Disincentivare le delocalizzazioni è un importante passo per la salvaguardia del lavoro in Italia

Non incentivare imprese che portano via posti di lavoro e know-how italiano

Il sito “scenarieconomici.it” ricorda come la delocalizzazione comporti “un costo elevatissimo, in termini occupazionali, sociali ed economici, scaricato sulla collettività. Ciò è ingiusto specie laddove la delocalizzazione non riguardi attività produttive in perdita, ma sia finalizzata ad incrementare una redditività già esistente” (Vogliamo contrastare le delocalizzazioni? Ecco una realistica proposta, “scenarieconomici.it”, I settembre 2018), per cui le imprese interessate mirano esclusivamente a trasferirsi in paesi con un basso costo del lavoro. Oltre a generare un aumento diretto della disoccupazione, il fenomeno delle delocalizzazioni danneggia anche gli indotti delle aziende in fuga e rischia di portare a un generale peggioramento della qualità dei prodotti.

Il decreto Dignità costituisce il primo fondamentale passo per punire le imprese che usufruiscono di agevolazioni pagate dai contribuenti italiani e poi decidano di trasferirsi. La parlamentare del M5S, Tiziana Ciprini, ricorda nel suo sito che sul tavolo del Ministero del Lavoro vi sono ben 31 “aziende interessate da cessazione attività o delocalizzazione”, sulle cui trattative inciderà positivamente la svolta del decreto Dignità (Tiziana Ciprini, Tavoli di crisi: decreto dignità fondamentale per impedire delocalizzazioni, “tizianaciprini.it”, 18 luglio 2018).

Secondo Maurizio Landini, benché il provvedimento vada già nella giusta direzione, si può pensare ad una sua estensione anche alle aziende che delocalizzano senza beneficiare di soldi pubblici. La delocalizzazione dell’azienda Bekaert in Romania, citata da Landini, è un caso emblematico. Pur non avendo ricevuto agevolazioni, l’azienda ha sfruttato le “conoscenze e competenze dei lavoratori e del territorio” e rifiuta qualunque negoziato o proposta sindacale, arrecando un grave danno occupazionale (Maurizio Landini, Landini (Cgil) " Basta con chi ruba competenze a questo Paese", “La Repubblica”, 6 luglio 2018). Tuttavia, la portata culturale del provvedimento è più vasta rispetto alla mera analisi degli aspetti tecnici. Riccardo Achilli, autore di “Sinistrainrete.info”, osserva come “per la prima volta, in quasi trent’anni di retorica filo-globalizzatrice, si introduce ufficialmente il riconoscimento dei danni della globalizzazione, prevedendo sanzioni a chi delocalizza. Risveglia forze sociali sopite dallo scoraggiamento dell’egemonia, considerata sinora inattaccabile, del pensiero unico. Costruisce legami sociali e comunitari, fuori dall’individualismo metodologico liberista” (Riccardo Achilli, Il decreto-dignità: cosa c'è veramente in gioco?, “sinistrainrete.info”, 5 luglio 2018).

Gloria Gattoni, 9 ottobre 2018

Necessario distinguere tra internazionalizzazione e delocalizzazione

Il governo ha ammesso di non conoscere il fenomeno delle delocalizzazioni, non essendo reperibili statistiche ad hoc. Eppure ha supposto che vi sia un aumento di questo fenomeno e ha scelto di disciplinare questa materia, “A prescindere che sia giusto o sbagliato tentare di guidare processi di mercato per legge, il decreto apre un contenzioso su cosa significhi delocalizzare perché le ristrutturazioni sono processi lunghi e sfaccettati. E ci si può chiedere se il fenomeno sia davvero dannoso: a volte spostare parte della produzione serve per salvare la casa madre e conservare posti di lavoro, l’alternativa è la chiusura. Senza contare che il fenomeno degli ultimi anni non è la ‘fuga’ ma il rimpatrio (‘reshoring’)” (Un decreto di propaganda, “Il Foglio”, 2 luglio 2018). E’ necessario distinguere l’internazionalizzazione delle imprese dalle delocalizzazioni “selvagge”, come afferma la Confindustria (Decreto dignità, Confindustria attacca: "Effetti peggiori delle stime". Conte: "Toni allarmistici", “La Repubblica”, 18 luglio 2018). Le misure del decreto Dignità risultano propagandistiche ed eccessivamente punitive verso le imprese. Avrebbero potuto tendere ad una finalità positiva di contrasto alle delocalizzazioni

“predatorie” come “quei casi di aiuti di stato ‘ad hoc’ che, attraverso soluzioni fiscali negoziate o riduzioni contributive/retributive o prestiti senza garanzie, vengono concessi dai paesi europei che intendono attrarre imprese già stabilite in un altro paese dell’Unione europea” (Marco Leonardi, Critica definitiva alle contraddizioni del decreto “dignità”, “Il Foglio”, 31 luglio 2018). Invece, benché il fine sia condivisibile, non lo è il mezzo: l’Italia su questa materia non ha potere decisionale e dovrebbe rivolgersi alla Commissione Europea. Tra l’altro, i provvedimenti rischiano di essere incompatibili con i trattati europei e “c’è poca chiarezza su quali tipi di aiuti di Stato” siano presi in considerazione dalla norma (Ibidem). Se un’azienda però avesse usufruito di un aiuto ma poi ammortizzasse il beneficio ricevuto, comunque dovrebbe restituirlo, anche se il saldo fosse positivo per il paese? “Se non è affatto chiaro quante imprese oggi vogliano delocalizzare e quante saranno fermate da questo decreto, è chiaro invece che le aziende che hanno già concluso i contratti di sviluppo faranno ricorso (e probabilmente vinceranno) e le nuove potenziali imprese si guarderanno bene da stabilirsi al sud (dove di solito si fanno i contratti di sviluppo con il ministero dello Sviluppo)” (Marco Leonardi, Critica definitiva alle contraddizioni del decreto “dignità”, “Il Foglio”, 31 luglio 2018).