Il bullismo è frutto delle condizioni sociali e non delle nuove tecnologie, l’aggressività è direttamente proporzionale al ceto sociale

Una tesi che non può stare in piedi

Le parole di Serra, che correla il bullismo alla classe sociale, sono profondamente offensive per tutte quelle famiglie che, nonostante le carenti possibilità economiche, hanno fatto di tutto per fornire un’educazione adeguata ai figli. Esistono professionisti e personaggi di successo che si sono affermati dal nulla, con origini umili, e non sono mai stati né violenti né bulli.
Alex Corlazzoli, giornalista e maestro, conferma: “La differenza di classe che c’è, che esiste, che non morirà mai ma che aumenta proprio a causa delle fosse scavate da chi come Serra è ancora convinto che ‘Il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale. I padri dei ricchi vogliono i figli a loro somiglianza mentre i figli dei poveri sono mossi dal grande desiderio di riscatto sociale. Una morsa che in questi anni ha davvero cambiato l’Italia. Lo dimostra anche la politica che finalmente porta in Parlamento i figli di una classe sociale più povera’” (Alex Corlazzoli, Bullismo, è evidente che Michele Serra non frequenta i poveri, “ilfattoquotidiano.it”, 23 aprile 2018). Paradossalmente, un ragazzo che non ha avuto opportunità dalla vita può essere mosso da un desiderio più ardente rispetto a chi ha avuto tutto dalla vita. Esistono le differenze di classe e hanno un peso anche nel bullismo, ma non sono la causa principale del fenomeno.

Una dura risposta

Proprio Internet, strumento tanto demonizzato per l’insorgere del fenomeno del cyberbullismo, porta a contraddire la tesi di Serra. I messaggi offensivi e gli atteggiamenti prevaricatori possono essere portati avanti proprio da tutti, perché la rete mette tutti sullo stesso piano. Spesso è la noia che muove i giovani, che trovano divertimento e svago attaccando gli altri. Non c’è quindi differenza tra un ragazzo umile e un ragazzo ricco, le dinamiche sono le stesse e quasi tutti ormai sono dotati di dispositivi che si connettono ad Internet.
Luca Telese, giornalista, attacca Serra: “Rispetto al tema della violenza praticata ed esibita, la composizione sociale, antropologica e politica delle scuole conta davvero poco o niente. Siamo figli di un tempo televisivo, mediatico, di uno spirito che ci attraversa e condiziona in maniera assolutamente trasversale: quando il bullo si atteggia a youtuber maledetto, parla con il suo stesso slang, le sue stesse pause, il suo stesso tono da banditore della rete, non conta il mestiere di suo padre, ma piuttosto le ore che ha passato a lessarsi i cervello su internet. E in questo te lo assicuro genitori ricchi o poveri possono fallire in eguale misura” ([La polemica] Caro Michele Serra, ti spiego perché so che i veri bulli non sono poveri ma frequentano le scuole dei vip, “notizie.tiscali.it”, 22 aprile 2018).
Dunque, nell’educazione dei ragazzi la ricchezza incide solo fino ad un certo punto, perché esistono tante altre problematiche che rendono difficile la relazione genitori-figli.

Anche Matteo Salvini, leader della Lega, ha reagito con fermezza alle parole di Serra: “Per alcuni ‘intellettuali’ di sinistra i ragazzi che vanno agli Istituti Tecnici o Professionali, i figli del popolo e non dei ricchi, sono più violenti e ignoranti, più spesso fanno i bulli a scuola. Questo è vero razzismo, questa è vera ignoranza” (Matteo Salvini, “twitter.com”, 21 aprile 2018).

Anche nelle scuole dei ricchi c’è il bullismo

Mariangela Galatea Vaglio, blogger e scrittrice, afferma: “Maleducazione, comportamenti violenti sembrano essere trasversali. Il caso dei sei alunni che hanno minacciato il professore nei giorni scorsi è avvenuto in un tecnico della Toscana, quindi non in un professionale. Altri casi si sono verificati nei licei Newton e Virgilio di Roma. Il bullismo è un fenomeno quindi che tocca ogni ordine di scuola e non pare che vi sia una netta correlazione con la classe sociale dei bulli” (Michele Serra e i bulli che vanno al professionale, “ilnuovomondodigalatea.it”, 22 aprile 2018).
Esiste una casistica importante sugli episodi di bullismo legati a scuole più facoltose. La violenza non risparmia proprio nessuno, non ha il suo germe nella povertà ma spesso nell’assenza o nella carenza educativa, in violenza pregressa. I valori di una volta si sono persi, non c’è più rispetto per il prossimo, si sono smarrite proprio le basi nel rapporto con l’altro.

Simone Feder, coordinatore Casa del Giovane di Pavia e giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, riporta la propria esperienza in materia: “Non sono le condizioni che determinano come sono i ragazzi. Quello che importa è cosa hai dentro, in cosa consisti, di cosa sei fatto. Il degrado economico non produce disagio. È il degrado valoriale che lo produce” (Lorenzo Maria Alvaro, Caso Lucca, la colpa è nostra non dei ragazzi né del prof, “vita.it”, 20 aprile 2018).

I numeri raccontano una realtà diversa

Al di là del botta e risposta tra giornalisti, blogger, politici, psicologici e sociologici, rispetto alle dichiarazione di Serra, sono i numeri a parlare chiaro e, ancora una volta, smentiscono la sua tesi.
Secondo i dati Istat 2015 sul bullismo, infatti, quanto a vittime, “tra gli studenti delle superiori, i liceali sono in testa (19,4%); seguono gli studenti degli istituti professionali (18,1%) e quelli degli istituti tecnici (16%)” (Comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi: Bullismo, “istat.it”, 15 dicembre 2015).
La scuola è scuola, indipendentemente dalla qualità dei banchi e dai contenuti dei programmi, lì si istruisce e si educa. Il bullismo è un fenomeno trasversale che non risparmia nessuno. Una società che capisce presto questo può agire con forza per attuare un progetto di prevenzione e repressione di quella che è considerata ormai una vera e propria emergenza.

Una provocazione ben riuscita

Nel suo intervento su “L’Amaca”, Michele Serra, giornalista de “La Repubblica”, ha lanciato una vera e propria bomba che ha innescato una serie di reazioni a catena. L’editorialista si è così espresso, commentando un recente episodio di bullismo: “Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza (Michele Serra, l’Amaca, “repubblica.it”, 20 aprile 2018). Il bullo è dunque spesso maleducato, fa parte dei ceti sociali più bassi e preferisce come teatro delle sue azioni gli istituti tecnici e professionali dove si presume il livello di educazione sia più basso.

A sostenere la tesi del collega, Annalisa Cuzzocrea, cronista politica de “La Repubblica”: “I tempi in cui scrivi un editoriale per sostenere che chi è fragile e ha meno risorse deve avere più opportunità, che oggi non ne ha abbastanza, e gli si rivolta contro il mondo (figlia di ferroviere, nipote di falegname, ma questo cosa conta? Cosa? Tornate in voi)” (Annalisa Cuzzocrea, “twitter.com”, 21 aprile 2018).
Il punto è proprio questo. Chi ha meno possibilità economiche deve essere aiutato dallo Stato, non deve usare violenza per manifestare la propria insoddisfazione ma deve essere posto nelle condizioni necessarie per raggiungere una sua dignità.

Approccio superficiale

Le parole di Serra hanno creato una sequela di reazioni. Il testo, seppur breve, presenta diversi aspetti analizzati, anche piuttosto profondi, che vanno peraltro dalla parte dei più deboli, i quali devono essere aiutati ma non per questo non debbono essere criticati.
Leonardo Tondelli, insegnante: “Per molti pro-Serra si tratta di una banale questione di comprensione del testo: da una parte c’è chi ha capito che Serra non sta affermando una verità apodittica, ma denunciando uno ‘scandalo’ che le forze progressiste hanno l’obiettivo di contrastare. Dall’altra parte ci sono gli analfabeti funzionali che non se ne sono accorti, lettori troppo distratti che arrivano da link che li orientano male e cliccano via dopo tre righe credendo di aver capito chissà cosa” (Leonardo Tondelli, Le reazioni all’Amaca di Serra come metafora del Paese, “thevision.com”, 23 aprile 2018).
Basta un’attenta lettura, senza soffermarsi sul singolo significato della parola ma guardando al significato più profondo del testo e si può desumere la reale intenzione di Serra di porre la lente di ingrandimento sulla causa del fenomeno.

Bruno Ugolini, giornalista, afferma, riferendosi a Serra: “Invano hai cercato di dimostrare che tu, in sostanza, volevi solo affermare che anche la nostra attuale società è divisa in classi. E che i figli di famiglie non benestanti, in ragione del classismo imperante, ricevono un’educazione meno elevata. Sono costretti a frequentare di più le scuole professionali che i licei. Spinti dalla speranza di più facili sbocchi lavorativi. Sono più portati alla scarsa acquiescenza, anche nei confronti dei professori. Apriti cielo” (Bruno Ugolini, Caro Serra, c’è anche il bullismo dei ricchi, “strisciarossa.it”, 24 aprile 2018).
Dunque, si evidenzia una verità, cioè che chi ha meno possibilità, in genere, rischia di ricevere un’educazione meno accurata, dunque frequentare maggiormente gli istituti tecnici e le scuole professionali, con una minore capacità di scelta. Si sottolinea tuttavia, anche “lo scandalo” di ciò, il fatto di non avere eguali opportunità solo perché si appartiene a un ceto sociale più basso.

Un atto di accusa

Si punta il dito conto i principali fautori di queste discriminazioni: la scuola in primis, poi la politica e la famiglia stessa, da dove tutto ha inizio. La scuola favorisce la ricchezza esteriore, l’intelletto che dipende dalla posizione sociale, l’apparenza, i titoli, non guarda al vero talento, all’essenza dei ragazzi, alle loro inclinazioni e alle loro potenzialità.
Giovanni Ronco, insegnante, afferma: “Il commentatore ha detto una – pur sgradevole - verità, che è anche un atto d'accusa alla scuola come tale e spesso ricca al suo interno di docenti intrisi d'ideologia sinistroide, buona sulla carta, a parole, nel discettare di ascensore sociale, di opportunità da dare a tutti, ma in tante altre occasioni, nelle pieghe della quotidianità, pronta a favorire o coprire il figlio del professionista e ad affossare il figlio di nessuno” (Giovanni Ronco, Scuola, Michele Serra ha ragione ma il marcio è ovunque ,“traniviva.it”, 24 aprile 2018).
Il populismo e le opportunità Serra sottolinea un aspetto fondamentale, cioè il dilagante populismo nell’approcciarsi a fenomeni come il bullismo, che prescinde da ogni considerazione logica, che non guarda alla verità, ai rapporti di forza, alla gerarchia e alle classi sociali. Un esercizio fine a se stesso, cieco, che non rende neanche giustizia a chi, giorno dopo giorno, lotta per uscire dall’oblio. Stefano Feltri, vicedirettore de “Il Fatto Quotidiano” afferma: “Michele Serra coglie un punto quando osserva che il populismo si alimenta di una mancata comprensione dei rapporti di forza. Che c’è un abisso tra chi pascola in una scuola superiore nell’attesa di un diploma che ponga fine allo strazio e chi può competere nel mercato del lavoro e nella vita forte di un’adolescenza in una famiglia che lo ha mandato in Inghilterra a studiare inglese, in un liceo pieno di figli di laureati e poi lo ha indirizzato verso un’università difficile ma utile” (Stefano Feltri, Lucca, ha ragione Michele Serra, “il fattoquotidiano.it”, 22 aprile 2018). Al di là della banale retorica, spesso (ma non sempre) chi può godere di buoni studi, in scuole referenziate, ha più possibilità di affermarsi rispetto a chi non può godere delle stesse opportunità.

Claudio Alessandro Colombrita, 31 maggio 2018