Lo smartphone stimola il lavoro di gruppo e la coesione della classe

Un approccio al passo coi tempi

L’utilizzo degli smartphone è ormai prassi diffusa e non si può costringere i ragazzi a non portarlo in classe. Non servono divieti o circolari scolastiche, come quelle emanate nel 2007 dall’allora ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, serve un approccio più morbido e al passo con i tempi, che non demonizzi ma anzi sfrutti queste preziose risorse.
In questo senso, il sondaggio condotto da “Skuola.net”, appare significativo: “Nove ragazzi su dieci, infatti, lo portano a scuola e non per tenerlo negli zaini o in qualche astuccio, ma proprio per utilizzarlo. Inutile dire che tra gli scopi dell’uso del cellulare in classe non c’è solo lo studio, ma anche il divertimento” (Serena Rosticci, Cellulare in classe: lo portano 9 studenti su 10, “skuola.net”, 8 aprile 2013).

Elemento di coesione

Al di là delle differenze di classe sociale, ormai tutte le nuove generazioni posseggono uno smartphone, più o meno evoluto, costoso o veloce, quindi perché non sfruttare questo elemento comune per incentivare il lavoro di gruppo e incrementare la coesione nella classe?
Così il prof. Paolo Ferri, ordinario di Didattica e Pedagogia all’Università Bicocca di Milano: “Si usa lo smartphone per finalità didattiche. Prendiamo il caso di ragazzi che lavorano in gruppo, in classe, su consegna dell'insegnante. In questo caso lo smartphone diventa uno strumento prezioso. Bisogna insegnare a farne un uso intelligente, e bisogna farlo a scuola” (Smartphone a scuola, sì o no? Come funziona all’estero, “ilsole24ore.com”, 14 settembre 2017).

Lavoro di gruppo

Lo smartphone è una sorta di appendice di ogni ragazzo, uno scrigno che contiene storie, messaggi, foto e tratti di vita. Non è pensabile, al giorno d’oggi, puntare il dito contro di esso. La proibizione assoluta porta quasi sempre cattivi risultati, anche perché ci si confronta con un mondo particolarmente furbo e scaltro che, in un modo o nell’altro, trova sempre il modo per connettersi.
Lo smartphone può aiutare le ricerche comuni, può incentivare i lavori di gruppo, i confronti, individua il concetto di interclasse, stimola la creatività e l’innovazione. Le nuove applicazioni possono rendere ogni materia divertente e suggerire un approccio sempre mutevole ma non per questo meno efficace.

Così la professoressa Gerardina Sera, docente di Lettere dell’Istituto Comprensivo "Largo San Pio V" di Roma: "Ora come ora, vietare gli smartphone in classe significa far lasciare ai ragazzi una buona parte di loro fuori dalla scuola. Le demonizzazioni non servono a molto e gli studenti troveranno sempre una scappatoia, come quelle che le generazioni passate hanno trovato per aggirare altri divieti. E poi può essere uno strumento utile per fare ricerche, spiegando perché serve andare oltre il 'copia-incolla', che è un esercizio senza senso, quali fonti usare e quali no. Si può lavorare sulla sitografia, fare progetti nuovi, anche interclasse" (Chiara Cecchini, Smartphone in classe, pro e contro secondo gli insegnanti, “today.it”, 3 agosto 2017).

Una svolta per l’umanità e per la didattica

Lo smartphone rappresenta uno strumento di innovazione sociale, una conquista dell’umanità per un nuovo modo di vivere che può ben sposarsi con la didattica.
Confinarlo fuori dal mondo della scuola e non rendersi conto della svolta epocale che ha portato significherebbe essere fuori dal tempo: "Lo smartphone è una nuova forma di tecnologia, e le tecnologie quando arrivano sulla terra lo fanno per restare, cambiando ogni cosa. Si tratta di un elemento di tecnologia che può essere applicato per un cambio di paradigma metodologi[co]. Ben venga l'utilizzo dello smartphone a scuola purché rappresenti uno strumento utile alla didattica. In questo modo non solo si cattura l'interesse degli studenti ma si ottengono ottimi risultati", afferma Mimmo Aprile, insegnante di Scienze e Tecnologie Informatiche presso il Liceo Scientifico "Vincenzo Lilla" di Oria, in provincia di Brindisi (Sonia Montrella, "Brava ministra, io lo smartphone in classe già lo uso e con ottimi risultati" “agi.it”, 15 settembre 2017).

Claudio Alessandro Colombrita, 27 ottobre 2017

Smartphone come strumento di isolamento

Lo smartphone toglie molto alle nuove generazioni ed è uno strumento di isolamento più che di coesione. La scuola dovrebbe dunque essere un porto franco, dove mettersi a riparo dagli effetti dei telefonini, dove guardare il proprio compagno di banco sorridendo, dove giocare ancora al lancio dei portacolori o con i giochi di un tempo.
Così Alberto Pellai, Medico Psicoterapeuta e docente del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano: “La scuola ancora fornisce ai ragazzi la consapevolezza che ci sono luoghi della vita dove è necessario stare concentrati sul volto dell’altro, mettere lo sguardo dentro lo sguardo di chi ci sta intorno, dove ascoltare e fare attenzione a chi parla non avviene in contemporanea con una serie di altre infinite funzioni in modalità multitasking” (Alberto Pellai, "Gli smartphone a scuola? Ma anche…NO!" Messaggio per la Ministra Fedeli, “magazine.familyhealth.it”, consultato il 16 ottobre 2017).

Meglio meno “connessione” per i giovani

E se la scuola diventasse il luogo dove lasciare i cellulari negli armadietti e riconnettersi col mondo? Potrebbe essere ripensata in funzione di ciò, attraendo i ragazzi con la didattica tradizionale, una “chiamata” per il gruppo e per la classe, costretta a scavare nelle proprie risorse per creare legami, risorse che abbiamo dalla nascita ma che con questa nuova tecnologia sono andate perdute. Il sorriso, la parola, la socialità, la gestualità, elementi che non possono essere dati per scontati e che possono definire il vero concetto di comunità.
Roberto Carnero pone il ragionamento del ministro Fedeli al contrario: “Proprio perché i ragazzi sono sempre 'connessi', non sarebbe poi così male che almeno quando sono a scuola rimanessero 'sconnessi'. La scuola, insomma, potrebbe continuare a rimanere una sorta di porto franco, libero da quell’invadenza digitale e social di cui siamo un po’ tutti vittime, adulti compresi” (Roberto Carnero, Gli smartphone in classe? No, ci vuole un po' di sconnessione, “avvenire.it”, 19 settembre 2017).

Strumento individuale

Lo smartphone è uno strumento individuale a tutti gli effetti e mal si presta a un suo utilizzo in classe.
Basta guardare una sala d’aspetto in ospedale, tutti concentrati sul proprio schermo e nessuno pronto a socializzare, a scambiare una parola col vicino di posto. Si preferisce parlare con gente in Thailandia rispetto al proprio dirimpettaio, le applicazioni aiutano a superare ogni confine geografico e ogni limite dettato dalla timidezza e dalla paura di confrontarsi col prossimo.
Così il pedagogista Daniele Novara: “La tecnologia, se usata individualmente, schiaccia gli alunni nell'isolamento e nella distrazione, sottraendoli all'apprendimento sociale condiviso coi compagni" (Antonio Piccirilli, Smartphone (anche) a scuola? No, grazie: "Elemento di distrazione, grave danno per gli alunni", “today.it” 23 settembre 2017).

Gli insegnanti si ribellano

Il malcontento degli insegnanti è evidente, così come l’inefficacia di questi nuovi strumenti tecnologici. L’esperienza di tutti i giorni ci porta casi di studenti distratti, che si fanno beccare col cellulare in mano e che contravvengono alle imposizioni dettate dai docenti.

Appare scettica Clementina Izzetta, docente di lingue dell'Istituto Comprensivo "Corrado Melone" di Ladispoli: "Se ne parla sempre con i colleghi, c'è un gran dibattito, ma alla fine è vero: sono una fonte di distrazione. Quando i ragazzi arrivano, devono lasciarlo in una scatola che resta sulla cattedra, ma trovano sempre il modo di fare danni” (Chiara Cecchini, Smartphone in classe, pro e contro secondo gli insegnanti, “today.it”, 3 agosto 2017).