Il 41-bis può rappresentare quella leva che spinge un criminale a pentirsi e a collaborare con la giustizia per fare luce su alcuni tra i più importanti fatti di cronaca dell’ultimo ventennio.
Il 41-bis spinge il detenuto a collaborare
Il provvedimento restrittivo rappresenta lo strumento attraverso cui lo Stato vuole carpire informazioni preziose nella lotta alla mafia, al terrorismo e alla criminalità organizzata in genere. Pietro Grasso, ex magistrato e presidente del Senato, ha così parlato: “La legge dà la possibilità di interrompere il regime del 41 bis, con la collaborazione con la giustizia. Se quindi Totò Riina intende alleggerire il regime che lo riguarda, potrebbe collaborare facendoci sapere, per esempio, chi erano le persone importanti che lo contattarono prima delle stragi. Non dimentichiamoci che Riina è ancora capo di Cosa nostra e che viene trattato nel miglior polo specialistico che abbiamo" (Grasso: "Stop 41 bis? Riina faccia nomi dei mandanti delle stragi", “adnkronos.com”, 8 giugno 2017).
Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Ferrara, scrive: “Si fa, ma non si dice: il 41-bis serve a produrre pentiti. Oppure a infliggere un castigo esemplare” (Capitolo settimo: Tra verità (delle cose) e dimensione simbolica (del diritto)"il caso del regime di carcere duro del 41-bis", “ristretti.it”, consultato il 22 giugno 2017). Le informazioni provenienti da personaggi così influenti nel panorama mafioso devono essere carpite con tutti i mezzi possibili e dunque anche attraverso restrizioni delle libertà così accentuate.
Claudio Alessandro Colombrita, 14 luglio 2017
Autori citati:
Grasso Pietro
- Presidente del Senato
Pugiotto Andrea
- docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Ferrara
Il provvedimento non produce più collaboratori di giustizia come faceva un tempo. Diverso il periodo, diverse le condizioni, in un sistema mutato inevitabilmente.
Il 41-bis non è una buona esca per collaboratori di giustizia
Il 41-bis nasce con il forte intento di convincere i boss più influenti del panorama mafioso a collaborare, fornendo rivelazioni e informazioni cruciali per la lotta dello Stato alla criminalità organizzata. Maurizio Turco, ex capogruppo dei deputati radicali al Parlamento Europeo ora coordinatore della Presidenza e del Partito Radicale si è così espresso: “Il regime del 41 bis è finalizzato al pentimento, alla collaborazione: è addirittura scritto a chiare lettere nei decreti di assegnazione al carcere duro. Qualcuno deve aver pensato che siccome Falcone e Borsellino erano riusciti ad ottenere notevoli successi attraverso i collaboratori di giustizia, occorresse proseguire a tutti i costi su quella strada. Ma si sottovalutò e si continua a sottovalutare un dato essenziale: quanti collaborarono con Falcone e Borsellino lo fecero per ragioni ben diverse, non perché sottoposti a durissimi trattamenti coercitivi” (Gaia Bay Rossi, La vergogna del 41 bis, “laici.it”, consultato il 22 giugno 2017). La ratio della disciplina non può essere questa, altrimenti il provvedimento assumerebbe quasi la fattezza di un ricatto: “Il 41-bis, nella misura in cui viene funzionalizzato, anche solo indirettamente, alla ‘produzione’ di collaboratori indotti a confessare responsabilità proprie o altrui, assume un volto inumano” (Capitolo settimo: Tra verità (delle cose) e dimensione simbolica (del diritto) "il caso del regime di carcere duro del 41-bis", “ristretti.it”, consultato il 22 giugno 2017).
Autori citati:
Turco Maurizio
- coordinatore della Presidenza e del Partito Radicale
Pugiotto Andrea
- docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Ferrara