La formula del liceo “breve” permette di rivedere e migliorare l'offerta formativa e consente ai giovani di entrare prima nel mondo del lavoro

Fedeli: “imprimere una svolta”

A proposito del decreto che avvia la sperimentazione del liceo “breve”, di durata pari a 4 anni anziché 5, la ministra dell'Istruzione dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli, le cui dichiarazioni sono riportate nell'articolo Diploma in 4 anni, ci siamo: nel 2018 esperimento al via in cento scuole, pubblicato il 29 dicembre 2017 su “Today”, afferma si tratti di un passo importante per l'Istruzione: "Con il bando emanato a ottobre abbiamo deciso di imprimere una svolta. Di consentire una sperimentazione su grandi numeri, con una maggiore diffusione territoriale, nell'ottica di dare pari opportunità alle ragazze e ai ragazzi di tutto il Paese, e una maggiore varietà di indirizzi di studio coinvolti. Tutto questo per fare in modo che, alla fine del quadriennio, si abbiano esperienze misurabili e valutabili davvero, secondo parametri condivisi e lavorando attraverso comitati scientifici nazionali e territoriali. Si avranno dossier approfonditi su cui poi tutti gli attori coinvolti potranno aprire il dibattito sul destino dei percorsi quadriennali”.

Ugolini: “Esperimento necessario”

Per Elena Ugolini, funzionaria italiana, sottosegretario all'Istruzione durante il governo Monti, il progetto del liceo “breve” offre l'occasione per migliorare la proposta educativa nel nostro paese. A tal proposito, nell'articolo Scuola. Studi superiori di 4 anni: esperimento necessario, pubblicato l'8 agosto 2017 su “Avvenire”, la Ugolini afferma: “Si potrebbe pensare che […] accorciare di un anno la scuola superiore potrebbe risultare deleterio, perché evidentemente i nostri alunni non sono abbastanza preparati. In realtà, non è così […] troppo spesso non si tiene conto di tutto il tempo prezioso che sprechiamo nel corso delle 13mila ore che i ragazzi passano in classe dalla prima elementare alla quinta superiore. Non parlo solo del tempo dilapidato per la possibile incompetenza di alcuni docenti, ma anche di quello che va sprecato per una proposta poco significativa. Ripensare a un progetto di scuola superiore articolato in quattro anni può – può! – diventare l’occasione per una revisione globale della nostra proposta educativa anche nei percorsi ordinari. […] se i nostri studenti svolgessero un percorso efficace di apprendimento e di orientamento nel corso del primo ciclo e se le scuole superiori progettassero un indirizzo adeguato in raccordo stretto con l’università e il mondo del lavoro, i nostri studenti potrebbero acquisire gli strumenti per proseguire gli studi universitari e affacciarsi al mondo del lavoro in quattro anni, come tutti i loro coetanei nel mondo. La verifica dopo la sperimentazione consentirà di decidere sulla base di un quadro definito”.

Modelli europei

Secondo il parere di Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine e responsabile Istruzione e Alta Formazione della Conferenza dei rettori, riportato nell'articolo A scuola c’è un anno di troppo, pubblicato il 5 dicembre 2013 sul “Corriere della sera”, “oggi i ragazzi nell’ultimo anno di superiori si annoiano: vorrebbero andare all’estero e invece sono lì bloccati. Sarebbe molto più utile riservare un anno di istruzione o formazione da poter usare durante l’esperienza lavorativa, sul modello anglosassone o scandinavo dei prestiti di onore”.

Gestione delle ore: si può fare

Come testimonia l'esperienza dell’istituto Galilei-Costa di Lecce, la questione riguardante la concentrazione dello stesso monte ore in un anno in meno è facilmente gestibile.
Il preside della scuola, Addolorata Mazzotta, le cui dichiarazioni sono pubblicate nell'articolo di Eugenio Bruno e Claudio Tucci, In 100 istituti, a breve 192, al via le superiori a quattro anni, apparso il 9 gennaio 2018 su “ilsole24ore.it”, afferma che il problema “è stato risolto elevando l’orario settimanale a 40 ore e puntando su alternanza [scuola-lavoro] già a partire dal primo anno e informatica con la metodologia Clil. Sperimentiamo anche nuove metodologie: lo studio dell’economia, per esempio, viene tarato sull’auto-imprenditorialità. Si modificano poi le ore curriculari: oggi per l’italiano si fanno quattro ore a settimana, più due di storia; nella nuova classe quadriennale ci saranno tre ore di italiano e tre ore storia, o meglio 'storie', comprendenti anche laboratori e storytelling di casi imprenditoriali di successo”.

Istruzione qualitativa e quantitativa

La questione attorno alla riduzione degli anni di Liceo, secondo il parere di Giorgio Chiosso, ordinario di Storia dell'Educazione e presidente del Consiglio di corso di Studi in Scienze dell'Educazione nell'Università di Torino, riguarda il rapporto tra tempo e apprendimento, in un'ottica qualitativa piuttosto che quantitativa.
Nel suo articolo SCUOLA/ Liceo in 4 anni, amici (pochi) e nemici di una buona idea, pubblicato il 12 agosto 2017 su “Il Sussidiario”, si legge: “Nessuno è interessato alla semplice accelerazione degli studi se essa non è situata entro un contesto che favorisce la responsabilizzazione dei giovani. La questione, sotto il profilo pedagogico, riguarda il rapporto tra tempo e apprendimento, tempo e crescita socializzata, questione di forte impatto perché ogni esperienza educativa si svolge sempre all'intreccio di tempo e spazio […] La creazione del 'liceo breve' si pone ora in controtendenza rispetto a una prassi a lungo coltivata i cui risultati meriterebbero un'attenta e critica riflessione e invita a ripensare la funzione e l'organizzazione dell'istruzione nelle società altamente tecnologizzate in termini più qualitativi che quantitativi. Non sono irrilevanti, a tal riguardo, anche i dati provenienti dalle ricerche internazionali secondo cui la variabile del tempo scolastico, entro certi limiti, non è strettamente associabile alla qualità delle prestazioni”.
D'accordo sulla questione anche Roberto Pellegatta, direttore della rivista “Dirigere scuole”, secondo il quale concentrare gli anni di studio può aiutare a rivedere la qualità della metodologia.
Sue dichiarazioni sono riportate nell'articolo “Liceo breve”, spiraglio per un rinnovamento scolastico, pubblicato il 10 agosto 2017 su “Tempi”, a firma di Francesca Parodi: “La sperimentazione del 'liceo breve' è un ottimo segnale di un cambiamento che consentirà un rinnovamento tanto atteso del sistema scolastico. Certo, è solo un primo passo e c’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona strada […] secondo noi si tratta di un’iniziativa troppo timida e vorremmo che venisse allargata con maggior coraggio. Siamo d’accordo con l’assessore dell’Istruzione della Lombardia, Valentina Aprea, nel dire che cento scuole sono troppo poche per una sperimentazione nazionale […] La riforma è uno spiraglio per promuovere finalmente un rinnovamento didattico in un sistema che per anni e anni è rimasto fossilizzato”.
Infatti, il grosso problema della scuola, secondo Pellegatta, è che affronta troppo tardi il problema del lavoro: “Questa misura accelererà i tempi per l’ingresso nel mondo del lavoro, contribuendo così ad abbassare la dispersione scolastica […] Si impara in maniera impeccabile il ragionamento intorno a una formula matematica, ma poi non si sa risolvere un problema. Così come lo studio minuzioso della grammatica non è sufficiente per saper scrivere un buon testo. Serve un nuovo metodo che non badi tanto alla ripetizione di teorie, ma si concentri soprattutto sull’acquisizione di abilità”.

Collegio San Carlo di Milano

Tra gli 11 istituti che per primi parteciparono alla sperimentazione avviata durante il ministero di Maria Chiara Carrozza (mandato dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, durante il governo Letta), c’è il Collegio San Carlo Milano.
Nell'articolo Liceo breve, il Gonzaga accelera. E il Beccaria abbandona la corsa, pubblicato il 21 ottobre 2017 su “Il Giorno”, a firma di Simona Ballatore, il rettore dell'istituto, don Alberto Torriani, racconta l'esperienza positiva: “Quest’anno c’è stata la terza maturità e i risultati confermano la bontà dell’intuizione. È stato creato un team di lavoro con l’ufficio scolastico regionale e il ministero, negli anni abbiamo guardato con attenzione al progetto, correggendo, innovando. Stiamo valutando il nuovo bando, verosimilmente parteciperemo. Il doppio binario permette di cucire un percorso su misura. Per la nostra esperienza mi sento di dire che il liceo quadriennale funziona”.

Mantegazza: “Il peso della scelta”

Contrario al Liceo “breve” è Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia Generale e Sociale all'Università degli Studi Bicocca di Milano, il cui parere è riportato nell'articolo A scuola c’è un anno di troppo, pubblicato il 5 dicembre 2013 sul “Corriere della sera”, secondo il quale tale provvedimento rappresenta un peso troppo grande per gli adolescenti: “Partiamo dai bisogni dei ragazzi: manca una scuola della preadolescenza che aiuti i teenager a elaborare il periodo dagli 11-12 anni ai 15-16. Caricare su un tredicenne (e sui suoi genitori) il peso della scelta del proprio destino è sbagliato: come si fa, a quell’età, a scegliere il liceo coreutico o lo sportivo?”.
Secondo Mantegazza sarebbe opportuno istituire un primo ciclo di cinque o sei anni, poi quattro anni di scuola media unica con il latino per tutti “perché aiuta a ragionare e a imparare l’italiano”, e infine tre anni di superiori. “Penso a un modello flessibile in cui si fanno delle ore di scuola, degli stage in azienda, magari anche un mese all’estero e si comincia anche a frequentare l’università”.

Nell'articolo Ipotesi di studi superiori di 4 anni. Maneggiare con cura l'esperimento, pubblicato il 13 agosto 2017 su “Avvenire”, Roberto Carnero, professore di Didattica della Letteratura Italiana presso l'Università degli Studi di Milano, sottolinea i rischi legati alla diminuzione degli anni scolastici superiori: “Si dice che [...] si velocizzerebbe l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ma tutti sappiamo quanto il lavoro oggi non sia così disponibile. Si dice anche che si tratta di adeguarci ai parametri europei (anche se in una metà dei Paesi membri della Ue la scuola si conclude all’età di 19 anni, esattamente come da noi). Benissimo, stiamo però attenti a non importare dall’Europa ciò che non funziona o funziona meno bene che nel nostro Paese [...] Non vorremmo che l’abbassamento del livello culturale e formativo, dopo aver toccato l’università, riguardasse anche la scuola superiore. Insomma, varrebbe la pena, anche in questo caso come in altri, non accettare supinamente quanto ci viene richiesto o imposto dall’Europa. Perché se c’è una scuola seria, che ancora trasmette conoscenze, competenze, capacità, formando i ragazzi in maniera completa è, pur con tutte le migliorie ancora apportabili, proprio quella italiana […] Da insegnante, vedo che già oggi sono davvero enormi le difficoltà che incontriamo […] a raggiungere gli 'obiettivi formativi' fissati dalle Indicazioni nazionali […] Già così, rischiamo di sfornare diplomati non sufficientemente attrezzati per le sfide che li attendono là fuori, che sia il mondo del lavoro o quello di un’ulteriore formazione, di tipo universitario. Il timore è che se già oggi si fa molta fatica, con un anno in meno la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare”.

Imposimato: “Il percorso di studi va incrementato”

Secondo il parere di Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, le cui dichiarazioni sono riportate nell'articolo Liceo breve a 4 anni, sperimentazione nasconde tagli alla scuola?, pubblicato il 3 novembre 2017 su “tecnicadellascuola.it”, a firma di Fabrizio De Angelis, il percorso di studi andrebbe semmai incrementato: “Non crediamo a quello che ci dicono i mass media, perché compressare il tempo scuola non può essere positivo all’alunno. Semmai, il percorso di studi va incrementato. La scuola pubblica va difesa, i docenti facciano sentire il loro dissenso. Anche con manifestazioni di piazza. Perché non può passare una riforma negativa di questa portata tra il silenzio, se non il consenso, del Paese”.

Impoverimento qualitativo

Per Francesco Sinopoli, segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil, il cui parere è riportato nell'articolo "Liceo breve", dal nuovo anno sperimentazione tra le proteste, pubblicato il 30 dicembre 2017 su “Il Manifesto”, “il taglio di un anno impoverisce drasticamente la qualità dell’offerta formativa del sistema scolastico pubblico, danneggia le fasce più deboli della popolazione scolastica”. E, aggiunge Sinopoli, “non si può realizzare un intervento di riforma dei cicli scolastici riducendo la durata delle scuole secondarie superiori, senza ragionare dell’intero sistema”.

Pacifico “Possibili sciagure”

Scettico sull'introduzione del Liceo “breve” si dice anche Marcello Pacifico, presidente dell'Udir (sindacato dei dirigenti scolastici), le cui dichiarazioni sono riportate in un comunicato pubblicato nell'agosto 2017 dall'Anief (Associazione sindacale professionale) sul proprio sito: “Viene da chiedersi a cosa serva diplomarsi prima, se poi il tasso di dispersione scolastica rimane sempre elevato e le iscrizioni all'università sono drasticamente diminuite negli ultimi dieci anni. In conclusione, non bisogna sempre dire di sì, anzi, la storia si cambia anche e soprattutto con i no, con la volontà vivida di rinnovare gli eventi. Non bisogna assecondare le novità che aprono a possibili 'sciagure'".