La mancata progressività delle imposte penalizza i poveri e favorisce i ricchi

E’ il fisco attuale ad essere iniquo

Secondo il giornalista esperto di Economia Oscar Giannino, non è la flat tax, bensì il sistema fiscale attuale ad essere iniquo verso i meno abbienti: “Oggi, infatti, la progressività delle 5 aliquote Irpef vigenti, tanto invocata secondo l’articolo 53 della Costituzione, si applica ai soli redditi da lavoro (e pensione). A tutte le altre forme di reddito, la fantasia della politica alla ricerca di gettiti certi ha applicato aliquote che sono già proporzionali, quindi non progressive. E lo ha fatto creando un caos indifendibile, dai contraddittori effetti sociali. Se avete redditi da capitale pagate il 12,5 se da titolo di Stato, il 24 se gestite un fondo d’investimento, il 26 se da dividendi, e se da redditi immobiliari l’aliquota fissa varia a seconda del contratto che vorrete applicare. In ogni caso, sono tutti redditi oggi tassati già con aliquota fissa proporzionale e non progressiva: esattamente ciò che la sinistra scomunica, peccato che è la via che essa ha praticato” (Oscar Giannino, Flat Tax: ecco perché funziona davvero, “Panorama”, 5 febbraio 2018).
La progressività attuale grava molto sui redditi medi da lavoro, invece la flat tax comprende tutti i redditi in un unico sistema, considerando anche la composizione familiare. Si taglierebbero così una giungla di deduzioni e detrazioni fiscali, che non sono affatto servite a rendere il fisco più efficiente ed equo, ma solamente ad accontentare vari portatori di interessi. La flat tax, inoltre, “fissando soglie di esenzione fiscale più elevate delle attuali, consente direttamente l’integrazione della differenza tra quella soglia di esenzione e il reddito reale, cioè un trasferimento per garantire a tutti almeno un minimo vitale” (Ibidem). Infatti, il welfare italiano “non ha mai posto al centro della propria attenzione il bisogno economico e non ha mai conosciuto quindi misure universalistiche di difesa dei redditi minimi paragonabili all’income support inglese, al revenue de solidarité active francese, al Sozialhilfe tedesco” (Nicola Rossi, Venticinque per tutti, “Istituto Bruno Leoni”, 2017). Esso è stato plasmato sulla base di un mercato del lavoro in cui prevalevano contratti a tempo pieno e indeterminato, “in grado di durare tutta una vita”. Questo modello, anche a causa delle drammatiche conseguenze della crisi economica e dei mutamenti nel mercato del lavoro, risulta sempre più anacronistico e inefficace.

Coniugare la flat tax con il sostegno alla povertà

In tutte e tre le proposte di flat tax prese in considerazione – di Lega, Forza Italia e dell’Istituto Bruno Leoni – sono previste misure di contrasto alla povertà.

Nella proposta dell’Istituto Bruno Leoni, a cura dell’economista Nicola Rossi, oltre alla tassa piatta al 25%, è prevista una forma di sostegno universalistica al reddito, un trasferimento monetario detto “minimo vitale”, diversificato geograficamente (Nicola Rossi, Venticinque per tutti, “Istituto Bruno Leoni”, 2017). In un’intervista al “Corriere del Mezzogiorno”, la vicedirettrice dell’Istituto Bruno Leoni, Serena Sileoni, ipotizza due differenti misure: una “no tax area” per i redditi bassi, mentre per i redditi bassissimi il reddito vitale, spesso denominato reddito di cittadinanza. I contribuenti più abbienti, sosterrebbero i costi della sanità pubblica, che resterebbe gratuita per le fasce inferiori di reddito (Michele Cozzi, Serena Sileoni: terapia choc per il fisco, “Istituto Bruno Leoni”, I luglio 2017). In questo modo si concilia pienamente l’equilibrio dei conti pubblici con la semplificazione fiscale e la giustizia sociale.

Nella proposta della Lega, è previsto un sistema di deduzioni fisse pari a 3000 euro, a seconda della fascia di reddito calcolata su base familiare. Con redditi familiari fino a 35000 euro, la deduzione di 3000 euro si applica per tutti i componenti della famiglia, inclusi i contribuenti. Da 35001 euro a 50000, la deduzione di 3000 euro sarà solamente per ciascun familiare a carico, mentre oltre i 50000 non si avrà diritto ad alcuna deduzione. Le famiglie a bassissimo reddito – fino a 7000 euro lordi all’anno per famiglia – rientrerebbero nella “no tax area”, mentre per i redditi fino a 15000 euro è possibile applicare la cosiddetta “salvaguardia”: se con il sistema vigente dovessero pagare meno (grazie alle deduzioni e detrazioni in corso) rispetto a quanto avverrebbe con la flat tax, potranno continuare a usarlo (Armando Siri, Flat tax. Paghiamo meno, paghiamo tutti: ecco come, “tassaunica.it”).

Nella proposta di Forza Italia, che stabilisce la tassa unica al 20%, la “no tax area” sarebbe estesa fino ai primi 13000 euro di reddito annuo. Poi la tassa del 20% si applicherà sul reddito eccedente i 13000 euro (ad esempio con un reddito di 15000 euro si pagheranno le tasse su 2000 euro) (Con la Flat tax, riparte l’Italia, Forza Italia). Questo dimostra come la flat tax e la no tax area siano misure complementari tra loro, per rendere il fisco più equo ed efficace nel contrasto alla povertà.

Nessun beneficio per il ceto basso e medio-basso

Vari accademici ed esperti in materia fiscale hanno criticato le tre proposte di flat tax della Lega, di Forza Italia e dell’Istituto Bruno Leoni, soprattutto dal punto di vista della lotta alla povertà e alle disuguaglianze, per cui la progressività dell’imposta resta un principio irrinunciabile per garantire la redistribuzione della ricchezza. Come sostengono gli economisti Massimo Baldini e Silvia Giannini su “Lavoce.info”, “La critica principale alla flat tax è che se l’aliquota è bassa i guadagni si concentrano sui poveri (se c’è un meccanismo di imposta negativa) e sui ricchi, mentre per la classe media poco cambia […]. Una parte significativa dello sgravio totale andrà al 10 per cento più ricco dei contribuenti. Nessun dubbio che l’onere dell’Irpef sia molto pesante ma, soprattutto dopo anni molto difficili per le famiglie italiane, sarebbe ampiamente preferibile una riforma che concentrasse gli sgravi sulle classi medie o medio-basse” (Massimo Baldini, Silvia Giannini, Chi guadagna e chi perde con la flat tax, “Lavoce.info”, 14 luglio 2017).

Il responsabile del centro studi LEF (Associazione per la Legalità e l’Equità Fiscale), Lelio Violetti, commenta la proposta di flat tax della Lega, sostenendo che essa “non darà alcun vantaggio per i redditi sotto i 20.000 euro. E non ci sarà nemmeno la semplificazione per i redditi bassi in quanto per non pagare di più sarà necessario ricorrere alla clausola di salvaguardia e quindi utilizzare l'attuale sistema di aliquote e detrazioni. Per vedere qualche risparmio, 1.662 euro l'anno, bisogna salire fino a 30.000 euro e per raggiungere livelli consistenti è necessario salire a livelli decisamente più alti”. “Le elaborazioni di Lef mostrano che per un reddito di 7.500 euro l'aggravio fiscale medio sarebbe di 492 euro l'anno; andrebbe peggio a chi dichiara 10.000 euro, che dovrebbe pagare 769 euro di tasse in più. A rimetterci sarebbero anche i redditi di 15.000 euro, che si troverebbero a pagare 491 euro in più rispetto a oggi. Tutti aggravi azzerabili con la clausola di salvaguardia” (Lef, con flat tax Lega nessun vantaggio fino a 20.000 euro, “Adnkronos”, 21 febbraio 2018).
Di fatto, la flat tax sarebbe un regalo ai più abbienti, senza alcun vantaggio per i redditi bassi, che si troverebbero costretti a utilizzare l’attuale sistema fiscale. Anche l’analisi della ricercatrice in Economia Marta Fana e del giornalista Giacomo Russo Spena giunge ad una simile conclusione: la flat tax della Lega comporta una diminuzione delle entrate statali di quasi 100 miliardi all’anno: “Chi oggi ha un reddito tale da pagare aliquote marginali tra il 21 e il 43%, pagherebbe molto meno, così come le aziende dato l’abbattimento dell’Ires e dell’Irap. Gli effetti negativi si ripercuoterebbero sulle classi meno abbienti: le minori entrate fiscali si tradurrebbero in minore spesa per servizi e beni pubblici (scuola, asili, trasporto pubblico, sanità, acqua, spazi pubblici ecc…), di cui proprio le fasce più povere della popolazione e il ceto medio impoverito beneficiano maggiormente. Inoltre, la soglia di esenzione della tassazione verrebbe ridotta a 3000 euro, imponendo a tutti coloro con un reddito compreso tra i 3000 e gli 8000, che attualmente non pagano tasse sul reddito, l’imposta al 15% [a meno che non si ricorra alla clausola di salvaguardia sopra menzionata, NdR]”(Marta Fana, Giacomo Russo Spena, La resistibile ascesa della disuguaglianza, “MicroMega”, 20 giugno 2015).

Riguardo invece la proposta dell’Istituto Bruno Leoni, gli economisti Massimo Baldini e Silvia Giannini su “Lavoce.info” ritengono che non sia ben esplicitato “come sarebbero articolate le varie deduzioni Irpef diverse dal minimo vitale (per lavoratori dipendenti e anziani, famiglie con figli minori, soggetti non autosufficienti e così via), né le modalità con cui le stesse (tutte, incluso il minimo vitale, o solo alcune?) decrescono al crescere del reddito” (Massimo Baldini, Silvia Giannini, Flat tax: riforma strategica o salto nel buio?, “Lavoce.info”, 11 luglio 2017).
Sono questioni fondamentali per giudicare l’equità sociale o meno della proposta, considerando che, con una flat tax al 25%, anche l’IVA si adeguerebbe a quel valore, tre punti percentuali superiore a quello attuale (stimato dagli economisti a 19 miliardi di euro), una misura fortemente regressiva, oltre alla “perdita di prestazioni socio-assistenziali per circa 60 miliardi” (Ibidem).

 

Gloria Gattoni, 9 maggio 2018