Lo smartphone è ormai uno strumento della vita quotidiana e non può non trovare spazio in un luogo come la scuola

Una spinta decisiva dal ministro Fedeli

Lo smartphone è un telefono alla portata più o meno di tutti. Spesso, anche chi non ha un tenore di vita elevato non risparmia nell’acquisto di dispositivi costosi d’ultima generazione. Molti ragazzi ne possiedono uno già all’età di 12 anni e uno su 10 resta connesso per 12 ore al giorno. Ovviamente, passando tanto tempo a scuola, i ragazzi lo portano con loro, tuttavia, non è il dispositivo in sé ad essere sotto accusa, ma l’utilizzo che se ne fa: "Li vedo e li frequento, i ragazzi. E so che non si può continuare a separare il loro mondo, quello fuori, dal mondo della scuola. Una commissione ministeriale s’insedierà per costruire le linee guida dell’utilizzo dello smartphone in aula. Entro breve tempo avrò le risposte e le passerò con una circolare agli istituti” (Corrado Zunino, Svolta della ministra Fedeli: "Smartphone in aula a scuola. Dico sì, sono un aiuto", “repubblica.it”, 12 settembre 2017).

Svecchiare per far sentire gli studenti a proprio agio

Molti docenti hanno accolto positivamente la proposta della ministra, perché gli smartphone permetterebbero di svecchiare i metodi di insegnamento, coinvolgendo maggiormente i ragazzi. La scuola deve essere lo specchio della società e nella società ci sono i telefonini di ultima generazione che possono aiutare in molteplici occasioni. Modernità e interattività soddisfano un vero e proprio bisogno: stare al passo coi tempi e non far sentire i ragazzi degli alieni nelle strutture scolastiche: “Il bisogno di educazione digitale è adesso, non fra dieci anni. E non è realistico lasciare l’onere solo ai genitori. La scuola è il luogo ideale per iniziare a sperimentare percorsi educativi che rendano più umana e ricca la vita iperconnessa” (Bruno Mastroianni, Gli smartphone in classe? Sì, è ora di umanizzare la tecnologia, “avvenire.it” 19 settembre 2017).

Lo studente al centro della scuola

La tecnologia offre svariate possibilità di sperimentare e la scuola, istituzione per definizione noiosa, perché lontana anni luce dalla quotidianità e della vita di bambini e ragazzi, può diventare all’improvviso attraente e interessante, senza smarrire la sua funzione principale di luogo deputato all’insegnamento.
Si guarda ai bisogni delle nuove generazioni, si ascoltano le loro istanze, si rendono protagonisti i ragazzi, la loro creatività e la loro padronanza dei nuovi mezzi: “Un approccio totalmente diverso, che pone al centro lo studente e che si basa sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie”, commenta Giovanni Biondi, presidente di Indire, l'ente specializzato nello sviluppo di nuovi modelli didattici anche attraverso la sperimentazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie (Sicuri che il cellulare a scuola sia una buona idea?, “focusjunior.it”, 9 giugno 2016).

Claudio Alessandro Colombrita, 24 ottobre 2017

Salvaguardare le nuove generazioni

Lo smartphone è uno strumento tanto affascinante quanto pericoloso se usato in un modo non corretto. La società ci conduce verso un mondo sempre più connesso e dipendente, soprattutto tra i ragazzi, che prediligono il grande o piccolo schermo alla vita reale, con tutte le ripercussioni del caso.
Bisogna salvaguardare le nuove leve, soprattutto quelle più giovani: “Dalla scuola dell’infanzia fino alla seconda elementare si deve fare altro: meno si usa lo schermo meglio è. Per i piccoli è da escludere. Con lo schermo non ti sporchi, non fai rumore: diventa solo una comodità per la scuola”, afferma lo scrittore e maestro Franco Lorenzoni (Alex Corlazzoli, Scuola, smartphone in classe? L’apertura della Fedeli fa discutere: “Elemento di distrazione”. “No, strumento didattico”, “ilfattoquotidiano.it”, 14 settembre 2017).

Studenti distratti

Lo smartphone possiede diversi elementi di distrazione: Whatsapp, Twitter, Facebook, Instagram non aiutano di certo i ragazzi a seguire attentamente le lezioni.
Dal 2007 esiste un divieto di utilizzo in classe degli smartphone, voluto fortemente dall’allora ministro dell’Istruzione Fioroni, ma i click continui e la frenesia con cui i ragazzi usano i cellulari non sono fattori facili da arginare.
Elisabetta Rossini ed Elena Urso, autrici del libro I bambini devono fare i bambini non risparmiano critiche alla voglia di smartphone in classe: “A scuola il telefonino è un’assurdità. La scuola è raggiungibile in molti modi. Il fatto che sia la scuola a filtrare l’eventuale messaggio della famiglia ha un utile effetto collaterale, quello di dare il senso dell’essere dentro un’istituzione” (Chiara Pizzimenti, Scuola: smartphone in classe sì o no?, “vanityfair.it”; 13 settembre 2017).

Lo smartphone in classe non è una priorità

Il cambiamento è auspicabile, nella società come nella scuola, le strutture vanno necessariamente ammodernate così come l’approccio, ma è tuttavia necessario salvaguardare il sistema educativo e istruttivo tradizionale.
Inoltre, ci sono altre priorità in termini strutturali: le aule, le sedie, i banchi, gli interventi di adeguamento sismico, la banda larga e in generale la connessione internet, che in molte scuole manca. Si può partire dalle piccole cose, dai sistemi collaudati, come le lavagne elettroniche già presenti in molte aule, gli ebook e i tablet.
Riccardo Luna, direttore dell’agenzia Agi si esprime così: “Il digitale deve cambiare la scuola ma non così. Per anni si è parlato di dare un computer ad ogni studente e ora si chiede ad ogni ragazzo di portare il suo pc: è una politica che non condivido perché ci sarà sempre chi ha un abbonamento dati potente e chi no” (Alex Corlazzoli, Scuola, smartphone in classe? L’apertura della Fedeli fa discutere: “Elemento di distrazione”. “No, strumento didattico”, “ilfattoquotidiano.it”, 14 settembre 2017).

Rischio di “demenza digitale”

Gli studenti rischiano di dimenticarsi le basi, di smarrire il feeling con la scrittura a mano, troppo avvezzi a digitare in tastiere e a toccare schermi, non si mettono più in gioco con la memoria e con l’attenzione, apprendono meno, forti della certezza che, in caso di necessità, in internet è possibile trovare una risposta ad ogni domanda.
La professoressa Angela Biscaldi, docente in Scienze Demoetnoantropologiche presso l’Università degli Studi di Milano, ha le idee chiare: “Molte maestre d’asilo mi dicono che i bambini non sanno più allacciarsi le scarpe, non riescono ad avvolgere il filo in un rocchetto: stanno perdendo la motricità, l’attenzione e la memoria peggiorano, la vista viene danneggiata. Il rischio di avere dementi digitali è alto” (Alessandro Belardetti, Cellulare in classe, è bufera: gli esperti bocciano la Fedeli, “quotidiano.net”, 13 settembre 2017).