La Corte di Cassazione ha affermato quello che semplicemente l’ordinamento giuridico italiano riconosce da anni: il diritto a una vita dignitosa e quindi anche a una morte dignitosa. Nessun riferimento al provvedimento del 41-bis.
Riina deve restare in carcere
Dopo la sentenza della Cassazione, diverse voci si sono sollevate per ribadire con forza che Riina deve rimanere in carcere. La sua pericolosità rimane intatta nonostante le precarie condizioni di salute e il suo passato non può essere dimenticato con una pronuncia. Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia, si è espresso con fermezza sulla posizione di Riina e sulla recente sentenza della Cassazione: “Totò Riina deve continuare a stare in carcere e soprattutto rimanere in regime di 41 bis. Vorrei ricordare che il pubblico ministero Nino Di Matteo vive blindato proprio a causa delle minacce che Totò Riina ha lanciato dal carcere. Se non è un pericolo attuale questo, mi chiedo che altro dovrebbe esserci” (Fiorenza Sarzanini, Franco Roberti: "Riina deve rimanere al 41 bis, ha gravi problemi di salute ma resta il capo di Cosa nostra" “corriere.it”, 6 giugno 2017).
Il precedente Provenzano
Sull’argomento abbiamo un importante precedente, legato al boss Bernardo Provenzano, dove la Cassazione si pronunciò negativamente, negando ogni richiesta di liberazione. Le parole dell’epoca, spese dal ministro della Giustizia Orlando possono valere anche per Totò Riina: "Tale condizione, come sottolineato dalla Direzione nazionale antimafia, rende evidente la necessità di conservazione delle misure atte al contenimento della carica di pericolosità sociale del detenuto correlata al rischio di diramazione di direttive criminose all'esterno del circuito penitenziario” (Massimo Bordin, No, non è vero che la Cassazione ha detto di liberare Riina, “ilfoglio.it”, 5 giugno 2017).
Tra salute e giustizia
Nessuno vuole negare il fatto che Riina abbia diversi problemi di salute, tutti puntualmente documentati, ma il carcere può essere il luogo ideale dove curarli. Lo conferma il procuratore nazionale antimafia Roberti: “Non abbiamo mai negato che sia affetto da una patologia pesante. Sappiamo che ha due neoplasie e numerosi disturbi collegati, ma si tratta di uno stato di salute che può essere adeguatamente trattato nell’ambiente carcerario o con ricoveri mirati in strutture cliniche. Abbiamo la documentazione per dimostrare che viene curato in maniera idonea” (Fiorenza Sarzanini, Franco Roberti: "Riina deve rimanere al 41 bis, ha gravi problemi di salute ma resta il capo di Cosa nostra" “corriere.it”, 6 giugno 2017).
I familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili di Firenze si sono definiti “Basiti di fronte a quello che ha stabilito la Cassazione”. Così don Luigi Ciotti, fondatore di Libera: “C’è un diritto del singolo che va salvaguardato, ma c’è anche una più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde e indiscutibili ragioni” (Massimo Bordin, No, non è vero che la Cassazione ha detto di liberare Riina, “ilfoglio.it”, 5 giugno 2017). Così anche tanti altri: “’ “Va assicurata la dignità della morte anche a Riina ma senza trasferirlo altrove’, ha detto Rosy Bindi, e così Alfredo Galasso, i fratelli Rita e Nando Dalla Chiesa, e tanti altri che rilevano come il Riina si sia mostrato pericoloso finché le forze glielo hanno consentito, non si è mai pentito dei commessi misfatti, non ha mai chiesto perdono alle vittime” (Piero Tony, La sentenza della Cassazione su Riina deve farci riflettere sul 41 bis, “ilfoglio.it”, 10 giugno, 2017).
Un’ondata di polemiche
La sentenza della Cassazione non è andata giù a molti. L’espressione “morte dignitosa” ha indignato l’opinione pubblica, i politici e i familiari delle vittime della mafia. Carlo Vizzini, presidente del Partito Socialista Italiano, si è così espresso: "Tutti gli uomini hanno diritto a morire con dignità ma credo che sarebbe un errore grave la scarcerazione dello storico grande capo della mafia Totò Riina. La scarcerazione sarebbe l'ultimo scacco allo Stato da parte di una mafia che vive anche di questi segnali e dunque un pericolo. Il mantenimento al regime carcerario lo dobbiamo anche a quelle famiglie che ancora oggi piangono per gli infami delitti consumati da Riina".
Il senatore del PD e componente della commissione Parlamentare Antimafia Giuseppe Lumia, afferma: "Non scordiamoci quanto fino a poco tempo fa egli sosteneva nei dialoghi intercettati in carcere dalla procura antimafia. Dialoghi agghiaccianti nei quali il capo dei capi parlava di piani mafiosi e omicidi da compiere” (Riina, le reazioni alla sentenza della Cassazione, “rainews.it”, 5 giugno 2017).
Così la presidente della Commissione Speciale Antimafia, Sonia Alfano: "Verrebbe da chiedersi se i giudici della corte di Cassazione considerino Riina un detenuto diverso dagli altri alla luce di quanto da loro affermato. Tanti altri detenuti sono morti nelle carceri italiane durante il loro periodo di detenzione eppure i togati di Cassazione non si sono pronunciati in alcun modo a loro difesa, e di sicuro non avevano sulle spalle un numero infinito di efferati e tragici delitti compiuti ed ordinati come quelli a carico di Riina” (Ibidem).
Commenta la sentenza anche Rita Dalla Chiesa, figlia del generale dei Carabinieri ucciso a Palermo nel 1982 e sorella di Nando: ''Penso che mio padre una morte dignitosa non l'ha avuta, l'hanno ammazzato lasciando lui, la moglie e Domenico Russo in macchina senza neanche un lenzuolo per coprirli. Quindi di dignitoso, purtroppo, nella morte di mio padre non c'è stato niente'' (Ibidem).
Un’espressione infelice
Sulla “morte dignitosa” evocata dalla Cassazione sono diverse le voci polemiche: Così l’ex procuratore capo di Prato ed ex presidente del tribunale dei minorenni Piero Tony: “Il diritto a morire ‘dignitosamente’ a me sembra, al di là delle intenzioni, davvero un fuordopera quasi di cattivo gusto. Avrei scritto ‘fuori dal carcere’, o qualcosa del genere. ‘Dignità è condizione e qualità di chi, di ciò che è degno di rispetto e onore. Dignitoso è di persona che ha dignità, che si comporta con dignità’, spiega qualsiasi vocabolario. E Nando Dalla Chiesa ha precisato che ‘mai Totò Riina potrà morire con dignità, diciamo in libertà ovvero dignitosamente per noi, per la nostra democrazia’” (Piero Tony, La sentenza della Cassazione su Riina deve farci riflettere sul 41 bis “ilfoglio.it”, 10 giugno 2017).
Claudio Alessandro Colombrita, 15 luglio 2017
Autori citati:
Roberti Franco
- magistrato e procuratore nazionale antimafia
Orlando Andrea
- ministro della Giustizia del governo Renzi
Familiari vittime strage di via dei Georgofili di Firenze
Ciotti Luigi
- sacerdote, Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e membro della Commissione Sanità della Regione Piemonte
Vizzini Carlo
- presidente Partito Socialista Italiano
Lumia Giuseppe
- senatore del Partito democratico
Tony Piero
- magistrato ed ex procuratore capo di Prato
Alfano Sonia
- politico italiano, presidente della Commissione Speciale Antimafia
Dalla Chiesa Rita
- conduttrice, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
La Corte di Cassazione, aprendo al concetto di “morte dignitosa”, ha espresso un giudizio critico verso il regime del 41-bis, che deve, pertanto, essere messo completamente in discussione.
Una sentenza che apre nuovi scenari
La sentenza n. 27766 del 2017, della I Sez. Penale della Corte di Cassazione, si è pronunciata negativamente sul 41-bis, mettendo in discussione il provvedimento adottato nei confronti del boss di “Cosa Nostra” Totò Riina, soprattutto nell’evidenziare che anche Totò Riina avrebbe diritto di “morire dignitosamente”. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone si è così espresso sulla sentenza: “Quella riguardante Riina è una sentenza molto importante poiché pone il tema della dignità umana e di come essa vada preservata anche per chi ha compiuto i reati più gravi e, di conseguenza, come la pena carceraria non possa e non debba mai trasformarsi in una sofferenza atroce e irreversibile” (Riina, uno Stato forte e democratico non fa morire nessuno in carcere, “antigone.it”, 5 giugno 2017).
Il 41-bis è un provvedimento non più applicabile
Il provvedimento è stato concepito per un periodo di forte emergenza criminale, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta ed è dunque una misura non attuale, che deve essere rivista profondamente. Lo conferma Giuseppe Ayala, pubblico ministero al maxi-processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “Se le cose stanno come ho detto e come in parte penso è venuto il momento che lo Stato rifletta su come modificare l'impianto del 41bis. E lo dice uno che quando Giovanni Falcone si trasferì a Roma al ministero di Grazia e Giustizia partecipò alla formulazione del decreto” (Esclusivo Ayala su Riina: Lo Stato ha perso sul 41bis, “lapresse.it”, 6 giugno 2017).
Un’eco eccessiva per una sentenza che chiede maggiori specificazioni
La sentenza in questione non dice che Riina va liberato immediatamente, ma rimette in discussione una pronuncia precedente, non adeguatamente motivata. Un rinvio deciso dal Tribunale di Bologna per difetto di motivazione, ma anche un monito per affrontare con decisione il tema della dignità umana: “La Cassazione spiega che la pericolosità da sola non basta come argomento, scrive che esiste per tutti, anche per i peggiori dunque, il ‘diritto a una morte dignitosa’. Non si esclude che possa avvenire in carcere ma si chiede di argomentare più analiticamente” (Massimo Bordin, No, non è vero che la Cassazione ha detto di liberare Riina, “ilfoglio.it”, 5 giugno 2017).
Riina è un detenuto particolare per la sua carica mafiosa ma non per questo devono essere calpestati i suoi diritti da detenuto. La dignità umana è un concetto universale, che deve trovare spazio tra le esigenze di sicurezza e ordine pubblico: “Dal punto di vista del principio espresso dai giudici della Cassazione non possiamo che essere totalmente d’accordo. Se non fosse così vorrebbe dire che per noi la pena è pura vendetta. Uno stato forte e democratico - non fa mai morire nessuno in carcere deliberatamente”, così il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella (Riina, uno stato forte e democratico non fa morire nessuno in carcere, “antigone.it”, 5 giugno 2017).
Autori citati:
Ayala Giuseppe
- pubblico ministero
Gonnella Patrizio
- presidente di Antigone, Associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”