I Reality sono ripetitivi e monotoni. Inoltre, l’aspetto commerciale è troppo centrale

Dinamiche sociali da cui prendere spunto

Non è vero che gli spunti su cui creare un reality si sono esauriti con le prime edizioni. Il prodotto può essere infatti rinnovato, ringiovanito, rinfrescato, seguendo i messaggi che ogni giorno la società in cui viviamo ci lancia. Anche nella quotidianità sopravvive il più forte, che scavalca il più debole mediante complotti e sotterfugi.
Davide Maggio, blogger televisivo, sottolinea la bontà dei reality: “Ho sempre ritenuto il reality show il genere televisivo che meglio soddisfa le ‘esigenze’ del popolo televisivo italiano. Esigenze fondamentalmente voyeuristiche grazie alle quali potersi, da un lato, confrontare con gente comune che vive situazioni reali, dall’altro curiosare nella quotidianità e nell’intimità altrui con la speranza di poterci ridere su. E’ naturale che quanto più questa realtà sia eccessiva, animata, accesa, tanto più crescerà l’interesse e la curiosità nel telespettatore” (Disaffezione dai reality?, “davidemaggio.it”, I ottobre 2006).

Il reality coinvolge numerosi aspetti emotivi

Le implicazioni psicologiche di un reality sono molteplici e di certo non possono esaurirsi con così tanta facilità. Sono diversi i lati del carattere che possono venire fuori, favoriti o limitati da contesti sempre diversi. Aldo Grasso, critico televisivo, sottolinea questo aspetto: “É un hard discount della psicoanalisi. È una confessione in pubblico, dopo che la fatica, il clima della competizione, le ‘dinamiche di gruppo’ hanno fatto il resto” (Aldo Grasso, Buona Maestra. Perché i telefilm sono diventati più importanti dei libri e del cinema, Mondadori, 2007, pp. 23).

Un prodotto finto e finito

L’effetto sociale dell’esperimento si è esaurito nelle prime edizioni, ciò che si doveva comprendere è stato compreso e nessuno spunto ulteriore può più provenire da programmi triti e ritriti. Le dinamiche, le forzature, i diversi contesti, si sono percorse tutte le strade possibili, il reality non regala più spunti ed emozioni al pubblico.
Così il critico televisivo Aldo Grasso: “I reality dovrebbero fermarsi tutti alla prima edizione, quando le regole del gioco vengono apprese e non risvelate. Ogni ripetizione non può essere che carica di stridente goffaggine. In realtà, da tempo immemorabile, abbiamo perso la cognizione del concetto di prototipo, viviamo solo di inesauribili copie. Per questo l’industria dello spettacolo (e non solo) è fondata sulla riproducibilità” (Aldo Grasso, "Il collegio", esperimento sociale sui ragazzi senza Internet, “corriere.it”, 28 settembre 2017).

Assenza di talento

I protagonisti non forniscono spunti perché a loro non è richiesta l’espressione di alcun talento. L’obiettivo finale si raggiunge attraverso gli inciuci e le forzature del carattere, non per merito, genuinità e capacità. Saverio Luzzi, Dottore di ricerca in Società, Politica e Culture dal Tardo Medioevo all’Età Contemporanea presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ribadisce: “Il reality show non richiedono talento alcuno. Sono competizioni strutturate da autori televisivi dotati di abilità in cui artatamente i concorrenti sono messi l’uno contro l’altro. Vince chi elimina tutti gli altri, escogitando ogni trucco ed espediente” (Reality: specchio di una società in decadimento, “artapp.it”, 9 novembre 2017).

Claudio Alessandro Colombrita, I febbraio 2018