I robot ci ruberanno il lavoro

Robotizzazione, un fenomeno che riguarda tutti

In un articolo intitolato UN Report: Robots Will Replace Two-Thirds of All Workers in the Developing World [Report ONU: I robot rimpiazzeranno due terzi di tutti i lavoratori nel mondo in via di sviluppo, TdR], scritto per “Futurism” l’11 novembre 2016, Eleazer Corpuz riporta alcuni punti discussi nel corso di una conferenza organizzata dalle Nazioni Unite per discutere di tematiche legate a commercio e sviluppo. Sebbene possa sembrare che l’automatizzazione sia una faccenda che riguarda in larga misura solo l’Occidente, commenta Corpuz, nel corso della conferenza ONU è stato portato alla luce l’impatto che il processo sta avendo sui cosiddetti paesi in via di sviluppo, i quali secondo i dati sarebbero anche più coinvolti dei paesi più industrializzati. “L’aumento di utilizzo di robot nei paesi sviluppati rischia di erodere il tradizionale vantaggio dei paesi in via di sviluppo in termini di costo del lavoro” (TdR) cita Corpuz.

Il flusso inverso della manodopera

Tuttavia, continua l’autore, un altro documento pubblicato dalla Banca Mondiale ha messo in evidenza come “la quota di lavori che potrebbero essere toccati da una significativa automazione sia più alta nei paesi in via di sviluppo rispetto alla maggior parte di quelli industrializzati, dove molti di questi lavori sono già scomparsi” (TdR). Ciò coinvolge principalmente i lavori che richiedono un basso livello di specializzazione, dal momento che potrebbero essere facilmente eseguiti da macchine. Per la precisione si tratta dei due terzi di tutti i lavori che vengono svolti nei paesi meno sviluppati, il che significa che buona parte di settori come quello dell’industria manifatturiera potrebbero essere protagonisti di un massiccio fenomeno di reshoring, cioè un ritorno dell’attività lavorativa nei paesi che inizialmente la esportarono all’estero, proprio in ragione dei costi nettamente inferiori. Seguendo Corpuz, tale processo allo stato attuale sarebbe in una fase ancora non accelerata, ma le cose potrebbero cambiare rapidamente e in maniera consistente. Gli esiti di tale cambiamento dipenderanno dalle politiche che verranno applicate. Se si accetta l’estrema probabilità che stiamo andando incontro a una progressiva automazione di sempre più settori, sarà più facile in futuro essere preparati.

Abbracciare la rivoluzione digitale

Per esempio, promuovendo e lavorando in direzione della rivoluzione digitale fin dal livello dell’educazione, e con il supporto delle dovute istituzioni, sarà forse possibile non subire un contraccolpo toppo forte. Ma certo non si tratterà di un percorso privo di rischi. “Le tecnologie foriere di cambiamento portano sempre un mix di benefici e di rischi” (il tipico beneficio che si prevede possa derivare da una robotizzazione generalizzata dei processi produttivi è il cosiddetto basic income, tradotto in italiano come reddito di base o reddito minimo universale). È opinione dell’autore che non sarebbe saggio lasciarsi schiacciare dalla prospettiva dei rischi impliciti nel cambiamento, non fosse altro perché non sappiamo ancora quali vantaggi potrebbero riservarci simili scenari.

Guglielmo Papagni, 29 maggio 2017

Automazione, non surclassamento

In un articolo scritto per “Forbes” il 15 maggio 2016 con il titolo Agriculture Proves Robots Won’t Take All Our Jobs [L’agricoltura prova che i robot non si prenderanno tutti i nostri lavori, TdR], Jeffrey Dorman sostiene che la premessa errata, sulla quale si fonda la paura di un sopravvento delle macchine nel mondo del lavoro, sia quella che esse possano realmente un domani fare tutto. Altrettanto errata potrebbe essere, secondo Dorman, l’idea di un parallelo processo di accentramento capitalistico delle risorse nelle mani di chi possiederà la nuova manodopera. Eventualmente, tale processo genererebbe un’ulteriore (rispetto alla già esistente) sproporzione di possibilità economiche tra la minoranza di individui che detengono il controllo delle macchine, e la massa di persone ormai spodestate dalle proprie occupazioni. È probabile, continua l’autore, che molti settori della manifattura proseguiranno sulla strada dell’automazione, ed è altrettanto plausibile ritenere che nuovi altri seguiranno. Ciò che è invece sbagliato pensare, afferma Dorman, è che tutti i tipi di lavori spariranno. “Primo, la creatività sarà ancora ricercata. Qualcuno deve progettare i prodotti che le macchine faranno, progettare le macchine che faranno quei prodotti, programmare le macchine affinché eseguano i compiti assegnati, e creare pubblicità per quei prodotti. Secondo, lavori che non possiamo nemmeno immaginare al momento si svilupperanno e creeranno impieghi per la gente. Dopotutto, ingegneri di software e venditori digitali non sono esistiti per lungo tempo” (TdR).

La lezione storica

Ciò potrebbe essere scambiato per un eccesso di ottimismo, prosegue Dorman, poiché in fin dei conti un giorno i robot potrebbero riuscire a svolgere anche lavori che richiedono creatività, e inoltre non è detto che si riescano a generare sufficienti lavori per sostituire quelli che verranno svolti dalle macchine. Tuttavia, sostiene l’autore, la storia darebbe ragione alla sua tesi. E un ottimo esempio di ciò sarebbe costituito dall’agricoltura. Nel 1810 l’agricoltura dava lavoro all’84% della forza lavoro americana, corrispondente a circa il 27% della popolazione totale. Ancora al volgere del secolo la percentuale relativa alla manodopera si attestava intorno al 40%. Oggi invece quella percentuale si aggira intorno all’1%. Significa che in due secoli la transumanza dei lavoratori americani è stata pressoché totale, senza che ciò portasse a una disoccupazione cronica di massa, e sviluppandosi lungo molteplici direzioni, molte delle quali imprevedibili prima della rivoluzione dell’agricoltura.

Sguardo retrospettivo

Oltre a una serie infinita di occupazioni e specializzazioni del tutto nuove, tra i lavori che si sono creati vanno considerati anche quelli legati a produzione, vendita e manutenzione delle stesse macchine che hanno sostituito gli umani. Tale lettura da un lato fa gioco alle riflessioni weberiane in merito al progressivo aumento di specializzazioni nelle occupazioni umane. Ma dall’altro richiama in causa un’altra componente essenziale del processo di automazione dei lavori in generale. Se ci si pensa infatti, dopo la sostituzione della manodopera agricola americana da parte delle macchine, ci si è trovati nella situazione di avere l’1% della popolazione che produceva sufficienti derrate alimentari non solo da sfamare la popolazione degli Stati Uniti, ma anche per garantirne l’esportazione. Ciò significa un più alto livello di ricchezza media (soprattutto laddove le risorse non dovessero essere sprecate in un’ottica di consumismo), che è la condizione di base necessaria per concretizzare le idee di un reddito minimo universale.