Suprema israeliana è complice del progetto di colonizzazione: “Il peccato originale è stato commesso dalla Corte Suprema. Nel secondo decennio dopo la guerra dei sei giorni, quando l'azione di colonizzazione si è trasformata da capriccio marginale a politica primaria del governo nei territori, alla Suprema Corte fu chiesto di presentare la propria posizione attraverso il pronunciarsi su una serie di petizioni. Nel corso degli anni i giudici della corte hanno ignorato il diritto internazionale, che vieta l'istituzione di un insediamento su una terra conquistata, e invece hanno concentrato la propria attenzione sulla questione della proprietà: gli ebrei sono autorizzati a stabilirsi ovunque in Cisgiordania a condizione che il terreno non sia di proprietà palestinese” (ibidem). Carlo Strenger riporta la franca opinione di Barnea: “tutti sanno come andrà a finire... la soluzione dei due stati non è più possibile”, è priva di qualsiasi fondamento realistico.
Continua poi Strenger, rappresentando le posizioni politiche in Israele: “A partire dalla fine dell'estate 2012, non riesco a vedere nessun piano coerente per affrontare la realtà sul terreno. Solo l'estrema destra di Israele prende una posizione chiara: i rabbini nazionalisti religiosi dicono molto semplicemente che i palestinesi non avranno diritti politici nella Grande Terra d'Israele, e alcuni dei coloni più importanti dicono che la democrazia deve essere sostituita da una teocrazia. La maggior parte dei leader della destra moderata di Israele non fanno dichiarazioni chiare. Reuven Rivlin, portavoce al Knesset e l'ex ministro del Likud Moshe Arens sono lodevoli eccezioni: essi pensano che Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania e dare ai palestinesi pieni diritti politici, pur mantenendo il suo carattere ebraico. Il problema è che si basano sulla teoria di Yaram Ettinger secondo cui ci sono solo 1,5 milioni di palestinesi in Cisgiordania. Nessuno dei demografi professionali di Israele approva questa idea e nemmeno l'Ufficio centrale di statistica di Israele. La situazione è a dir poco sgradevole: l'estrema destra di Israele sostiene un apartheid teocratico e la destra moderata costruisce il suo programma politico su illusioni demografiche – o crede che i palestinesi si accontentino di alcune disconnesse bantustans [territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell'epoca dell'apartheid, NdR]. Il centro e la sinistra tacciono per il semplice motivo che non hanno una posizione coerente. Preferiscono parlare di questioni sociali ed economiche e ignorare l'elefante in mezzo alla stanza” (ibidem).
Dopo aver fornito questa breve panoramica rispetto alle posizioni dei vari partiti in Israele sulla soluzione al conflitto con i palestinesi, Carlo Strenger affermava:“sono arrivato alla conclusione che la soluzione dei due Stati è morta alla fine del 2011, quando è fallita la proposta di Abbas [primo presidente palestinese nominato sulla base dell'esito di una tornata elettorale, NdR] per il riconoscimento della Palestina da parte delle Nazioni Unite”.
L'intellettuale israeliano dichiara anche di non avere un'alternativa alla soluzione a due Stati. “Da quando ho pubblicato questa valutazione, amici e lettori hanno chiesto cosa suggerivo come alternativa. Alcuni pensavano che avevo finalmente mosso il sostegno all'estrema sinistra per la soluzione ad uno stato; altri pensavano che mi ero spostato a destra. Né l'uno né l'altro caso. Ci sono momenti in cui la realtà vola in faccia e in cui ti rendi conto che il tuo programma politico non è più praticabile, anche se non si sostiene nessuna delle alternative. Non traggo molto conforto dall'essere in buona compagnia. I resti della sinistra di Israele sono a parole per la soluzione a due stati, sapendo che non c'è un modo per la sua attuazione” (ibidem). Strenger sottolinea l'analogia tra il quadro delle posizioni politiche in Israele e quello europeo, evidenziandone l'impasse: “le mie conversazioni con i diplomatici e i politici europei mi danno l'impressione che lo stesso vale per l'Europa occidentale. Per la mancanza di un'alternativa alla soluzione dei due Stati, i governi europei non hanno approvato alcune concezione alternativa, ma iniziano a rendersi conto che la soluzione dei due Stati non accadrà” (ibidem).
Strenger conclude il suo articolo con una riflessione storica di carattere generale: “nel Medio Oriente è attualmente in corso uno sconvolgimento. Eccezion fatta per Egitto, Iran e Turchia, nessuno di questi stati hanno profondità storica e la maggior parte di loro hanno mancato di coesione politica una volta che i dittatori sono stati rimossi. Nessuno può prevedere con sicurezza come sarà fra un decennio la mappa del Medio Oriente: per cominciare non è molto chiaro se la Siria continuerà ad esistere come stato unitario dopo la caduta di Assad. Anche altri stati possono disintegrarsi secondo linee etniche e religiose. Può ben essere che il conflitto israelo-palestinese non è che un riflesso dell'intrinseca instabilità del Medio Oriente. Purtroppo, questo significa che il destino della zona – tra cui quello di Israele – sarà determinato da forze storiche cieche piuttosto che da lungimiranza e pianificazione” (ibidem).

 

Una proposta disperata

In un commento reso pubblico il 1 novembre 2007 dal titolo Last Call for a Two-State Solution? (Ultima chiamata per una soluzione a due stati? TdR), Immanuel Wallerstein, sociologo ed economista statunitense, analizza le deboli possibilità di arrivare ad a un accordo, richiamandosi ad a una “dichiarazione di otto autorevoli figure pubbliche che hanno recentemente pubblicato in The New York Review of Books quella che potrebbe essere vista come l’ultima chiamata per una soluzione a due stati. Essi la intitolano in modo che suona anche minaccioso 'Failure Risks Devastating Consequences' [Conseguenze devastanti dei rischi di fallimento, NdR]. Chi ha firmato la dichiarazione? Il primo nome è Zbigniew Brzezinski, che era il consigliere sulla sicurezza nazionale di Jimmy Carter e un consigliere chiave di Barack Obama. Ci sono altri tre notabili democratici: Lee Hamilton, già co-presidente del gruppo di studio sull’Iraq; Thomas Pickering, sottosegretario di stato di Bill Clinton; e Theodore Sorenson, consigliere speciale di John F. Kennedy. Il lato republicano è ugualmente eminente: Brent Scowcroft, consigliere alla sicurezza nazionale sia di Gerald Ford che di George H.W. Bush (che viene spesso considerato come la voce ufficiosa del primo presidente Bush); Carla Hills, incaricato del commercio USA di George H.W. Bush; l’ex-senatore Nancy Kassenbaum-Baker; e Paul Volcker, ex presidente del collegio dei governatori del Federal Reserve System.
I membri di questo gruppo molto prestigioso hanno una caratteristica comune: non hanno avuto niente a che fare con la presente amministrazione di George W. Bush. La loro lettera è stata mandata al presidente Bush ed a Condoleezza Rice. Essi propongono una proposta dettagliata, quella che ognuno sa essere l’unica plausibile soluzione a due stati: due stati basati sulle frontiere del 1967, due capitali in Gerusalemme con specifiche soluzioni per i luoghi sacri e ‘una soluzione per il problema dei rifugiati che sia consistente con la soluzione a due stati, risponda al profondo senso di giustizia dei rifugiati palestinesi e che fornisca loro anche significativi compensi finanziari e assistenza per la sistemazione’. Essi chiedono anche l’ammissione ai negoziati sia della Siria che di Hamas ed il congelamento immediato degli insediamenti israeliani. Questa era la proposta quasi adottata al meeting di Taba nel dicembre 2000, negli ultimi giorni dell’amministrazione Clinton. Ma il quasi non basta. Questa proposta è senza dubbio accettabile per Abbas e probabilmente anche per Hamas. Ma è stata a lungo esclusa fortemente e pubblicamente dal governo di Olmert.
Perché il tono di disperazione? Perché gli autori sapevano che è improbabile che la proposta venga accettata, sia dal governo israeliano che da George W. Bush. La Knesset  israeliana chiaramente ha trascinato i piedi, in qualunque accordo; e non c’è segno che sia pronta a cambiare atteggiamento. Né c’è qualche segno che l’amministrazione Bush sia pronta a pensare di torcere loro il braccio perché lo facciano. Al contrario.
Allora perché gli otto firmatari si preoccupano di fare quest’ultima chiamata? Perché il consenso internazionale del ventesimo secolo alla soluzione a due stati sta svanendo. La simpatia per Israele, una volta così forte, sta declinando anche nei quartieri una volta fortemente solidali con le posizioni israeliane e con questo stanno venendo crescenti richieste di uno stato unitario. Dato l’attuale stato di reciproca paura e antagonismo, gli israeliani non accetteranno mai un risultato con un solo stato. Senza dubbio continuerebbero piuttosto il ciclo di violenza senza fine. Quello che Brzezinski e gli altri sette stanno implicitamente prospettando è che la mancata pronta accettazione degli israeliani (e del governo USA) di questa proposta avrebbe la conseguenza devastante di una guerra civile molto più intensa, che potrebbe andare avanti per altri trent’anni, con risultato molto incerto per la stessa sopravvivenza dello stato di Israele. È una tetra prospettiva per tutti” (TdR).