La flat tax semplifica il sistema fiscale, generando crescita economica

L’Italia, oltre all’elevata evasione e complicazione fiscale, ha l’aliquota implicita sul lavoro più elevata d’Europa insieme al Belgio “(42,8%, contro una media europea del 36,1%)” (Nicola Rossi, Venticinque per tutti, “Istituto Bruno Leoni”, 2017). Questo penalizza la competitività del nostro paese rispetto agli altri partners internazionali. La politica fiscale italiana è unicamente composta da deduzioni, detrazioni, bonus, senza una precisa finalità di efficienza ed equità da parte dello Stato (ibidem). 

Un esempio di come la semplificazione fiscale faccia aumentare il gettito, facendo emergere il sommerso, viene da uno dei classici esempi di tassa piatta attualmente presenti in Italia, ovvero la cedolare secca sugli affitti con aliquota al 21%: “Lo scopo di combattere il fenomeno diffuso degli affitti in nero è stato parzialmente raggiunto, con un tasso di emersione pari al 45,6 per cento e con buone possibilità di raggiungere il pareggio proseguendo con questo regime” (Si vede il sollievo di una tassa piatta, “Il Foglio”, 3 ottobre 2017).
“Più in generale è interessante rilevare come il modello di una tassa piatta sia utile a ridurre la propensione all’evasione (propensione al gap) che appunto, sempre dal 2010 al 2015, è aumentata o al più è rimasta stabile per tutte le altre imposte considerate: Irpef da lavoro autonomo e impresa (61,4-67,2 per cento), Ires (24,1-27,7), Iva (26,3-26,4), canone Rai (30,4-36,6) e Imu (21,2-26,9; dal 2012). Questo dimostra che metodi di controllo fiscale complicati, intrusivi, e addirittura polizieschi, attraverso la raccolta di informazioni in banche dati difficili da gestire, non ottengono lo stesso risultato – e nemmeno ci si avvicinano – a quello dell’applicazione di una tassa semplificata, con aliquota unica, e relativamente bassa” (Ibidem). Si possono solo immaginare gli effetti a livello macroeconomico, se la flat tax venisse estesa a tutto il sistema fiscale. E’ necessario partire da un presupposto fondamentale: “le tasse dovrebbero raccogliere gettito per finanziare programmi di spesa pubblica consumando la minor frazione possibile di reddito nazionale e dovrebbero interferire il meno possibile con crescita economica, commercio estero e movimenti di capitale” (Bepi Pezzulli, Perché la flat tax può generare grande efficienza, “tassaunica.it”, 29 luglio 2017).
Con una tassa piatta e bassa si può generare crescita economica mediante un circolo virtuoso: le famiglie e le imprese avranno maggiore disponibilità economica data dalle minori tasse, e quindi il consumo verrà incentivato. Più consumi portano ad una necessità di maggiore produzione e quindi più assunzioni. Più aumenta l’occupazione, maggiore gettito entrerà nelle casse dello Stato, compensando l’iniziale ammanco provocato dall’abbassamento delle aliquote.

L’esempio degli USA di Trump

Il prof. Francesco Forte su “Il Giornale” sostiene che la riforma fiscale del presidente USA, Donald Trump, stia “creando una nuova era industriale negli Usa: Fca investe un miliardo di dollari nella fabbrica di auto nel Michigan e non ha più bisogno di cercarsi un partner industriale, per reggere la sfida mondiale. Ciò gioverà anche alla nostra Fiat mentre nel torinese Whirlpool chiude la fabbrica di frigoriferi e licenzia 297 operai, perché produrrà in Croazia. La flat tax, riducendo la tassa sul reddito del lavoro, crea nuova occupazione e sviluppo e fa crescere il gettito” (Francesco Forte, La flat tax serve. Ecco la prova, “Il Giornale”, 16 gennaio 2018).
Trump, benché non abbia adottato la flat tax e non sia riuscito a ridurre il numero delle aliquote per la contrarietà del Parlamento, ha abbassato le tasse a livello generale. Le nuove aliquote saranno del 10%, 12%, 22%, 24%, 32%, 35%, 37% (Lauren Lyons Cole, Here's how your tax bracket will change in 2018, “Business Insider USA”, 14 febbraio 2018). Gli scaglioni risultano piuttosto graduali, in modo da non scoraggiare i contribuenti che riescano a guadagnare di più, ma la vera novità è l’abbassamento dal 35% al 21% l’aliquota per le aziende (Usa, passa alla Camera la riforma fiscale di Trump, “Il Sole 24 Ore”, 19 dicembre 2017).
La riforma sta già sortendo effetti positivi non solo sulla crescita economica e sull’inflazione, ma anche sui salari degli americani: “Dopo Comcast e AT&T, dopo le finanziarie Wells Fargo, Bank of America e Fifth Third Bank, Walmart ha annunciato giovedì un aumento dello stipendio minimo, portandolo da 9 a 11 dollari/ora cui si aggiunge la corresponsione di un premio straordinario che può salire fino a 1000 dollari” (Mirco Galbusera, Primi effetti positivi della riforma fiscale americana, “Investire Oggi”, 18 gennaio 2018).

Gloria Gattoni, 8 maggio 2018

Benché un forte abbassamento delle tasse sia un tema popolare, appetibile per ciascun contribuente a livello individuale, può rivelarsi contrario all’interesse generale della popolazione. Ricette fiscali come la flat tax mancano di coperture finanziarie, finendo per gravare sul debito pubblico italiano che supera il 130% del PIL, uno dei più elevati al mondo. Un aumento ulteriore del debito pubblico comporta maggiori interessi sul debito, in una spirale regressiva che sarebbe solo in minima parte compensata da una maggiore attività economica. Il ministro dell’Economia uscente, Pier Carlo Padoan, parla della flat tax come di una proposta irrealizzabile, come “la bacchetta magica o la fatina blu” (Flat tax, Padoan: "Proposta da fatina blu. Ecofin preoccupato per elezioni in Italia", “La Repubblica”, 23 gennaio 2018).
Oltre al buco di bilancio che verrebbe creato dalla flat tax, i benefici sulla popolazione – soprattutto per le fasce più deboli – sarebbero minimi, dato che lo sconto fiscale maggiore verrebbe applicato alle classi alte: “Al netto dei correttivi che si potrebbero introdurre ad un sistema del genere, volti a limare il suo carattere proporzionale e accentuarne quello progressivo, è evidente che un siffatto sistema implichi un risparmio rispetto a quello attuale che è tanto maggiore quanto maggiore è il reddito percepito. Per sua natura dunque la flat tax finirebbe per contribuire in modo decisivo ad accrescere uno dei problemi strutturali più importanti del nostro tempo: la crescente disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza” (Simone Romano, Campagna elettorale: inseguendo Trump tra flat tax e protezionismo, “Affari Internazionali”, 17 febbraio 2018).
Vannino Chiti, senatore PD, sostiene che con la flat tax “l'unica certezza è che i ricchi vedrebbero precipitare le loro tasse, i poveri non avrebbero alcun vantaggio (se non una lieve estensione della "no tax area"), il ceto medio avrebbe benefici contenuti, a fronte di una sicura impennata delle spese per la sanità, la scuola, i trasporti pubblici. I più ricchi potrebbero pagarsi scuole e sanità di serie A; tutti gli altri precipiterebbero in un welfare precario e marginale” (Vannino Chiti, La flat tax è un'enorme iniquità sociale e un attacco al welfare pubblico, “The Huffington Post”, 24 gennaio 2018). Gli fa eco la ex vicepresidente del Senato, Rosa Di Giorgi, affermando che “non esistono soluzioni semplici per problemi complessi”. “Le risorse in campo consentono invece una politica realistica di piccoli passi” per consolidare la ripresa economica già in atto in Italia. La Flat Tax non è altro che “un modo per abbassare le tasse a coloro che hanno una aliquota più alta del 23% ripercuotendosi sulla maggioranza della popolazione in termini di riduzione dei servizi e più diseguaglianza” (Rosa di Giorgi, Di Giorgi: “Flat tax significa riduzione dei servizi e più disuguaglianza”, “rosadigiorgi.it”, 9 febbraio 2018).
I proclami politici riguardo la necessità di un fisco più leggero implicano di fatto la volontà di sottoporre lo Stato ad una “cura dimagrante”. Tuttavia, “lo Stato, possedendo una maggiore propensione alla spesa del privato, costituisce un importante lubrificatore del sistema economico contemporaneo. La Flat Tax finirebbe per inibire tale funzione statuale. Va aggiunta, inoltre, la crescente efficacia della sfera pubblica sul versante delle politiche monetarie e di sostegno alla finanza”. “È proprio ora che il mercato si dimostra non autosufficiente che il sistema economico ha bisogno dello Stato” (Marco Bertorello, Danilo Corradi, Più mercato grazie a più Stato. A proposito di Flat tax e dintorni, “MicroMega”, 16 febbraio 2018).

Gli effetti collaterali della riforma Trump

La riforma fiscale di Trump, sulla falsariga delle riforme neoliberiste di stampo reaganiano e thatcheriano, “costerà complessivamente 1.500 miliardi di dollari, che andranno a far lievitare il debito pubblico nei prossimi 10 anni”. Oltre alle previsioni negative sul bilancio americano, la riforma non sta generando benefici per i lavoratori, “rischiando di esacerbare la già crescente disuguaglianza sociale”. “In realtà sono solo poche decine le società che fanno parte del S&P 500 ad aver incrementato i salari, assegnato bonus o previsto benefit per i dipendenti” (Felice Meoli, Riforma fiscale Usa, l’economia accelera ma la disuguaglianza sociale non diminuirà. Anzi, “Il Fatto Quotidiano”, 6 gennaio 2018).
Benché negli USA il tasso di disoccupazione sia ai minimi dal 2001, la disuguaglianza sociale sta raggiungendo livelli record: “Gli ultimi dati forniti dalla Federal Reserve, riferiti al 2016, indicano che l’1% più ricco detiene il 38,6% della ricchezza delle famiglie Usa, mentre il 90% meno ricco ne detiene appena il 22,8 per cento: era circa un terzo nel 1989, ovvero quando la Fed ne ha iniziato la misurazione” (Ibidem).
La riforma fiscale di Trump molto difficilmente invertirà questa tendenza, poiché i principali beneficiari saranno i ricchi e le aziende. Negli ultimi decenni, “nonostante gli incrementi di produttività, i salari reali sono rimasti stagnanti. Il che significa semplicemente che la quota di ricchezza aggiuntiva prodotta è andata sempre più alle altre classi sociali e non ai lavoratori, in particolare a quell’1% contro il quale nacque il movimento ‘Occupy Wall Street’” (Le fallacie dell’economia per i ricchi, “Keynesblog”, 15 luglio 2014).